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"La Chiesa per la salvezza dell'umanità: la diakonia nelle Amministrazioni Apostoliche e Missioni sui iuris tra Europa e Asia"

 LINEE GUIDA PER L'ATTIVITÀ CARITATIVA  

Questo testo risulta dall'incontro, organizzato dal Pontificio Consiglio "Cor Unum", dal 2  al 4 luglio 1998 presso la Domus Sanctæ Marthæ nella Città del Vaticano. Propone alcune linee guida per orientare l'attività caritativa della Chiesa cattolica, con diverse espressioni, nei territori tra Europa e Asia. Le situazioni sono diverse, ma occorre affrontare alcuni problemi comuni. I risultati rappresentano comunque un contributo per la Chiesa universale ed intendono essere d'aiuto per risolvere questioni esistenti in questo settore, anche altrove nel mondo.

  

1.  La dimensione teologica dell’attività caritativa  

La prima dimensione è spiccatamente teologica. La diakonia rappresenta una delle tre funzioni essenziali della Chiesa. Nella nostra terminologia, con diakonia si deve intendere il servizio dell'attività caritativa che la Chiesa offre all’uomo, in quanto figlio di Dio, riconoscendo in lui il volto stesso di Cristo. Tale servizio di carità la Chiesa non lo attinge da se stessa, ma dall’amore di Dio che si è incarnato e rivelato nella persona di Cristo. Il Figlio di Dio fatto uomo mostra la carità del Padre, come confermano le parole di Giovanni:  «In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1 Gv 4, 10).  La Chiesa continua la missione del Figlio di Dio che rivela al mondo l’amore del Padre per ogni uomo. Nella sua azione, la Chiesa lascia trasparire questo fondamento dal quale nasce e sul quale è costituita.

 

L'attività caritativa non può prescindere dai dati della fede. Qui si illumina anche il senso profondo del legame che sussiste tra le funzioni essenziali della Chiesa:  la predicazione, la liturgia e la carità. Ogni funzione è legata alle altre due; senza questo legame impoverisce e si sclerotizza. Dalla conoscenza che ci viene nella predicazione e dal vivere nella liturgia l’amore divino, la Chiesa se ne rende testimone davanti agli uomini.

 

Essendo la diakonia una attività ecclesiale, resta primordiale il ruolo del Vescovo o dell’Ordinario del luogo.  Sua è la responsabilità ultima dell’azione caritativa. E’ responsabilità di padre: quella di promuovere i diversi carismi, le diverse capacità  da far convogliare per il bene della Chiesa, nel rispetto della specificità di questi carismi.  Non dobbiamo misconoscere la valorizzazione di questi carismi, che si esprimono in tanti ordini religiosi, istituti di vita consacrata e di vita apostolica, in movimenti, in nuove comunità, e che tanto contribuiscono all’edificazione della Chiesa.

 

Il carattere ecclesiale della diakonia comporta una stretta collaborazione della comunità cristiana, anche dove l’attività caritativa è svolta in modo individuale. Questa, infatti, avviene dentro, con e mediante la comunità cristiana.  L’attività caritativa della Chiesa si organizza in certe strutture, ma ciò non significa che il singolo fedele debba sentirsi sostituito nel vivere questa dimensione della fede.  La Chiesa esorta perciò a compiere «opere di misericordia corporale e spirituale», dovere di ogni cristiano in forza del dono del battesimo.

 

Tutto ciò è da tenere ben presente anche quando si deve accentuare l’identità cattolica e quindi profondamente ecclesiale dell'azione caritativa. Solo a questa condizione è possibile assumere in pari tempo forme istituzionali «laiche», come quelle di ONG, in modo da essere più facilmente riconosciuti nell’ambito civile.

L’attività caritativa della Chiesa trova  espressione anche nei gruppi «Caritas», che esistono a diversi livelli, locale, diocesano, nazionale per poi confederarsi sul piano internazionale. La «Caritas» è uno strumento della diakonia della Chiesa lì dove svolge la propria attività. Questo carattere strumentale significa che essa non è né l’origine, né il fine della carità.  Essa deve, infatti, facilitare l’attuazione della carità da parte dei fedeli.  Tutto questo ha delle significative implicazioni per la «Caritas» ai diversi livelli.

Prima di tutto è importante che le «Caritas» delle singole circoscrizioni ecclesiastiche si pongano in relazione con la rete internazionale di «Caritas».Quest'inserimento deve favorire la comunione e la collaborazione che rispetti ed aiuti la crescita di ogni "Caritas" locale. Si eviti sempre che la struttura internazionale prenda il sopravvento sulle esigenze della «Caritas» del luogo e che siano imposti modelli che le sono estranei. Va salvaguardata l’autonomia e la specificità dell’iniziativa locale.  C’è a volte il rischio che la dipendenza economica diventi dipendenza da altri modelli.

La collaborazione con la rete «Caritas» serve inoltre ad evitare che organizzazioni caritative della stessa natura operino parallelamente alla «Caritas» locale. In questo senso va sottolineato di nuovo il ruolo di coordinamento che l’Ordinario del luogo esercita. Ne consegue che lo sviluppo delle strutture caritative si articoli in armonia con lo sviluppo della vita ecclesiale.

Si deve ancora rilevare che la presenza di "Caritas" non è sostitutiva rispetto alle istituzioni pubbliche e alle organizzazioni private, e non può perciò esaurire tutte le necessità.  E’ però un forte segno della sollecitudine della Chiesa nel suo servizio all’uomo.

Va fatta attenzione alla realtà specifica di alcuni territori. Nell’essere segno si intende anche la presenza della Chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni o religioni.  E’ evidente una duplice sfida: da una parte la necessità di porre segni di carità, perché questo fa parte della missione ecclesiale; dall’altro il rischio che tali segni siano intesi come azione di proselitismo da parte della Chiesa cattolica.  Essa può solo vivere fino in fondo la sua convinzione di fede: l'aiuto che essa presta non conosce differenze etniche o religiose. Il campo caritativo può perciò aprire gli spazi di una fraterna e sincera collaborazione, come spesso già avviene. Con le sue opere di carità la Chiesa cattolica rende quindi presente anche nel tessuto sociale la salvezza da Cristo conquistata.

  

2. La dimensione formativa

Con riguardo alla formazione di chi opera nel settore socio-caritativo, è irrinunciabile un solido percorso di formazione cristiana. La diakonia promana difatti da una vita di fede. Così si può pure evitare una burocratizzazione e l’affidare la carità ai soli “professionisti”. L'intento fondamentale non è di costruire organizzazioni perfette, ma di vivere la vocazione cristiana. La Chiesa non mira ad avere dei funzionari, ma persone che entrino nella dinamica del dono di sé. L’attività caritativa deve svolgersi da persona a persona. Oggi la persona soffre spesso di isolamento. Nelle regioni dove fu imposto il comunismo, l'uomo si è trovato di fronte ad uno Stato che lo ha spersonalizzato, perché la struttura era più importante della persona. Si deve perciò promuovere negli agenti delle organizzazioni caritative un convincimento profondo della propria identità cristiana, perché vivano come servizio il loro compito.

Ciò comporta che l’attività caritativa non può prescindere dall’attività pastorale, ma che si svolge in connessione con questa. Il lavoro sociale ha un cuore pastorale, e il lavoro pastorale va arricchito

dall’esperienza della carità.

Un altro elemento da mettere in rilievo è che l’attività caritativa ha in sé un grande valore formativo. Ciò vale in particolare là dove anni di regime hanno costretto la popolazione alla indifferenza, alla paura, alla passività. Si deve rendere l’uomo attivo e responsabile, togliendogli la paura di costituirsi protagonista nella società. Il lavoro caritativo rappresenta un’ottima occasione per formare l’uomo. Per l’attività caritativa c’è quindi bisogno di formazione, come anche la stessa attività caritativa è formazione.

L’ambito in cui tale formazione diventa particolarmente impellente è la famiglia, che in talune società è in forte crisi. Va riaffermato in proposito che questo è uno dei settori d'impegno che attendono la Chiesa cattolica nel presente e nel futuro, come ripetutamente ricordato dal Santo Padre.

Compito importante delle organizzazioni caritative sotto la guida dei rispettivi pastori è la cura del volontariato. Occorre riflettere sulla formazione di base per i volontari, sotto la guida del magistero sociale della Chiesa. La formazione è favorita dal reciproco scambio di informazioni e dalle visite.

  

3. La collaborazione con le grandi agenzie cattoliche internazionali  

Per quanto riguarda la collaborazione con le organizzazioni e le agenzie cattoliche internazionali, si devono tenere conto anzitutto dei 70 anni di comunismo e di tutte le sue conseguenze a livello antropologico e comunicativo; ciò ha impedito uno sviluppo organico. L’apertura delle frontiere, assieme ai molti aspetti buoni, ha messo la popolazione in contatto con gli aspetti negativi della società occidentale. Oggi, come spesso ricorda il Santo Padre, si tratta di respirare con i due polmoni, quello d'oriente e quello d'occidente. Vi deve essere un mutuo scambio di doni.

L’occidente impara dall’oriente la testimonianza di fede vissuta in maniera eroica; l’oriente riceve dall’occidente supporto per il proprio sviluppo. Restano ancora valide le parole di Tertulliano: «Sanguis martyrum est semen christianorum». Di fronte alla secolarizzazione avanzata in occidente, l’oriente offre spazi di grande speranza.  Senza questa reciprocità, che ogni relazione implica, si crea il pericolo della dipendenza, del paternalismo, della mancanza di autonomia e quindi di vera crescita. La conoscenza personale offre un grande aiuto per perseguire tale reciprocità.

 

Riguardo alla collaborazione tra agenzie internazionali e organizzazioni locali vanno concretate alcune considerazioni. Il mero finanziamento non è priorità assoluta. Si deve pensare a programmi a lungo temine, a progetti che aiutino le organizzazioni locali ad autogestirsi.  Due proposte concrete sono emerse dall'incontro: le organizzazioni locali dovrebbero imparare a lavorare in maniera sistematica ed organizzata; le agenzie internazionali dovrebbero ridurre la burocrazia ed adeguarsi maggiormente alle necessità delle Chiese che servono, inserendosi nel locale ambiente ecclesiale.  Un passo concreto in tal senso è anche l’apprendimento delle lingue slave.

 

La struttura internazionale non si giustappone all'organizzazione locale e non la sostituisce; è presente per collaborare. Cerca di fortificarla e di rafforzarla perché possa corrispondere pienamente ai suoi compiti.

  

La collaborazione con la rete "Caritas", e con altre organizzazioni caritative a livello nazionale ed internazionale, giova ad ottenere le informazioni necessarie per sviluppare e sostenere i diversi settori della propria attività caritativa. I progetti vanno coordinati con la Commissione diocesana o nazionale della "Caritas" e con la competente Commissione Episcopale se già formata. In tal modo essi avranno maggiori possibilità di essere accolti da altri membri della confederazione "Caritas" o da altre agenzie socio-caritative.

 

  4. La collaborazione con le istituzioni pubbliche

Il cristiano ha una specifica responsabilità verso la società in cui vive. Si deve distinguere tra società e Stato. Quest’ultimo non s'identifica con la società perché questa è molto più articolata. Ciò va tenuto presente perché alcuni regimi tendono a porre lo Stato sullo stesso piano della società, limitando così gli spazi di autonomia dei cittadini.

La Chiesa è in relazione con i diversi membri della società e con i rappresentanti dello Stato.  Rispetto alla società, la Chiesa ha il compito di promuovere l’uomo e la sua dignità.  La Chiesa sa di servire l’uomo nelle sue molteplici dimensioni, a prescindere dalla sua appartenenza etnica o religiosa. L’insegnamento e l’esempio di Giovanni Paolo II sono paradigmatici.

Nelle società dei Paesi tra Europa e Asia, il ruolo della Chiesa resta importante per favorire una riconciliazione e per richiamare l’attenzione dei responsabili verso i più deboli. Il grande sviluppo economico rischia di lasciar indietro una larga fascia di popolazione. Attraverso le sue strutture caritative, la Chiesa è accanto a questi bisognosi che crescono in numero.

La Chiesa svolge questo compito in collaborazione con altri elementi della società civile senza perdere la propria identità, le sue convinzioni, la propria antropologia. In particolare ci si trova di fronte al grave rischio di ritenere che si debba dare solo un benessere materiale alle persone. A differenza di altre organizzazioni che non sono cristiane, l'orizzonte sul quale la Chiesa si muove resta sempre il Vangelo.

Nella fattiva collaborazione con altri elementi della società civile, la Chiesa non chiede mai privilegi, ma solo di poter compiere la propria azione in maniera libera e secondo la personale convinzione.  Questo deve essere chiaro anche nel rapporto con lo Stato. La collaborazione non significa che la Chiesa vuole appropriarsi di competenze che appartengono allo Stato, né che intende supplire a mancanze dello Stato, ma essa non rinuncia alla propria autonomia. Queste convinzioni si riassumono anche nel concetto della sussidiarietà se correttamente inteso: nel proprio campo e in base alle sue competenze nate, la Chiesa esige di poter svolgere liberamente ciò che essa sa essere la sua missione.

Certamente lo stile di presenza della Chiesa deve essere paziente e rispettoso della dinamica propria delle istituzioni.  Senza pretendere l’impossibile o correre troppo con i tempi, si deve ottenere una partecipazione adeguata a ciò che le istituzioni dello Stato sono in grado di dare. E’ chiaro che l'attività caritativa della Chiesa è anche stimolo per la società civile e per gli organismi governativi, affinché svolgano secondo coscienza i compiti che sono loro propri.

Infine le organizzazioni cattoliche hanno bisogno di personalità giuridica non per agire, ma per acquisire una piena capacità di azione, a misura del loro sviluppo. Si tratta quindi di iniziare a lavorare con fiducia, dopo una valutazione serena delle possibilità reali di azione, in funzione delle risorse disponibili, dei bisogni e delle condizioni locali, del discernimento della volontà di Dio. Si tratta di lavorare in modo che le organizzazioni crescano nell'ambito della Chiesa locale, e come tali siano riconosciute anche nel momento della registrazione giuridica. Se questo non fosse subito possibile, si deve cercare una forma di riconoscimento che garantisca ai cattolici di operare conformemente alla propria fede e alla propria coscienza.

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