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SYMPOSIA


 

 

GIUBILEO DELLE UNIVERSITÀ

Città del Vaticano, 3-10 settembre 2000

 

L’UNIVERSITÀ PER UN NUOVO UMANESIMO

Mons. Sergio LANZA

Preside dell’Istituto Pastorale
Pontificia Università Lateranense, Roma

 

Una iniziativa peculiare

La tipicità dell’incontro mondiale dei Docenti Universitari è evidenziata da tre note salienti.


1. Carattere universitario

Il convenire a Roma per il grande Giubileo si profila come iniziativa e impegno del mondo universitario: numerose Università – in esse in primo luogo i Docenti cattolici – organizzano i Convegni Scientifici, cui invitano i Colleghi di tutto il mondo.

Anche l’università non meno di altre istituzioni sente il travaglio dell’ora presente. E, tuttavia, in forme certo mutate e in via di mutazione, essa mantiene una polarità spiccata nel campo attivo della cultura.

L’evento giubilare è occasione opportuna per ribadire che l’Università è luogo di relazioni interpersonali qualitative, non interrotte dalla polarizzazione sui ‘contenuti’, che interferiscono come diaframma opaco.


2. Dimensione mondiale

L’incontro ha carattere di universalità: del sapere, delle culture, delle religioni. Come apertura e dialogo secondo lo spirito e la lettera di Tertio Millennio Adveniente.

Non secondo lo spirito di una globalizzazione mortificante, ma nella prospettiva originale di una cattolicità operante.


3. Dimensione ecclesiale

"L’Università e, in maniera più vasta, la cultura universitaria costituiscono una realtà d’importanza decisiva. In questo ambiente, questioni vitali sono in gioco e profondi mutamenti culturali con conseguenze sconcertanti suscitano nuove sfide. La Chiesa non può mancare di raccoglierle nella sua missione d’annunziare il Vangelo" (Congregazione per l’Educazione Cattolica – Pontificio Consiglio per i Laici – Pontificio Consiglio della Cultura, Presenza della Chiesa nell’Università e nella cultura universitaria, 22 maggio 1994, n. 3).

L’iniziativa risponde alla celebrazione del Giubileo, si svolge con il coinvolgimento delle Chiese locali, culmina nell’incontro con il Papa, a Roma.

Un gesto di alto valore simbolico e di grande portata per il rapporto fede-cultura: la Chiesa si fa luogo di promozione del sapere autentico, in cui coglie un riflesso di Dio creatore, e offre l’illuminazione del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà.

I Docenti cattolici sono rafforzati e sostenuti nel loro impegno di soggetti attivi di nuova evangelizzazione nel campo della cultura.

 

Oltre lo scacco della modernità

Il ‘divorzio’ tra fede e cultura (cf. En 20), oltre a segnalare una sofferta marginalità della fede cristiana dal punto di vista socioculturale ed esistenziale, registra l’estraneità della fede alle categorie culturali e linguistiche dell’uomo contemporaneo. La Bibbia tanto più diventa appassionato e appassionante testo di studio antropologico, letterario, semantico, strutturale, tanto più si estranea dalla consuetudine quotidiana, tanto meno è compagna nella vita di ogni giorno dell’uomo medio. Il problema è quello di una fede che non è riuscita a comprendersi entro il paradigma della modernità. Questa è la prima sfida. Questo processo ha radici lontane; e a lungo si è consumato nei santuari della cultura dotta. Solo ora, però, che la modernità, ormai nei suoi esiti estremi e cangianti, raggiunge e segna di sé la mentalità diffusa nei suoi strati più ampi e popolari (sia pure in forme non sempre rispondenti ai parametri e ai pronostici degli ‘intellettuali’), solo ora tale estraneità e – quasi – incapacità si manifesta e viene colta in tutta la sua inquietante portata.

Il fatto che questo fenomeno – alienazione culturale – tenda oggi ad aggredire non solo la fede e la Chiesa, ma, più trasversalmente, tutte le realtà istituzionali storiche non è di grande consolazione, né può indurre a un attendismo rassegnato.

Bisogna rifuggire, inoltre, sia dal romanticismo (teologico) che vede nelle culture altre solo aspetti interessanti e positivi, sia dall’euforia del multiculturalismo, in cui l’elogio della differenza supplisce surrettiziamente (e maldestramente) al vuoto dei contenuti e delle identità. Una certa nozione di multiculturalismo rende invisibile la complessa dinamica della società moderna [multiformità di culture primarie, divisioni di classe, individualismo nutrito dal mercato, consumi, istituzioni democratiche… minaccia della cultura secondaria = ‘colonizzazione’ degli ambienti vitali]. Questo pluralismo culturale ingenuo si attende magicamente apporti positivi da una realtà che in sé è solo frammentata e dispersa.

Non è utile la mera giustapposizione multiculturale, che lascia libero campo alle forze che tendono a disarticolare la società. Non è possibile una vera integrazione (se non a prezzo di violenza culturale). E’ utile e fruttuosa la convergenza, da perseguire con lucidità finché non diventi possibile articolare – in un quadro di pluralismo culturale – valori pubblici comuni.

La celebrazione non retorica dell’evento giubilare spinge a raccogliere la sfida. A partire da alcuni riferimenti sostanziali.


1. Fede e ragione

E’ qui chiamata in causa, anzitutto, la costitutiva dimensione culturale della fede: non solo nel senso di cultura diffusa, ma nel senso della capacità di esibire criticamente le proprie ragioni. Il sapere della fede ha carattere di dignità culturale qualificata. Sotto questo profilo, bisogna uscire dalla compressione culturale che il fatto e la parola della fede hanno subito negli ultimi due secoli, fino ad apparire realtà agli antipodi della scienza e del sapere. La fede, certo, è anzitutto dono di Dio e rischiaramento dello Spirito; ma non per questo essa cessa di rivendicare con dignità e con rigore la qualità razionale dei propri asserti e dei propri processi. E’ compito urgente e primario sfatare nella opinione diffusa, anzitutto in quel luogo simbolico della cultura che è l’Università, l’immagine – per la verità ignorante e grossolana – di una fede sprovveduta sotto il profilo della investigazione razionale. Questo è, ci sembra, obiettivo primo del progetto culturale; ed è, senza dubbio, carattere distintivo della pastorale universitaria. "Alla parresia della fede deve corrispondere l’audacia della ragione" (Fides et Ratio, 48).

L’eclissi dell’aspetto cognitivo in merito alle ragioni del credere è preoccupante. La cultura moderna tende a confinare la religione fuori dei circuiti della razionalità. Non vere ragioni, argomentazioni, ma solo opinioni. E’ urgente, in questo nostro tempo, riscoprire e riproporre con chiarezza le ‘ragioni del credere’. Abolire ogni sana apologetica è rendere un cattivo servizio alla evangelizzazione.

La ricerca delle ragioni del credere ha una profonda qualità di umanesimo.

Inoltre, il sapere della fede illumina la ricerca dell’uomo:

  • la interpreta umanizzandola: senza pretesa alcuna di esclusiva, la prospettiva credente esprime la convinzione che "in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione" (GS 22);

  • la integra in un progetto trasparente, unitario e costruttore di vita, strappandola alla tentazione del pensiero calcolatore, che strumentalizza il sapere e fa delle scoperte scientifiche mezzi di potere e di asservimento dell’uomo;

  • la orienta e la fa capace di discernimento, in merito alle questioni che toccano il senso, il valore e l’integrità della vita.

In questo senso, la cultura si colloca nell’orizzonte della sapienza biblica (cf. Sp 7,7ss).


2. Dentro la storia

Il rapporto tra Vangelo e storia è strettissimo: il Cristianesimo si allontana decisamente dalla concezione di religione ‘separata’, relegata nel privato e nello ‘spirituale’, e rivendica con forza la propria competenza a servizio dell’uomo nella sua interezza. "La cultura è un terreno privilegiato nel quale la fede si incontra con l’uomo" (Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno ecclesiale di Palermo, n. 3). Non si tratta di invasione di campo né di pretesa indebita. Al contrario. Infatti, "generatrice qual è di cultura, la fede in Gesù reca in sé al tempo stesso, l’esigenza di estendersi a tutti gli ambiti dell’umano e ai vari settori della conoscenza, per manifestarvi quella luce intellettiva che illumina le singole realtà e le diverse situazioni nelle quali è in questione l’uomo, come pure quell’energia morale necessaria per avanzare sulla via della verità e del bene in ogni circostanza e frangente del vivere umano" (Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Università Lateranense, 7 novembre 1996, n. 3).

Il nostro tempo, così ricco di mezzi (almeno nei paesi occidentali) si scopre drammaticamente povero di fini; privo di riferimenti oggettivi e interpretativi globali, aggredito da un diffuso scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell’etica, l’uomo tende a ripiegare su orizzonti ristretti e approdi temporanei. In questa concezione relativista, in una concezione che esalta in modo assoluto il singolo e non lo dispone alla solidarietà, incombe il rischio che la libertà si trasformi in arbitrio dei più forti contro i più deboli, contraddicendo se stessa: "la libertà rinnega se stessa, si autodistrugge e si dispone all’eliminazione dell’altro quando non conosce e non rispetta più il suo costituivo legame con la verità. Ogni volta che la libertà, volendo emanciparsi da qualsiasi tradizione e autorità, si chiude persino alle evidenze primarie di una verità oggettiva e comune, fondamento della vita personale e sociale, la persona finisce con l’assumere come unico e indiscutibile riferimento per le proprie scelte non più la verità sul bene e sul male, ma solo la sua soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo egoistico interesse e il suo capriccio" (Evangelium Vitae, 19).

L’ultima modernità, ha avviato un nuovo processo di disincanto, quello dalla visione scientista del mondo; tuttavia, a differenza di quello pronosticato in passato, esso non si prospetta come successo e rafforzamento della ragione, ma come suo sconfitto ripiegamento. Con l’inevitabile segmentazione dei rapporti interpersonali, resi sempre più virtuali, quasi interfacciati dai ruoli e dalle funzioni, sempre meno partecipi di un ambiente vitale di autentiche relazioni personali, sempre più disperse nell’affollato crocevia delle figure funzionali. Dove il sapere decade a strumento.


3. A servizio dell’uomo

Con la sua alta qualità umanistica, la fede cristiana costituisce un fattore di richiamo e una presenza efficace a servizio di tutti coloro che dedicano all’Università le loro energie e i loro pensieri al fine di formare personalità robuste di professionisti, ricercatori, uomini di cultura, protagonisti della vita civile e sociale. Perché la fede cristiana costituisce illuminazione feconda dell’esistenza in ogni suo ambito: "La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane" (GS 11).

In prima istanza, emerge l’esigenza di ricondurre l’istituzione universitaria alla sua originaria ispirazione educativa. La frammentazione del sapere e, soprattutto, la tendenza culturale diffusa a interpretarlo strumentalmente impoveriscono l’Università e ne abbassano il profilo. In questa prospettiva è necessario sottoporre a vaglio critico gli ordinamenti degli studi, che troppo spesso si appiattiscono sulle richieste di mercato, minimaliste e pragmatiche.

In questa linea l’Università affronta tempi e problematiche nuove ritrovando se stessa: "Si ritorna così idealmente alle radici dell’università, nata per conoscere e scoprire progressivamente la verità. ‘Tutti gli uomini per natura desiderano sapere’ si legge all’inizio della Metafisica di Aristotele. In questa sete di conoscenza, in questo protendersi verso la verità, la Chiesa si sente profondamente solidale con l’università… il fine che ha mosso e muove la Chiesa è solo quello di offrire il Vangelo a tutti, e quindi anche all’università. Nel Vangelo si fonda una concezione del mondo e dell’uomo che non cessa di sprigionare valenze culturali, umanistiche ed etiche da cui dipende tutta la visione della vita e della storia" (Giovanni Paolo II, Discorso al Forum dei Rettori delle Università Europee, 19 aprile 1991).


4. Per una cultura di valori

La nostra prospettiva ribadisce con fermezza il carattere valoriale della cultura. Il passaggio da una accezione umanistica a una meramente sociologica della cultura ne segna il regresso a figura formale, senza istanza di valore e senza proiezioni contenutisticamente contrassegnate: la cultura è allora il nome che si dà a ciò che accade, comunque accada, senza riguardo all’uomo e alla società. Questa neutralizzazione della cultura è lo sfondo su cui prende forma la diffusa e nefasta neutralizzazione della democrazia, dell’educazione ecc.

Rimossa la qualità cognitiva dai giudizi di valore, la presa di posizione sì/no non esprime più pretesa di validità, ma soltanto pura pretesa di potere. Viene respinta, perciò, la concezione di una cultura senza istanze di valore, speculare a quell’altra, secondo la quale tutte le culture sarebbero di uguale valore e dignità: neutralizzazione molto insidiosa. Deve essere sfatato il mito della innocenza della cultura, così come respinto il suo scadimento pragmatico (concezione funzionale: magazzino di strumenti a disposizione). Nessun preconcetto e nessuna ‘classifica’ delle culture; ma, certo, necessità di una valutazione di singoli aspetti e della ispirazione di fondo: non solo legittima, ma necessaria. Infatti, è la cultura che conferisce alla vita di una comunità concreta la sua particolare fisionomia storica. E’ quella dimensione del pensiero concreto che iscrive il vissuto di un individuo o di un gruppo in un universo di senso. La fede cristiana valorizza la cultura nel suo spessore di visione del mondo e della vita identificabile, e si pone come forza ispiratrice, critica, produttrice di modelli culturali specifici. "Dio, infatti, rivelandosi al suo popolo, fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche" (EN 63; cf. GS 38).

Non si tratta soltanto, però, di una prospettiva di ermeneutica interpretativa. Piuttosto, a partire da una solida prospettiva antropologica: "Dalla centralità di Cristo si può ricavare un orientamento globale per tutta l’antropologia, e così per una cultura ispirata e qualificata in senso cristiano. In Cristo infatti ci è data un’immagine e un’interpretazione determinata dell’uomo, un’antropologia plastica e dinamica capace di incarnarsi nelle più diverse situazioni e contesti storici, mantenendo però la sua specifica fisionomia, i suoi elementi essenziali, i suoi contenuti di fondo. Ciò riguarda in concreto la filosofia come il diritto, la storiografia, la politica, l’economia. Incarnare e declinare nella storia – per noi nelle vicende concrete dell’Italia di oggi – questa interpretazione cristiana dell’uomo è un processo sempre aperto e mai compiuto" (Camillo Card. Ruini, Intervento conclusivo al Convegno ecclesiale di Palermo, 7). Ne viene ridisegnato tutto l’orizzonte della precomprensione storico-esistenziale e tutta la visione della costruzione sociale. Come insegna già il Vaticano II: "L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Per cui la missione della Chiesa non è soltanto portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche animare e perfezionare l’ordine temporale con lo spirito evangelico" (AA 5). E’ la sostanza della Dottrina Sociale, costantemente ribadita dal Papa Giovanni Paolo II.


Conclusione

Il Giubileo apre la ‘grande porta’ sul terzo millennio. Per questa porta devono passare anzitutto i credenti, fatti consapevoli della fecondità storica del Vangelo per la città degli uomini: dono di Dio per la costruzione della civiltà dell’amore. La comunità cristiana deve essere aiutata a camminare verso il Giubileo come esperienza significativa, capace di rinnovamento e di nuovo impegno missionario. Per questo appare importante:

  • attivare una coscienza storica che favorisca la comunità ecclesiale nella sua fatica di ricerca

  • aprire spazi (persone e strutture) in cui questo lavoro di ricerca trovi opportuna e fruttuosa realizzazione

  • assumere alcune problematiche fondamentali dell’attuale contesto storico come tema di riflessione e confronto ecclesiale, per testimoniare in concreto come il Vangelo è in grado di illuminare e orientare la loro soluzione. Si tratta di superare lo stadio generico e declamatorio di troppa pastorale, per assumere coraggiosamente la dinamica della presenza storica. Sono le tematiche dei Convegni scientifici articolate nelle quattro aree.

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[English]
Monsignor Sergio Lanza, one of the Pontifical Council for Culture’s Consultors, approaches the Jubilee of Universities from what may, perhaps, be an unusual perspective – that of culture. The fragmentation and, above all, the increasingly widespread instrumentalisation of knowledge impoverish universities and give them a lower profile. So there seems to be a need to restore to the university system its original educational inspiration.

[Español]
Mons. Sergio Lanza, consultor del Pontificio Consejo de la Cultura, presenta el Jubileo del Mundo Universitario desde la insólita perspectiva de la cultura. En efecto, la fragmentación del saber y, sobre todo, la difusa tendencia cultural a interpretarlo instrumentalmente empobrecen la Universidad. Urge reconducir la Universidad a su vocación original.

[Français]
Mgr Sergio Lanza, Consulteur du Conseil Pontifical de la Culture, présente le Jubilé du monde universitaire, dans une perspective peut-être insolite : celle de la culture. En fait, la fragmentation du savoir et, par dessus tout, la tendance toujours plus répandue à l’instrumentaliser, appauvrissent l’Université et en altèrent la mission. D’où l’exigence de ramener l’institution universitaire à son inspiration éducative des origines.


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