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GIUBILEO DEI GIORNALISTI

OMELIA DEL CARDINALE ROGER ETCHEGARAY

Domenica 4 giugno 2000

Cari amici giornalisti,

Questa messa, e l’incontro con il Papa Giovanni Paolo II, chiudono il vostro Giubileo. Eccovi, a vostra volta, pellegrini fra tanti altri a Roma. Eccovi, anche voi chiamati a rifare il cammino del figlio che porta alla misericordia del Padre, alla gioia nata dal perdono ricevuto da Dio o dato ai propri fratelli. Questo cammino giubilare lo avete spesso osservato da un punto di vista professionale e descritto negli aspetti esteriori in rapporto agli altri; ma nessun media lo può cogliere nel suo percorso interiore come lo provate personalmente oggi. Il vostro dialogo intimo con il Risuscitato di Emmaüs è la notizia più grande ma anche più incomunicabile della vostra carriera di giornalisti. Possiate, ciascuno di voi per suo conto, captarla e assaporarla nel silenzio del cuore. Siate, con tenerezza, il miglior giornalista di voi stessi e offritevi qui il migliore scoop della vostra vita... il Padre dei cieli che vede nel segreto vi ricompenserà... (cf. Mt 6, 18).

Ma chi siete pellegrini giornalisti? Tocca ora a me, di diventare il vostro intervistatore, il vostro reporter, solo per comprendere meglio - è mio compito- come il Vangelo possa illuminare e accompagnare la vostra professione di cui il vecchio termine quasi artigianale di "giornalista" rischia di mascherare una realtà complessa e in piena, vertiginosa mutazione.

La vostra tessera professionale è la stessa, ma operate in settori del tutto diversi quali la stampa, la radio, la televisione, la fotografia, la telematica, con obiettivi che variano secondo il paese e il pubblico e che toccano tutti i settori dell’attività umana, generici o specialistici, dalla politica agli sport, dalla giustizia agli spettacoli, dalla medicina alla meteo, dalla pubblicità al giardinaggio. Mi capita di affondare furtivamente la testa in un chiosco scuro per indovinarvi il microcosmo del giornalismo con la profusione e confusione dei titoli, con i manifestini sovrapposti come scaglie di un pesce... "non è facile per un pesce, diceva André Malraux, vedere il proprio acquario"!

E quale è, esattamente, il vostro mestiere? Esso non smette di cambiare sia nella natura che nelle condizioni di lavoro, soprattutto dopo l’insorgere delle tecniche numeriche e multimediali che annientano tempi e distanze: degli "webtélés" investono la ragnatela e prefigurano un nuovo media, un nuovo tipo di giornalista. Taluni arrivano fino a predire che entriamo in un’era di informazione senza giornalisti. A volte, vi sentite frustrati, addirittura spossessati della vostra funzione ancestrale di scegliere, verificare, interpretare gli avvenimenti. Agli occhi dell’opinione pubblica si sbiadisce la missione sociale del giornalista, questo "infaticabile mediatore tra il rumore della storia e il significato che è incaricato di dargli".( François Furet). Eccovi confrontati ad un calo di identità e di legittimità che provoca, nei vostri confronti, diffidenze, critiche, del resto contraddittorie, poiché scorgono in voi sia un "clericalismo dominante...i giornalisti, questi nuovi curati" (Regis Debray), sia una semplice ruota del gioco delle imprese che riducono l’informazione allo stato di merce.

Ma dobbiamo prestare attenzione alle questioni di deontologia, soprattutto quando provengono dall’interno stesso della vostra professione e sono, quindi, esenti da compiacenze corporativistiche. L’esigenza etica che reclamate è tanto più pressante in quanto esprime un’angoscia della stessa società di cui siete lo specchio.

Sì, rifiutate la "politica dell’agenda" che consiste nello stabilire l’ordine del giorno di una stanza di redazione esclusivamente a partire da temi maggioritari usciti sotto la pressione dei sondaggi. Sì, reagite al conformismo dei media che praticano una copiatura reciproca, si ripetono, si corrispondono al punto di non alimentare che una sola fonte di informazione. Sì, lottate contro la dittatura dell’urgenza, dell’istantaneità che non è, lungi da lì, una garanzia della verità: controllate il riflesso mediante la riflessione, date una gerarchia ai vostri messaggi invece di intasarli alla rinfusa. Pensate a tutti coloro che oggi non sanno fare che lo "zapping" di fronte all’ingorgo di notizie, o il "surfing" sulla cresta spumeggiante delle immagini. Guidate l’uomo del terzo millennio fino alla sua propria frontiera, fino in fondo a se stesso ove libertà e responsabilità, comunicazione e comunione gli danno accesso alla sua piena umanità.

Quando il riflettore dei media si sposta su un mappamondo secondo le opportunità politiche o commerciali, non si lascia nell’ombra qualche miseria insabbiata, qualche guerra dimenticata, qualche solidarietà perduta? Non esitate, a infrangere, con le vostre domande e le vostre inchieste, le cerchia di miopia collettiva o di egoismo partigiano, per aiutare a vedere lontano fin dove vi è un uomo. Vi spetta di essere i guardiani di un mondo nuovo che spunta : rimanete desti alla finestra più alta e più ampia del vostro media!

L’uomo che esaltano i media è troppo spesso l’uomo che possiede, che domina. Non è tanto l’uomo che vive secondo le Beatitudini, che va controcorrente delle idee ricevute. Il semplice gioco dell’offerta e della domanda non saprebbe guidare la comunicazione. Non dovete, per amore della verità dell’uomo, far scoprire di più ciò che vi è di meglio in lui, poiché ogni uomo conserva un angolo, per quanto piccolo, esposto al sole di Dio? Ben più, François Mauriac, il romanziere del peccato, ha scritto "La santità del mondo non è diminuita... Un fiume di grazia circola senza fine attraverso il mondo"... Questo fiume inesauribile, dai mille meandri della vita quotidiana, in cui si bagnano tanti esseri umani, non è ancora sboccato abbastanza sulla scena dei media: l’Anno Santo vorrebbe offrirgli un estuario maestoso.

Cari Amici, questo registro dell’esame di coscienza (scusate questo termine poco mediatico) potrebbe essere lungo, l’ho appena sfiorato ma si accorda bene con una stagione giubilare. Vi è anche il registro della fiducia ai media, ancor più lungo in virtù degli sforzi ostinati del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali che ci offre oggi la sua 34º giornata mondiale di preghiera e di azione. Chiesa e media si sono spesso tenuti il broncio e resta ancora molto da fare, da una parte e dall’altra, per addomesticarci a vicenda, secondo l’espressione di Saint-Exupery, senza troppo chiedersi chi sia la Volpe e chi il Piccolo Principe! Accordo che non potrà mai essere perfetto, poiché la Chiesa, come il suo Signore, sarà sempre inchiodata alla gogna dell’opinione pubblica. E se è vero che il Vangelo è una Novella, una "Buona Novella" da affidare a tutti i media, il paradosso della Chiesa rispetto ai media è che essa non è mai così fedele alla sua missione che quando invita al mistero e porta all’interiorità, alla contemplazione; ma, anche allora, ogni giornalista è chiamato ad essere in ogni circostanza l’angelo dell’Altissimo. Ricordo una trasmissione di carattere non religioso in cui è bastata una parola, un’immagine per dare un tocco di insolito alla banalità di un avvenimento, per aiutare il telespettatore ad aprirsi all’inquietudine, allo stupore, al sacro, al silenzio. Siamo in un’epoca che, sentendosi tradita o delusa dal "progresso della razionalità e il regresso del senso" (Paul Ricoeur), fa emergere il religioso e lo rende presente, "trasversale" a tutta l’ attualità.

Mi fermo: un’omelia come una "breve" deve essere...breve!

Nel terminare, rendo omaggio ai giornalisti che, con il loro coraggio, hanno potuto ottenere grandi vittorie contro la paura, l’ingiustizia, la violenza, la fame, l’analfabetismo. Penso alle vostre famiglie che condividono le incertezze e i rischi della vostra professione. Ricordo, nove anni fa, di avere celebrato una messa in nome del Papa nella Slavonia Orientale, alla cattedrale d’Osijek, crivellata da granate ancora fumanti. Per ragioni di sicurezza non vi era nessuno attorno all’altare se non un pugno di giornalisti: è per mezzo di loro che, quel giorno, ha potuto essere espressa la solidarietà della Chiesa con tutto un popolo che soffriva.

Un ringraziamento a voi tutti, specialmente ai "vaticanisti" e alle reti televisive di Roma grazie alle quali il Giubileo è veramente un evento religioso, un evento che conta per l’umanità intera: certe immagini di Giovanni Paolo II in Terra Santa hanno fatto sì che, senza dubbio per la prima volta in 2000 anni, il Vangelo della Pace e della Misericordia sia stato portato ovunque, e nello stesso momento, fin alle estremità della terra.

Cari giornalisti pellegrini, tramite voi, pure grondanti della tenerezza di Dio, possa la Chiesa in questo Anno Santo essere meglio scoperta come quella "riserva di cuore" nella quale tutti gli uomini si sentono riconosciuti, non etichettati, perdonati, amati alla follia.

Chiesa di testimoni e non di parti in causa!

Chiesa di martiri e non di superstiti!

Chiesa di santi!

Amen.

 

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