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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Università Cattolica di Ružomberok

Rodina a Médiá
XXIII International Congress for the family

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I media: un dono e una responsabilità per tutti, un impegno per le famiglie

 

Relazione

di S.Em. Ennio Card. Antonelli

Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia

Ružomberok – September 5, 2008

 

 

[1] Introduzione.

Sono felice di essere qui con voi come nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Saluto con sentimenti di rispetto e di amicizia i Vescovi, i Sacerdoti, i religiosi e le religiose, le autorità, i professori, gli studiosi, le signore e i signori presenti. Ricordo con affetto e gratitudine il mio predecessore Card. Alfonso Lopez Trujillo che aveva promesso di partecipare a questo Congresso e che sicuramente ci partecipa spiritualmente, essendo stato chiamato in Paradiso. Auguro al Congresso un fruttuoso lavoro, in modo da offrire chiarimenti e fare discernimento sul non facile rapporto tra le famiglie e il complesso mondo dei media, avanzando anche sagge proposte in ambito educativo, ecclesiale, culturale e politico.

Da parte mia mi limiterò a suggerire alcuni spunti di riflessione e prospettive di impegno. Mi lascerò guidare specialmente dal messaggio di Giovanni Paolo II per la XXXVIII Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali nel 2004, che aveva come tema I media in famiglia (MF) e prendeva in considerazione sia l’uso che le famiglie fanno dei media sia il trattamento che i media riservano alla famiglia.

[2] Il cambiamento epocale in atto.

Il rapido e strabiliante sviluppo dei media sta trasformando in modo radicale il lavoro e l’economia, la scienza e la cultura, la società intera a livello planetario. Ai media è strettamente legato l’immenso fenomeno della globalizzazione: flussi imponenti e continui di idee, immagini, conoscenze e tecnologie, di denaro, beni e servizi; mobilità e migrazioni di moltitudini di persone, con conseguente mescolanza di popolazioni e culture.

Inoltre, i media non modificano solo la società, ma anche le singole persone, la loro mentalità, i loro interessi, i loro atteggiamenti, i loro comportamenti, addirittura la loro psicologia, le loro capacità e attitudini. Giovanni Paolo II sinteticamente sottolineava che i media hanno «grande capacità di modellare le idee e di influenzare il comportamento» (MF 6).

Stiamo entrando in un mondo plasmato in gran parte dai media, per cui qualcuno parla già di mediocrazia. Nella Chiesa molti, ma purtroppo non tutti, percepiscono che la nuova situazione richiede nuove modalità di evangelizzazione, nuova creatività e soprattutto nuovo slancio missionario, scrollando via di dosso il diffuso senso di impotenza e di rassegnazione, ricordando che, per la grazia di Dio, David, un giovanetto, può sempre vincere il gigante Golia.

I media stanno trasformando anche la vita delle famiglie. Ormai, osservava Giovanni Paolo II, sono «ospiti abituali in molte case e famiglie» (MF 6). Nelle case abitano i vecchi media, la stampa, la radio e la televisione che tiene occupati i bambini per un tempo più lungo di ogni altra occupazione, eccetto il sonno e forse la scuola. Nelle case abitano i nuovi media: internet e la posta elettronica, i telefoni cellulari che sono diventati per gli adolescenti e anche per molti bambini un’appendice fissa del corpo, i computer sempre più piccoli e agevoli da portare. I vecchi e i nuovi media vengono sempre più interconnessi e incrociati tra loro in un rapido processo di integrazione e in una crescente molteplicità di funzioni e prestazioni. Dalla propria casa le persone, perfino quelle povere, hanno la possibilità di allungare il proprio sguardo e la propria azione sul mondo intero. Giovanni Paolo II lo segnalava esplicitamente: «Molte famiglie in tutto il mondo, anche quelle che dispongono di mezzi piuttosto modesti, ora possono accedere dalla loro casa alle immense e varie risorse dei mezzi della comunicazione sociale» (MF 2).

[3] Opportunità meravigliose.

Giovanni Paolo II parlava di «opportunità eccezionali per arricchire la vita non solo degli individui, ma anche delle famiglie» (MF 1). Poi specificava ulteriormente: «Opportunità pressoché illimitate di informazione, di educazione, di arricchimento culturale e perfino di crescita spirituale, opportunità molto superiori a quelle che la maggior parte delle famiglie aveva in passato» (MF 2).

Con i media non solo si amplifica la comunicazione, ma si dilata l’esperienza complessiva della realtà. Essi fondamentalmente svolgono due funzioni generali: informare e mettere in contatto. Informano, istruiscono, memorizzano circa le notizie, le opinioni, le idee, le fotografie, gli indirizzi, l’agenda, i documenti, i giornali, i filmati, la musica. Nello stesso tempo mettono in contatto le persone, consentendo loro di incontrarsi, dialogare, conversare, stabilire rapporti di prossimità, aggregarsi in comunità di interessi condivisi, partecipare a grandi eventi collettivi, condividere sensazioni ed emozioni. Danno la possibilità di lavorare, di scambiare cose e servizi, fare prenotazioni e acquisti, viaggiare guidati dal navigatore satellitare.

Quanto alla Chiesa, essa trova nei media nuove vie di evangelizzazione e nuove espressioni e attuazioni della comunione. Vengono aperti a tutti con facilità l’accesso alle notizie e agli avvenimenti ecclesiali, l’ascolto della Sacra Scrittura e del Magistero del Papa e dei Vescovi, la fruizione della catechesi e della teologia, la partecipazione a celebrazioni liturgiche o ad altre forme di preghiera, come ad es. il Rosario. Vengono messi a disposizione i collegamenti con tutte le istituzioni e comunità ecclesiali: parrocchie, diocesi, conferenze episcopali, Sede Apostolica, ordini religiosi, associazioni e movimenti. Vengono attivate perfino nuove forme di comunicazione spirituale e fraterna tra le persone: basti ricordare a riguardo l’esperienza del Movimento dei Focolari.

Quanto al matrimonio e alla famiglia, oltre i benefici generali di cui si è parlato finora, bisogna ricordare con Giovanni Paolo II anche un sostegno specifico che ad essi può venire dai media, sia quando vengono messi in risalto i loro valori, «l’amore, la fedeltà, il perdono e il dono generoso di sé agli altri», sia quando vengono presentati con sensibilità sana e giudizio corretto le loro crisi, quando cioè i media «riconoscono il fallimento e la delusione inevitabilmente sperimentati dalle coppie sposate e dalle famiglie – tensioni, conflitti, insuccessi, scelte sbagliate e atti dolorosi» e «si sforzano di separare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, di distinguere l’amore autentico dalle sue imitazioni e di mostrare l’importanza insostituibile della famiglia come unità fondamentale della società» (MF 3).

[4] Gravi pericoli.

Giovanni Paolo II indicava non solo i vantaggi dei media ma anche i rischi per le persone e per le famiglie. Parlava esplicitamente delle «nuove sfide» che derivano dai messaggi (MF 1) e faceva riferimento implicito a quelle che derivano dall’uso stesso dei media (cf. MF 1; 5). In realtà i media sono mezzi potenti sia di educazione che di diseducazione; condizionano nel bene e nel male; condizionano specialmente i minori, la cui personalità è ancora in formazione.

Il mercato ha occupato e deformato la comunicazione sociale e anche la stessa comunicazione interpersonale e familiare. Le relazioni di mercato sono rapporti monetizzati di scambio, rapporti strumentali basati sulla coincidenza di interessi. Invece le relazioni di comunicazione, in quanto espressione di verità e contatto tra le persone, sono un valore in se stesse come la conoscenza, l’amore, l’arte, la preghiera, lo sport. Soprattutto le relazioni familiari si reggono sulla gratuità e sul riconoscimento reciproco del valore delle persone: l’amicizia coniugale è un grande bene in se stessa; i figli sono in se stessi un tesoro che non ha prezzo. «Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct 8,7). Purtroppo l’ipertrofia dell’economia e del mercato nella nostra società tende a mercificare perfino le relazioni familiari: il rapporto di coppia viene spesso vissuto come coincidenza più o meno duratura di due egoismi, in quanto l’altro serve come strumento per la propria autoaffermazione o per il proprio piacere; i figli sono spesso sentiti, anche dalle donne, come un ostacolo alla carriera professionale e poi costano troppo. Quanto poi alla comunicazione sociale, essa è mercificata in modo sempre più pervasivo, da quando negli anni ’80 hanno fatto irruzione in essa le televisioni commerciali. La programmazione viene fatta in funzione della pubblicità e del business. Vengono dilatati i palinsesti fino a coprire le 24 ore del giorno e della notte. Si scatena la corsa spietata all’audience con programmi di evasione, spesso banali, con spettacoli di violenza e sesso, con il sensazionalismo e la stravaganza. Ci si rivolge non più alle famiglie come tali, ma agli individui; non più all’intelligenza e al cuore, ma alle emozioni e sensazioni forti. Le stesse vicende private, l’intimità, gli affetti, le forme del corpo umano servono a fare spettacolo.

Giovanni Paolo II metteva in guardia nei confronti dei media, affermando che «hanno la capacità di arrecare grande danno alle famiglie, presentando loro una visione inadeguata o perfino distorta della vita, della famiglia, della religione e della moralità» (MF 3). Di fatto costatiamo come i temi religiosi ed etici vengano trattati attraverso dibattiti a molte voci che si contrappongono e si susseguono rapide come in un carosello, oppure attraverso sondaggi di opinione, oppure dando la parola a qualche personaggio dello spettacolo, magari superficiale e incompetente. Ciò favorisce il relativismo in campo religioso ed etico. I bambini e gli adolescenti, tanto bisognosi di certezze, vengono gravemente disorientati. Dio, poiché è marginale o assente nei media, non conta più neppure nel vissuto concreto, dato che ciò che non appare nei media è irrilevante, come se non esistesse. Vengono esaltati il successo, il potere, la ricchezza, la salute, la forza e la bellezza fisica, il piacere, la trasgressione, la violenza: tutto questo ha pesanti ripercussioni sul degrado morale della società. Le cose buone e ordinarie, secondo un inveterato pregiudizio, non fanno notizia. I solidi valori tradizionali vengono sostituiti con quelli della società secolarizzata e consumista (cf. MF 4), inducendo spesso bisogni fittizi e conformismo culturale.

Riguardo alla famiglia Giovanni Paolo II osservava: «L’infedeltà, l’attività sessuale al di fuori del matrimonio e l’assenza di una visione morale e spirituale del contratto matrimoniale vengono ritratti in modo acritico, sostenendo, talvolta, al tempo stesso il divorzio, la contraccezione, l’aborto e l’omosessualità. Queste rappresentazioni, promuovendo cause nemiche del matrimonio e della famiglia, sono dannose al bene comune della società» (MF 3). Purtroppo è facile verificare quanto sia diffusa la visione del sesso come divertimento e come siano considerati normali i rapporti sessuali prima del matrimonio, in età sempre più precoce, e quelli fuori del matrimonio, l’adulterio, il divorzio, le coppie di fatto, l’omosessualità, l’aborto, il disimpegno educativo dei genitori.

Inoltre occorre sottolineare che, al di là dei messaggi e dei contenuti, l’uso stesso dei media (specie TV, Internet, cellulare), se non è gestito con equilibrio e saggezza, comporta dei rischi tutt’altro che trascurabili. Tende ad assorbire l’interesse degli utenti e a creare dipendenza psichica, sottraendo il tempo ad altre attività importanti, alle relazioni interpersonali, al lavoro, alla preghiera. La prevalenza delle immagini sulle parole e la rapidità con cui si succedono alimentano continue sensazioni ed emozioni a scapito della riflessione, della capacità critica e della memoria: ne deriva l’importanza eccessiva nelle decisioni data al sentire soggettivo invece che al capire e al saper motivare. I contatti troppo numerosi attraverso messaggi mediatici creano con gli altri rapporti superficiali, a volte ingannevoli, e possono nascondere paura e solitudine. I media svolgono varie funzioni a vantaggio dell’utente: gli fanno compagnia, gli risolvono facilmente i problemi, lo fanno giocare, lo proteggono, gli danno sicurezza, lo fanno addirittura sentire al centro di un vasto mondo; ma proprio per questo possono anche contribuire a deresponsabilizzarlo e a indebolire il suo carattere, rendendolo incapace di fatica e di sacrificio. L’estraniamento dalla realtà arriva in molti utenti all’esperienza della cosiddetta second life, una vita virtuale in un ambiente virtuale, in cui si entra con una identità fittizia per lavorare, fare acquisti, costruire la casa, impiantare aziende, impiegare il tempo libero in modo gratificante, fare incontri interessanti, avere legami affettivi e sessuali, perfino celebrare il matrimonio, ovviamente tutte cose virtuali.

Riassumendo: i media presentano grandi opportunità e grandi rischi; perciò esigono un impegno intelligente e responsabile.

[5] La famiglia impegnata a dialogare con i media.

Giovanni Paolo II insegnava: «Ogni comunicazione ha una dimensione morale» (MF 1) e ancora: «La comunicazione, in ogni sua forma, deve sempre ispirarsi al criterio etico del rispetto della verità e della dignità della persona umana» (MF 2).

La comunicazione deve essere fedele alla verità e al bene delle persone; deve escludere ogni menzogna, perché corrode l’autenticità e l’affidabilità delle relazioni umane. «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,37). «Il vostro sì sia sì, e il vostro no no» (Gc 5,12). La parola e il gesto menzogneri sono un disordine morale, anche a prescindere dalle loro conseguenze (ad esempio il bacio traditore di Giuda, la stretta di mano che simula l’accordo, il rapporto sessuale senza la compresenza delle due dimensioni unitiva e procreativa).

Le famiglie, in cui regna l’amore, costituiscono un modello della comunicazione autenticamente umana, perché in esse le persone sono trattate come un valore in sé senza strumentalizzazione e la comunicazione avviene nel rispetto della loro alterità secondo una dinamica di gratuità. A riguardo il famoso poeta libanese Kahlil Gibran nella sua opera Il Profeta ha espressioni molto suggestive. Agli sposi raccomanda:

«Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione, dell’amore;
e ci sia piuttosto un mare mosso tra le rive delle vostre anime.
Riempitevi a vicenda i bicchieri, ma non bevete mai da uno solo.
Ognuno dia all’altro il pane, ma non mangiate mai dalla stessa pagnotta.
Cantate e ballate insieme e state allegri, ma lasciate che ognuno di voi possa star solo,
come sole sono le corde del liuto, anche se vibrano insieme della stessa musica [...]
E state insieme, ma non troppo vicini: perché le colonne del tempio stanno in piedi da sole
e la quercia e il cipresso non crescono mai l’una all’ombra dell’altro».

Anche ai genitori riguardo al rapporto con i figli il poeta raccomanda qualcosa di analogo:

«I vostri figli non sono vostri [...] Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi;
e, benché vivano con voi, ciò non di meno non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,
perché essi hanno i loro, di pensieri.
Potete alloggiare i loro corpi, ma non le loro anime,
perché le loro anime abitano la casa del futuro,
che voi neppure in sogno potete visitare».
Linguaggio indubbiamente poetico, intenso, fortemente evocativo!

Con un linguaggio concettuale astratto, ma appropriato, si potrebbe dire che l’amore è energia unificante nel rispetto dell’alterità delle persone. Esso anima l’autentica comunicazione sia nell’intimità dei rapporti familiari sia nel più vasto ambito dei rapporti sociali e culturali. Come nella famiglia il vero bene di ogni singola persona non è mai in contrasto con il bene delle altre e il vero bene comune di tutte le persone è anche il bene proprio di ognuna, così nella società il bene di uno non può sussistere senza e contro quello degli altri e il bene comune è inseparabile dal bene di ciascuno.

La comunicazione sociale è parte del bene comune: riguarda tutti e tutti ne sono responsabili e devono prendersene cura. La famiglia deve porsi davanti ai media come interlocutore preparato e responsabile non solo nella fase del consumo, ma anche in quella della produzione e della regolamentazione. Purtroppo molti genitori (e molti insegnanti ed educatori) mancano della necessaria preparazione e, come raccomandava Giovanni Paolo II, devono acquisire «la sapienza e il discernimento» (MF 1).

Prima di tutto i genitori devono educare se stessi e i loro figli all’uso corretto dei media. E’ il compito più direttamente alla loro portata. Diceva Giovanni Paolo II: «I genitori, come primi e più importanti educatori dei loro figli, sono anche i primi a spiegare loro i mezzi della comunicazione. Sono chiamati a formare i loro figli nell’uso moderato, critico, vigile e prudente di essi» (MF 5). Occorre dunque capire e far capire perché e come nascono certi messaggi e come funzionano; rendersi conto che i media, lungi dall’essere una semplice finestra aperta sul mondo, danno spesso una visione parziale e distorta della realtà in obbedienza a interessi commerciali e politici. Occorre poi dare criteri di valore, educare al vero, al bene e al bello, coltivare lo sviluppo di persone con solida identità e nello stesso tempo aperte al dialogo.

Non basta però educare; bisogna anche disciplinare l’uso dei media. Ascoltiamo ancora Giovanni Paolo II: «I genitori devono anche regolare l’uso dei mezzi di comunicazione a casa. Questo significa pianificare e programmare l’uso degli stessi, limitando severamente il tempo che i bambini dedicano ad essi e rendendo l’intrattenimento un’esperienza familiare, proibendo alcuni mezzi di comunicazione e, periodicamente, escludendoli tutti, per lasciare spazio ad altre attività familiari» (MF 5). Su questa linea tracciata dal Papa, possiamo elencare alcune indicazioni e raccomandazioni: a) stabilire un uso sobrio della Tv e di Internet e proporre attività alternative, tenendo conto che i bambini di solito preferiscono il gioco e il lavoro; b) limitare il tempo del cellulare attraverso il controllo economico, anzi ordinariamente non dare affatto il cellulare ai bambini fino a circa dieci anni; c) installare la TV e il computer solo in stanze comuni e frequentate; d) valutare e selezionare preventivamente i programmi televisivi e utilizzare un programma filtro per Internet, motivandolo e presentandone i vantaggi; e) favorire l’attenzione e l’accesso ai media di ispirazione cattolica; f) rielaborare nel dialogo familiare i programmi visti, confrontandoli con gli ideali della famiglia.

Infine dobbiamo sottolineare che l’impegno delle famiglie nei confronti dei media non si esaurisce nella fase del consumo, ma deve risalire anche a monte, alla fase della produzione, delle regole e dei controlli pubblici. Ascoltiamo a riguardo Giovanni Paolo II. «[Le famiglie] spesso possono ritenere utile unirsi ad altre famiglie per studiare e discutere i problemi e le opportunità che emergono dall’uso dei mezzi di comunicazione sociale. Le famiglie devono essere chiare nel dire ai produttori, a quanti fanno pubblicità e alle autorità pubbliche ciò che a loro piace e ciò che non gradiscono» (MF 5). Mi pare che questo appello del Papa possa realizzarsi specialmente mediante l’adesione ad Associazioni di Famiglie che poi, esprimendosi attraverso comitati altamente qualificati e competenti, possano influire positivamente sugli operatori (produttori, professionisti e pubblicitari) e possano collaborare con le autorità e i politici. Nei confronti degli operatori le famiglie a volte potrebbero agire anche direttamente, inviando per posta elettronica proteste contro programmi ritenuti riprovevoli e diseducativi.

Da parte loro gli operatori sono tenuti a rispettare i criteri etici nell’esercizio della loro professione, anche se ciò dovesse costare grossi sacrifici. Lo ricordava Giovanni Paolo II citando le parole del suo predecessore Paolo VI: «I responsabili delle comunicazioni sociali devono conoscere e rispettare le esigenze della famiglia e questo suppone a volte in essi un vero coraggio e sempre un alto senso di responsabilità» (MF 4).

Quanto ai politici, essi devono considerare la famiglia come un soggetto sociale di interesse pubblico e sostenerlo con adeguate politiche familiari in vari ambiti, tra i quali anche l’ambito della comunicazione sociale, dove potrebbero sia condizionare in senso positivo la produzione e l’offerta dei programmi sia promuovere l’educazione ai media nelle scuole.

Infine le comunità ecclesiali possono intervenire e aiutare le famiglie in vari modi sia direttamente sia indirettamente: a) possono organizzare incontri di famiglie per fruire insieme e discutere alcuni programmi mediatici a scopo di formazione; b) possono inserire l’educazione all’uso dei media negli itinerari di preparazione al matrimonio; c) possono incoraggiare e stimolare l’adesione delle famiglie alle associazioni familiari; d) possono diffondere la fruizione dei media di ispirazione cattolica; e) possono contribuire a preparare per i media nuovi professionisti, orientando verso di essi alcuni giovani particolarmente idonei per qualità umane e per serietà di vita cristiana; f) possono dotarsi di una figura ministeriale specifica, l’animatore della comunicazione sociale.

[6] Un segno dei tempi.

Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato che «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo» (GS 4). Sono da considerare segni dei tempi i germi del regno di Dio che crescono nella storia, i fenomeni e le linee di tendenza positive in cui si manifesta la divina Provvidenza. Tra di essi il Concilio riconosceva il senso di solidarietà tra tutti i popoli che oggi sta crescendo (AA 14). Mi pare ragionevole annoverare tra di essi anche il prodigioso sviluppo della comunicazione sociale che ha fatto del mondo “il villaggio globale”. Sappiamo per fede che gli uomini sono chiamati a vivere in relazione tra loro e con Dio e che la loro meta ultima è la perfetta comunione in Cristo e la partecipazione all’unità trinitaria delle persone divine. Conosciamo l’appassionata preghiera di Gesù, l’anelito supremo del suo cuore: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17,20-21). Mi pare dunque che, nella misura in cui la comunicazione sociale si sviluppa a servizio della verità e dell’amore, si fanno passi avanti verso l’unità desiderata da Gesù. In tale prospettiva i cristiani e le famiglie cristiane trovano una splendida motivazione per inserirsi nella comunicazione sociale con responsabilità e coerenza evangelica per il bene delle persone e della società.

         

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