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XIX ASSEMBLEA PLENARIA
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA
ROMA, 8-10 FEBBRAIO 2010
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 SANTA MESSA

OMELIA DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Mercoledì, 10 febbraio 2010
 

“Tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore, ma nel ventre… Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultéri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”.

Dal cuore escono le decisioni e le azioni, quelle cattive come quelle buone. Il cuore corrisponde a ciò che noi oggi chiameremmo il nucleo più intimo della persona, la coscienza, l’intenzione fondamentale, l’orientamento globale della vita. Il cuore così inteso si esprime attraverso gli atti buoni e cattivi. “Ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi” (Mt 7, 17). Il cuore che ama si rivela nel fare il bene; il cuore egoista si manifesta nel fare il male.

D’altra parte, come insegna Giovanni Paolo II (Veritatis Splendor 70; 71), sono le singole azioni, buone o cattive, che rendono rispettivamente buono o cattivo il cuore. E’ compiendo atti umani concreti che si sviluppano virtù o vizi, si plasma la personalità, si rafforza o si cambia l’intenzione fondamentale.

In altre parole. Gesù insegna: E’ il cuore buono o cattivo che produce le scelte concrete, le azioni, i comportamenti buoni o cattivi. Giovanni Paolo II invece insegna: sono le scelte concrete, le azioni, i comportamenti buoni o cattivi che plasmano il cuore e lo rendono buono o cattivo. Sembra esserci contraddizione; ma non c’è. Si tratta di due prospettive distinte e complementari. Si tratta di una dinamica circolare: le azioni manifestano il cuore; il cuore si realizza nelle azioni. In ambedue le prospettive quello che è decisivo è il cuore. C’è piena responsabilità nel bene o nel male, solo quando un comportamento parte dal cuore e arriva al cuore, quando cioè la persona impegna se stessa e il suo destino con lucida consapevolezza e libera scelta. La conversione, alla quale Dio ci chiama, deve arrivare al cuore, deve cambiare il cuore; deve cambiare il cuore di pietra in un cuore di carne, che sappia amare. Si tratta di orientare a Dio i propri interessi, i propri ideali, le proprie energie, la vita in tutte le relazioni e attività. “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente” (Mc 12, 30).

Si è soliti dire che nella Chiesa moltissimi sono i battezzati, molti di meno, ma ancora numerosi, i praticanti della messa domenicale, pochi invece i convertiti, quelli cioè che hanno uno stile di vita diverso dai non credenti, che vanno controcorrente rispetto alla mentalità del mondo. L’educazione cristiana spesso non arriva a trasformare il cuore.

Ritengo che la priorità pastorale più urgente e necessaria debba essere la formazione in ogni comunità ecclesiale di un nucleo di cristiani seriamente convertiti (e pur sempre in atto di conversione permanente e in cammino verso la santità). Non limitarsi a offrire un minimo di educazione cristiana uguale per tutti: si rischia di rimanere alla superficie e di non arrivare al cuore delle persone. Proporre invece esperienze differenziate, secondo la maggiore o minore disponibilità e capacità di accoglienza. Se possibile, arrivare, almeno per alcuni, all’accompagnamento spirituale personalizzato.

Nella preparazione dei fidanzati al matrimonio ritengo che non ci si debba limitare a promuovere un piccolo numero di incontri (un corso breve) uguale per tutti e che tutti con un minimo di buona volontà possono frequentare. Ma ritengo che, cominciando dalle coppie più disponibili e procedendo con gradualità si debbano diffondere con coraggio, intelligenza e perseveranza itinerari prolungati di fede e di vita cristiana, simili al catecumenato. Solo così si può evitare l’appiattimento verso il basso e avere un numero consistente di famiglie che siano un riferimento anche per le altre.

Anche dopo il matrimonio, alle famiglie già costituite bisogna offrire opportunità molto concrete per alimentare la loro spiritualità e la loro responsabilità riguardo all’evangelizzazione e all’impegno civile: proposte e sussidi per la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la riflessione comune e il dialogo in casa; incontri periodici tra famiglie e partecipazione a gruppi, movimenti, associazioni; inserimento nelle attività parrocchiali a carattere catechetico, caritativo, culturale, ricreativo.

Spesso ho l’impressione che per molti operatori nell’ambito della pastorale della famiglia la prima preoccupazione sia quella di fare qualcosa per le coppie in situazione irregolare (divorziati risposati, coppie di fatto, coppie omosessuali), oppure quella di condannare gli errori e i mali che stravolgono il senso della sessualità e della vita coniugale e familiare. Ritengo invece che la prima preoccupazione debba essere quella di formare famiglie cristiane esemplari, che hanno un rapporto vivo con Gesù Cristo e da lui attingono un di più di amore e unità, generosità e coraggio, gioia e bellezza.

Non bisogna certo dimenticare le tante famiglie mediocri o disgregate. Ma, per arrivare ad esse, l’apostolato più efficace è quello della testimonianza e della vicinanza attiva delle famiglie cristiane esemplari. Per illuminare e riscaldare, la prima cosa da fare è accendere il fuoco.

La Chiesa è stata costituita come luce del mondo, città sul monte, luce sul candelabro, sale della terra (Mt 5, 13s); è chiamata a cooperare con Cristo Salvatore per la salvezza di tutti gli uomini e svolge la sua missione con la preghiera, il sacrificio, la testimonianza, l’annuncio del Vangelo, l’animazione cristiana delle realtà terrene. Per mezzo di lei il Signore attrae a sé tutti gli uomini e questi si orientano verso di lui e si avvicinano a lui in diversa misura e in varie modalità. I pochi sono scelti per arrivare a tutti.

Ha scritto il Cardinale Ratzinger: “La Chiesa di massa (come era nel passato) può essere qualcosa di bello, ma non è necessariamente l’unico modo di essere della Chiesa. La Chiesa dei primi tre secoli era piccola, senza per questo essere una comunità settaria. Al contrario, non era chiusa in sé stessa, ma sentiva una grande responsabilità nei confronti dei poveri, dei malati, nei confronti di tutti”. Secondo questa visione anche comunità cristiane piccole di numero, ma aperte e responsabili nei confronti di tutti gli uomini e di tutto ciò che è umano, possono svolgere efficacemente la missione universale della Chiesa. Possono preparare alla salvezza eterna anche coloro che su questa terra non arrivano alla piena comunione. A questo riguardo aggiungeva il Cardinale Ratzinger: “ci possono essere diverse forme di coinvolgimento e di partecipazione” e si potrebbero “esplorare nuovi modi” di collegamento alla Chiesa, più forti o più deboli (Cfr J. Ratzinger, Prima di tutti noi dobbiamo essere missionari, 2000).

Certo la Chiesa deve essere protesa verso tutti nella missione e deve essere aperta all’accoglienza verso tutti. Ma i gradi di appartenenza sono diversi secondo la storia personale di ognuno. Anche quando la comunione non è perfetta, nelle sue dimensioni invisibile e visibile, ci può essere una certa comunione. Solo Dio conosce il cuore delle persone. A noi è chiesto di cooperare con lui per la salvezza di tutti secondo la grazia che abbiamo ricevuto.

Spiritualità intesa come rapporto personale con il Signore, coltivato con la preghiera, l’ascolto della Parola e l’Eucaristia, incarnato e vissuto in tutte le relazioni e attività ordinarie. Responsabilità missionaria, intesa come condivisione dell’amore salvifico di Cristo verso tutti gli uomini. Autenticità della fede e della vita cristiana. Ecco ciò che conta! Più dei numeri e delle percentuali!

Un cristianesimo mistico, fraterno e missionario. Ecco ciò che il nostro tempo richiede!

Tutto questo però si può avere nella misura in cui si realizza una sincera e profonda conversione del cuore.

Anche se la notte è buia, ha detto Paolo VI, non bisogna aver paura della notte, se ci sono fuochi che illuminano e riscaldano.

 

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