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PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

 RIUNIONE DEL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO DELL'UCID NAZIONALE
(UNIONE CATTOLICA IMPRENDITORI DIRIGENTI)

INTERVENTO DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

“FAMIGLIA E IMPRESA, CELLULE VITALI DELLA SOCIETÀ”

Palazzo Altieri
Roma, 22 febbraio 2010,

 

Il Cardinale Ennio Antonelli, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, è intervenuto lunedì pomeriggio 22 febbraio alla riunione del Comitato tecnico scientifico dell’UCID nazionale (Unione Cattolica Imprenditori Dirigenti), svoltasi nella sede di Roma. Moderava il dibattito il prof. Giuseppe De Rita. Dopo l’intervento del Cardinale Antonelli ha parlato l’Ing. Federico Falck.

Questo è il testo del Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

I
INDICAZIONI BIBLICHE

  1. “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen, 1, 26-28).
     
  2. “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire. E il Signore Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali... Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l’uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse… Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne… Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gen 2, 15-20, 22-24).
     
  3. Famiglia e lavoro derivano dalle origini dell’umanità; sono dimensioni essenziali e costitutive dell’umano; sono due benedizioni, due doni di Dio, prima che compiti e doveri; appartengono alla persona umana in quanto immagine di Dio.
     
  4. La famiglia è l’immagine primordiale della comunione trinitaria tra le persone divine. Perciò è il germe, il modello e l’attuazione esemplare di tutta la socialità umana nelle sue varie forme. Soprattutto l’armonia e la gioia dei rapporti familiari (uomo-donna, genitori-figli) consentono di sperimentare un riflesso di Dio Amore e un anticipo della festa nuziale nell’eternità.
     
  5. Il lavoro (e la tecnica) è a immagine di Dio creatore. Dio consegna all’uomo un cosmo ordinato da sviluppare, governare e umanizzare; consegna un giardino da custodire e da coltivare. Nella misura in cui farà questo, non in modo arbitrario, ma razionale, l’uomo prolungherà e perfezionerà l’opera iniziata da Dio creatore e parteciperà della sua energia creatrice.
     
  6. Ambedue, la famiglia e il lavoro, sono sfigurati e stravolti dal peccato. “Alla donna (Dio) disse: … Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà … All’uomo disse … Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te … Con il sudore del tuo volto mangerai il pane…” (Gen 3, 16-19).
     
  7. Il Figlio di Dio viene a rinnovare e salvare tutti gli uomini e tutte le dimensioni della vita umana, in particolare la famiglia e il lavoro. E’ significativo che, facendosi uomo, abbia voluto assumere fino a 30 anni la condizione ordinaria della gran parte degli uomini, la vita di famiglia e l’attività lavorativa. Ambedue però devono essere subordinate al primato del regno di Dio (cfr Mt 6, 24.26-33; Mc 3, 35; Lc 9, 59-62; 10, 4; 12, 15-33).

II
PRIMA E DOPO
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

  1. Per molti secoli, nella società rurale e artigianale, il lavoro si trasmetteva come un’eredità all’interno della famiglia (patriarcale). Si trattava di lavoro in casa o vicino a casa, cosicché i tempi del lavoro non si distinguevano dai tempi della vita familiare. Non per niente la parola ‘economia’ etimologicamente significa ‘governo della casa’.
     
  2. La donna svolgeva la sua attività in casa, nel cortile, nell’orto. Le sue mansioni, oltre la procreazione e l’educazione dei figli e l’assistenza agli anziani, erano la cucina, le pulizie, il bucato, la filatura, la tessitura, la confezione dei vestiti, l’allevamento degli animali da cortile, la coltivazione dell’orto.
     
  3. L’uomo, eccettuati i militari, i mercanti, i politici, lavorava nei campi intorno a casa oppure nel laboratorio annesso alla casa o comunque vicino.
     
  4. Ben pochi beni e servizi venivano scambiati con denaro; la gran parte di essi veniva scambiata direttamente. Perciò non aveva molta rilevanza la distinzione tra lavoro produttivo di reddito e lavoro domestico non retribuito; tantomeno si prestava a discriminare la posizione economica dell’uomo e della donna.
     
  5. Negli ultimi secoli, a partire dalla rivoluzione industriale, la produzione di beni e servizi è passata dalla famiglia alla fabbrica, al centro commerciale, allo studio professionale, all’ufficio burocratico. Ha provocato una forte urbanizzazione, la dissoluzione della famiglia patriarcale, la diffusione generalizzata della famiglia nucleare.
     
  6. Il lavoro extradomestico viene scambiato con denaro e viene considerato produttivo di reddito, mentre il lavoro domestico non è retribuito in denaro e non viene computato nel PIL, quasi si trattasse di un “non lavoro”. E’ paradossale che il lavoro di cura fatto da una baby-sitter o da una badante sia produttivo di reddito, mentre lo stesso lavoro fatto da una donna di famiglia non è considerato tale.
     
  7. Al lavoro extradomestico, come finora è stato organizzato, è più funzionale l’individuo che non la famiglia, perché l’individuo è in grado di offrire più mobilità, più disponibilità di tempo, più propensione ai consumi. Non fa meraviglia che il benessere individuale sia spesso pubblicizzato come ideale di vita.
     
  8. La famiglia a volte viene avvertita come un ostacolo all’efficienza produttiva del sistema e allo sviluppo sociale. Secondo un recente saggio (Alberto Alesina e Andrea Ichino, L’Italia fatta in casa, Mondadori), in Italia le giovani coppie di sposi preferiscono un lavoro vicino alla residenza dei loro anziani genitori, anche se meno produttivo e meno retribuito, perché possono affidare loro la cura dei bambini, possono dare loro assistenza in caso di bisogno, possono ricevere da loro un contributo in denaro in caso di difficoltà economica (Ma è proprio negativa questa sinergia tra generazioni, che tra l’altro fa anche risparmiare risorse pubbliche?). Le donne italiane spesso preferiscono dedicarsi ai figli e rinunciano alla carriera professionale, sottraendo energie e capacità all’impresa e alla società (Ma il lavoro domestico non è anch’esso prezioso per la società?). Il persistere di tante piccole imprese a carattere familiare, prive di risorse finanziarie per investire in ricerca e innovazione, non favorisce la crescita economica del Paese (Ma non hanno tali imprese dimostrato anche creatività e duttilità? Non possono ovviare anch’esse ai loro limiti, collegandosi in rete tra loro e rinunciando all’anacronistica pretesa di autosufficienza?). E’ malcostume italiano quello di assegnare i posti di lavoro per motivi di parentela o in seguito a raccomandazioni, anziché basarsi unicamente sulla competenza; analogamente è una grettezza diffusa in varie zone italiane quella di limitare le donazioni di sangue ai propri parenti (Ma questi danni sociali sono da imputare alla famiglia o non piuttosto al familismo, che è una degenerazione di essa?).
     
  9. Il lavoro extradomestico è stato centrato sull’individuo maschile e ha contribuito ad allontanare il padre dai figli e dalla sua responsabilità educativa, fino ad oscurare l’importanza decisiva della figura paterna. Le indagini sociologiche rilevano dati impressionanti sui danni provocati dall’assenza del padre. Negli USA i figli cresciuti senza padre sono il 90% dei senza fissa dimora, il 72% degli adolescenti omicidi, il 60% degli stupratori, l’85% dei giovani in carcere. In caso di divorzio i figli nella percentuale dell’85% sono affidati alla madre e spesso perdono ogni contatto con il padre. Un quarto dei figli di divorziati non riesce a ritrovare un sereno equilibrio e continua a presentare problemi psicologici, scolastici, sociali, lavorativi, mediamente in misura del doppio rispetto ai figli di genitori uniti. L’assenza della figura paterna, secondo gli psicologi, espone a varie patologie: narcisismo, mancanza di realismo, scarsa autostima, depressione, pensieri di suicidio, carenza di progettualità, passività, dipendenza da alcol e droga, senso di impotenza, aggressività, violenza (cfr Istitute of American Values).
     
  10. La donna è tentata dall’omologazione al modello maschile. Spesso cerca la autorealizzazione nel lavoro, nella carriera, nel successo sociale, a costo di rinunciare al matrimonio e ai figli; percepisce la famiglia come un ostacolo alla sua riuscita personale. Altre donne, e sono molte, rinunciano al lavoro o al livello professionale più elevato, per dedicarsi ai figli e alla famiglia; comunque anche queste percepiscono, e soffrono, un incompatibilità tra famiglia e lavoro.
     
  11. Da questa difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, trae vantaggio l’ideologia del gender. Non conta il sesso biologico, ma l’orientamento sessuale, che ognuno liberamente sceglie, costruisce, cambia secondo le proprie pulsioni, desideri, preferenze. Mentre i sessi biologici naturali sono due soltanto, i generi elaborati culturalmente possono essere più numerosi: eterosessuale, omosessuale, bisessuale, transessuale, polimorfo. Tutte le pratiche sessuali sono rispettabili e da legittimare socialmente, cambiando la mentalità e le regole, combattendo le discriminazioni. Si rivendicano i cosiddetti diritti sessuali e riproduttivi: legalizzazione delle convivenze, matrimonio gay, repressione dell’omofobia, adozione di bambini da parte di omosessuali, diritto all’aborto, diritto alla procreazione artificiale, promozione della cultura omosessuale. La famiglia tradizionale, a motivo dei legami stabili di coppia e di genitorialità, è considerata oppressiva degli individui, specialmente delle donne, e causa di ingiustizie sociali. La donna dovrebbe realizzarsi nella professione, nella cultura e nella politica e dovrebbe liberarsi dal matrimonio, che comporta subordinazione all’uomo, e addirittura dalla maternità mediante la procreazione artificiale e la gestazione tecnologica del bambino con apposita macchina che si auspica possa diventare presto disponibile. Si incoraggia l’esercizio puramente ludico della sessualità.
     
  12. La prospettiva del gender è portata all’estremo in un recente saggio di grossa risonanza (Jaques Attali, Amours. Histoire des relations entre les hommes et les femmes, Fayard, Paris 2007): indistinzione dei sessi, separazione delle relazioni sessuali dalla riproduzione, libera soddisfazione dei desideri, poli-amore senza vincoli, matrimonio di gruppo, simultanea appartenenza a più gruppi (poli-famiglia), cura dei minori affidata a tutti gli adulti, affetto dei bambini per tutti gli adulti considerati genitori adottivi. Il primo passo, possibile fin d’ora, verso questo futuro ideale dovrebbe essere l’istituzione del matrimonio provvisorio come contratto a tempo.
     
  13. L’esercizio ludico della sessualità, separato dalla funzione riproduttiva, viene appoggiato dalla mentalità neo maltusiana, ossessionata dall’incremento della popolazione nel mondo, specialmente nei paesi sotto sviluppati (nel 2050 si prevede un picco di 9 miliardi, di cui 2 miliardi in Africa), con il conseguente degrado ambientale, fino a rendere il pianeta invivibile.
     
  14. Un programma neomaltusiano è quello lanciato da un’agenzia dell’ONU (UNFPA) e denominato “Obiettivi di sviluppo del millennio”. Una minore fertilità significa minore crescita della popolazione e più crescita economica, più lavoro, uguaglianza e valorizzazione per le donne. Meno bambini significano più risorse per l’educazione di ogni bambino, più scuola e meno lavoro minorile, meno mortalità infantile e minore degrado dell’ambiente. Diritto alla salute riproduttiva significa sesso senza procreazione, in concreto mediante contraccezione, aborto, diffusione dell’omosessualità (fino al traguardo di una popolazione omosessuale al 50%) (gli USA investiranno su questo programma 63 miliardi di dollari in sei anni).
     
  15. Secondo la dottrina sociale della Chiesa, mentre la soluzione al problema della povertà va cercata nella riforma del mercato, l’equilibrio demografico va raggiunto attraverso la procreazione responsabile.
     
  16. Equilibrio demografico in paesi sovrappopolati (ad es. Bangladesh, 156 milioni di abitanti su Km2 144.000, più di mille abitanti per Km2) significa limitazione delle nascite (metodi eticamente onesti sono quelli naturali). Ma in Europa, dove è in atto una grave crisi demografica (indice medio di fecondità molto al di sotto dell’indice di ricambio generazionale; previsione di rapido invecchiamento della popolazione con un terzo composto di anziani sopra i 65 anni, con diminuzione di forze produttive e forte aumento di spese per le pensioni, la sanità e l’assistenza), significa rilancio della natalità, rivalutazione culturale della paternità e della maternità, adeguato sostegno economico. “L’accoglienza della vita tempra energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 28). “L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica” (Benedetto XVI, CV, 44).
     
  17. Occorre riscoprire l’importanza sociale della famiglia, che produce beni essenziali per la società nel suo insieme e in particolare per il mercato e per le imprese, anzi a suo modo è essa stessa una “piccola impresa” (cfr G. L. Becker, A treatise on the family).

 

III
LA FAMIGLIA E IL MERCATO

  1. Un aumento di reddito accresce il benessere oggettivo: ‘confort’, durata media della vita, istruzione, servizi sanitari, tutela dell’ambiente.
     
  2. Un aumento di reddito non sempre accresce il benessere soggettivo (la soddisfazione percepita dalle persone, la felicità). Secondo studi sociologici fatti in vari paesi negli ultimi trent’anni, esiste un “Paradosso della felicità in economia”. Oltre una certa soglia di reddito, diventare più ricchi non significa ancora diventare più felici. Anzi, a un maggior reddito può corrispondere una diminuzione di felicità.
     
  3. L’aumento del reddito, oltre una certa soglia, non accresce più la felicità, perché i beni utili, che permette di acquistare, creano presto assuefazione e noia, perché il reddito degli altri può crescere più del nostro, perché con il reddito aumentano anche le nostre aspirazioni, soprattutto perché l’aumento del reddito può comportare una perdita di beni relazionali (famiglia, amicizia, solidarietà) e di beni gratuiti che valgono per se stessi (musica, poesia, arte, contemplazione della natura, spiritualità, preghiera, festa, gioco, sport).
     
  4. Investire tempo ed energie in beni relazionali e di gratuità genera sempre benessere soggettivo (percezione di soddisfazione, felicità).
     
  5. Il mercato tende a dilatare gli spazi dell’utile e ad introdurre la mentalità utilitarista anche nella famiglia e nella festa. Ma forse si potrebbe vivere con più serenità e gioia se si investisse di più nei beni di relazione e di gratuità e di meno nella produzione di beni strumentali. “Non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt 4, 4).
     
  6. Come il mercato è l’istituzione dello scambio utilitario secondo giustizia (istituzione purtroppo deformata spesso dal peccato e dall’errore), così la famiglia è l’istituzione della gratuità e del dono reciproco tra le persone (purtroppo anch’essa deformata spesso dal peccato e dall’errore). Più precisamente la famiglia è l’istituzione del dono reciproco totale e della comunione integrale di vita.
     
  7. Pur essendo lecito e perfino necessario cercare negli altri il proprio utile, è però grave disordine morale ridurre il rapporto con loro alla sola dimensione utilitaria. Si rispetta la dignità delle persone nella misura in cui esse sono considerate un grande bene in se stesse e si vuole sinceramente il loro bene. Solo la logica dell’amore, della gratuità, del dono è all’altezza della loro dignità di persone.
     
  8. In famiglia gli altri sono visti non solo come una risorsa da cui ricavare vantaggi, ma anche e soprattutto come un bene in se stessi, come persone insostituibili, non intercambiabili, senza prezzo e con valore assoluto. Con la stessa serietà con cui si vuole il proprio bene, si vuole anche quello degli altri e ci si fa carico della loro crescita umana integrale, portandone il peso. Se c’è un’attenzione preferenziale, è per i più deboli: i bambini, i malati, i disabili, gli anziani. Si costruiscono così legami profondi di comunione tra le persone, rispettando la loro libertà e valorizzando la loro originalità.
     
  9. L’amore comporta unità e alterità. In famiglia si armonizzano e si valorizzano le differenze fondamentali dell’essere umano, quella dei sessi (uomo-donna) e quella delle generazioni (genitori-figli).
     
  10. La sessualità è altruismo scritto nel corpo e nell’anima, differenza nell’uguaglianza in vista del dono reciproco e della comunione. L’uomo e la donna sono ambedue esseri umani, di pari dignità, ma hanno anche importanti diversità. Sono diversi nel corpo (organi genitali, aspetto, forza fisica, volto, voce). Generano ambedue ma in modo diverso: l’uomo fuori di sé, la donna dentro di sé. Coerentemente con questa differenza basilare, hanno attitudini, interessi, intelligenza, sensibilità, desideri diversi; comprendono, amano, comunicano, operano in modo diverso. Ciò che è più spontaneo per uno, l’altro deve impegnarsi ad apprenderlo.
     
  11. La differenza nell’uguaglianza non crea di per sé discriminazione; ma interazione, scambio, complementarietà, collaborazione. Soprattutto l’uomo e la donna danno, l’uno all’altro, il potere di procreare e diventare genitore. Il rapporto sessuale tra i coniugi ha due significati oggettivi, unitivo e procreativo. Mentre si donano l’uno all’altro, i coniugi si aprono ad una eventuale ulteriore alterità e unità, a un’ulteriore novità di vita e di bene. Il figlio che nascerà da loro sarà il loro essere “una sola carne”, in senso pieno e permanente.
     
  12. Unità e apertura caratterizzano non solo l’autenticità dell’atto coniugale, ma l’autenticità di tutta la vita di coppia e di famiglia. I coniugi guardano insieme verso i figli (cura, educazione) e al di là dei figli e con loro verso la Chiesa e la società, mediante obiettivi, progetti, impegni concordati.
     
  13. La famiglia genera persone e beni relazionali primari che costruiscono l’identità personale, beni senza prezzo, senza assuefazione, senza competizione, senza svalutazione.
     
  14. La famiglia produce virtù indispensabili per la coesione e lo sviluppo integrale della società, indispensabili anche per il lavoro produttivo, l’impresa e il mercato. Ecco un elenco esemplificativo di esse: gratuità, reciprocità, fiducia, solidarietà, responsabilità, cooperazione, progettualità, capacità di sacrificio, sobrietà, propensione al risparmio, rispetto dell’ambiente.
     
  15. “La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o dopo di essa” (Benedetto XVI, CV, 36). “Anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità, possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (ivi). “La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di redistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono” (Benedetto XVI, CV, 37). “Nell’epoca della globalizzazione, l’attività economica non può prescindere dalla gratuità che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti ed attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica” (Benedetto XVI, CV, 38).
     
  16. Il mercato, istituzione dello scambio utilitario, ha bisogno di una componente di gratuità e di solidarietà, che gli può essere comunicata da altre istituzioni, specialmente dalla famiglia, istituzione del dono.
     
  17. Chi ha fatto esperienza della gratuità in famiglia, è in grado di percepire anche il lavoro produttivo come dotato di senso umano e religioso; perciò è in condizione di compierlo con più gusto e gratificazione.
     
  18. Chi ha fatto esperienza di beni relazionali in famiglia, è abilitato a edificare l’impresa come “comunità di uomini” (Giovanni Paolo II, CA, 35) e a promuovere il bene comune della società.
     
  19. Oggi, nell’era informatica, l’impresa diventa sempre più immateriale e relazionale; richiede, più che capitale fisico, risorse umane, conoscenze, idee, capacità di progettare e lavorare insieme. Anzi è sempre più necessario che le imprese, rinunciando all’illusione di autosufficienza, si mettano in rete tra loro.
     
  20. Oggi, nell’era della globalizzazione, è necessario più che mai ricordare che i ricchi rimangono ricchi se anche i poveri diventano ricchi. Non basta dare ai poveri l’elemosina per sopravvivere; non basta attivare il “commercio etico” o il “commercio etnico” con i popoli sottosviluppati. Bisogna inserire i poveri nel processo economico produttivo e i paesi poveri nel mercato globale (cfr Giovanni paolo II, CA, 33). “E’ interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente, non può contare solo su se stesso… esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle” (Benedetto XVI, CV, 35). Uno di questi altri soggetti, il più idoneo, è la famiglia.

IV
CONCILIAZIONE TRA FAMIGLIA E LAVORO

  1. Essendo un soggetto di grande rilevanza sociale, e anche economica, la famiglia ha diritto a ricevere sostegno culturale, giuridico ed economico.
     
  2. Per fare un progetto di famiglia, occorre una ragionevole sicurezza economica. Bisogna supportare il lavoro intermittente con meccanismi di protezione, con ammortizzatori sociali estesi anche alle piccole aziende (cassa integrazione, mobilità, pre pensionamento).
     
  3. Per numerosi lavoratori, per gli immigrati, ma non solo per essi, occorre agevolare i ricongiungimenti familiari.
     
  4. Per incentivare la natalità, occorre rendere il prelievo fiscale equo e commisurato non solo al reddito, ma anche al numero delle persone a carico (deduzioni, detrazioni, quoziente familiare per l’IRPEF; tassa sulla casa calcolata non solo in base alla superficie, ma anche in base alle persone che vi abitano). (cfr Francia e Germania, dove le famiglie con 3 figli pagano 2 o 3 mila euro in meno).
     
  5. Le famiglie numerose meritano speciali sconti e agevolazioni, perché sono una preziosa risorsa per la società e non un attentato al benessere e all’ecologia.
     
  6. Occupazione delle donne e procreazione dei figli sono compatibili (nei paesi nordici, in Gran Bretagna e Irlanda sono ambedue più elevate che in Italia).
     
  7. Occorre attivare servizi per le famiglie: per i bambini nidi familiari, condominiali, aziendali, di quartiere; per gli anziani e i disabili servizi di assistenza. La cooperazione tra le famiglie (reti di famiglie), può svolgere funzioni analoghe a quelle che un tempo svolgevano le reti parentali.
     
  8. Il territorio e, in particolare, il lavoro, andrebbero gradualmente riorganizzati a misura di famiglia.
     
  9. La conciliazione delle responsabilità familiari e professionali di ambedue i coniugi comporta che all’interno della casa siano riequilibrati i ruoli domestici. Attualmente in casa gli uomini hanno tempo libero e le donne un secondo turno di lavoro. La distribuzione dei compiti, fatta di comune accordo, deve evitare sia il rigido dualismo, sia la piena omologazione dei ruoli.
     
  10. La conciliazione riguarda anche e soprattutto il lavoro esterno alla casa. Premesso che anche il lavoro domestico merita un riconoscimento economico, occorre offrire una varietà di opportunità nel lavoro professionale (tempo pieno, part-time, tele lavoro, flessibilità di orari, congedi e permessi) e incoraggiare le scelte condivise da ambedue. Quanto alle attività da svolgere, non bisogna assolutizzare né l’omologazione, né la differenza dei sessi, dato che le differenze ci sono (ad es. la forza fisica), ma molte capacità possono essere acquisite con l’istruzione e l’esercizio, malgrado la minore propensione naturale.

V
SPIRITUALITÀ ED EVANGELIZZAZIONE

  1. L’amore coniugale e parentale, e il lavoro, domestico e professionale, sono doni di Dio prima che doveri da compiere.
     
  2. La spiritualità dei laici comporta un rapporto sincero e personale con il Signore Gesù Cristo (ascolto della Parola, Eucaristia, preghiera, conversione permanente), dal quale attingere un di più di speranza, di gioia, di motivazioni, di verità, di energia, per farsi carico degli altri e portare la croce nelle relazioni e nelle attività di ogni giorno (in famiglia, nel lavoro, in tutte le realtà terrene).
     
  3. L’evangelizzazione, che è missione comune di tutti i cristiani, consiste fondamentalmente nel trasmettere agli altri l’amore di Cristo, attraverso la fede professata e testimoniata, cioè operante per mezzo della carità (Gal 5, 6), manifestando così la sua presenza e consentendogli di incontrare le persone attraverso di noi, per attirarle a sé.

 

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