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GIORNATA DI STUDIO DEDICATA A CHIARA LUBICH
NELLA COMMEMORAZIONE DELLA LAUREA HONORIS CAUSA
DA PARTE DELLA FACOLTÀ DI ECONOMIA DI PIACENZA
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SANTA MESSA

OMELIA DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

25 maggio 2010

 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato è quello del giorno. Non è stato scelto da noi intenzionalmente. Eppure è quanto mai adatto per l’evento culturale che ci ha riuniti qui oggi: la commemorazione del Dottorato honoris causa in economia, conferito a Chiara Lubich nel 1999.

Abbiamo ascoltato la solenne promessa di Gesù: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10, 29-30). Questo testo è stato messo da Chiara stessa in relazione con l’economia di comunione; anzi è stato da lei richiamato anche nel discorso pronunciato qui a Piacenza nel 1999. Assai prima però era stato sperimentato nella vita privata di Chiara, delle Focolarine e dei Focolarini fin dalle origini del Movimento.

La promessa di Gesù vale per i rapporti interpersonali, prima ancora che per i rapporti sociali. “Se tu lo segui – scrive Chiara – per poco che gli dai, ti stracarica di doni” (Dottrina spirituale, p. 40). E ancora: “Date e vi sarà dato (Lc 6, 38), leggevamo un giorno nel Vangelo. Davamo. V’era un solo uovo in casa per tutte? Lo porgevamo al povero. Ed ecco in mattinata arrivare un sacchetto di uova. Così con varie cose (mele, vestiario). Gesù aveva promesso e ora manteneva. Il Vangelo era, dunque, credibile, vero … Cristo è vivo” (p. 39). Il poco, dunque, a cui si rinuncia, viene largamente ricompensato. Chiara però comprende che non è importante quanto si dà, poco o molto che sia, ma il dare se stessi e quindi, in certo senso, dare tutto. Ella scrive: “Il Vangelo ti copre d’amore, ma esige tutto. Se il chicco di grano caduto in terra non muore, dice Gesù, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12, 24). Morire, dunque”. Secondo la sua spiritualità, occorre entrare in una dinamica pasquale, abbracciando Gesù crocifisso e abbandonato, sorgente di unità e di vita nuova.

Del Crocifisso Chiara sottolinea specialmente la passione interiore, “la piaga spirituale”, la solitudine estrema, il sentirsi abbandonato da Dio Padre. Questa misteriosa esperienza è da considerare “il vertice del suo amore, perché culmine del suo dolore” (p. 59).

Qui è la chiave dell’unità con Dio e tra gli uomini, il segreto della vita nuova e di ogni fecondità spirituale e sociale. “Non si fa nulla di buono, di utile, di fecondo al mondo, senza conoscere, senza sapere accettare la fatica, la sofferenza, in una parola senza la croce”, “una parola che il mondo non vuole sentir pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso” (p. 50).

Siamo chiamati ad amare come Gesù, che ha amato dando tutto se stesso; siamo chiamati a diventare un nulla di amore per fare spazio a Dio e agli altri uomini nella nostra vita. Nella misura in cui questo si realizza, Gesù in persona viene a vivere in noi e tra noi, opera e si manifesta attraverso di noi, fa crescere uomini nuovi, famiglie nuove, un mondo nuovo. Se questo avviene in modo limitato, è perché, osserva Chiara, “la gran massa di noi, che seguiamo Cristo, siamo cristiani sottosviluppati” (p. 375), non solo i non praticanti, ma anche molti dei cosiddetti “buoni cristiani”.

La ferma convinzione di Chiara è che Gesù “risolve tutti i problemi. Lo fa Gesù-noi; Gesù-io; Gesù-tu … Gesù è la personalità vera, più profonda, di ognuno … E’ come altro Cristo, membro del suo corpo mistico, che ogni uomo porta un contributo suo tipico in tutti i campi: nella scienza, nell’arte, nella politica” (p. 257) e, possiamo aggiungere, nell’economia. Egli fa nuove tutte le cose. Fa nuove anche le aziende, in quanto porta le persone “non solo a comprendersi e stimarsi a vicenda, a far proprie le fatiche e i problemi altrui, ma anche a trovare insieme nuove forme di organizzazione del lavoro, di partecipazione e di gestione” (p. 397).

Chi si libera dalla bramosia del guadagno a tutti i costi e subordina il profitto al vero bene delle persone e della società, ottiene vantaggi più grandi, anche in ambito economico. E’ questa la ferma persuasione di Chiara: “Chiunque avrà lasciato case (…) o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto (…). Tutti debbono essere, dunque, staccati almeno spiritualmente dai campi, che significa anche dal lavoro. I campi, il lavoro, vanno amati sì, ma per Dio, non prima di lui. E con quale risultato? Riceverà cento volte tanto (…), il centuplo, che significa un numero indeterminato: cento volte tanto anche in beni, in crescita economica. Per cui, per il poco distacco che ci viene chiesto, ecco scaturire l’abbondanza della Provvidenza del Padre. E sappiamo che di essa le aziende dell’Economia di Comunione hanno esperienza” (p. 396).

Di questa provvidenza divina Chiara dà qualche esemplificazione anche nel discorso del Dottorato, pronunciato qui a Piacenza nel 1999: “Si sperimenta che dopo ogni scelta controcorrente, che l’usuale prassi degli affari sconsiglierebbe, Egli non fa mancare quel centuplo che Gesù ha promesso: un introito inatteso, un’opportunità insperata, l’offerta di una nuova collaborazione, l’idea di un nuovo prodotto di successo” (p. 385).

L’economia di comunione, intuita e promossa da Chiara, si trova in profonda sintonia con la recente enciclica “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI, specialmente con quelle pagine in cui il Papa insegna che perfino il mercato, istituzione dello scambio utilitario per antonomasia, ha bisogno di una componente di gratuità e solidarietà, per poter funzionare. Qualche citazione: “Anche nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità, possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (CV 36), “non soltanto fuori di essa o dopo di essa” (CV 36) (cioè non soltanto nelle attività caritative o nella ridistribuzione del reddito ad opera dello Stato). “L’attività economica non può prescindere dalla gratuità che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti ed attori” (CV 38).

Gratuito in questo contesto non significa ciò che è gratis, ma ciò che è bene e che ha valore in se stesso e non semplicemente come strumento in vista di qualcos’altro. Le persone, anche se da esse riceviamo molta utilità, non devono mai essere ridotte a semplici strumenti, ma devono essere rispettate e amate anche e innanzitutto per se stesse. Nella produzione di beni e servizi e nel funzionamento del mercato sono certamente necessari la ricerca del profitto, lo scambio utilitario e il contratto; ma questo non vuol dire che sia lecito perseguire, sempre e a qualsiasi costo, il massimo profitto. Viene a proposito il detto scultoreo di Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem Exercens: “Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro” (LE 6).

Sembra un discorso del tutto ovvio; eppure, nelle sue conseguenze concrete, gli stessi cristiani faticano non solo ad applicarlo, ma anche a capirlo. Ricordo un convegno di imprenditori cattolici in Umbria, in cui fui contestato vivacemente e trattato da incompetente, proprio perché avevo affermato che cercare il profitto per un’azienda o una banca è fisiologico, ma non sempre è lecito cercare il massimo profitto.

Sempre in agguato è la tentazione di considerare l’etica evangelica un ideale nobilissimo, ma impraticabile nell’ambito degli affari, così come in quello degli affetti. L’economia di comunione, nata dal carisma di Chiara, si affianca ad altre esperienze nel testimoniare con l’eloquenza dei fatti che il mercato può essere umanizzato e che la civiltà dell’amore non è un’utopia irrealizzabile. Essa si aggiunge agli innumerevoli altri segni che manifestano la presenza nella storia di Cristo salvatore dell’uomo. Segno che invita ad accogliere questa presenza e a farsi portatori e collaboratori di essa.

Viene in mente il grido appassionato di Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!”.

 

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