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VISITA-PELLEGRINAGGIO
DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI
A LISIEUX

FESTA DEI BEATI LOUIS E ZELIES MARTIN

OMELIA DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Domenica XV del tempo ordinario –
Alençon, 10 luglio 2010

 

Santa Teresa di Gesù Bambino e i suoi santi genitori Luigi e Zelia: ecco una splendida luce per questa città, per la Francia e per tutta la Chiesa. I santi prima che protettori da invocare, prima che modelli da imitare, sono segni della presenza di Dio e di Cristo in mezzo a noi. In essi, come insegna il Concilio Vaticano II “Dio manifesta agli uomini, in una viva luce, la sua presenza e il suo volto” (Lumen Gentium 50). Essi costituiscono il segno più trasparente che Cristo è vivo ed è presente adesso nella storia. Sono motivo di credibilità, di gioia e di lode a Dio: “Mirabile è Dio nei suoi santi” (Sal 67, 36).

La santità è prima dono che scende e poi impegno che sale. I nostri meriti sono doni di Dio accolti, che ci dispongono ad accoglierne altri. “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5), ha detto Gesù. Nessuno più di Santa Teresa, riconosciuta Dottore della Chiesa per aver insegnato la spiritualità della “piccola via”, ha percepito il primato assoluto della grazia e della misericordia divina: “Basta riconoscere il proprio nulla e abbandonarsi come un bambino nelle braccia del buon Dio” (L 226); “Ti domando, o mio Dio, di essere tu stesso la mia santità (…) Alla sera di questa vita comparirò davanti a te a mani vuote (…) Voglio ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di te stesso” (Pre 6); “Signore (…) sai bene che mai potrei amare le mie sorelle come le ami tu, se tu stesso, o mio Gesù, non le amassi ancora in me (…) Sì, lo sento, quando sono caritatevole, è Gesù solo che agisce in me; più sono unita a Lui, più amo tutte le mie sorelle” (Ms C 290). Per Teresa l’amore gratuito del prossimo prima che essere un comandamento che osserviamo è un dono che accogliamo e che manifesta la presenza di Dio Amore misericordioso.

Sull’amore del prossimo abbiamo ascoltato dal Vangelo la parabola del buon Samaritano. Gesù estende il concetto di prossimo che avevano i suoi contemporanei: per lui il prossimo è ogni uomo che si incontra. E ad ogni uomo che si incontra comanda di fare il bene concreto: “Va’ e anche tu fa’ così”. Implicitamente però questa parabola è anche un ritratto di Gesù stesso.

Le autorità religiose e le élites devote consideravano Gesù un eretico simile ai Samaritani; secondo loro non osservava il Sabato, voleva abolire il culto del Tempio, faceva miracoli con la potenza del demonio per ingannare il popolo e sovvertire la religione: “Non abbiamo forse ragion di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?” (Gv 8, 48). Con questa parabola Gesù sembra voler respingere questa accusa; sembra voler dire: “Voi siete zelanti custodi della legge e del tempio; ma come il sacerdote e il levita della parabola che fanno finta di non vedere il ferito, siete insensibili davanti alle sofferenze del prossimo; non lo aiutate concretamente e non lo amate; perciò non amate neppure Dio e non fate la sua volontà. Voi dite che io sono un Samaritano; ma dovete riconoscere che sono compassionevole verso tutti coloro che soffrono, oppressi dalla malattia, dal peccato, dalla fame, dall’ingiustizia, dalla violenza, dalla morte; dovete riconoscere che io fo il bene e porto la vita”. Di fatto i primi discepoli ebbero l’impressione che in Gesù operasse una meravigliosa potenza, benevola, misericordiosa, liberatrice, dispensatrice di vita. “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10, 38). Così si esprime Pietro nel suo discorso in casa del centurione romano Cornelio. Non sorprende perciò che i Padri della Chiesa abbiano visto in Gesù il Samaritano di tutta l’umanità. Clemente di Alessandria, ad esempio, scrive: “E chi è quel Samaritano se non lo stesso Salvatore? O chi fa maggiore misericordia a noi, quasi uccisi dalle potenze delle tenebre con ferite, paure, desideri, furori, tristezze, frodi, piaceri? Di queste ferite solo Gesù è medico; egli solo sradica i vizi dalle radici” (Clemente Alessandrino, Quis dives 29).

Cristo, buon Samaritano del genere umano, non è solo un modello da imitare. Non ci dà solo l’esempio; ma ci rende partecipi del suo stesso amore, comunicandoci lo Spirito Santo. E’ la sua grazia che ci rende capaci di amare. Quando noi amiamo gli altri e li aiutiamo in modo disinteressato e anche con sacrificio, è Cristo che ci anima mediante il dono dello Spirito e che ama insieme a noi e attraverso di noi.

Scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio” (1Gv 4, 7). Chi ama partecipa alla vita del Figlio di Dio; perciò è anche lui generato come figlio e conosce Dio per esperienza vissuta e non astrattamente per sentito dire. Gesù, il Figlio unigenito, viene a vivere in lui e ad agire e manifestarsi nel mondo attraverso di lui.

Dando il nostro amore gratuito agli altri, noi trasmettiamo loro anche la carità di Cristo; consentiamo a Cristo di incontrarli e di attirarli a sé. Madre Teresa di Calcutta, riguardo a se stessa e alle sue suore, Missionarie della Carità, scrive: “Noi mettiamo le nostre mani, i nostri occhi e il nostro cuore a disposizione di Cristo, perché egli agisca per mezzo nostro”; “Non cerchiamo di imporre agli altri la nostra fede. Cerchiamo solo di fare in modo che i poveri, quali che siano le loro credenze, vedendoci, si sentano attratti verso Cristo”. Evangelizzare è, in definitiva, condividere e irradiare l’amore di Cristo per tutti gli uomini e per tutto ciò che è autenticamente umano; non è conquistare, ma attirare.

Soprattutto oggi, in un tempo di crisi delle dottrine e delle ideologie, l’esperienza concreta è più persuasiva dei discorsi. “Gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro vedere” (Novo Millennio Ineunte 16). Questa indicazione veniva data da Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte al termine del grande Giubileo. A conferma di essa mi piace citare la preghiera trovata nel diario di un giovane italiano, abbandonato dai genitori, cresciuto in un collegio, morto in un incidente a 16 anni. “Signore, se esisti, perché non ti fai vedere da me? Forse pretendo troppo (…) Dicono che l’amore sia una prova della tua esistenza; forse è per questo che io non ti ho incontrato: non sono mai stato amato in modo da sentire la tua presenza. Signore, fammi incontrare un amore che mi porti a Te, un amore sincero, disinteressato, fedele e generoso, che sia un poco l’immagine tua!”.

Domande esistenziali come questa interpellano la responsabilità di noi cristiani. Potremo testimoniare la presenza di Cristo nella misura in cui, animati dal suo Spirito, ci prenderemo cura dei poveri e dei sofferenti come il buon Samaritano; nella misura in cui nelle comunità ecclesiali e nelle famiglie vivremo l’amore reciproco, ricordando la suprema preghiera di Gesù al Padre: “Tutti siano una sola cosa (…) in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21).

Segno credibile di Cristo oggi sembrano essere soprattutto le famiglie cristiane, convinte e felici di essere tali, in cui si vive l’amore uno e indissolubile, fedele e capace di perdono, pronto ad accettare numerosi figli, compresi eventualmente i disabili, impegnati seriamente nella loro educazione, aperto all’ospitalità e alle collaborazioni esterne, sobrio nella prosperità e saldo nelle avversità. Una tale testimonianza controcorrente non lascerebbe indifferenti, ma interpellerebbe efficacemente le coscienze. A riguardo è significativo il proposito che Giovanni Paolo II faceva nella lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente: “In special modo ci si dovrà adoperare per il riconoscimento dell’eroicità delle virtù di uomini e donne che hanno realizzato la loro vocazione cristiana nel matrimonio” (TMA 37). La beatificazione di Louis e Zelie Martin risponde felicemente a questo proposito.

Abbiamo bisogno di santi come protettori da invocare, come modelli da imitare e soprattutto come segni trasparenti della presenza e dell’amore di Cristo. E’ la santità che rende credibile e fruttuosa l’evangelizzazione, perché, come è stato detto, “solo una fiamma può accendere un’altra fiamma” (Leon Harmel).

 

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