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VISITA-PELLEGRINAGGIO
DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI
A LISIEUX

FESTA DEI BEATI LOUIS E ZELIES MARTIN

OMELIA DEL CARDINALE ENNIO ANTONELLI,
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA

Domenica XV del tempo ordinario – C
Lisieux, 11 luglio 2010

 

Sono lieto di essere qui con voi a venerare i Beati Louis e Zelie Martin, genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino. La loro famiglia ha messo in pratica in maniera straordinaria ciò che, secondo il Vangelo di questa domenica, è necessario “per ereditare la vita eterna” ed è sintesi di tutta la legge di Dio: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. In perfetta sintonia con la parabola del buon Samaritano, i coniugi Martin e le loro figlie hanno formato una famiglia ideale, unita e aperta, vivendo intensamente l’amore reciproco tra loro e l’amore sincero verso tutti, specialmente i poveri, i malati, i peccatori, i popoli pagani. Soprattutto Santa Teresa ha abbracciato con la sua appassionata carità i vicini e i lontani, fino a farsi uno con gli empi e i senza Dio nell’abisso della loro solitudine e angoscia.

Nel racconto del Vangelo che abbiamo ascoltato lo scriba domanda a Gesù: “Chi è il mio prossimo!”. Vuole conoscere quali sono i confini dell’amore. Vuole sapere a quale cerchia di persone deve estendersi il dovere di amare: alle persone della propria famiglia? A quelle della propria città? A quelle della propria nazione? A quelle della propria religione?

Con la sua splendida parabola Gesù risponde che l’amore non ha confini; deve estendersi a qualsiasi uomo, specialmente se si trova nel bisogno. “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”. L’unica condizione, perché l’amore diventi concreto e operoso, è che ci sia un incontro con la persona bisognosa, ci sia cioè la possibilità di raggiungerla in qualche modo e aiutarla. “Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui”. Il Samaritano ha compassione; patisce con l’altro; è ferito dalla sofferenza altrui come fosse la propria. Poi agisce come può, con sacrificio, dedicando il suo tempo, offrendo la sua cavalcatura e andando a piedi, spendendo il suo denaro. L’amore è nello stesso tempo atteggiamento interiore e azione esteriore. Come atteggiamento è universale; come azione concreta è necessariamente limitato. Perciò Gesù conclude che importante è “farsi prossimi”, più che sapere chi è il prossimo. “Chi ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti? (…) Chi ha avuto compassione di lui (…) Va’ e anche tu fa’ così”. L’amore deve essere universale; ma non deve rimanere un ideale umanitario astratto. Esso è autentico solo se al momento opportuno sa farsi particolare, concreto e pratico.

Il Comandamento di Dio, sottolinea il testo del Deuteronomio proclamato come prima lettura, non è lontano dalle nostre possibilità, “non è nel cielo”, “non è al di là del mare”; ma “è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu lo metta in pratica”; è nei tuoi discorsi e nella tua capacità di intendere e volere, nella tua ragione e nella tua libertà.

A sua volta il testo della lettera ai Colossesi, proclamato come seconda lettura, aggiunge la motivazione teologica, il fondamento ultimo della apertura universale dell’amore. “Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione (…) Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti (…) E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose”. Cristo è il creatore e il riconciliatore universale. Tutti sono amati da lui che li ha creati e ha versato per loro il suo sangue. Egli ha il primato su tutte le cose; è il capo di tutti gli uomini e specialmente della Chiesa che è misticamente il suo corpo. Egli si fa presente in tutti gli uomini; si fa uno con loro. “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Per questo l’amore del prossimo e l’amore di Cristo e di Dio sono inseparabili. “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il fratello” (1Gv 4, 20-21).

L’amore è apertura universale agli altri che si fa esperienza e impegno pratico nella concretezza delle situazioni. Per questo lo si apprende innanzitutto nella famiglia, che è la cerchia più ristretta e più naturale della prossimità. Il bambino percepisce l’amore dei genitori attraverso il caldo contatto fisico, il suono della voce, la tenerezza dello sguardo e del sorriso, la carezza delle mani, l’essere preso in braccio; prova sensazioni di benessere; è felice di vivere; si sente amato. Allora per lui è spontaneo rispondere all’amore dei genitori con il suo amore verso di loro, con i suoi ineffabili sorrisi, che li fanno felici. Progressivamente impara a farli felici anche con l’obbedienza alla loro volontà, compiendo i loro desideri, imitandoli nell’attenzione preferenziale verso i malati, i poveri e chiunque ha bisogno. D’altra parte anche il bambino provoca i genitori alla tenerezza, all’amore inteso come dono gratuito, all’armonia di coppia, perché vuole essere amato da un padre e una madre che si amano tra loro e soffre terribilmente per la loro conflittualità e più ancora per la loro eventuale separazione.

Per l’interazione di tutti i membri della famiglia si generano molte virtù indispensabili alla coesione e allo sviluppo della società: fiducia, reciprocità, solidarietà, sincerità, fedeltà, capacità di sacrificio, laboriosità, cooperazione, progettualità, sobrietà, propensione al risparmio e molte altre virtù umane e sociali.

“Chi è il mio prossimo?”. In famiglia si impara che il prossimo sono tutti gli uomini a cominciare da quella persona concreta che incontro sulla mia strada. Nella famiglia autenticamente cristiana si impara che il prossimo può essere perfino chi ci è nemico, secondo il bellissimo detto di Sant’Agostino: “Ogni uomo è prossimo ad ogni uomo. E’ uno sconosciuto? E’ un uomo. E’ un nemico? E’ un uomo! Se è un amico, resti amico. Se è un nemico, diventi amico”.

  

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