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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN FRANCESCO D'ASSISI

OMELIA DEL CARD. JAVIER LOZANO BARRAGÁN

Chiesa di Santa Dorotea a Porta Settimiana, Roma
Giovedì, 4 ottobre 2007

 

È a tutti noto che San Francesco d'Assisi sia un Santo caratterizzato dalla virtù della povertà.

Ci troviamo in un mondo dove il profitto è la norma suprema. Si lavora, è vero, si fanno sorprendenti progressi nelle scienze della natura e della società. L'Economia è indispensabile, anzi, la supremazia di un Paese si giudica dal suo reddito economico. Così, i Paesi si dividono tra Paesi ricchi e Paesi poveri. I Paesi ricchi hanno il nome di primo mondo, invece i poveri di terzo mondo.

L'Europa ha fatto grandi progressi verso la sua unificazione, essendo arrivata, in un numero crescente di Nazioni, alla moneta unica. Certo, l'Economia è molto importante, ma basterà per unificare l'Europa? Un'unificazione che non superi l'argento, è possibile?

Gli economisti magari sorrideranno, se qualcuno afferma che l'unica maniera per poter fare arrivare l'Economia al compimento della sua finalità è proprio soltanto la povertà. Questo sembrerebbe un paradosso tanto ridicolo. Infatti, forse sarà così se parliamo della povertà ristretta al campo economico, materiale, ma se troviamo un altro senso per la povertà, anche senza trascurare l'aspetto economico, vedremo che il paradosso diventa l'unico cammino ragionevole.

Questo è il senso della povertà come virtù cristiana, così come l'ha vissuta San Francesco.
La virtù cristiana della povertà non sopprime i beni materiali, ma dà loro il giusto ordinamento. Infatti, la virtù cristiana della povertà implica tre elementi:  piena fiducia in Dio, partecipazione dei beni e, conseguentemente, austerità di vita.

Il primo elemento significa che i beni materiali, i negozi, l'Economia tutta, il denaro, ecc., non sono dei e non dobbiamo adorarli. Quando consideriamo l'Economia come un dio, cioè, come l'ultima meta dell'esistenza, allora sia i Paesi, come le singole persone finiscono in una guerra interminabile, orientata a possedere ogni volta di più. Qui si trova tante volte la radice dei conflitti sul piano individuale, collettivo e nazionale, la radice di tante guerre del passato e d'oggi. Da qui si è originato il motto: "Homo homini lupus". La febbre del possesso rovina tutto. Questo non si rimedia, per esempio, con la socializzazione della proprietà, come si è dimostrato con la caduta del muro di Berlino: dobbiamo cercare la soluzione altrove. Nel Vangelo, il ricco Epulone non viene condannato perché possiede beni, ma perché non li condivide.

E qui entriamo nel secondo elemento della virtù cristiana della povertà:  la partecipazione dei beni. Allora, la virtù cristiana della povertà non significa la carenza dei beni per vivere, questa povertà nessuno la vuole e tutti vogliamo abolirla. E si può proprio abolirla con la partecipazione dei beni, non soltanto di denaro e di proprietà, ma di tutti i beni. Voler bene al prossimo come a se stesso significa che se non vogliamo patire necessità e carenze, lo dobbiamo volere effettivamente anche per i nostri prossimi, e questa effettività significa la condivisione dei nostri beni. Nella vita attuale, privata e sociale, sono tanti i modi che possiamo trovare per attuare una risposta effettiva a questa condivisione. Al primo posto si trova la virtù della giustizia, cioè dare ad ognuno ciò che gli appartiene; non rubare, allontanare completamente ogni classe di corruzione, essere totalmente onesti. Ma andando oltre, anche aldilà della giustizia si trova il precetto evangelico di essere misericordiosi come è misericordioso il nostro Padre del cielo. Dunque, per noi cristiani c'è l'obbligo di essere generosi, di compartire i nostri beni, sia materiali che non, in modo che si lavori per una maggiore uguaglianza. Tante volte ci sentiamo colpiti quando ascoltiamo o guardiamo alla televisione la miseria di tanti Paesi del così detto Terzo Mondo, e vogliamo fare qualcosa, ma senza sapere con certezza che cosa. Ci sono tante necessità, presenti anche a casa nostra.

C'è tanto da fare, e non soltanto nella condivisione economica, molto importante per altro, ma nella condivisione di beni anche non materiali, beni di affetto, di compagnia, di consolazione, di amicizia, di rispetto, ecc., senza però dimenticare l'aspetto economico del quale si parla sempre e che ci fa sperimentare di essere in crisi.

Se veramente, si operasse questa condivisione a tutti i livelli, di sicuro ci troveremmo in una vera unità, che sorpasserebbe una mera unità utopica economica.

Ci troviamo in una società consumistica, nella quale siamo passati dalla così detta cultura dei bisogni alla cultura dei desideri. Consumiamo tante cose non già perché ne abbiamo bisogno, ma perché è di moda, perché sono nuove, perché è il migliore, perché privilegia lo status e dà prestigio. Questo si fa non soltanto per chi possiede tanti beni, ma ad ogni livello, anche di carenze economiche. È una forma di superbia che si nasconde dappertutto. Qui viene il terzo elemento della virtù cristiana della povertà:  l'austerità di vita. Su questa linea il Signore ci offre dei regali, che nella Chiesa si chiamano Carismi. La loro misura dipende dal regalo che ci dà il Signore e dalla risposta che diamo a quei regali. Qui troviamo risposte eroiche oltre ogni misura. Il modello è sempre il Signore che si annientò in maniera tale che, resosi schiavo per noi, ha voluto nascere in una grotta. Un riflesso eroico di questa povertà divina è stato San Francesco d'Assisi, come constatiamo dalla sua vita e dai suoi progetti nella fondazione dei suoi Ordini religiosi. È vero che non tutti possiamo arrivare a quella perfezione, ma è obbligatorio metterci in quella disposizione. Diciamo che, per essere pratici, la misura dell'austerità di vita dipende dalla misura della partecipazione dei beni, il secondo elemento sul quale abbiamo meditato. E dobbiamo capire ancora una volta che non si tratta soltanto della condivisione materiale, ma che, insieme a questa, si devono aggiungere tutte le altre condivisioni menzionate che ci fanno essere più umani, più dediti agli altri, incominciando dalla nostra propria casa, fino ad arrivare a tutto il mondo.

       

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