The Holy See
back up
Search
riga

PENTECOSTE 2000: GIORNATA DI RIFLESSIONE 
SUI DOVERI DEI CATTOLICI VERSO GLI ALTRI: 
ANNUNCIO, TESTIMONIANZA, DIALOGO

Le strade dell'«essere testimoni»: 
missione, servizio, liturgia, ecumenismo, catechesi

 

FELIX A. MACHADO
Sotto-Segretario Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso

Secondo l'evangelista Luca, Gesù diede le sue istruzioni agli apostoli dicendo: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e resuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme» (Lc 24, 46-48). Il Vangelo aggiunge subito dopo che Gesù avrebbe inviato sugli apostoli ciò che il Padre aveva promesso, cioè, lo Spirito Santo (Lc 24, 49). È quindi giusto per noi cristiani riflettere sul tema dell'«essere testimoni» in occasione della festa di Pentecoste in quest'anno giubilare. È per i cristiani un giorno in cui riflettere sui loro doveri verso gli altri, cioè l'annuncio di Cristo, essere suoi testimoni ed impegnarsi nel dialogo con tutti.

Durante l'intero periodo di preparazione sia remota che immediata del Grande Giubileo dell'Anno 2000, la Chiesa ha incessantemente ricordato la sua fede nell'urgenza e nella validità permanente della missione. La totalità della missione cristiana comprende i seguenti elementi: a) la missione è già costituita dalla semplice presenza e dalla testimonianza viva della vita cristiana, b) essa comprende l'impegno concreto al servizio dell'umanità e tutte le forme di attività per lo sviluppo sociale e per la battaglia contro la povertà e le strutture che essa determina, c) include la vita liturgica, ed anche la preghiera e la contemplazione, testimonianze eloquenti di una viva e liberante relazione con Dio vero e attivo che chiama tutti al Suo Regno e alla Sua gloria, d) comprende il dialogo nel quale i cristiani incontrano i seguaci di altre tradizioni religiose per camminare insieme verso la verità e per lavorare insieme in progetti di comune interesse, e) include l'annuncio e la catechesi nei quali la Buona Novella del Vangelo di Gesù Cristo è proclamata e sono analizzate le sue conseguenze per la vita e la cultura (Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-religioso, Dialogo e Missione, 1984, n. 13).

Nel nostro mondo pluralista, la semplice testimonianza di una vita autenticamente cristiana diviene il primo mezzo dell'evangelizzazione. Come dice Papa Paolo VI, «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni» (Evangelii nuntiandi n. 41; cfr anche Rm 42). Vi sono inoltre dei contesti in cui l'annuncio esplicito di Gesù Cristo quale Signore e Salvatore non è possibile. In tali circostanze la testimonianza di una vita rispettosa e casta, la testimonianza del distacco dalle ricchezze, della libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, la testimonianza di santità - anche se offerta in silenzio - è già un compimento del dovere della missione.

Perché non si pensi erroneamente che il dare testimonianza, quale primo elemento dell'evangelizzazione, significhi un atteggiamento di anonimato, di ambiguità, di mediocrità o passività è necessario riflettere su questo tema nel contesto dei tempi apostolici. Il termine màrtus, che deriva dal greco e che significa «colui che dà testimonianza», cominciò ad essere utilizzato alla fine del II e all'inizio del III secolo per le persone battezzate che davano testimonianza a Cristo e al suo insegnamento con l'offerta della propria vita. Gli Apostoli sono coloro che hanno testimoniato Cristo, la sua passione, morte e resurrezione, col sacrificio delle loro stesse vite: «...vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe, comparirete davanti ai governatori e re per causa mia, per rendere testimonianza davanti a loro» (Mc 13, 9; cfr At 22, 17-21).

Lungi dall'implicare un atteggiamento di passività e debolezza, il portare testimonianza, significa quindi partecipare attivamente e pienamente alla vita e alla missione di Cristo, prendendolo come modello. Per essere veri testimoni di Cristo si richiede una fede salda in Gesù ed un coraggio incrollabile. I martiri sono coloro che non solo professano a parole la loro fede ma la confessano, soprattutto, con l'imitare Gesù, il Signore e Maestro, nella volontà di offrire le loro vite.

La storia recente ci ha dato testimonianza di tanti martiri, come ha da poco ricordato il Santo Padre alla cerimonia ecumenica di commemorazione che si è tenuta a Roma, al Colosseo, per far memoria dei vari testimoni di Cristo nel XX secolo. Comunque è anche vero che in normali circostanze, il mondo in cui viviamo non è apertamente ostile al diritto di ciascun individuo alla libertà del credo e della pratica religiosa. Ciò significa che per la maggior parte di noi è difficile immaginare di essere arrestato, condotto davanti a un tribunale e condannato a morte, come una vittima eroica, per il nostro credo e pratica religiosa. Possiamo allora concludere che il martirio sia solo un'eccezione nel nostro mondo contemporaneo? Si sarebbe lontani dal vero. Perché la Chiesa necessita di «testimoni» anche nel mondo d'oggi in cui il male è divenuto endemico e istituzionalizzato. Il mondo attuale è dominato da ateismo, edonismo, materialismo, relativismo, indifferentismo, ecc. Tutti i cristiani sono invitati a rispondere a queste e a molte altre sfide, prima di tutto, con l'essere testimoni. In concreto ciò significa vivere in semplice fedeltà a Dio in mezzo all'odierna società materialista nella quale Dio e i suoi precetti sono spesso messi in ridicolo e resi marginali. Alludendo alla suprema testimonianza di amore per tutti ad imitazione di Cristo, la Lumen gentium esorta i discepoli di Gesù: «"Dio è amore, e chi rimane nell'amore rimane in Dio, e Dio in lui" (1 Gv 4, 16). Ora Dio ha effuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (cfr Rm 5, 5)... Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo» (LG 42). La testimonianza diviene perciò connaturata alla fede cristiana.

Nella nostra società in cui cresce la secolarizzazione, in un mondo che è un complesso di realtà diversificate, un accento sulla «testimonianza» è necessario. Senza staccarsi dal profondo significato teologico del martirio un cristiano è invitato a portare testimonianza oggi con l'essere una persona di carità, misericordia, perdono, riconciliazione e pace. Nella sua Lettera ai Galati Paolo ci ricorda «Il frutto dello Spirito è invece amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (5, 22). Un discepolo di Gesù non deve mai dividere nessuna comunità, non provocare polemiche né incoraggiare controversie. Non si deve provare antipatia per nessuno; piuttosto una gioiosa apertura. Si deve evitare il trionfalismo e mostrare uno spirito umile. Non vi deve essere intolleranza, ma piuttosto un atteggiamento di compassione e comprensione verso tutti. Il cristiano non deve essere socialmente alienato ma piuttosto è chiamato a condividere: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et spes 1). Un discepolo di Cristo vive la tensione del «già» e del «non ancora» del Regno di Dio.

Gesù stesso iniziò a predicare il Regno di Dio proclamando le Beatitudini (Mt 5, 1-12). Ad imitazione di Gesù il suo discepolo è chiamato ad avere un atteggiamento giusto verso il mondo, né accomodante né inutilmente provocatorio. Senza essere del mondo, un discepolo di Gesù è, non di meno, impegnato a rendere il mondo un luogo migliore in cui vivere. «Anche l'impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo» (Redemptoris missio 42).

Un cristiano che desidera rendere testimonianza a Gesù non è solo nel suo pellegrinaggio terreno. Il nostro dialogo con persone di altre religioni ci ha insegnato che come cristiani noi possiamo vivere la nostra fede in maniera più integrale e possiamo essere migliori testimoni di Cristo attraverso la collaborazione con altri credenti. Il decreto Ad Gentes, sull'attività missionaria della Chiesa, esorta i cristiani a comportarsi: «così che gli altri, vedendo le loro buone opere, glorifichino il Padre (Mt 5, 16)... Perché essi possano dare utilmente questa testimonianza di Cristo, stringano rapporti di stima e di carità con questi uomini, e si riconoscano membra del gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prendano parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e sociale; conoscano bene le loro tradizioni nazionali e religiose; scoprano con gioia e rispetto i germi del Verbo in esse nascosti» (AG 11; cfr anche 15). Non ci si attende dai cristiani di oggi un atteggiamento di confronto e di conflitto ma piuttosto uno spirito di collaborazione. Nel messaggio dell'Assemblea interreligiosa, che si è tenuta nell'ottobre 1999 in Vaticano, i partecipanti, appartenenti a diverse tradizioni religiose, hanno dichiarato: «Le persone dovrebbero essere consigliate a proporre agli altri la propria fede attraverso la loro condotta di vita, la qualità delle loro azioni e la loro cura verso gli altri».

Lo Spirito Santo ispira, rende capace e guida ogni cristiano a portare testimonianza come «il sale della terra e la luce del mondo» (Mt 5, 13-14). In un certo senso il gusto del sale è allettante e la funzione della luce è indispensabile nella vita umana; e l'utilità del sale e la necessità della luce nella vita quotidiana non si discutono. Il sale è apprezzato nel cibo e la luce è piacevole per gli occhi solo se entrambi sono presenti nella vita umana nella giusta misura e in maniera discreta. La semplice ma salda testimonianza di Francesco d'Assisi o, ai nostri tempi, quella di Madre Teresa di Calcutta, ci spiega che cosa voleva dire Gesù quando invitava i suoi discepoli ad essere «il sale della terra e la luce del mondo». San Francesco di Assisi è oggi venerato non solo dai cristiani ma anche da molti seguaci di altre tradizioni religiose. Madre Teresa è riuscita a toccare i cuori di milioni di persone del nostro mondo attraverso il potere divino del messaggio che lei proclamava con la testimonianza della propria vita. Musulmani, indù, buddisti, giainisti e parsi si riferiscono a lei come a «una messaggera di Dio». Il desiderio spontaneamente espresso dai leader di queste religioni di pregare al suo funerale è una prova della straordinaria testimonianza che Madre Teresa ha portato al Mistero Pasquale.

Vi sono maniere differenti di rendere testimonianza a Cristo. Se ne può trovare una vasta gamma nella lista di testimoni - da San Pietro, l'Apostolo, Santo Stefano, il protomartire, a Charles de Foucauld, Massimiliano Kolbe, Dietrich Bonhoeffer, Madre Teresa e Graham Staines. Quest'ultimo fu bruciato vivo con i suoi due giovani figli nella loro jeep in India il 23 gennaio 1999. Il Dott. Graham Staines era venuto in India con sua moglie e i tre figli per testimoniare Cristo con l'offerta del suo umile servizio ai lebbrosi. Dopo aver appreso la notizia della morte crudele che suo marito aveva patito per mano di alcuni fondamentalisti religiosi, la Signora Staines ha detto: «Sono estremamente triste, ma perdono gli uccisori. Dio ha concesso a Graham e ai nostri due figli di vivere il tempo a loro destinato. Non ho da lamentarmi...». Essa ha promesso di rimanere in India con sua figlia e di portare avanti il lavoro di suo marito fra i lebbrosi.

La festa di Pentecoste è un'occasione per i cristiani che sono impegnati nella missione evangelizzatrice della Chiesa con il semplice portare testimonianza di rinnovare la loro promessa di fedeltà a Cristo e di essere incoraggiati a proseguire per incontrare il Signore che ha promesso: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).

 

top