The Holy See
back up
Search
riga

PONTIFICIO CONSIGLIO DEI TESTI LEGISLATIVI

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO JULIÁN HERRANZ

Venerdì, 24 gennaio 2003

Giornata Accademica sul tema:
"Vent'anni di esperienza canonica:  1983-2003"

 

Ringrazio l'Eminentissimo Signor Cardinale Angelo Sodano per aver accettato l'invito ad inaugurare questa Giornata commemorativa, che è accademica per la sua impostazione metodologica, ma che - come lo stesso Cardinale Segretario di Stato ha voluto sottolineare con tanta forza e chiarezza - è direttamente collegata al retto esercizio del governo ecclesiastico. Le sue parole e la sua presenza ci fanno avvertire la vicinanza del Santo Padre, del Legislatore del nuovo "Corpus Iuris Canonici", che ci ha comunicato di voler riceverci oggi in speciale Udienza. Tutto ciò costituisce per il Dicastero che presiedo, per le Università ed Atenei Pontifici e per tutti i canonisti un motivo di gratitudine e uno stimolo a proseguire il nostro lavoro con rinnovato impegno nel servizio della Chiesa.

Il 25 gennaio 1983 il Romano Pontefice Giovanni Paolo II promulgava il Codex Iuris Canonici, mettendo così fine al lavoro della Commissione Pontificia per la nuova Codificazione latina che si era protratto durante vent'anni e aveva coinvolto tra i consultori, 125 canonisti di 31 nazionalità e tra i Membri, 182 Cardinali, Arcivescovi e Vescovi di tutto il mondo. Nel commemorare oggi quello storico atto - anche alcuni di voi eravate presenti quel giorno alla Sala del Concistoro del Palazzo Vaticano - vorrei ricordare come al desiderio del Beato Giovanni XXIII che la revisione del Codice fosse "come il coronamento del Concilio" (1) da lui appena annunziato il 25 gennaio 1959 corrispose magnificamente la famosa affermazione di Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica "Sacræ Disciplinæ Leges":  che, cioè, il nuovo Codice è stato frutto di "un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico" la dottrina ecclesiologica del Vaticano II, e che tutti e due, Concilio e Codice, sono scaturiti "da un'unica e medesima intenzione, che è quella di restaurare la vita cristiana" (2). Ne segue una conseguenza immediata, vale a dire che il desiderio di rendere operativa la dottrina con cui lo Spirito Santo ha voluto arricchire la Chiesa nell'ultima assise conciliare passa necessariamente attraverso la dovuta conoscenza e la applicazione fedele del Codice promulgato nel 1983.

Perciò, la natura stessa e la finalità del nostro corpo legislativo - in realtà di qualsiasi legge vigente, allorché la legge non è un testo, ma un ordine della vita sociale espresso in un testo - richiede che una sua commemorazione non si limiti ad una mera rievocazione, come se si trattasse di un'opera d'arte o di un reperto archeologico da contemplare. Il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi decise di organizzare questa "Giornata accademica", d'accordo con la Segreteria di Stato, proprio perché l'anniversario che si commemora offre lo spunto per una riflessione serena sui grandi temi relativi al Diritto canonico che interessano la vita della Chiesa.

Per avviare questa riflessione si è visto necessario dedicare due relazioni, di indole introduttiva, che aiutassero a collocare nella giusta cornice l'opera legislativa del 1983. Prima di tutto occorre inquadrare il nuovo Codice latino nella storia del Diritto canonico; questo è il compito della prima relazione, affidata al Rev.mo Mons. Brian Edwin Ferme, Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Lateranense. Una seconda relazione, a carico del Rev.mo p. Gianfranco Ghirlanda, S.I., Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Gregoriana, situerà la promulgazione del Codice all'interno del magistero sul Diritto canonico di Giovanni Paolo II.

È parso opportuno realizzare in un secondo momento una valutazione sull'attività legislativa e scientifica svoltasi durante il presente ventennio per meglio comprendere l'esperienza della prassi giuridica della Chiesa nello stesso periodo. Ciò si tradurrà in due relazioni:  quella sulla legislazione universale post-codiciale, a carico del Rev.mo Sac. Don Piero Giorgio Marcuzzi, S.D.B., Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Salesiana e l'altra sul ruolo della scienza canonistica nell'ultimo ventennio, tenuta dal Rev.mo p. Velasio De Paolis, C.S., Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università Urbaniana.

Infine, si voleva valutare come la legge ecclesiastica incida in ambiti di capitale importanza della vita della Chiesa, giacché l'obiettivo di questa Giornata è proprio quello di valutare la reale applicazione e conseguente vigenza pastorale del nuovo Codice. A questo scopo è stato affidato al Rev.mo Prof. Eduardo Baura, Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce, il compito di realizzare una riflessione a carattere generale sul tema dei rapporti tra pastorale e diritto nella Chiesa, mentre la trattazione dell'esperienza canonica in quelli che si sono ritenuti i principali ambiti della vita della Chiesa è stata affidata al Rev.mo p. Nikolaus Schöch, O.F.M., Decano della Facoltà di Diritto canonico del Pontificio Ateneo Antonianum, che si occuperà del Diritto canonico nell'ambito del matrimonio e della famiglia e al Rev.mo p. Francisco Ramos, O.P., Decano della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università di s. Tommaso d'Aquino, che prenderà in esame i processi e le sanzioni al servizio della giustizia ecclesiale. La scarsezza di tempo a disposizione ci ha impedito di programmare altre interessanti tematiche, come ad esempio i rapporti tra Codice latino e Codice orientale all'interno dell'unico Corpus Iuris Canonici.

Ringrazio vivamente gli illustri Relatori di questa Giornata per la loro disponibilità a partecipare a questa iniziativa e sono sicuro - anche perché ho già letto i testi - che i loro contributi di ricerca, studio e proposte saranno altamente apprezzati da tutti. Potrà essere preparato un magnifico volume.

Da parte mia, dalla prospettiva della missione specifica che il nostro Pontificio Consiglio è stato chiamato a svolgere in aiuto del munus petrinum, vorrei proporre alcune brevi considerazioni circa il momento attuale del Diritto nella Chiesa. In una situazione simile a quella che ricorre oggi, durante il Simposio tenutosi in questa stessa sede dieci anni fa, in occasione appunto del X anniversario della promulgazione del Codice latino, mi domandavo se si potesse ancora parlare - ne accennavano molti - di crisi del Diritto canonico e, se tale crisi ci fosse, realmente quali ne sarebbero state le cause. Rispondevo allora che non ravvisavo - almeno in riferimento al notevole sviluppo della scienza canonica in seguito al Concilio - alcuna "crisi del Diritto", ma che si poteva piuttosto parlare, con riferimento ad alcuni ambienti o settori ecclesiali, di una "crisi del vivere secondo il Diritto". A mio avviso, questa diagnosi appare valida anche per il momento attuale. Vediamolo brevissimamente.

* * *

Durante il ventennio di vigenza dell'attuale Codice latino sono emerse numerose iniziative che stanno a testimoniare come il Diritto canonico abbia felicemente superato quegli anni dell'immediato post-Concilio in cui veniva messa in dubbio, in determinati settori, perfino la sua stessa ragion d'essere. Infatti, alla data odierna, il nuovo Codice di Diritto canonico - vincolante per il miliardo circa di fedeli della Chiesa latina - è stato già tradotto in 17 lingue (compresi il vietnamita, il cinese, l'indonese, il giapponese ed il coreano), ed è stato pubblicato in oltre 60 edizioni bilingui, con più di un milione di copie. Il nostro Pontificio Consiglio ha sempre aiutato - se a ciò richiesto - negli aspetti d'ordine tecnico.

Oltre al monumentale "Commentario Exegético" del Codice di Diritto canonico, edito all'Università di Navarra con la collaborazione di altri centri accademici, sono stati pubblicate in questi anni 14 prontuari o edizioni commentate, a cura di Università, Conferenze episcopali e Società canonistiche, nonché numerosi manuali, commenti ai singoli Libri del CIC e monografie.

Si può ben dire che questo rinnovamento del Diritto canonico alla luce dell'ecclesiologia del Concilio Vaticano II ha logicamente coinciso con un parallelo rinnovamento della scienza canonica. Esso ha portato, infatti, ad una sua più profonda autocomprensione e ad un suo vigoroso sviluppo, tramite soprattutto l'attività docente e di ricerca delle 31 Facoltà e Istituti di Diritto canonico e delle 18 Società canonistiche esistenti nella Chiesa latina.

Quanto alla attività legislativa, oltre a quella che verrà elencata nell'ampia Relazione sulla legislazione universale emanata dalla Santa Sede in questi 20 anni, è anche necessario ricordare lo sviluppo delle Conferenze episcopali e della loro legislazione particolare. Infatti, il Consiglio per i Testi Legislativi - a richiesta delle Congregazioni per i Vescovi e per l'Evangelizzazione dei Popoli - ha riveduto sotto l'aspetto tecnico-giuridico 103 Statuti di Conferenze episcopali nonché 1186 loro Decreti generali, complementari della legislazione codiciale.

* * *

Tuttavia, assieme a questa positiva valutazione dello sviluppo del Diritto canonico nel ventennio trascorso, ritengo che un esame realistico dell'esperienza canonica nella vita quotidiana della Chiesa ci porti a scorgere ancora la sussistenza in certi settori di una "crisi del vivere secondo il Diritto". Mi riferisco all'atteggiamento, se non teorico almeno pratico, che non valuta sufficientemente la portata morale e la necessità pastorale della legge ecclesiastica, e non percepisce, quindi, la sua funzione di orientamento delle condotte personali e di tutela della comunione ecclesiastica secondo giustizia. A mio avviso, tre continuano ad essere le cause di questa crisi:  i riflessi intraecclesiali dell'ideologia democratica nell'ordinamento sociale, l'indebolimento del senso di obbligatorietà morale del Diritto canonico e, infine, la talvolta mancante organicità del ministero pastorale. Vorrei soffermarmi, sia pure brevemente, su quest'ultima causa, quando cioè nell'esercizio dei tria munera si tenda ad eclissare il munus regendi.

Ricorda il Concilio Vaticano II che i Vescovi, quali successori degli Apostoli, presiedendo in luogo di Dio il suo gregge, esercitano la triplice funzione di essere "maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo" (3). Ne deriva che un buon Pastore non è colui che esercita solo uno o due aspetti della sua missione e ne trascura un altro. I tria munera formano - mi sia permesso l'esempio - come un tripode, il quale, se venisse a mancargli uno dei sostegni, cadrebbe per terra.

Del resto, l'organicità dell'ufficio episcopale è tale da potersi affermare che - pur nella triplicità delle funzioni - esiste in realtà un'unica missione, quella di pascere il gregge di Dio rappresentando - nel senso più forte dell'espressione - lo stesso Cristo Pastore. Tale considerazione porta a concludere che quando si trascura uno dei tre ambiti del munus pascendi, non si sta compiendo col necessario rigore la missione di Pastore che Cristo ha affidato agli Apostoli e ai loro successori.

Per quanto riguarda concretamente il munus regendi, la "Lumen gentium" puntualizza così:  "I vescovi reggono le chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità (...) In virtù di questo potere i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato" (4). Appare dunque necessario creare una cultura ecclesiale in cui venga sempre più apprezzato l'esercizio della sacra potestas ed essa sia percepita - nella sua completezza - quale parte essenziale del compito che i sacri Pastori hanno di condurre il Popolo di Dio verso la salvezza.

Un aspetto del munus regendi è, quindi, quello riferito alle leggi:  cioè, promulgare le leggi necessarie e curare la loro applicazione, come peraltro è stabilito al can. 392, 2, il quale ricorda che ogni Vescovo diocesano "poiché deve difendere l'unità della Chiesa universale, è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche".

Affinché ciò venga meglio compreso nella Chiesa è compito nostro, dei canonisti, mettere più in evidenza anche la dimensione pedagogica, e quindi pastorale, della legge ecclesiastica, nonché la sua funzione di garante della giustizia e della communio. Sono proprio l'esperienza di questo ventennio e le circostanze attuali della vita ecclesiale ad evidenziare la necessità, che è anche un diritto dei fedeli, di un adeguato servizio gerarchico alla giustizia intraecclesiale. Senza leggi promulgate ed applicate, senza i processi e le sanzioni qualora si rendano necessarie, senza uno sforzo quotidiano dei sacri Pastori nella tutela della giusta disciplina e della giusta libertà quale parte importantissima del loro munus regendi, gravi ingiustizie possono infiltrarsi nella vita della Chiesa, al punto di costituire grossi problemi pastorali e perfino veri motivi di scandalo, al punto di confondere le coscienze ed allontanare da Cristo molte persone.

Naturalmente è presupposto di una corretta applicazione della disciplina ecclesiastica che essa sia ben conosciuta, almeno nei suoi tratti fondamentali. Non si tratta evidentemente della cognizione esauriente delle leggi, poiché, come si sa e ben ammoniva il giurista romano Celso: "scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem" (5). Si tratta invece di comprendere la ragion d'essere del diritto nella Chiesa, il che porta a sua volta al desiderio di conoscere l'essenza degli istituti canonici più importanti, cogliere il loro fondamento teologico e la loro valenza pastorale, ed essere coscienti della obbligatorietà anche morale di rispettare e tutelare l'ordinamento giuridico della Chiesa.

In questo senso, sembra evidente la necessità di perfezionare lo studio del Diritto canonico nei seminari. Di recente è stata decretata la riforma del piano di studi nelle Facoltà di Diritto canonico, ciò che contribuirà indubbiamente ad una migliore preparazione dei futuri canonisti, ma diventa altrettanto importante che tutti coloro che hanno una responsabilità pastorale - in primo luogo, i sacerdoti che hanno affidati uffici con "cura animarum" - godano di una buona conoscenza delle leggi della Chiesa. In questo senso, appare auspicabile che vengano rivedute e perfezionate non poche delle rationes institutionis sacerdotalis, attualmente in atto a livello di Conferenze episcopali.

Non è certo meno importante per la vita della Chiesa in generale e per il bene delle anime l'attività giudiziale, anche essa facente parte del munus pascendi. A questo proposito vorrei soltanto ricordare la responsabilità che spetta al Vescovo diocesano di governare la Chiesa particolare affidatagli anche con la potestà giudiziaria (6). Per motivi di praticità, ma anche per meglio tutelare la figura del Vescovo quale Pastore, la disciplina canonica prevede la costituzione di un Vicario giudiziale con potestà ordinaria per giudicare e di un tribunale (7), ma rimane sempre il principio che il giudice di una diocesi è il Vescovo (8) e che "il Vicario giudiziale forma un unico tribunale con il Vescovo", e ciò per ragioni sostanziali di natura teologica. In altri termini, il Vescovo diocesano non può eludere la grave responsabilità che ha in questa delicata materia, appellandosi magari alla sua complicazione tecnica, ma deve tener sempre presente che i giudici esercitano una potestà di natura vicaria, cioè a nome suo, del Vescovo. Spetta dunque al Pastore diocesano vigilare affinché l'amministrazione della giustizia sia fatta a norma del diritto e curare che vengano formati e nominati per questo compito i necessari giudici.

Le sintetiche considerazioni testé proposte, sebbene evidenzino insieme ai molti aspetti positivi anche alcuni preoccupanti, costituiscono in realtà un richiamo alla responsabilità dei canonisti per far comprendere l'importanza del diritto - come ordine di giustizia e, perciò, primaria esigenza della carità - nella  vita  della  Chiesa.  Giovanni  Paolo II, il Legislatore del nuovo Corpus Iuris Canonici, ha ricordato che la giustizia non è soltanto "principio fondamentale dell'esistenza e della coesistenza degli uomini, come anche della comunità umana", ma è pure "principio dell'esistenza della Chiesa, quale Popolo di Dio" (9). In questa giustizia intraecclesiale, parte essenziale della caritas pastoralis, trova il suo perenne fondamento la "magna disciplina Ecclesiae", la cui tutela e promozione fu l'impegno preso dai due ultimi Papi nei loro rispettivi primi messaggi al mondo (10).


1) B. Giovanni XXIII, Discorso ai Cardinali radunati nella Basilica di san Paolo, 25-01-59, in AAS 51 (1959), p. 68.

2) Giovanni Paolo II, Cost. Apost. Sacræ Disciplinæ Leges, in AAS 75 (1983), Pars II, p. VIII.

3) Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 20.

4) Ibidem, n. 27.

5) Dig. 1.3.17 (Celsus).

6) Cfr can. 391 1.

7) Cfr cann. 1420 a 1423.

8) Cfr can. 1419 1.

9) Allocuzione, 8-XI-1978, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. 1 (1978), p. 109.

10) Cfr Giovanni Paolo II, Ad gravissimum munus, in AAS 70 (1978) p. 695; Id., Unum solummodo verbum, in ibidem, p. 924.

       

top