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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II PER LA CELEBRAZIONE
DELLA XXXVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

INTERVENTO DI S.E. MONS. RENATO R. MARTINO

Martedì, 17 dicembre 2002

La considero una grazia particolare del Signore quella di iniziare il mio mandato come Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, presentando il Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II per la prossima Giornata Mondiale della Pace, che è tutto dedicato a fare memoria e a riproporre all'attenzione di tutti l’insegnamento della storica Enciclica Pacem in terris, del beato Giovanni XXIII. Il Messaggio papale, infatti, porta il seguente titolo: "Pacem in terris: un impegno permanente" e intende ricordare il 40° anniversario dell’Enciclica che fu resa pubblica l'11 aprile del 1963, esattamente il Giovedì Santo durante la Settimana in cui la Chiesa celebra il Mistero della Crocifissione, della Morte e della Risurrezione del Suo Signore, Mistero che è fonte inesauribile di salvezza per tutto l'uomo, di autentica liberazione per ogni uomo, di pace vera per la famiglia degli uomini.

Il contesto storico della Pacem in terris

Il Messaggio del Santo Padre si apre con due puntuali riferimenti storici che forniscono, in qualche modo, il quadro in cui andò a collocarsi la Pacem in terris (n. 2). Dopo aver constatato che "il mondo a cui Giovanni XXIII si rivolgeva era in un profondo stato di disordine", il Santo Padre ricorda che, solo due anni prima, nel 1961, veniva eretto il "muro di Berlino", che non solo divise la città di Berlino, ma rappresentò per l'umanità l’espressione di due concezioni differenti di comprensione e di costruzione della città terrena: "Tanto come visione del mondo quanto come concreta impostazione di vita, quel muro attraversò l'umanità nel suo insieme e penetrò nel cuore e nella mente delle persone, creando divisioni che sembravano destinate a durare per sempre" (n. 2).

Il muro di Berlino ci insegna che le divisioni e le rivalità portano alla segregazione, alla discriminazione, al disprezzo dei diritti umani e perfino ai conflitti interni ed internazionali.

L'altro riferimento storico richiamato dal Santo Padre è quello della crisi dei missili a Cuba, che portò l'umanità sull'orlo di una guerra nucleare e rese oltremodo manifesta la costante pericolosità della condizione di "guerra fredda" in cui l'umanità era condannata a vivere, "costantemente sottoposta all'incubo che un'aggressione o un incidente potessero scatenare da un giorno all'altro la peggior guerra di tutta la storia" (n. 2).

La crisi dei missili a Cuba mise in risalto il richiamo sempre più urgente al disarmo, nucleare e convenzionale. In questo contesto, la recente decisione di Cuba di accedere sia al Trattato della Non-Proliferazione nucleare sia a quello di Tlaltelolco è di buon augurio ed è un altro incentivo per l'eliminazione totale degli armamenti nucleari, che sono "incompatibili con la pace che cerchiamo per il secolo XXI". Con l'accessione di Cuba al NPT sono ora 188 gli Stati Parti al Trattato. Rimangono ora solo Israele, India e Pakistan, tra gli Stati Membri dell'ONU, che devono ancora accedere al Trattato.

Dentro questo scenario storico, carico di drammatiche prospettive per la pace nel mondo, la Pacem in terris costituì un decisivo momento di rottura perché riaffermò il fondamentale valore della pace come aspirazione della gente di ogni parte della terra a vivere in sicurezza, giustizia e speranza. Giovanni XXIII, soprattutto, intravide che, nella storia del suo tempo, erano all'opera una serie di spinte profonde di segno positivo e nuovo: "Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c'era qualcos'altro all'opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse come il promettente inizio di una "rivoluzione spirituale" (n. 3).

Su questa ferma fiducia nel valore della pace e nella possibilità di realizzarla, il beato Giovanni XXIII ne espose le condizioni essenziali in quattro precise esigenze dell'animo umano: la verità, la giustizia, l'amore e la libertà, sulle quali il Santo Padre Giovanni Paolo II si sofferma, fornendo per ciascuna di esse una decisa e puntuale definizione che risulta utilissima per comprendere il significato della proposta cristiana sul tema della pace (n. 3).

Gli insegnamenti del Messaggio di Giovanni Paolo II

Dopo aver illustrato il contesto storico in cui fu pubblicata la Pacem in terris, e aver riproposto i quattro pilastri su cui deve poggiare la convivenza umana, il Messaggio di Giovanni Paolo II entra nel merito di alcune tematiche sulla pace che sono particolarmente attuali. Lo fa con un approccio tematico e metodologico alla Pacem in terris che gli consente, da una parte di evidenziare l'influenza che l’Enciclica esercitò nei processi storici che seguirono alla sua pubblicazione e, dall'altra parte, di attualizzarne il Messaggio, aggiornandolo alle esigenze del mondo presente. In questa mia presentazione, desidero soffermarmi su alcuni di questi punti, che furono espressione di una "rivoluzione spirituale" che chiede ancora di essere continuata e completata.

A) In primo luogo, mi pare assai rilevante la connessione che il Santo Padre coglie tra la consapevolezza dei valori spirituali (il Papa parla anche di "sensibilità spirituale") e le conseguenze pubbliche e politiche che tale consapevolezza può avere. Tale connessione ha dimostrato storicamente tutta la sua rilevanza soprattutto sul terreno dei diritti umani. La crescente consapevolezza spirituale della dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali, che andava manifestandosi al tempo di Giovanni XXIII, avrebbe avuto, pochi anni dopo, una pubblica e storica conferma in quel che sarebbe avvenuto nell'Europa centrale ed orientale. La stessa "sensibilità spirituale" che "ogni essere umano è uguale in dignità" sarebbe all'origine di quei movimenti per i diritti umani, "che diedero espressione politica concreta a una delle grandi dinamiche della storia contemporanea" (n. 4). L'insegnamento che ci viene proposto in questo n. 4, rilevantissimo per i criteri di discernimento che presenta e per l'originale e innovativa ermeneutica della storia contemporanea che elabora, è, in sintesi, questo: una rivoluzione è autentica se nasce da una "rivoluzione spirituale" sostanziata dalla convinzione che la pace è possibile se la sua promozione passa attraverso la consapevolezza della dignità di ogni essere umano e del valore dei diritti umani: "pace e progresso possono essere ottenuti solo attraverso il rispetto della legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo".

B) Il secondo punto che il Messaggio di Giovanni Paolo II sottolinea in tutto il suo spessore profetico è l'elaborazione di un concetto di bene comune - principio classico della dottrina sociale - dentro un orizzonte mondiale, proponendo pertanto il concetto di "bene comune universale". Ognuno di noi, che quotidianamente ci confrontiamo con il fenomeno della globalizzazione, può facilmente rilevare la portata morale e culturale che ebbero sul piano storico le fortunate intuizioni di Giovanni XXIII. Tali intuizioni comportavano l'evidente esigenza di un'autorità pubblica a livello internazionale che potesse "disporre dell'effettiva capacità di promuovere tale bene comune universale" e che faceva guardare con speranza al possibile ruolo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, fondata nel 1945, e della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo, del 1948.

Il fenomeno della globalizzazione richiede anche un maggior accento sul multilateralismo e sull'interdipendenza degli Stati nelle vicende socio-politiche. Questo contribuirà anche all'incremento della fiducia nelle relazioni multilaterali che potrà condurre ad una pace più solida e duratura, scaturita dall'autentica convinzione che la pace è soprattutto un bene comune universale. Da qui potrà emergere anche il rispetto per gli impegni assunti dagli Stati a livello internazionale.

Nell'ottobre del 1965, in occasione della sua visita all'ONU a New York, il Papa Paolo VI, facendo riferimento alla Pacem in terris, ribadì che l'Organizzazione delle Nazioni Unite era fondata al fine di promuovere l'amore fraterno tra tutti i popoli, di fomentare gli ideali dell'umanità basati sulla speranza, e per avanzare il progresso della società umana. Infatti, per commemorare quella visita del Papa, l'ONU pubblicò un volume intitolato "Never Again War! -The visit of His Holiness Pope Paul VI to the United Nations 4 October 1965", in cui è incluso anche il testo dell'Enciclica Pacem in terris. Questo significa quanto l'ONU apprezzi il messaggio dell'Enciclica. Infatti, anche Giovanni Paolo II nel suo discorso all'ONU, il 2 ottobre 1979, fece riferimento all'insegnamento della Pacem in terris.

In questa prospettiva, il Santo Padre Giovanni Paolo II, facendo tesoro dell'insegnamento della Pacem in terris e, nello stesso tempo, aggiornandolo alle esigenze attuali, propone alla nostra considerazione tre questioni particolarmente rilevanti.

1) l'invito alla Comunità internazionale a superare le esitazioni per dare piena realizzazione ad un'autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace;

2) l'invito a promuovere tutti i diritti umani fondamentali per tutti gli uomini, riducendo la forbice tra "una serie di nuovi «diritti» promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti in situazioni di "sottosviluppo";

3) l'invito a coltivare non solo la consapevolezza dei diritti ma anche la consapevolezza dei doveri: "Una più grande consapevolezza dei doveri umani universali sarebbe di grande beneficio alla causa della pace, perché le fornirebbe la base morale del riconoscimento condiviso di un ordine delle cose che non dipende dalla volontà di un individuo o di un gruppo" (n. 5). Questo invito mi sembra quantomai interessante e ricco di significative implicazioni e promettenti sviluppi futuri.

C) Il terzo ambito piuttosto articolato, su cui si sofferma il Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II, è quello che potremmo riferire alla "questione morale" o, meglio, a superare, a tutti i livelli nazionali e internazionali, la separazione tra le esigenze della morale e quelle politiche. A questo riguardo, Giovanni Paolo II, confermato il valore dell'insegnamento della Chiesa sulla pace inteso con Sant'Agostino come tranquillitas ordinis, pone due provocatori interrogativi: "Che ci sia un grande disordine nella situazione del mondo contemporaneo è constatazione da tutti facilmente condivisa. L'interrogativo che si impone è perciò il seguente: quale tipo di ordine può sostituire questo disordine, per dare agli uomini e alle donne la possibilità di vivere in libertà, giustizia e sicurezza? E poiché il mondo, pur nel suo disordine, si sta comunque «organizzando» in vari campi (economico, culturale e perfino politico), sorge un'altra domanda ugualmente pressante: secondo quali principi si stanno sviluppando queste nuove forme di ordine mondiale?".

A partire da questi due interrogativi, il Santo Padre sollecita risposte adeguate a una serie di diffuse esigenze:

1) il problema della pace rettamente intesa non può prescindere da questioni legate ai principi morali, soprattutto quelli connessi all'affermazione della dignità e dei diritti umani;

2) la costituzione di una nuova organizzazione dell'intera famiglia umana, che non va fraintesa con la costituzione di un super-stato globale, ma, piuttosto, va identificata con il dare concretezza all'esigenza morale presente nell' "universale domanda di modi democratici nell'esercizio dell'autorità politica, sia nazionale che internazionale, come anche alla richiesta di trasparenza e di credibilità ad ogni livello della vita pubblica" (n. 6);

3) un più sostanzioso legame tra morale e politica: "La politica è un'attività umana; perciò anch'essa è soggetta al giudizio morale. Questo è vero anche per la politica internazionale". Anche le politiche internazionali non possono collocarsi in una sorta di «zona franca» in cui la legge morale non avrebbe alcun potere (n. 7). Il legame tra morale e politica è particolarmente rilevante e attuale se viene valutato a partire dalla situazione di lotta fratricida presente nella Terra Santa. Il Santo Padre ci fa capire che la soluzione di quella lotta, oltre che politica, deve essere prima di tutto e soprattutto morale: "Finché coloro che occupano posizioni di responsabilità non accetteranno di porre coraggiosamente in questione il loro modo di gestire il potere e di procurare il benessere dei loro popoli, sarà difficile immaginare che si possa davvero progredire verso la pace. La lotta fratricida, che ogni giorno scuote la Terra Santa contrapponendo tra loro le forze che tessono l'immediato futuro del Medio Oriente, pone l'urgente esigenza di uomini e di donne convinti della necessità e dei diritti della persona. Una simile politica è per tutti incomparabilmente più vantaggiosa che la continuazione delle situazioni di conflitto in atto" (n. 7).

Purtroppo, noi Cristiani che stiamo preparandoci alla celebrazione della nascita del Principe della Pace, Che venne a donare all'umanità intera una pace fondata sulla verità, la giustizia, l'amore e la libertà, così come la descrisse il Beato Giovanni XXIII, vediamo con dolore che la Città di Betlemme, scelta dal Principe della Pace come luogo prediletto della sua nascita in questo mondo, è ancora minacciata dalla violenza e dal terrore. Ci auguriamo quindi che il messaggio-appello di pace che il Santo Padre Giovanni Paolo II lancia oggi agli uomini di buona volontà possa toccare i cuori di tutti coloro che sono chiamati a diventare operatori ed artefici della pace al fine di promuovere e consolidare una cultura della pace in questo nuovo millennio, basata sul rispetto della vita, sui diritti umani e sulle libertà fondamentali, e sulla cessazione di ogni tipo di violenza e terrore, e su un rinnovato impegno in favore di una soluzione pacifica dei conflitti nel mondo;

4) l'affermazione del legame inscindibile tra l'impegno per la pace e il rispetto della verità, soprattutto il rispetto degli impegni presi. A questo riguardo, il Santo Padre sottolinea l'esigenza di dare esecuzione agli impegni assunti verso i poveri: "Particolarmente frustrante sarebbe infatti, nei loro confronti, il mancato adempimento di promesse da loro sentite come di vitale interesse. In questa prospettiva, il mancato adempimento degli impegni con le nazioni in via di sviluppo costituisce una seria questione morale e mette ancora più in luce l'ingiustizia delle disuguaglianze esistenti nel mondo. La sofferenza causata dalla povertà risulta drammaticamente accresciuta dal venir meno della fiducia. Il risultato finale è la caduta di ogni speranza. La presenza della fiducia nelle relazioni internazionali è un capitale sociale di valore fondamentale" (N. 8).

Se il nuovo nome della pace è lo sviluppo, il disarmo per lo sviluppo dovrebbe diventare più necessario ogni giorno. Basti ricordare che a livello globale oltre 800 miliardi di dollari vengono spesi attualmente per gli armamenti, anche da vari paesi in via di sviluppo. Certamente, non si potrà eliminare la fame finché nel mondo si investono tanti miliardi di dollari all'anno in spese militari. I paesi sviluppati, che sono quelli che più spendono in armi e quelli che vendono le armi ai poveri, hanno la responsabilità di fare in modo che queste risorse vengano destinate allo sviluppo, e non alla guerra. Infatti, se non si procede al disarmo, sarà disarmata la pace.

Dopo l'11 settembre, la pace è minacciata anche dal "cancro" del terrorismo internazionale, che ora mette in pericolo in modo imprevedibile la stabilità e la sicurezza a livello nazionale, regionale ed internazionale. Però, la lotta contro il terrorismo mai dovrà essere combattuta a spese dei diritti umani ed umanitari. Recentemente, Giovanni Paolo II, ricevendo sette nuovi ambasciatori, ha lanciato un preoccupante appello: "La risposta al terrorismo e alla violenza non è mai altra violenza. La pace non è debolezza, ma forza".

Conclusione

Il Messaggio si conclude con un invito a coltivare un'adeguata cultura e spiritualità della pace, perché essa non è tanto questione di strutture, pur necessarie, ma di persone. Una coltivazione a cui sono chiamati tutti gli uomini e le donne del nostro tempo, con i loro innumerevoli gesti di pace. Il Santo Padre, nel chiedere concreti gesti di pace, invita tutti a dare un efficace contributo alla pace. Nella prospettiva cristiana, la realizzazione della pace, infatti, non riguarda solamente le istituzioni nazionali o internazionali, ma è anche la responsabilità di ogni uomo e di ogni donna, in modo personale. Ognuno di noi, nel proprio ambiente professionale, deve pertanto sentire il grave dovere di incrementare la pace con gesti personali di pace. Anche le religioni, nello spirito di Assisi, vengono invitate a concentrarsi su ciò che è loro proprio: "l'apertura a Dio, l'insegnamento di una fratellanza universale e la promozione di una cultura di solidarietà" (n. 9).

All'inizio di un nuovo anno, il Santo Padre Giovanni Paolo II fa suo l'invito della Pacem in terris che richiamava tutti gli uomini e le donne al dovere di compiere l' "ufficio nobilissimo" della pace, anche se "immenso", e di "ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà" (n. 10).

Il Santo Padre chiede, inoltre, che il quarantesimo anniversario della Pacem in terris sia per tutte le comunità ecclesiali un'occasione propizia per organizzare adeguate celebrazioni e iniziative, anche di natura ecumenica e interreligiosa, che consentano uno sviluppo della consapevolezza circa l’improrogabile necessità di realizzare la pace. A questo riguardo, anche il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace farà la sua parte.

          

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