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CATECHESI DELL'ARCIVESCOVO CRESCENZIO SEPE, 
NELLA PARROCCHIA DEL GESÙ DIVIN MAESTRO

Mercoledì 16 agosto 2000

"Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio" (Is 9, 1-2a).

Questo bambino, preannunciato dal Profeta Isaia, è veramente nato a Betlemme, duemila anni fa, dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo.

Questa nascita ci è narrata dal discepolo di S. Paolo, l'Evangelista Luca, il quale alla maniera degli storici greci, dimostra la sua preoccupazione di storico imparziale nel raccontarci tutti i particolari di questo Evento unico. Noi tutti già li conosciamo:  Editto dell'imperatore Cesare Augusto; il viaggio di Giuseppe e Maria da Nazareth di Galilea a Betlemme della Giudea; la mangiatoia; la visita dei pastori ecc... . Anche Matteo ci fornisce dei particolari, elaborando la genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo.

Dopo otto giorni, nel rito della circoncisione, al bambino fu posto il nome di Gesù, come aveva annunciato l'angelo. Gesù significa Salvatore, ad indicare la missione che egli doveva compiere, cioè la salvezza degli uomini, come specifica Matteo:  "egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo è accaduto affinché si adempisse quanto fu annunciato dal Signore per mezzo del profeta che dice:  "Ecco una Vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele che significa con-noi-è-Dio" (Mt 1, 22-23).

Ma chi è veramente questo Bambino? Questa è la risposta di S. Giovanni:  "È il Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1, 14).

Dunque:  il bambino nato a Betlemme duemila anni fa è il figlio Unigenito che il Padre ha mandato nel mondo e che si è fatto uomo per diventare il Dio-con-noi, salvare gli uomini dai loro peccati e ricondurli alla casa del Padre.

Ciò avvenne quando si verificò, come dice S. Paolo, la "pienezza dei tempi". Questo bambino, infatti, è stato preceduto da un tempo e da una storia, che chiamiamo "sacri" perché registrano gli interventi di Dio che ha operato "mirabilia" nel popolo che egli si scelse per preparare la venuta del Figlio in mezzo a noi.

La pienezza dei tempi significa anche che la nascita segna una novità assoluta sia quanto al tempo, che prende inizio, e diventa un tempo "Cristiano", per cui si comincia a conteggiare il nuovo tempo come "prima di Cristo" e "dopo Cristo"; sia quanto alla storia, perché con la nascita del bambino Dio non parla più a un solo popolo, ma a tutte le Nazioni e, soprattutto, perché Dio non parla e agisce più attraverso profeti o messaggeri, ma direttamente e personalmente, con la parola e i gesti del suo stesso figlio.

La nascita, pertanto, di Gesù costituisce il grande Evento, il Kairòs unico e definitivo che ha creato una "cesura" tra quello che era il Vecchio e il Nuovo. Si stabilisce, infatti, una nuova Alleanza, si realizza un nuovo Testamento, che durerà fino alla fine dei secoli.

Ma esiste un aspetto molto importante, direi vitale, da sottolineare per comprendere il significato di questa nascita. Quello che è avvenuto duemila anni fa, avviene ancora oggi; l'evento continua oggi e continuerà sempre, perché il Cristo nato, morto e risorto, continua a vivere:  egli è il vivente ed è lo stesso di ieri, di oggi e di domani.

Come è possibile tutto questo? Come si realizza la promessa che lo stesso Cristo ha fatto:  io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine dei tempi? Gesù è ancora oggi l'Emmanuele il Dio-con-noi?
In realtà, Cristo non ci ha lasciato in eredità solo un insegnamento o un testamento fatto di buone norme di vita, ma ci ha dato se stesso, la sua parola viva, il suo Corpo, il suo Sangue, la sua divinità:  "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue". Questo mistero è grande ed è comprensibile solo con la fede e l'amore che lo ha determinato.

In realtà non sempre gli uomini, lungo questi duemila anni, l'hanno compreso e accettato. Fin dall'inizio, questa novità portata da Cristo fu ridicolizzata dai pagani, come il filosofo Celso, il quale paragonava i cristiani a delle ranocchie che gracchiano, asserendo che il loro Dio si è fatto uomo. Ma anche oggi esistono molti Celsi che, con argomentazioni razionalistiche o di carattere immanentistico e naturalistico, qualificate di scientismo, dicono di non poter accettare che un Dio, seppure esiste, possa farsi uomo.

Ma qui entra in campo il problema fede che trova una sua spiegazione "ragionevole" nella verità dell'Amore.

Il nostro Dio non è un Dio chiuso nella sua trascendenza, lontano, inavvicinabile, vendicativo, ma è un Dio-Amore, che ci ha creati per Amore, ci ha redenti inviando il suo Figlio Unigenito che, per amore, ha dato la sua vita per noi. È il Dio-con-noi, venuto ad abitare in mezzo agli uomini perché noi fossimo con-Dio. È la realtà della nostra vita, è la vocazione alla quale tutti siamo chiamati, come lo esplicita chiaramente S. Agostino:  "Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio".

In questo auto-manifestarsi di Dio scopriamo il senso e il valore della nostra vita. In realtà il nostro esistere non è un fatto dovuto al caso o ad una necessità biologica. Il nostro vivere oggi ha la sua origine nell'eterno amore di Dio che, da sempre, ci ha pensati, amati e voluti. Certamente, sappiamo che abbiamo iniziato ad esistere in un determinato giorno, anno, in una determinata famiglia, paese, cultura. Ma il nostro essere è stato sempre in Dio che, per puro amore, ci ha dato l'esistenza in un particolare tempo e luogo.

Ma l'amore di Dio non si è fermato alla sola nostra creazione. Ha anche voluto che nel nostro vivere nel mondo non fossimo lasciati soli, ma ci ha messo accanto il suo stesso Figlio, perché ci accompagnasse in tutti i nostri passi. È questo l'Emmanuele, il Dio-con-noi, l'amico, il fratello che ci ha conquistato non con vane parole o con promesse inutili, ma col proprio sangue, donando la vita per noi.

Con Gesù Cristo, cari giovani, noi non siamo soli perché, avendo ricevuto il Battesimo, siamo uniti a lui in maniera totale e definitiva. Nella nostra anima scorre lo stesso sangue, la stessa vita di Cristo:  siamo diventati, in lui, figli dello stesso Padre, coeredi del suo regno, per cui possiamo gridare:  abbà, Padre; Padre nostro che sei nei cieli...

Scrive il Santo Padre nella lettera a voi indirizzata in occasione di questo Giubileo:  "Ciò che contrassegna la fede cristiana, rispetto a tutte le altre religioni, è la certezza che l'uomo Gesù di Nazareth è il figlio di Dio, il Verbo fatto carne, la seconda Persona della Trinità venuta nel mondo. Questa è la gioiosa convinzione della Chiesa dall'inizio, allorché canta "il grande mistero della Pietà":  Egli si è manifestato nella carne (Catechismo della Chiesa Cattolica, 463). Dio, l'invisibile, è vivo e presente in Gesù, il Figlio di Maria, la theotokos, la Madre di Dio. Gesù di Nazareth è Dio-con-noi, l'Emmanuele:  chi conosce lui conosce Dio; chi vede lui, vede Dio; chi segue lui, segue Dio; chi si unisce a lui, si unisce a Dio (Gv 12,44-50). In Gesù, nato a Betlemme, Dio sposa la condizione umana e si rende accessibile, facendo alleanza con l'uomo" (n. 2).

La vostra condizione di giovani vi unisce a Cristo. Ma, vi domando, conoscete Cristo esistenzialmente, lo vedete, lo seguite concretamente in tutte quelle situazioni che fanno parte del vostro essere giovani, nelle vostre e gioie e nei vostri dolori, nelle fatiche e nelle speranze, nelle illusioni e disillusioni, nel lavoro e nello studio, negli scoraggiamenti e nelle incomprensioni, nei successi e negli insuccessi, nello sforzo di un continuo cambiamento personale e sociale, nelle paure e negli ostacoli che la società in cui viviamo vi presentano quotidianamente? In una parola:  qual'è il mezzo per essere giovani e giovani cristiani oggi? La risposta è che per essere giovani cristiani dobbiamo avere lo sguardo sempre fisso su Cristo crocifisso e Risorto. "Quindici anni fa, scrive il Papa nella citata lettera, al termine e dell'Anno Santo della Redenzione, vi affidai una grande croce di legno invitandovi a portarla nel mondo, come segno dell'amore del Signore Gesù per l'umanità e come annuncio che solo in Cristo morto e risorto c'è salvezza e redenzione. Da allora essa ha compiuto un interrotto pellegrinaggio attraverso i continenti mostrando che la Croce cammina con i giovani e i giovani camminano con la Croce" (n. 1).

E nella Croce di Cristo e nella sua resurrezione che troviamo la chiave per affrontare e superare i nostri problemi esistenziali, per capire il senso della vita, per avere la forza di volare alto, senza farci intrappolare dalla melma del materialismo paludoso che ci tarpa le ali.

"A quanti lo hanno accolto ho dato il potere di diventare figli di Dio" (Gv 1, 12). Accogliere Cristo significa dargli spazio, non marginale e non effimero, nella nostra vita; significa vivere questa vita con lo stesso amore col quale Egli ci ha amato e continuerà ad amarci, significa metterci in atteggiamento di adorazione e contemplazione davanti al neonato, che Maria Vergine ha dato alla luce, significa sentire forte e motivante la sua presenza dentro di noi. Cristo è Presenza, da alcuni accolta e da altri schernita, da alcuni amata, da altri disprezzata e rifiutata.

A noi che l'abbiamo accolta, questa presenza suscita meraviglia, gioia, entusiasmo, speranza, volontà di vivere e di testimoniarlo come Vita e sorgente di Vita; suscita voglia di santità e di cambiamento nel mondo e in se stessi:  siate santi, come Dio è santo, come è Santo Gesù Cristo. È questa una chiamata che umanamente è al di sopra delle nostre deboli forze umane, ma è realizzabile anche per noi oggi, come è stato possibile a tanti giovani in questi duemila anni; è possibile se teniamo lo sguardo fisso su Cristo, se ci irrobustiamo di quella speranza che solo lui ci può donare:  "in nessun altro c'è salvezza" (Mt 4, 12).

In Cristo, tutto è realizzabile, tutto si può conquistare, anche le vette più alte ed impervie. Non c'è ostacolo o fardello che possa fermarci:  egli è la guida esperta, pronta a metterci sulle spalle se ci stanchiamo, sempre pronto a cercarci se ci allontaniamo e ci sperdiamo nel sentiero della vita.
Cari giovani, vi pongo un'altra domanda:  perché siete venuti qui a Roma in questa circostanza del Giubileo dei giovani, che coincide con la XV Giornata Mondiale della Gioventù? Per aiutarvi a rispondere, vorrei raccontarvi una specie di parabola che ho letto da qualche parte, nei giorni scorsi.

In Provenza, tra le molte statuine che compongono il presepio, ce n'è una che rappresenta un uomo con un volto stupendo, carico di meraviglia ma con le mani vuote. Gli hanno dato il soprannome di "Stupìto". Un giorno, le altre statuine del presepio si arrabbiarono e lo rimproverarono aspramente perché solo lui non portava nessun dono al Bambino Gesù:  "non ti vergogni di venire a mani vuote da Gesù senza portare neanche un piccolo dono?" "Stupìto" non sembrava accogliere i rimproveri e continuava a guardare Gesù.

La Madre del Bambino, vedendo che le altre statuine continuavano a rimproverare il povero Stupìto, prese le sue difese e disse:  "non è vero che non porta nessun dono a Gesù; egli ha portato il dono più bello:  la sua meraviglia! Questo significa che è stato attratto dall'immenso amore di Dio che lo ha incantato!".

La risposta alla domanda, allora, potrebbe essere:  siamo venuti a Roma non per curiosità e/o turismo o per passare del tempo, ma per vivere profondamente e spiritualmente il Grande Giubileo, cioè per incontrare Cristo, per allontanarci da tutto ciò che non ci permette di avvicinarlo e sentire la sua presenza dentro di noi, per proclamare davanti al mondo, come Pietro duemila anni fa:  "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna" (Gv 6, 68), per riaffermare la nostra fede:  "tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!" (Mt 16, 18). Cari giovani:  "questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore" (Pontificale romano-Rito della Confermazione).

La nostra vita e quella del mondo cambierà e sarà meravigliosa se ci saranno giovani che, come "Stupìto", saranno capaci di meravigliarsi.

Cristo è il "libro della vita" che dovete leggere e mettere in pratica. A voi è affidato un compito straordinario:  proiettare Cristo nel nuovo tempo e nella storia che si apre con questo terzo millennio dell'era cristiana. Voi siete i costruttori, gli artefici della nuova società e della Chiesa che, fondata da Cristo, con passi giovanili è entrata in questa nuova epoca.

Una Chiesa dallo spirito sempre giovane, com'è quella che celebra, con il Grande Giubileo del 2000, il bimillenario dell'Incarnazione del suo Signore e Salvatore, e accoglie nell'ottimismo l'inizio del proprio terzo millennio di storia, non può non essere una Chiesa di giovani, in cui ragazzi e ragazze di tutto il mondo si sentono a casa propria. Ad una Chiesa giovane fatta di giovani corrisponde un Giubileo altrettanto giovane e fatto di giovani.

A voi, che state vivendo questo Giubileo dei giovani, l'invito a sentirvi stimolati a portare nel mondo l'annuncio che Gesù Cristo è l'Emmanuele, il Dio-con-noi. A voi il compito di dare a lui la risposta del vostro impegno cristiano e di testimoniare le conseguenze che derivano per la vostra vita dalla forte esperienza spirituale che state facendo in questi giorni.

Ancora una volta vi ripeto l'invito del Papa:  non abbiate paura di nulla e di nessuno; spalancate le porte del vostro cuore, della vostra mente e della vostra volontà a Cristo che cammina con voi, vi rinnova e vi irrobustisce con la forza del suo Spirito. L'auspicio del Santo Padre è che il Giubileo rappresenti per voi l'occasione propizia per un coraggioso rilancio spirituale e per una straordinaria celebrazione dell'amore di Dio per l'umanità.

Inginocchiati davanti al Bambino, deposto nella mangiatoia, teniamo lo sguardo fisso anche sulla Vergine Madre di Dio. Maria Santissima vi insegni, cari giovani, a discernere la volontà del Padre celeste sulla vostra esistenza; vi infonda la forza e la sapienza per poter parlare a Dio e parlare di Dio. Il suo esempio e la sua intercessione materna vi spronino ad essere nel nuovo millennio annunciatori di speranza, di amore e di pace.

Amen!

                     

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