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CATECHESI DEL CARDINALE DIONIGI TETTAMANZI,
ARCIVESCOVO DI GENOVA, 
NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO

Giovedì 17 agosto 2000

 

"Cari giovani siamo qui, perché tutti insieme vogliamo incontrarci, ancora una volta in modo nuovo con Gesù Cristo, per confessare la nostra fede in Lui, perché Egli è il centro e il cuore del nostro Giubileo. Professiamo la nostra fede, per essere pronti a darne la gioia ad altri e, quindi, per poter rispondere agli interrogativi, che nascono su noi stessi, e per pregare Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, fatto uomo nel grembo di una donna, per essere salvatore del mondo. La salvezza, infatti, consiste nel dono totale dell'amore di Cristo, che ha dato se stesso e la stessa Sua vita per noi.

Oggi vogliamo cercare di cogliere, almeno, in piccola parte, la straordinaria ricchezza di quell'amore, che è racchiuso in queste brevissime immense parole dell'apostolo Paolo:  "Ha dato se stesso per noi". L'apostolo ci invita subito a coinvolgerci in prima persona. Si tratta di un amore che si dona a tutti gli uomini, ma che riguarda ognuno di noi nella unicità e nella irripetibilità propria della persona umana. Carissimi, è con questo atteggiamento interiore così personale, così coinvolgente, che ci apprestiamo a meditare il brano della prima lettera di Pietro, che abbiamo ora ascoltato.

Dopo un'introduzione alla sua lettura, noi ci soffermeremo su tre punti di fondamentale interesse per la nostra fede. Noi abbiamo appena ascoltato la lettera di Pietro e siamo in Roma. Sono due particolari interessanti, infatti, Pietro è colui, che Gesù ha scelto come capo degli Apostoli e che ha, come successore, il Santo Padre. Vogliamo, dunque, accogliere il messaggio di questa lettera certo come parola di Pietro, ma insieme come parola, che è stata riproposta di continuo nella vita della Chiesa nei secoli e che, oggi, viene ripetuta e ripresentata a noi Chiesa di Dio alle soglie del Terzo Millennio proprio da Lui, dal nostro amatissimo Giovanni Paolo II. 

La lettera di Pietro è stata scritta a Roma, anche questo è un particolare significativo, perché questa città è il luogo dove l'apostolo ha subito il martirio, qui vi ha portato a compimento la sua imitazione di Cristo, condividendo in modo singolare la Sua passione e la Sua morte in Croce. Sappiamo che anche Pietro, come maestro, è stato appeso e crocifisso con la testa all'ingiù. Scopo ancora della lettera è di consolare e di incoraggiare i cristiani nelle loro sofferenze, non tanto quelle fisiche, quanto quelle morali, soprattutto quelle legate alla coraggiosa professione di fede dei cristiani in un mondo pagano, che non lo vuole ricordare. Pietro rammenta molto bene quello che Gesù gli ha insegnato:  "Anche nella persecuzione Dio sa infondere gioia", anzi una vera e propria beatitudine per chi soffre a causa di Cristo e del Suo Vangelo. Scrive, infatti, Pietro ai suoi destinatari:  "Voi siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po' afflitti da varie cose", perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell'oro, torni a vostra lode, gloria e onore nel giorno della manifestazione di Gesù Cristo. Infine, collochiamo il nostro brano nel contesto generale della lettera di Pietro. Egli sta descrivendo il comportamento quotidiano dei credenti, comportamento, che viene presentato dalla sua radice e dalla sua fisionomia originale. I cristiani sono coloro che chiamati da Dio devono vivere una vita-santità, non dunque una vita grigia e senza significato, ma una vita audace, che ha il coraggio e l'ambizione, la fierezza e la gioia di tendere alla perfezione dell'amore.

Ad immagine del Santo di chi vi ha chiamati, diventate santi anche voi sulla base della vostra condotta. Ora il comportamento morale dei cristiani è presentato in maniera più dettagliata in rapporto cioè ai diversi ambiti della vita di ogni giorno. Il brano, che commentiamo, parla in particolare dei cristiani di fronte ai padroni e Pietro precisa non solo quelli buoni e miti, ma anche difficili, intrattabili, con un'aggiunta che ci sconcerta, ma proprio per questo ci introduce nell'offerta compiuta da Cristo per amor nostro. Scrive Pietro:  "È una grazia per chi conosce Dio subire afflizione soffrendo ingiustamente". Che noia sarebbe, infatti, sopportare il castigo se avete mancato, ma se facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza ciò sarà gradito davanti a Dio. Mi sconcerta quella espressione, perché sotto il profilo razionale è qualcosa di illogico, di incomprensibile e, quindi, di inaccettabile, ma è qui che l'Apostolo ci pone di fronte ad una rivoluzione culturale, facendoci entrare in un nuovo ordine di idee, quello che si è inserito definitivamente nella storia umana attraverso il comportamento di Gesù Cristo, per aprirci alla sapienza della Croce".

"Il primo momento della nostra catechesi ci mette di fronte all'agire concreto di noi cristiani e, dunque, dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre decisioni e scelte. L'ispirazione è la persona stessa di Gesù Cristo con lo Spirito Santo. Noi sappiamo chi siamo, siamo coloro che si pongono sulla strada di Cristo, ascoltano la Sua parola e imitano il Suo esempio. Tanto sono numerosi, molteplici e profondi i frutti della salvezza cioè i frutti della morte di Gesù in Croce e dobbiamo affidarci ad alcune immagini nel tentativo di addentrarci sempre di più nel mistero della salvezza e di penetrare i significati di grazia e di impegno per noi, per la Chiesa, per il mondo.

Pietro nella Sua lettera ricorre in particolare alla guarigione:  sì siamo tutti malati, sì tutti abbiamo bisogno di guarire. Scrive ancora Pietro:  "Dalle Sue piaghe siamo stati guariti", questa è la chiave integrativa della salvezza. Ancor più interessante nella parola di Pietro l'antitesi irriducibile fra la piaga e la guarigione. È dalla piaga, dunque dalla sofferenza e dalla morte di Cristo, che scaturisce la guarigione, ossia la salvezza, il ripristino dell'autentica salute totale dell'uomo. Questa antitesi, piaga, guarigione, trova il suo vertice nel rapporto morte-vita, nel senso che la morte di Cristo è la sorgente della vita nuova ed eterna. Ricordiamo l'immagine suggestiva e forte tratta da Gesù stesso:  "In verità, in verità vi dico se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se, invece, muore produce molti frutti", ma qui non si tratta di una semplice immagine legata ai chicchi di grano sparsi nei campi in questa terra, perché in questione è la persona stessa di Gesù, Lui è il vero chicco di grano, che liberamente e per amore ha voluto cadere per terra, marcire e morire per produrre molto frutto. In particolare due sono gli aspetti della salvezza nella lettera di Pietro acquistano il nostro interesse. Il primo è la salvezza come giustizia, secondo è la salvezza come ritorno alla comunione e alla unità. 

Tutti parliamo di giustizia, tutti reclamiamo giustizia, speriamo di cogliere il significato del tutto singolare e originale, veramente nuovo e inedito che sta in questo termine giustizia, così come lo usa San Pietro. Il suo senso biblico significa non tanto una virtù morale, che regola i rapporti fra gli uomini con il rispetto dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, indica piuttosto un atteggiamento religioso, giustizia, l'essere meraviglia a Dio e piacere a Lui e che insieme riceve da Lui il suo compiacimento, la Sua benevolenza. Ora è Dio stesso, solo Lui, che per purissima bontà ci rende giusti, ci fa partecipi della Sua stessa giustizia, cioè da Sua vita e santità e, dunque, ci introduce nella Sua intimità, ci fa condividere e ci permette di fare nostro il Suo stesso amore. Così l'essere giusti significa rimanere nell'amore di Dio, rimanere nell'amore di Cristo! Se potessimo ascoltare l'invito così dolce e penetrante, così coinvolgente del Signore Gesù, come spesso ci rivolge nel Vangelo di Giovanni:  "Rimanete nel mio amore, come io rimango nell'amore del Padre mio". Carissimi giovani, siamo chiamati a coltivare non un qualsiasi rapporto con Dio e con Cristo, ma a rivivere la stessa intimità di vita, che il Figlio vive col Padre. Come non avvertire, allora, nella tristezza morale la nostra superficialità spirituale la nostra fragilità nel nostro rapporto con il Signore, dalle quali abbiamo bisogno di essere guariti, sì guariti dalle tue piaghe Signore, dalle piaghe del tuo amore, dalla tua intimità con il Padre. Infine la salvezza è tornare a Cristo, il pastore che raduna le pecore disperse formando un solo unico gregge. 

Il peccato è dispersione, come dice un grande teologo e santo, Tommaso D'Aquino. Il peccato è una divisione interna che si produce dentro il proprio io, ma che poi si esprime con tutta una serie di divisioni nei riguardi di Dio, nei riguardi degli altri, nel riguardo del mondo delle cose. La grazia, che ci salva, invece, è comunione, è ricostruzione dell'unità. Gesù muore sulla Croce, scrive Giovanni, per radunare i figli di Dio, che erano dispersi, e Paolo lo dirà continuamente. Gesù Redentore è solo Lui il principio della forza, della comunione, dell'unità, presenti nella storia. Sulla Croce Egli ricostruisce l'alleanza, dà origine alla nuova ed eterna alleanza, non solo nella comunione dell'uomo con Dio, ma anche nella comunione degli uomini fra loro. Talvolta la salvezza ha un significato profondamente ecclesiale, costruisce la Chiesa quale comunità e unità e noi salvati e, dunque, quanti formiamo la Chiesa noi la liberiamo e la testimoniamo in un mondo diviso e frammentato nel suo volto evangelico quando ci presentiamo davanti a tutti come comunità nuova ed originale, quando cioè siamo un cuor solo e un'anima sola. 

La logica della salvezza e, dunque, la logica della comunione e dell'unità, è una logica, che è frutto dello Spirito Santo, Lui che è il vincolo dentro la comunità originaria, vincolo che si specchia e che si fa concreto nella storia, nella comunione e nell'unità della Chiesa. Questa logica è anche affidata a noi, alla nostra libertà, che viene sfidata dallo Spirito Santo, che ci stimola e che ci sostiene a vincere, nonostante le difficoltà, tutte le diverse forme di frantumazione, di divisione, di opposizione e di conflitto, come pure tutte le piccole forme di chiusura e di autosufficienza. 

Di nuovo, carissimi giovani, sentiamo tutti il bisogno di essere guariti per queste pesantezze di egoismo, di individualismo e di conflitto, che abitano nel nostro cuore, nelle nostre comunità. Sono sempre solo le tue piaghe, o Signore, che dicono il tuo amore e che tu hai donato sulla Croce per operare la riconciliazione, la comunione, l'unità e la pace. Queste piaghe, però, non appartengono solo al tuo corpo mistico, ma appartengono anche al tuo corpo fisico, alla tua Chiesa e, dunque, a noi come comunità cristiana. 

Alla tua Chiesa doni la Tua parola nei sacramenti, perché essa possa continuare nel tempo della storia a tua opera di riconciliazione, di comunione, di unità e di pace. Sta qui il segreto della speranza invincibile della Croce di Cristo, che instancabilmente semina nella storia, in ciascuno di noi, nella storia del mondo intero, come ci ricorda il Santo Padre nel Suo messaggio:  "La Croce che sembra innalzarsi da terra, in realtà pende dal cielo come abbraccio divino, che stringe l'universo, la Croce si rivela come il centro, il senso del fine di tutta la storia di ogni vita umana".

                               

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