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Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

XV Riunione Plenaria

I professionisti del mare

Ricardo Rodriguez-Martos Dauer
Diacono
Delegato diocesano dell’Apostolato del Mare
Barcellona, Spagna

La realtà della vita e del lavoro dei professionisti del mare è molto complessa e, anche se i luoghi comuni abbondano, essa è in fondo poco conosciuta. Si tratta di un campo che ha bisogno di una pastorale molto specializzata; a questo scopo, risulta evidente la necessità di conoscere le caratteristiche di questa realtà e i problemi che ne derivano.
Ciò che cercheremo di realizzare qui è un’esposizione schematica di quelli che sono la vita e il lavoro della gente di mare, delle loro famiglie e di quale deve essere la risposta della Chiesa.

Lo schema che seguiremo sarà dunque il seguente:

  1. La marina mercantile
  2. La marina della pesca
  3. Le famiglie della gente di mare
  4. La pastorale marittima

1. La marina mercantile

Marittimi mercantili e navi

I. Marittimi

Secondo uno studio della BIMCO[1]

1) Nel 2000 nel mondo c’erano 1.227.000 marittimi, di cui 404.000 ufficiali e 823.000 subalterni.

2) La distribuzione dei marittimi secondo le regioni di provenienza era la seguente:

37% Estremo Oriente (ad eccezione del Giappone)
28% Paesi industrializzati (America del Nord, Europa occidentale, Giappone e Australia)
14% Europa orientale e Asia del Nord
11% Medio Oriente
10% America Latina e Africa

3) Le previsioni per un periodo di 5-10 anni indicano che:

la maggior parte degli ufficiali saranno asiatici;
la maggior parte dei subalterni proverranno dai paesi in via di sviluppo;
I salari dei membri degli equipaggi di diversa nazionalità continueranno ad essere molto differenti.
Diminuiranno i periodi di imbarco per gli ufficiali di ogni nazionalità, ma non per i subalterni.
Aumenteranno i periodi di vacanza per gli ufficiali di ogni nazionalità, ma non per i subalterni.
Non ci si aspetta un aumento del numero di donne nei membri degli equipaggi.
Per poter reclutare i marittimi necessari, dovranno essere migliorate le condizioni generali d’imbarco.
Aumenterà il denaro che le compagnie di navigazione destinano al reclutamento e alla formazione dei loro equipaggi.

Secondo i dati dell’International Transport Federation[2]

Nel 1998:

il salario più alto raggiunto da un Primo Ufficiale è stato di US$ 9.900 al mese, mentre il più basso è stato di US$ 1.400 al mese.
Il salario più alto raggiunto da un marittimo è stato di US$ 6.400 al mese e il più basso di US$ 260 al mese.

II. Navi

Bandiera delle navi alla data del 31.12.1999

Paesi  Milioni di tonnellate
Panama* 105
Liberia* 54
Bahamas* 29
Malta* 28
Grecia 25
Cipro* 24
Singapore 22
Norvegia (I) 20
Giappone 17
Cina, PRC 16

(*) = Bandiera di convenienza

Commento:

1)  Attualmente, il 72% dei marittimi del mondo provengono dai paesi in via di sviluppo e si prevede che questa percentuale continuerà ad aumentare negli anni a venire.

2)  Si può prevedere un miglioramento delle condizioni contrattuali (salari e vacanze) per gli ufficiali ma non per i subalterni, che rappresentano il 67% del totale.

3)  A parità di categoria professionale, esiste un’enorme differenza tra i salari, in funzione del paese di provenienza del marittimo. Nei prossimi anni ci si aspetta un livellamento aper quanto riguarda gli ufficiali, ma non i subalterni, per cui continueranno ad esserci salari miseri per buona parte dei marittimi.

4)  Le campagne, e quindi il periodo di assenza dalle case, continueranno ad essere prolungate per la maggior parte dei marittimi e, se si considera il fenomeno crescente degli equipaggi multinazionali, ciò comporterà un livello elevato di solitudine per questi marittimi.

5)  Dei 340 milioni di tonnellate totalizzati dalle 10 bandiere con il più alto tonnellaggio a livello mondiale, 240 milioni (circa il 70,5%) corrispondono a quelle che vengono chiamate bandiere di convenienza, tra le quali troviamo il maggior numero di navi che presentano irregolarità. Tuttavia, bisogna dire che esistono compagnie molto serie che battono queste bandiere.

Problemi che derivano dalle condizioni di vita e di lavoro a bordo delle navi mercantili:

I.    La solitudine

L’assenza dalla famiglia

Il marittimo accusa la lontananza dalla sua casa. Egli sente la mancanza dell’affetto dei suoi cari, del rapporto di coppia con la moglie, dell’amore dei figli

Per questo, la comunicazione con la famiglia continuerà ad essere un tema prioritario. Certo la grande diffusione del telefono cellulare facilita le cose ma, per motivi d’economia, le carte telefoniche a tariffa ridotta sono sempre molto utilizzate.

Alla luce delle previsioni su menzionate, le lunghe separazioni continueranno a costituire per i prossimi anni uno dei problemi principali per la maggior parte dei marittimi e delle loro famiglie.

L’isolamento a bordo

D’altra parte, a livello personale, la solitudine tende ad aumentare per le seguenti cause:

a)  Equipaggi ridotti, in particolare sulle navi di cabotaggio (6 o 7 membri).

b)  Equipaggi multinazionali. I problemi di comprensione linguistica e culturale possono essere causa di un ulteriore isolamento.

c)  La breve durata delle soste nei porti che, a volte, impedisce al marittimo di scendere a terra.

II.   L’insicurezza

Insicurezza fisica

Un numero elevato delle navi che navigano sono considerate “substandard”. Esse rispettano solo in modo approssimativo le norme delle società di classificazione; a volte passano le ispezioni locali nei porti, ma queste non sono molto rigorose. Accade dunque che delle navi si spezizno in due perché le plance del fondo hanno perso lo spessore originale o ci sono puntelli che cadono, provocando incidenti perché la base è arrugginita dall’ossido. In altri casi, le cucine e i bagni mancano di un minimo di igiene, i frigoriferi non funzionano adeguatamente e gli alimenti si deteriorano.

Alcune navi, le cui condizioni di sicurezza sono insufficienti, sono autorizzate a partire a condizione che effettuino le riparazioni necessarie nel prossimo porto. Altre volte, i certificati scaduti vengono prorogati dai consolati di alcuni paesi, senza che la nave sia sottoposta all’ispezione prevista.

Il numero dei membri dell’equipaggio è insufficiente, soprattutto quando una nave entra ed esce continuamente dai porti, il che aggiunge il tempo delle manovre alle ore di lavoro normale, sovraccaricando di fatica l’equipaggio, con la diminuzione di sicurezza che ne consegue.

La maggior parte dei paesi del mondo non dispongono di servizi di soccorso efficaci che possano permettere, in caso di pericolo, un salvataggio rapido e sicuro.

Insicurezza del lavoro

a) Precarietà

La maggior parte dei marittimi non sono titolari di un contratto a tempo indeterminato che assicuri il posto di lavoro. In effetti, anche se lavorano a più riprese per la stessa compagnia e a volte sulla stessa nave, il loro contratto è sempre per una sola campagna. Ogni rivendicazione può rivoltarsi contro di loro e può voler dire che non saranno più riassunti dalla compagnia che li aveva imbarcati o perfino da nessun’altra compagnia, a causa dell’esistenza delle “liste nere”.

b)  Agenzie intermediarie

Di solito, le compagnie imbarcano i membri dei loro equipaggi (soprattutto quelli del Terzo Mondo) attraverso agenzie intermediarie.

Molte volte i contratti firmati di fronte all’agenzia intermediaria non corrispondono alle condizioni presenti a bordo. Inoltre succede spesso che gli accordi avvengano sulla parola e, al momento di fare dei reclami, non ci sono documenti sui quali appoggiarsi.

Inoltre, il rapporto tra impresa e lavoratori si perde.

L’abbandono dei membri d’equipaggio

Nel 1999, sono state messe sotto sequestro 1684 navi.

Le bandiere che hanno subito il maggior numero di sequestri sono state:

Malta* 176
Panama* 157
Turchia 163
Cipro* 145
S. Vicente* 119

(*) Bandiera di convenienza

Si tratta qui di un fenomeno che riguarda la sicurezza personale a tutti i livelli e che è molto frequente ai giorni nostri: un armatore che ha problemi di solvibilità comincia a rinviare la corresponsione dei salari ai membri dell’equipaggio; in seguito, egli estende i suoi debiti ai fornitori, agli agenti, agli organismi portuali, ecc.; infine la nave viene messa sotto sequestro. Se non è in grado di saldare i suoi debiti, egli abbandona la nave e, con questo, l’equipaggio che, a partire da quest’istante, resta alla mercé della carità della gente del porto in cui si trova. L’equipaggio si attacca alla nave in quanto questa costituisce la sola garanzia di poter recuperare tutto, o almeno una parte, di ciò che gli è dovuto, ma non ha soldi per il cibo e il combustibile. Inizia allora un’odissea, che può durare anche più di un anno. L’equipaggio avrà bisogno di un avvocato che lo rappresenti e che presenti domanda di sequestro supplementare a difesa dei loro salari. Può accadere che il giudice domandi una garanzia che questi non possono pagare, oppure che un sindacato, come l’ITF, o un’organizzazione come l’Apostolato del Mare, si faccia carico delle spese.

Durante tutto questo processo, si farà in modo di rimpatriare i membri dell’equipaggio.

I congedi per malattia

Quando un membro dell’equipaggio si ammala e ha bisogno di un intervento chirurgico o di un periodo di riposo a terra, se è un lavoratore temporaneo e soprattutto se proviene da un paese del Terzo Mondo, gli può succedere che il suo contratto venga rescisso ed egli sia rispedito a casa. Così non percepirà più il salario durante la malattia o la convalescenza e dovrà, inoltre, affrontare le spese mediche.

2.  La marina di pesca

Pescatori e navi

Dati della FAO

I.    Pescatori[3]

Si stima che negli anni ’90 nel mondo c’erano circa 15 milioni di persone che lavoravano su imbarcazioni della pesca marittima.

II.   Navi[4]

Nel 1995 c’era un totale di 1.258.200 imbarcazioni di pesca (con ponte), con un totale di 27.990.000 tonnellate di registro lorde.

Ecco, per ordine decrescente, i 20 paesi con il maggiore tonnellaggio:

Federazione Russa, Cina, Giappone, Stati Uniti, India, Repubblica di Corea, Taiwan, Cina, Ucraina, Repubblica Democratica di Corea, Spagna, Canada, Indonesia, Messico, Tailandia, Panama, Norvegia, Italia, Regno Unito e Malaysia.

Circa il 90% di queste imbarcazioni non arrivava a 25 tonn. di registro lorde.

Nel 1995, il 46,1% della flotta mondiale aveva oltre venti anni, con una tendenza ad aumentare.

Questi dati sono relativi alle navi da pesca d’altura e costiera, ad esclusione delle imbarcazioni senza ponte, caratteristiche della pesca artigianale.

* * *

Faremo ora un’epsosizione dei problemi dei pescatori, seguendo la classifica seguente:
pesca d’altura, pesca costiera e pesca artigianale.

Tuttavia all’interno di questa classificazione, ci sono grandi differenze secondo i paesi e le zone geografiche:

1.  Pesca d’altura:

viene effettuata con navi che passano lunghi periodi in mare. In alcuni luoghi, questi periodi vanno da qualche giorno ad alcune settimane, ma si arriva a volte fino a sei o più mesi, pescando lontano dal paese d’origine e passando spesso le catture alle navi frigorifero.

La vita di questi pescatori rassomiglia a quella degli equipaggi della marina mercantile, a causa dei lunghi periodi passati lontano da casa. Tuttavia è ancor più dura: normalmente i pescatori non entrano dei porti e, se lo fanno, è solo sporadicamente, gli spazi a bordo sono estremamente ridotti, il lavoro particolarmente faticoso, il tempo di riposo molto ridotto, il comfort quasi inesistente e la legislazione nazionale ed internazionale è normalmente più insufficiente di quella della marina mercantile.

2.  Pesca costiera:

viene effettuata con navi la cui attività si svolge presso il porto d’origine, che escono e tornano nella giornata o che, al massimo, escono per uno o due giorni. I pescatori tornano a casa quasi tutti i giorni. Il loro lavoro è duro e insicuro, in quanto dipendono da ciò che pescano. I padroni sono di solito i proprietari delle navi e c’è spesso un nucleo familiare (fratelli, padri e figli, nipoti, ecc.) che domina e un gruppo di pescatori a contratto che vivono alla giornata.
Non si sono superiori titolati, ma al comando c’è un padrone e alle macchine un meccanico.

3.  Pesca artigianale:

in principio il termine di “pesca artigianale” si riferisce a una pesca su scala ridotta. Così come le due categorie precedenti si riferiscono a navi debitamente registrate e che abitualmente escono in mare con i certificati e i documenti richiesti dalla legge, la pesca artigianale si fa con imbarcazioni di tipi diversi: nei paesi industrializzati troviamo piccole imbarcazioni equipaggiate con la tecnologia più moderna e nei paesi poveri imbarcazioni rudimentali e primitive. La maggior parte dei pescatori di questo settore risiedono in zone costiere lontane e sono situati al livello più basso della scala sociale. Di solito in questi paesi prevale una mancanza totale di controllo su queste imbarcazioni, il cui equipaggio è formato abitualmente dal loro proprietario e da un piccolo gruppo di membri della famiglia o di amici. In questo tipo di pesca abbonda in particolare il lavoro minorile.

Problemi che derivano dalle condizioni di vita e di lavoro a bordo della navi da pesca

1.  La pesca d’altura

Come per la marina mercantile, l’assenza della famiglia costituisce un problema grave se non peggio. Le possibilità di comunicazione con la famiglia sono estremamente ridotte a causa della quasi costante permanenza in mare. Le comunicazioni avvengono a volte attraverso la radio di bordo, ma è molto cara e non sempre a disposizione dei membri dell’equipaggio. Le campagne possono durare fino a nove mesi o anche più.

A causa di lunghissimi periodi passati in mare, nel caso di un’urgenza familiare non è possibile sbarcare e precipitarsi a casa.

Inoltre, i periodi di vacanza accordati sono irregolari e normalmente inferiori a quelli previsti dai contratti. Ciò costituisce una grave limitazione nei rapporti del pescatore con la sua famiglia.

D’altra parte, la solitudine a bordo si accentua attraverso l’integrazione, anche sulle navi da pesca, di equipaggi multinazionali, il che accresce le difficoltà di comunicazione e di comprensione tra le persone.

L’insicurezza

a)  L’insicurezza fisica

La pesca è in generale una delle attività industriali più pericolose. Nella pesca d’altura le giornate lavorative sono molto lunghe, a volte 18 ore senza interruzione. Il riposo è difficile poiché questi tipi di nave si muovono molto, soprattutto con il tempo cattivo. I lavori effettuati a bordo sono penosi a causa del rumore, dello spazio limitato e degli sforzi fisici costanti. Tutti questi fattori fanno della pesca d’altura un settore ad alto rischio di incidenti.

b)  L’insicurezza nel lavoro

I salari dipendono in gran parte dal risultato della campagna. Ciò potrebbe costituire una motivazione per i lavoratori, ma d’altra parte favorisce il fatto di accettare di lavorare in cattive condizioni e per un numero di ore eccessivo. Inoltre, le famiglie non sanno in modo certo ciò che riceveranno, soprattutto quando c’è un’assenza totale di un salario minimo.

L’art. 13 della Convenzione dell’OIL sulla sicurezza e la salute dei lavoratori, 1981 (n. 155), proclama il diritto del pescatore di rifiutare di effettuare attività poco sicure, ma se egli non è protetto in modo adeguato da un sindacato e da un sistema giuridico e amministrativo efficace da parte del paese di bandiera, il pescatore potrà vedersi licenziato.

Attualmente, l’assunzione di manodopera a basso costo proveniente da paesi poveri, non fa che aumentare gli abusi e la mancanza di protezione sociale.

I governi sono molto evasivi nel campo della legislazione applicabile alla pesca.

2. La pesca costiera

Nel caso della pesca costiera, la separazione dalla famiglia non è propriamente tale in quanto il pescatore rientra quasi quotidianamente a casa, ma i suoi orari e quelli della famiglia non coincidono, il che rende la coabitazione insufficiente.

Quanto all’insicurezza, possiamo ripetere quanto è stato detto per la pesca d’altura, aggiungendo che i controlli sui mezzi di sicurezza delle navi di questo settore sono generalmente meno approfonditi e si costata un alto livello di consumo d’alcol, con tutte le conseguenze negative dei rischi sul lavoro e la stabilità familiare.

Il lavoro a bordo si svolge molto spesso in assenza dei mezzi di protezione necessari.

Ci sono molti casi di imbarchi illegali, senza il corrispondente reclutamento, e anche di imbarco di minori. I salari sono ancora più irregolari di quelli della pesca d’altura.

D’altra parte, come abbiamo già detto, in questo tipo di pesca abbondano i clan familiari, per cui i membri degli equipaggi che non appartengono al gruppo devono spesso sottomettersi a condizioni di lavoro più precarie di quelle degli altri.

3.  La pesca artigianale

Questo settore è caratterizzato dall’anarchia, in particolare nei paesi sotto-sviluppati ove prevale una mancanza assoluta di controlli sotto ogni punto di vista. Si tratta di una pesca tipicamente familiare, molto pericolosa, in cui il lavoro minorile è frequente e sulla quale ogni studio statistico è praticamente impossibile.

* * *

In generale, la pesca rappresenta una percentuale minore del prodotto interno lordo di un paese. Per questo, al momento di difendere gli interessi dei pescatori, l’azione dei governi è minore.

Gli aiuti e le sovvenzioni nazionali e internazionali vanno agli armatori, ma non arrivano di solito a coprire i salari dei pescatori durante i periodi in cui la nave non può uscire in mare.

3.  Le famiglie della gente di mare

Nello schema sociologico, all’interno delle diverse culture i ruoli del padre e della madre sono ben delimitati. Quando uno dei due viene a mancare e l’altro cerca di sostituirlo, sorgono dei problemi.

Di solito ci troviamo di fronte all’assenza della figura maschile: marito e padre. La donna deve assumere tutte le funzioni di organizzazione e di amministrazione della casa, come pure tutto ciò che si riferisce all’educazione e alla cura dei bambini. È il marito a procurare il denaro.

Ciò pone dei problemi alla moglie e ai figli. La prima si trova a mancare del suo compagno, si sente sola e si vede obbligata ad assumere delle decisioni che vorrebbe condividere. I secondi non cercano solo l’affetto, ma anche un punto di riferimento maschile rappresentato dal padre.

Ciò li fa sentire diversi dagli altri. Evidentemente, è qui che l’ambiente e il sostegno sociale generale che riceveranno giocheranno un ruolo importante.

Purtroppo le famiglie dei pescatori in particolare occupano un livello molto basso della scala sociale.

Questi problemi saranno aggravati dal fatto che la mancanza di una convivenza abituale colpirà probabilmente l’insieme familiare al momento in cui si ritrova. Tanto il marittimo quanto la sua famiglia possono avere dei problemi di adattamento quando si rincontrano, dopo un periodo più o meno lungo d’assenza. Ciò provoca a volte delle frustrazioni a causa di aspettative non realizzate. Dopo anni d’assenza e quando il marittimo rientra per reintegrasi definitivamente nella sua casa, possono sorgere gravi problemi di adattamento, che dipenderanno: dal numero degli anni passati in mare, dalla durata dei viaggi, dalla natura della comunità in cui risiede, dall’educazione, ecc.

L’incorporazione della donna nel mondo del mare reclamerebbe anche la possibilità che sia la moglie e la madre assente dalla casa. Naturalmente, nella maggior parte dei casi si tratta di donne nubili o sposate senza figli e, in ogni modo, io non conoscono esperienze documentate che permettano di compiere uno studio al riguardo.

4.  La pastorale marittima

L’Apostolato del mare deve essere portatore della “Buona Novella”. Ciò vuol dire essere “il buon samaritano” per il marittimo, “la voce che grida nel deserto” di fronte a un mondo retto dagli interessi commerciali, ed essere il promotore dell’attività del marittimo stesso (“andate e predicate”).

Marina mercantile

“Buon Samaritano”significa accogliere, avere uno spirito di servizio, essere disposti a cercare di aiutare il marittimo in tutto ciò di cui ha bisogno per il suo benessere come persona.

A questo scopo bisogna assicurare i servizi tradizionali di visite delle navi, dei clubs e delle residenze Stella Maris, le attività culturali e sportive, l’assistenza sociale e giuridica e, naturalmente, l’assistenza religiosa. Ma questa deve contemplare la realtà di un mondo pluralistico, ecumenico e inter-religioso. Essere al servizio dell’uomo vuol dire aiutarlo a trovare ciò di cui ha bisogno in quanto persona.

“La voce che grida nel deserto”. L’Apostolato del Mare deve far conoscere alla società le carenze, le ingiustizie, i problemi che affliggono la gente di mare, deve ricordare alle imprese e alle organizzazioni che agiscono nel campo marittimo che a bordo delle navi ci sono delle persone che meritano rispetto e condizioni di vita e di lavoro differenti da quelle che devono spesso sopportare.

L’Apostolato del Mare deve fare opera di mediazione di fronte alle amministrazioni per le carenze dei controlli e per l’applicazione delle convenzioni, e deve essere rappresentato nelle organizzazioni internazionali affinché queste prendano coscienza dell’insufficienza della protezione di cui gode la gente di mare.

“Andatee predicate”. L’Apostolato del Mare deve inviare i marittimi a portare la buona novella, ad essere la voce che grida nel deserto dei loro compagni e della loro società. I marittimi non sono dei soggetti passivi nella lotta per la difesa dei loro interessi e del loro benessere, né nell’evangelizzaizone. A volte essi discriminano i loro compagni, praticano delle ingiustizie nei loro confronti. Gli stessi marittimi devono essere apostoli del mare.

Marina della pesca

La pastorale marittima della pesca è principalmente una pastorale di parrocchia marittima. In principio, la pesca d’altura costituirebbe un’eccezione, ma il fatto che queste navi non tocchino praticamente i porti e che i pescatori vivano in comunità marittime, fa sì che la base di ogni contatto o comunicazione con loro avvenga attraverso le famiglie.

Ciò risulta ancor più evidente nel caso della pesca costiera e artigianale.

Il lavoro dell’Apostolato del Mare nelle comunità di pescatori è quello di occuparsi, attraverso la parrocchia, di queste famiglie e di sostenerle nelle loro rivendicazioni.

Ritroviamo le stesse assi della marina mercantile:

“Buon Samaritano”. La pastorale destinata ai pescatori richiede uno sforzo per conoscere la loro realtà, i loro problemi e per offrire ai pescatori e alle loro famiglie un’accoglienza, un’attenzione speciale: tenere gli occhi aperti per vedere ciò di cui hanno bisogno. Tener conto delle circostanze particolari che caratterizzano queste persone al momento di organizzare le attività di catechesi e le celebrazioni dei battesimi, delle prime comunioni, ecc.

“La voce che grida nel deserto”. Anche qui, vediamo come una delle attività più importanti dell’Apostolato del Mare sia, direttamente o indirettamente, la voce che grida nel deserto, che accomuna i pescatori e le loro mogli, che coordin e sostiene ogni azione di rivendicazione di fronte alle autorità. È noto il movimento delle mogli di pescatori esistente in Europa, uno dei cui motori è l’associazione spagnola Rosa dei Venti. Attraverso questa associazione, le mogli dei pescatori presentano alle autorità nazionali e dell’Unione Europea la loro lotta per il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita.

“Andate e predicate”. Anche qui l’Apostolato del Mare deve incoraggiare i pescatori e le loro mogli ad agire in difesa dei lorp diritti e a suscitare uno spirito di onore e di cameraterismo a bordo delle navi. In queste navi, in cui il padrone è allo stesso tempo proprietario, costatiamo di frequente una mancanza di solidarietà e la condivisione del benefici non è equa in quanto ci sono molti modi di mascherare le cifre.

Cosa richiede la pastorale marittima?

L’atitvità di pastorale marittima non si identifica con nessuna di queste azione isolatamente, ma con l’insieme di tutte queste al fine di ottenere un migliore benessere per la gente di mare.

Se prima dicevamo che i governi prestano poco attenzione ai pescatori a causa della loro importanza ridotta nel quadro industriale di un paese, possiamo ugualmente dire che, tranne nelle regioni in cui la pesca è predominante, la Chiesa presta poca attenzione ai pescatori, poiché essi sono poco numerosi in rapporto al resto della popolazione.

La pastorale marittima è spesso la grande sconosciuta, e occupa un posto quasi anedottico nelle preoccupazioni della Chiesa locale. Si tratta di un campo specializzato e complicato e, quando è chiesto al vescovo di una diocesi di nominare un responsabile per questa pastorale, ciò diventa per lui di un problema difficile da risolvere.

Una soluzione frequente consiste nel designare un sacerdote che non sia eccessivamente occupato o il parroco di una chiesa vicina al porto. Di solito questa persona non ha alcuna idea di cosa sia una nave, né delle necessità dei marittimi; inoltre le sue altre occupazione fanno sì che, anche con la migliore volontà, la sua nomina si limiti a qualcosa di ufficiale ma vuota di contenuti.

È una pastorale ideale per i laici, ad esempio per i marittimi. I vescovi sono molto contenti se un capitano in pensione si offre di fare la pastorale marittima. Ma questo non costituisce sempre la panacea. I capitani in pensione, soprattutto nei paesi industrializzati, hanno a volte un’idea del mondo del mare che non è preprio attuale e, d’altra parte, mancano di formazione alla pastorale e all’assistenza.

Per queste ragioni, la pastorale marittima ha bisogno di un’équipe di persone. Alcuni avranno le conoscenze necessarie del mondo del mare, altri delle attività sociali e natualmente ci sarà bisogno di un coordinamento e di un orientamento pastorale di cui dovrà incaricarsi un consigliere.

Sulla base di quanto detto, l’orientamento dipenderà ugualmente dal tipo di porto. Se si tratta di un porto con una popolazione tipicamente marittima, anche se bisogna pensare alla pastorale degli itineranti, il lavoro sarà specificatamente parrocchiale e quindi anche l’accoglienza.

D’altra parte, se si tratta di un porto della marina mercantile, con una grande popolazione senza un nucleo di abitanti marittimi, sarà poco utile annunciarsi come centro dell’Apostolato del Mare e restare ad attendere nella parrocchia. Bisognerà adattare un locale da dove poter offrire ai marittimi i servizi di cui possono aver bisogno. Il lavoro deve essere pensato tutti i giorni e bisogna uscire e andare incontro ai marittimi, salire a bordo delle navi.

È importante che coloro che devono dedicarsi a questo ambito della pastorale ricevano una formazione adeguata su ciò che è la vita in mare, sui suoi problemi e le sue necessità.

Allo stesso modo, bisogna uscire con la mente dai confini del proprio porto. L’Apostolato del Mare è per principio internazionale. Bisogna coltivare le relazioni con i centri di altri porti, di altri paesi e conoscere le organizzaizoni marittime internazionali.

Un altro aspetto importante nella pastorale dei marittimi itineranti, come nel caso della marina mercantile, è l’ecumenismo, tanto dal punto di vista dei marittimi quanto da quello dei centri. Il lavoro realizzato nella pastorale marittima è un terreno privilegiato per incoraggiare l’ecumenismo. Lo spirito ecumenico scaturisce in modo spontaneo. Non ci sono problemi dottrinali, esiste soltanto un sentimento di fraternità. La gente di mare ha una religiosità naturale. I marittimi sanno che il mare è pericoloso, che le famiglie sono lontane e trovano consolazione in un Dio che si occupa di loro e delle loro famiglie.

I marittimi sono recettivi. Ringraziano per tutto ciò che viene lor offerto, ma pensano anche che il lavoro prestato dall’Apostolato del Mare sia qual a cui hanno diritto. Sono molto critici nei confronti di una società di terra che li emargina e sanno apprezzare il lavoro dell’Apostolato del Mare quando questo si sforza di assisterli, ma lo criticano quando pensano che non svolga la sua missione e ha perso ciò che lo differenziava dagli altri.

La pastorale marittima, una pastorale privilegiata

Vorrei terminare sottolineando che, secondo me, la pastorale marittima è una pastorale privilegiata in quanto attraverso di lei si va incontro alla persona in tutta la sua dimensione. Anche se ciò può sembrare evidente in ogni campo della pastorale, nella pratica non è sempre così.

Nella pastorale marittima, il marittimo ha la possibilità di sentire che la Chiesa non è un’entità che impone norme e consigli, ma piuttosto un amico disposto ad aiutare, a cogliere, ad animare, senza chiedergli se è credente o ateo, perché egli è oggetto d’amore per il solo fatto di essere marittimo.

A volte il marittimo non conosce la liturgia o le scritture, ma ha un sentimento forte dei valori della camerateria e della solidarietà.

Un dialogo evangelizzatore tra il marittimo e l’Apostolato del Mare potrebbe essere riassunto nel seguente modo:

Perché mi aiuti? Perché sei mio fratello.

Cosa pretendi? Che tu possa sentirti bene come persona e aiutare color che ti circondano a sentirsi bene.

Chi sei? Sono un cristiano.


Note:
[1] BIMCO/ISF 2000 Manpower Update: The worldwide demand for and supply of seafarers:
Main Report – April 2000, Institute for Employment Research, University of Warwick
[2]Flags of Convenience. Campaign Report 1999. ITF. London
[3]La sicurezza e la salute nelle industrie della pesca. Organizzazione Internazionale del Lavoro - TMF/1999
[4]Bollettino statistico della Pesca, n. 35 (Roma 1998)
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