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Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti V° Congresso Mondiale della Pastorale per gli Zingari Budapest, Ungheria, 30 giugno - 7 luglio 2003 Osservazioni conclusive e ringraziamenti S.E. Mons. Agostino Marchetto Segretario del Pontificio Consiglio Ci siamo riuniti a Budapest, durante questi cinque giorni, per affrontare un tema pastorale, cioè la spiritualità di comunione in relazione al popolo Rom, e qui prendo dal linguaggio che si va diffondendo internazionalmente, e che comprende in tale dicitura i Rom stessi, con i Sinti, gli Zingari, i Viaggianti e altri gruppi legati ai Rom. A nome anche del nostro Ecc.mo Presidente e di tutti voi, ringrazio anzitutto Dio, ÂÂDatore di ogni donoÂÂ, per questo nostro incontro mondiale. Così fa spessissimo, infatti, Giovanni Paolo II, al ricevere i Vescovi, nelle loro Visite ÂÂad liminaÂÂ, carichi di preoccupazioni e problemi. Egli li invita anzitutto a ringraziare Dio per tutto il bene che si compie nelle loro Chiese particolari. E lo facciamo anche noi, dunque, per quanto fin qui compiuto, soprattutto in campo pastorale, in relazione al popolo Rom, specialmente in questi ultimi anni, dal Congresso Mondiale del ÂÂ95, pur consci, ancor più dopo questi giorni, di tutti gli aspetti problematici che la realtà, oggi in modo particolare, ci riserva, guardando coloro che il Signore, Pastore sommo del gregge, affida alle nostre cure, alla nostra zelante sollecitudine. Certo la caratteristica pastorale dellÂÂimpegno è ben incarnata. Non si tratta di una pastorale astratta, che non tiene conto, cioè, delle condizioni di coloro a cui siamo mandati in missione, affinché essi, a loro volta, ne diventino attori e protagonisti. E lo hanno dimostrato specialmente alcune ÂÂConferenze dedicate alle ÂÂpolitiche di sostegno alla promozione umana e sociale dei Rom, alle sfide odierne che si presentano, ai problemi emergenti in campo educativo, alla tutela dei diritti dei Rom nel fenomeno migratorio e nei processi di ÂÂintegrazioneÂÂ, nonché al ruolo importantissimo, oggi, dei mass media nella formazione di una cultura di solidarietà e tolleranza in relazione al popolo Rom. Eppure la priorità pastorale, anche in senso stretto di annuncio esplicito del Vangelo benedetto di Gesù Cristo, ci risulta evidente. Restiamo quindi in contatto, in collaborazione, con tutti coloro che generosamente contribuiscono alla promozione umana dei nostri fratelli e sorelle Rom, ma prendiamo altresì sempre più coscienza della nostra specificità e del nostro impegno particolare: lÂÂannuncio rinnovato della Buona Notizia, del Kerygma, che susciti o risusciti la fede. Di nuova evangelizzazione si tratta, come molte volte lÂÂha definita il Santo Padre. Evangelizzazione che conduce ai Sacramenti, iniziando da quella porta di tutti che è il Battesimo, al quale nel corso della vita bisogna riandare per risuscitare una vita cristiana languente o monca. E il Battesimo che ci inserisce nella Chiesa, nella comunità cristiana, che è Comunione, Mistero, Sacramento, Corpo Mistico, Popolo di Dio, nella visione rinnovata, eppur tradizionale, che ce ne dà la Lumen Gentium del Concilio Ecumenico Vaticano II. Si diceva, durante uno ÂÂWorkshop a cui ho assistito: ÂÂsiamo sempre più convinti che lÂÂunica ricchezza che possiamo dare ai Rom è Gesù CristoÂÂ. Del resto tale prospettiva risulta chiara dalla impostazione della Tavola rotonda dei Direttori Nazionali su dialogo e missione pur nella diversità di accento di ciascuno. Sono due parole di una capacità di sintesi straordinaria del nostro operare perché, la prima, sottolinea tutto lo sforzo di legittimo adattamento e giusta inculturazione che dobbiamo compiere nella realizzazione del nostro mandato, nellÂÂannuncio esplicito  nostra missione, la seconda parola chiave,  del mistero di salvezza universale a cui sono chiamati pure tutti i Rom della terra. E mistero di Comunione, dicevamo, e da ciò lÂÂattualità, lÂÂimportanza e lÂÂurgenza del tema di questo Congresso Mondiale divenuto tale grazie alla presenza, oltre quella europea, di rappresentanti qualificati degli Stati Uniti, del Messico, del Brasile, dellÂÂIndia e del Bangladesh. Caratteristica nuova di questo Congresso è stata pure unÂÂaltra ÂÂmondialitàÂÂ, se così possiamo esprimerci, quella cioè delle figlie e figli del Popolo Rom che hanno offerto tutta la loro vita a Cristo, alla Chiesa e ai fratelli, con donazione totale e perpetua nel sacerdozio o nella vita religiosa o di particolare consacrazione nel mondo. LÂÂimpegno del Pontificio Consiglio ha dato occasione, a questo riguardo, al primo incontro di questi nostri fratelli e sorelle, in un gruppo di studio, che lascia bene sperare, se crediamo che i primi artefici dellÂÂevangelizzazione del Popolo Rom devono essere i Rom stessi. In questo contesto varrà rilevare la presa di coscienza, da parte di tutti, per un impegno nel suscitare, con lÂÂaiuto di Dio e la collaborazione della comunità, vocazioni sacerdotali e religiose nel seno del Popolo a cui siamo mandati. E mistero di comunione la Chiesa, specialmente, direi, la nostra Chiesa Cattolica, che grazie allÂÂaggiornamento, fatto di fedeltà e rinnovamento, operato dal Concilio Ecumenico Vaticano II, si è posta anche al servizio dellÂÂunità di tutti i cristiani (promozione diventata sua missione costitutiva) e del dialogo con tutte le religioni e gli uomini di buona volontà, nella ricerca della pace nellÂÂunica famiglia umana, famiglia di Popoli. Vero è che nella celebrazione, nel 2003, dei 40 anni della Pacem in terris, dobbiamo ricordare i 4 pilastri dellÂÂedificio della pace, e cioè la verità, la giustizia, la libertà e la carità-solidarietà. E ministero di comunione la Chiesa, anche gerarchica. Tale qualifica, gerarchica, mette bene insieme il I e II millennio della storia della Chiesa e ci fa apprezzare qui la presenza di alcuni Vescovi  e li ringraziamo vivamente  che hanno avuto la bontà di accompagnarci, nonché la presenza pure degli Arcivescovi Presidente e Segretario del Pontificio Consiglio. Essi, grazie anche al Messaggio che il Santo Padre ha voluto indirizzarci per lÂÂoccasione,  e di cui siamo gratissimi  hanno fatto presente la Sua ÂÂsollicitudo omnium ecclesiarumÂÂ, la Sua presenza e il Suo amore anche per quella Chiesa che ha piantato la sua tenda nel mezzo delle tende o carovane, se non case, ormai, della gente Rom. Il nostro Pontificio Consiglio è lieto di essere fattore di comunione in mezzo a Voi, di stimolo e animazione di zelo apostolico (ÂÂGuai a me se non evangelizzassi!  esclama San Paolo), nei riguardi della gente Rom, legame  in quanto Santa Sede  pure con Istituzioni e Organizzazioni internazionali che agiscono nel mondo per eliminare discriminazioni e abusi che ancora opprimono il popolo oggetto-soggetto delle nostre cure. E ancora retaggio, purtroppo, di un passato in cui vi fu anche persecuzione e morte. La parola ÂÂolocausto richiama tutti noi, infatti, ai terribili drammi del secolo scorso. Spiritualità di comunione, dicevamo. Dalla verità della ÂÂKoinonia nasce uno spirito, una spiritualità. LÂÂabbiamo sperimentato in questi giorni, specialmente grazie alla Tavola della Parola e dellÂÂEucaristia e alla tavola della colazione-pranzo-cena, così generosamente imbandita, assieme allÂÂofferta, pure, di un qualche spirito,  materiale certo, ma significativo di gioia e accoglienza  dai nostri fratelli ungheresi. Qui la nostra gratitudine va alla Conferenza Episcopale di questo Paese che è stata co-organizzatrice, assieme al Pontificio Consiglio, di questa riunione mondiale. E nella Conferenza Episcopale, assieme alle Pubbliche Autorità che ci hanno fatto corona, e a cui siamo pure riconoscenti, vediamo la figura di S.E. Mons. Szilárd Keresztes, la sua amabilità, onnipresenza e capacità organizzative, che si combinano a quella bonomia e giovialità che gli è caratteristica. Grazie di cuore, Eccellenza, e in Lei ringraziamo tutti i Suoi Collaboratori e le comunità cattoliche dei Rom in Ungheria che abbiamo visitato o sono venute qui per intrattenerci con le loro danze e i loro canti. In questÂÂonda di ringraziamento non possiamo dimenticare Mons. Chirayath e Sr. Alessandra, meno visibile ma ugualmente efficiente nel Segretariato organizzativo, che hanno contribuito al buon esito di questo incontro. Del resto il Congresso stesso ha illustrato il tema che fu posto al centro della nostra celebrazione, del nostro dialogo e confronto, del trovarci insieme, lontani per un po dal calore del giorno dellÂÂoperare quotidiano. Abbiamo vissuto qui la spiritualità della comunione, lÂÂunione nella diversità. LÂÂabbiamo costatato, attraverso le vostre persone, nello zelo e nellÂÂimpegno  per alcuni Paesi forse ancora iniziale  delle vostre Chiese particolari e locali, in questo mondo che per molti diventa ora europeo non solo nel senso geografico o economico, ma anche di Europa di popoli e Nazioni che si fa ÂÂUnioneÂÂ. E un contesto, una ÂÂSitz im LebenÂÂ, che condiziona già e condizionerà sempre di più altresì la nostra azione pastorale futura. Per quanto riguarda questa comunione, di cui ringraziamo cordialmente ciascuno, qui dobbiamo riconoscere che un posto più largo avremmo dovuto concederlo allÂÂascolto gli uni degli altri nei lavori di gruppo e nei dibattiti. E lÂÂeterna questione del rapporto tra Conferenze e gruppi di studio, la cui armonia, anche di tempo concesso alle une e agli altri, è sempre un problema. Ma non dimentichiamo che un Congresso è unÂÂoccasione straordinaria di scambiarci esperienze e punti di vista, in generoso e benevolo confronto che è atto ad arricchirci, se siamo aperti  e lo dobbiamo essere  a ciò che ÂÂDio dice alle ChieseÂÂ. E per quanto riguarda le Chiese, vorrei richiamare la questione, che del resto ha trovato eco nei ÂÂcorridoi del Congresso, e cioè quella concernente le ÂÂstrutture ecclesiali a favore dei Rom. Dicevo nel mio intervento del I° giorno (p. 11) ÂÂa questo riguardo bisogna dire che, allo scopo di non escludere nessuno dalla comunione nella fede e nei sacramenti, una ormai collaudata esperienza affianca alle strutture pastorali impostate su base territoriale  sostanzialmente le parrocchie  altre strutture "trasversali", rivolte a diverse categorie di persone bisognose di una pastorale specifica. In questa direzione il Concilio Vaticano II incoraggia i Vescovi ad avere «un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo della loro condizione di vita, non possono godere a sufficienza della comune ordinaria cura pastorale dei parroci, o ne sono privi del tutto; come sono moltissimi emigrati, gli esuli, i profughi, i marittimi, gli addetti a trasporti aerei, i nomadi, e altre simili categorie di uomini» (CD 18/1). Troviamo così nella Chiesa cappellanie universitarie, ospedaliere, per i carcerati, per il mondo dello sport, dello spettacolo, ecc. In questo contesto deve trovare  penso  il suo posto la Cappellania che realizza una specifica pastorale degli Zingari, dotata di tutte le risorse necessarie per adempiere la sua missione. Tuttavia, la peculiarità della pastorale zingara è tale che spesso una Chiesa particolare si può trovare senza possibilità adeguate  soprattutto per mancanza di agenti pastorali adatti  per portarla avanti con efficacia. Occorrerà dunque una direzione interdiocesana o nazionale che possa pensare alla congrua distribuzione delle risorse, nel senso ampio del termine, alla preparazione degli agenti pastorali, al coordinamento e al rapporto con istituzioni simili di altri Paesi, ecc. Potrebbe anzi essere utile, o addirittura necessaria, a questo proposito, un'unità di direzione pastorale con la corrispondente potestà giurisdizionale, ferma restando la potestà degli Ordinari locali (cf PO 10/1). Le dimensioni del ÂÂfenomeno zingaroÂÂ, infatti, e le sue peculiarità, non sempre rendono facile una risposta pastorale efficace se impostata esclusivamente sulla figura della Cappellania diocesana o interdiocesana. Una soluzione complessiva, duratura, più sicura e con adeguati margini di autonomia  sempre in coordinazione con le Autorità locali  potrebbe essere cercata nell'ambito delle strutture pastorali giurisdizionali, anche con capacità d'incardinazione di presbiteri e con possibilità di integrare nelle sue file diversi agenti pastorali  da auspicarsi scelti anche fra gli stessi Zingari  che in cooperazione organica attuino una ÂÂpastorale zingara a favore di una determinata regione, nazione, o anche continenteÂÂ. Dicevo unità nella diversità. Credo che questo sia vero non soltanto per la Chiesa, in linea con quanto scriveva S.Agostino: ÂÂin necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas (nelle cose necessarie bisogna essere uniti, in quelle dubbie vÂÂè libertà, in tutto deve però regnare la carità), ma anche nella realtà stessa delle genti a cui siamo mandati per un dialogo che si fa missione. E straordinariament bello, esaltante e consolante (ÂÂQuam bonum et iucundum est habitare fratres in unum!ÂÂ: Quanto è bello e gioioso che i fratelli siano riuniti, ricordate il Salmista?), esserci ritrovati qui in unità, insieme, pur con tutte le nostre differenze ministeriali e carismatiche di certo, ma anche riflesso, noi, della realtà Rom con tutte le sue differenze, salva quellÂÂunità di origine, di valori fondamentali, in una cultura che pur si dispiega in sotto-culture (inteso il termine non in senso negativo), in una ÂÂWeltanschauung che offre ottime pezze dÂÂappoggio alla predicazione dellÂÂEvangelo di Gesù Cristo (v. il mio intervento del I° giorno, pp. 2-5). Credo che la lingua, sia un segno di tutto ciò, ed emblematica è stata la difficoltà dÂÂintendersi di coloro che, Rom, si sono trovati a dialogare per la prima volta in un contesto mondiale. La lingua (o le lingue, che dir si voglia). Siamo qui di fronte a un argomentoÂÂproblema fondamentale che desideriamo additarvi per la riflessione e lÂÂazione, come frutto di questo Congresso. Occorre che investiamo nella lingua dei Rom fra i quali operiamo! Dobbiamo valorizzarla non solo per lÂÂannuncio della Parola di Dio, per lÂÂOmelia, la Catechesi, ma anche negli scambi, nel dialogo, per far crescere la conoscenza, la fiducia e lÂÂamicizia. Dobbiamo promuoverla, salvarla, valorizzare questa lingua anche in relazione alle Autorità scolastiche e civili. E lingua vuol dire cultura, e ciò immediatamente ci riconduce allÂÂÂÂinculturazione del Messaggio cristiano di cui siamo portatori e testimoni. E qui merita un discorso a parte la questione emersa delle traduzioni per il nostro Popolo nella propria lingua (o lingue). Ciò immediatamente ci richiama alla Liturgia, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Certo qui cÂÂè un vastissimo campo da dissodare dinanzi a noi. Si potrà pensare, in lunga visione, a riti che tengano in conto la realtà Rom, sempre in comunione con i Pastori della Chiesa e della Sede Apostolica, ma quello che possiamo già fare lo dobbiamo compiere. A questo proposito richiamo il vasto campo di adattamento che è legittimamente previsto, per es. nel Rito latino, senza dimenticare lÂÂOriente. In ciò dobbiamo essere creativi, negli spazi di libertà che ci sono concessi per assumere espressioni, canti, pellegrinaggi, processioni, feste, religiosità popolare, come del resto è stato bene illustrato nei testi presentati come frutto dei vostri lavori di gruppo e degli interventi dei Direttori Nazionali. Ancora in questo contesto si potrebbe riprendere il discorso del Diaconato dato a fratelli Rom. Mi sia concesso di riprendere qui, infine, per un momento, lÂÂargomento della tutela dei diritti dei Rom nel fenomeno migratorio e nei processi di integrazione, (o ÂÂinclusioneÂÂ, come sÂÂè detto, più confacente allÂÂapproccio giuridico) e questo perché siamo ancora in tema di spiritualità della comunione, che fa lÂÂoggetto appunto del Congresso. Essa implica infatti il rispetto dei diritti umani, della dignità e socialità dellÂÂuomo e della donna, nel senso di uguaglianza. Senza tale tutela non vÂÂè neppure rapporto vero tra Chiesa e Rom, siano essi suoi membri, cattolici cioè, o oggetto-soggetto del suo dialogo-missione. Abbiamo così pensato di concludere il nostro Documento finale con un appello alla Chiesa e al mondo che sarà divulgato anche come cosa a sé stante, al termine dei nostri lavori. LÂÂappello è teso alla difesa dei diritti umani dei Rom, in contestualizzazione, mediazione culturale e impegno etico, vale a dire del diritto ad avere una nazionalità (uno Statuto personale sicuro, quindi) e un alloggio (con riconoscimento del nomadismo come stile volontario di vita), del diritto alla libertà di circolazione, allÂÂinterno e allÂÂesterno di un Paese, nel quadro specialmente della legislazione europea (che interessa la grandissima maggioranza delle Delegazioni qui presenti) e di quello allÂÂistruzione e educazione, nonché del diritto allÂÂaccesso ai sistemi di protezione sociale e sanitaria. LÂÂappello si chiude con una nota di speranza, nella svolta che sembra caratterizzare oggi la comunità Rom, nel senso, cioè, della partecipazione ai processi decisionali, a loro riguardo, a tutti i livelli: internazionale, nazionale, regionale e locale. E di speranza abbiamo bisogno, una speranza non astratta o utopica, ma basata sullÂÂosservazione, che pensiamo non infondata, nella riuscita cioè dei processi integrativi delle comunità Rom in quelle nazionali con le quali esse hanno un legame di vita e di lavoro (e ricordiamo anche qui proprio il diritto al lavoro, per la vittoria contro la povertà e la mercificazione delle persone). Diritti e doveri, poi, vanno insieme. Per concludere, menziono lÂÂinteresse suscitato anche in me dalla proposta riguardante la Radio Vaticana e che sarà ripresa dal Documento Finale di questo Incontro. Semi sono stati così seminati e li affidiamo alla terra della buona volontà di tutti e di ciascuno, alle Chiese Particolari e a quella Universale, la cui sollecitudine, per disposizione papale, il Pontificio Consiglio esprime in mezzo a voi e a tutti i Rom. Preghiamo affinché la semente non sia caduta o cada tra i rovi o i sassi, ma che produca il 100 per uno. Grazie! |