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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 86, September 2001

 

Il migrante tra l'ugualianza e la diversità delle culture

 

Angelo NEGRINI
Officiale del Pontificio Consiglio 

[French  summary, German summary]

Nessuna epoca storica ha vissuto la questione dellÂÂ’uguaglianza con la stessa drammaticità dellÂÂ’epoca contemporanea che, non a caso, lÂÂ’ha iscritta tra le sue mete ideali qualificanti.
LÂÂ’epoca moderna ha vissuto una permanente dialettica tra il riconoscimento del diritto allÂÂ’uguaglianza e il riconoscimento del diritto alla diversità. Il diritto di essere contemporaneamente uguali e diversi è in sintesi uno dei tratti peculiari della civiltà occidentale europea rispetto ad ogni altra civiltà, e si esprime oggi in termini particolarmente drammatici a livello delle relazioni tra nazioni, etnie, culture, siano esse iscritte in un solo stato, in stati confinanti, in "blocchi" economico-politici o in sistemi culturali eterogenei (si pensi alle distinzioni tra paesi industriali, non industriali, paesi sviluppati, sotto sviluppati, sistemi di mercato,sistemi pianificati, mondo occidentale, mondo islamico, ecc).
La frantumazione del sistema sovietico, il revival delle nazioni a lungo oppresse, i flussi migratori dal Sud al Nord, dallÂÂ’Est allÂÂ’Ovest, sono solo i segnali piú macroscopici della trasformazione culturale in atto.
Il riconoscimento della diversità è in questi casi la via prioritaria attraverso cui nuovi attori collettivi puntano a raggiungere una pari dignità e una maggiore uguaglianza.1 

Ugualianza e identità

Il diritto allÂÂ’uguaglianza tra gli uomini e allÂÂ’uguaglianza nella diversità è un principio che caratterizza sempre più la società multiculturale di oggi.
Tutte le dichiarazioni dei diritti dellÂÂ’uomo hanno posto lÂÂ’uguaglianza tra i diritti fondamentali della persona umana.
Tale diritto però pone alcuni problemi: la natura stessa infatti crea gravi disuguaglianze tra gli uomini fin dalla loro nascita, in materia di salute, dÂÂ’intelligenza, di doni diversi. Per questo è necessario definire la natura di questa uguaglianza che esige lo stesso rispetto, per esempio, per un handicappato e per un genio.
Nei Consideranda con cui esordisce la Dichiarazione universale dellÂÂ’ONU del 1948: vi è in primo luogo la dignità umana che distingue gli uomini dagli altri esseri, per il loro pensiero razionale, la libertà, la personalità che ne fanno un soggetto di diritti e gli conferiscono una inviolabilità fondamentale ed una uguaglianza sostanziale con tutti i loro simili; e vi è la dimensione sociale dellÂÂ’uomo, che può vivere, svilupparsi e accedere ai propri diritti solo tramite la vita sociale, come garanzia del rispetto dellÂÂ’uguale dignità di ciascuno.
Questa idea si concretizza nella appartenenza di tutti gli esseri umani ad una vera e propria comunità universale (che lÂÂ’Onu intende prefigurare in sé stessa), la quale implica una comunità di destino ed una solidarietà universale in nome della quale i diritti dellÂÂ’uomo devono essere difesi.
E dallÂÂ’incontro di due correnti culturali (quella del mondo greco-romano col cristianesimo) che è nata la nostra civiltà occidentale e queste due correnti si sono fuse nella dottrina dei diritti dellÂÂ’uomo, ritrovandosi in una concezione umanistica che vede in ogni essere umano il membro di una grande famiglia, idea che contiene in germe quella di una radicale uguaglianza tra gli uomini.
LÂÂ’eredità filosofica antica, soprattutto quella illustrata da Platone e Aristotele, si è tradotta a livello etico nella dottrina dellÂÂ’unità dellÂÂ’umanità, per cui tutti gli uomini sono uguali, e partecipano di una stessa natura; di qui lÂÂ’idea di una cittadinanza del mondo. Nel suo stadio ultimo, lo stoicismo concepiva che la dignità umana dovesse risultare da una lotta contro lÂÂ’egoismo. Secondo lo stesso stoicismo le proprietà del diritto naturale erano:"Uguaglianza di nascita (soppressione della differenza di valore tra schiavi e padroni, tra barbari e greci) di tutti gli uomini, membri di unÂÂ’unica comunità internazionale".2 
Dal punto di vista puramente antropologico è difficile sostenere che tutti gli uomini sono uguali: uno infatti è più intelligente dellÂÂ’altro o ha un miglior carattere o è maggiormente dotato. La singolarità che costituisce il mistero dellÂÂ’approccio alla persona rende difficile il discorso dellÂÂ’uguaglianza naturale
Tutta la tradizione sui diritti dellÂÂ’uomo fonda questa uguaglianza tra gli uomini sul principio che tutti gli esseri umani fanno parte di una vera e propria comunità mondiale. Ora ciò che contraddistingue una vera comunità è lÂÂ’uguaglianza di tutti i suoi membri e la solidarità tra loro.
Ma una comunità esiste solo se vi è qualcosa di comune tra i membri.
Solo infatti lÂÂ’esistenza di una natura comune a tutti gli uomini (natura a un tempo fisica e razionale, spirituale), spiega come vi sia qualcosa da condividere, da comunicare e, soprattutto, che consenta di entrare in relazione con gli altri, di vivere in società, di amare.
La presenza nellÂÂ’uomo di questa realtà universale, di questo fondo comune che investe insieme il suo corpo e il suo spirito, questo dato permanente è quanto rende gli uomini membri non solo di una stessa specie biologica, ma di una stessa comunità, vera famiglia umana. E siccome questa componente naturale è presente in ogni uomo, essa li rende tutti uguali in dignità malgrado le loro legittime differenze3

I Diritti dellÂÂ’uguaglianza

Il diritto ad una patria

Il legame tra la persona umana e il suo ambiente vitale non è puramente biologico; esso è intessuto con gli altri esseri umani che condividono la stessa storia fondata su radici comuni. LÂÂ’individuo ha quindi il diritto di vivere in un ambiente umano in cui la persona possa svilupparsi.
Questo diritto pone alcuni problemi, il principale dei quali è la crisi che, nei paesi sviluppati, vive il concetto di patria. LÂÂ’evoluzione del mondo moderno verso la formazione di una comunità internazionale, la decolonizzazione, i contatti sempre più frequenti con altri popoli, provocati dallÂÂ’emigrazione hanno indebolito lÂÂ’idea di patria, per non parlare del discredito gettato su questa idea dai movimenti nazionalistici.
Eppure, nonostante questa crisi, la patria resta un valore umano essenziale perché corrisponde al bisogno profondo della persona umana di ricollegarsi a una storia e a una cultura. Dobbiamo ricordarci infatti (in collegamento con lÂÂ’idea di radici) che lÂÂ’uomo può vivere e svilupparsi solo in un ambiente sociale che gli trasmette valori morali, una cultura, un modo di vivere, legati ad una storia appunto, a un territorio: tutte cose che consentono a ciascuno di sentirsi a casa propria e ritrovare la propria identità in una specie di estensione della famiglia. È quanto lascia intendere il termine patria evocando il paese dei propri antenati4.
Il cammino verso la socializzazione mondiale, la facilità dei mezzi di comunicazione, la formazione progressiva di una coscienza universale, fanno sì che le patrie non possano più essere considerate come le comunità umane capaci di rispondere totalmente ai bisogni dellÂÂ’uomo moderno. La patria non può più rappresentare unÂÂ’entità chiusa in se stessa, ma deve consentire lÂÂ’apertura agli altri, ai membri cioè di altre patrie agli stranieri.
E gli stranieri, per gli stessi motivi, in quanto membri della famiglia umana, devono essere considerati come i cittadini del paese in cui risiedono e godere dei medesimi diritti.
Questo diritto corrisponde allÂÂ’antica virtù dellÂÂ’ospitalità.
Nella tradizione giudaico-cristiana (e anche islamica) lo straniero è un inviato di Dio: gli si deve un rispetto assoluto. Il paradosso della nostra società urbanizzata, in cui la socializzazione avvicina gli uomini, è che in essa si manifesta spesso la reazione di rigetto, di disprezzo nei confronti dello straniero che viene a disturbare la nostra tranquillità.
Questo diritto riguarda soprattutto i lavoratori immigrati, venuti spesso per rispondere ad una richiesta di manodopera a buon mercato: la loro presenza nei periodi di disoccupazione pone problemi di concorrenza ma la loro espulsione costituirebbe una grave ingiustizia rispetto ai diritti acquisiti; nonché i rifugiati politici, che beneficiano del diritto di asilo: anche in questo caso regole precise devono prevenire possibili abusi.

Il diritto ad una cultura

Questo termine indica tutti quei mezzi con i quali lÂÂ’uomo affina ed esplica le sue molteplici doti di anima e di corpo5. Questa definizione designa il modo di un determinato gruppo umano di realizzare un preciso tipo dÂÂ’uomo in un dato momento della sua storia. La cultura è dunque una realtà che abbraccia tutti gli spazi della vita umana: il lavoro, la tecnica, le varie forme della vita sociale e dei costumi, le attività intellettuali, artistiche e spirituali. È il modo di vivere, di pensare, di amare e di agire che caratterizza una popolazione ad un qualsiasi stadio della sua evoluzione.
Mentre esiste una sola natura umana (il che significa che tutti gli uomini possiedono caratteristiche che li accomunano) abbiamo invece un pluralismo di culture, legato alle capacità di ogni individuo di realizzare la sua vocazione di uomo. Queste capacità di realizzazione spiegano la singolarità di ogni persona, nonchè, sul piano sociale, lÂÂ’esistenza delle varie culture come volti diversi che la natura umana riveste nel suo compiersi storico6.
È soprattutto sul piano della cultura che si realizza una vera e propria disuguaglianza nelle nostre società occidentali7. La storia culturale dellÂÂ’umanità è come animata da due tensioni contrapposte: la contrapposizione, da una parte, intesa a difendere e riaffermare i propri caratteri particolari e lÂÂ’interazione, dallÂÂ’altra, quasi a ribadire il fondo comune che le unisce. Quando però lo scarto tra due culture è troppo grande, si assiste al fenomeno della dominazione dellÂÂ’una da parte dellÂÂ’altra che è causa, spesso, della distruzione delle culture minoritarie. La civiltà occidentale, afferma Latouche, ha ormai spiantato e decomposto le varie culture dei paesi del terzo mondo, mediante lÂÂ’invasione della tipica cultura industriale dellÂÂ’Occidente, senza vero scambio nè rispetto delle altre culture, con la conseguenza della fame e della miseria8.

Il diritto alla differenza

Sarebbe fraintendere lÂÂ’uguaglianza interumana, afferma il Lanternari, il ridurla ad un livellamento e ad unÂÂ’uniformità simile a quella delle api in un alveare. Certo la persona umana, in quanto individuazione di una natura umana comune, postula lÂÂ’uguaglianza di fronte ai mezzi essenziali per la sua realizzazione. Ma essa non è solo individuo; per la sua spiritualità, essa culmina nellÂÂ’originalità. Ogni persona è qualcosa di unico, e dunque racchiude ricchezze interiori che le altre non hanno9
Esistono notevoli differenze tra le persone umane: differenze di carattere, dÂÂ’intelligenza, di stili di vita, per non parlare delle differenze legate alle culture e alle civiltà. Accanto allÂÂ’universalità del genere umano, nellÂÂ’uguaglianza dei diritti, vi sono dunque anche legittime particolarità tra le persone, che costituiscono un diritto derivante direttamente dalla struttura originale della persona stessa.
È necessario perciò definire correttamente il rapporto tra lÂÂ’universalità delle esigenze egualitarie ed un legittimo particolarismo personale o sociale, se non vogliamo che tale rapporto ingeneri conflitti come la xenofobia o il razzismo. Il diritto alla differenza resta un diritto al servizio dellÂÂ’universalità del genere umano, altrimenti la differenza rischia di creare rotture con gli altri e scissioni nella comunitá umana10.

Le barriere della disuguaglianza

Il giusto concetto di patria e il rispetto delle culture in vista di una umanità riconciliata nel rispetto dei diritti di ciascuno, hanno incontrato numerosi ostacoli, indirettamente provocati dal processo della socializzazione. Gli uomini e i popoli si incontrano sempre più frequentemente ma in condizioni di sempre maggiori disuguaglianze (la situazione degli immigrati ne costituisce il simbolo). Tra questi ostacoli, due, in particolare, hanno una particolare rilevanza: il nazionalismo e il razzismo.

Il nazionalismo

Il nazionalismo si contrappone al patriottismo e non è che lÂÂ’esaltazione esasperata dei valori propri di una nazione. Esso pertanto è una vera e propria prevaricazione nei confronti dellÂÂ’uguaglianza delle culture. I valori nazionali infatti non sono degli assoluti; sono soltanto un modo particolare di realizzare i valori universali della natura umana, espressi dai diritti dellÂÂ’uomo. Ogni nazione ha senso in quanto è aperta alle altre, disposta allo scambio e alla comunicazione: essa non è che il volto particolare e singolare di una realtá comune, la natura sociale dellÂÂ’uomo.
Il modo migliore per manifestare la profondità di unÂÂ’unità consiste nel situarla non nella uniformità e nel livellamento, ma nella diversità. Pertanto questÂÂ’ultima non deve mai affermarsi come opposizione o come atteggiamento di superiorità di fronte ad altri, ma come complementarietà. Ecco il vizio del nazionalismo che a forza di esaltare il particolarismo nazionale, arriva immancabilmente alla negazione dellÂÂ’uguaglianza, dellÂÂ’unità e della solidarietà tra gli uomini.
È quanto afferma Paolo VI: "È pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio che hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola e divide i popoli contro il loro vero bene"11.

Il razzismo

Analogo al nazionalismo, il razzismo è la affermazione della superiorità di un gruppo umano su altri in nome, stavolta, di differenziazioni razziali: lo specifico del razzismo consiste nel dare a determinate caratteristiche etniche unÂÂ’importanza tale da farle corrispondere a disuguaglianze fondamentali e irriducibili tra le persone umane, soprattutto in relazione alla dignità e ai diritti dellÂÂ’uomo. Il razzista non tende a isolare coloro che egli considera degli uguali, ma coloro con cui egli non ritiene possibile o utile un confronto (il dialogo infatti suppone un minimo di riconoscimento dellÂÂ’uguaglianza). È dunque il fondamento stesso del razzismo che bisogna denunciare come un mito e una menzogna.
Possiamo chiederci qual è il significato di razza dal punto di vista scientifico. LÂÂ’UNESCO ha organizzato nel 1964 un congresso in materia, il quale ha concluso che la razza non è che un puro concetto biologico. Non esiste cioè una vera razza pura in seno allÂÂ’umanità, ma solo delle caratteristiche razziali in combinazioni e proporzioni molto varie secondo le popolazioni. Queste caratteristiche perciò non possono servire da fondamento ad una gerarchizzazione della dignità o importanza dei gruppi umani12

Uguaglianza e diversità

Fenomeno migratorio e disuguaglianze sociali

Il mondo dellÂÂ’immigrazione è, al giorno dÂÂ’oggi, lo "spazio" in cui, più di ogni altro, si verificano le più grosse disuguaglianze sociali. Vi sono delle costanti che hanno caratterizzato la storia di tali disuguaglianze in seno al fenomeno migratorio:

  • sul piano giuridico: la discriminazione

  • sul piano esistenziale: la precarietà

  • sul piano occupazionale: la provvisorietà e lÂÂ’incertezza

  • sul piano sociale: la mancanza di infrastrutture

  • sul piano politico: lÂÂ’emarginazione

  • sul piano culturale: lÂÂ’involuzione e la ghettizzazione.

Sul piano della convivenza e dei rapporti umani inoltre regna sovrana lÂÂ’intolleranza e il pregiudizio. Oggi in Europa assistiamo sempre piú a una crescente frattura tra economia, tecnologia, cultura di massa e di consumo da una parte, e i processi di identificazione culturale degli individui, dallÂÂ’altra. Mentre infatti lÂÂ’economia, la finanza, la tecnologia dellÂÂ’informazione e della comunicazione si planetarizzano sempre di più, gli individui hanno la tendenza a "localizzarsi", in un certo senso a "tribalizzarsi", a mettere in moto processi di esclusione, di discriminazione, di intollenza.
La riferenza etnica (appartenenza nazionale) o la riferenza a un determinato territorio ritornano in forza nella coscienza collettiva. Sembra che lÂÂ’internazionalizzazione economica e politica richiami (come anticorpo?) lo sviluppo dei nazionalismi. Di questo fenomeno gli immigrati costituiscono il miglior rivelatore: essi infatti ne sono simultaneamente lÂÂ’effetto (il loro flusso e il loro insediamento in Europa seguono le leggi del mercato del lavoro internazionale) e le vittime (il loro arrivo provoca gli sciovinismi locali)13.

Razzismo coloniale e razzismo xenofobo

Il problema del rapporto con gli immigrati è diventato ormai un problema quotidiano sul tappeto del dibattito politico e amministrativo. Attualmente circa 18 milioni di immigrati in Europa (molti dei quali provenienti dai paesi del Terzo Mondo) rappresentano, per la prima volta nella storia dellÂÂ’Europa, un afflusso massiccio di popolazioni eterogenee per origini e cultura.
Come sono visti questi immigrati dagli europei? Di che modelli dispone questo continente per pensare questo fatto, inedito quanto meno nelle attuali dimensioni, e riconoscerne le virtualità positive? Come sempre, di fronte alle novità, le categorie arcaiche riaffiorano. Attorno a due temi: quello dellÂÂ’invasione dei barbari e quello della colonizzazione alla rovescia.
Per alcuni la storia si ripeterebbe e lÂÂ’Europa starebbe vivendo quello che visse Roma con lÂÂ’infiltrazione e poi con lÂÂ’arrivo in massa dei barbari, nella prospettiva dello stesso destino: quello della fine dellÂÂ’impero; oppure la storia si ribalterebbe e coloro ai quali lÂÂ’Europa aveva portato la civiltà si rivolterebbero contro la mano di chi li ha nutriti: oggi il terzo mondo riversa i suoi uomini e la sua forza-lavoro nei paesi europei, così come un secolo fa lÂÂ’Europa rovesciava i suoi uomini e la sua potenza militare nelle terre dÂÂ’Africa.
Vi é una nemesi chiara nei due processi storici così strettamente interconnessi. 
Il rapporto tra il razzismo coloniale e il razzismo xenofobo che oggi dilaga in Europa in risposta alla cosiddetta "intrusione dei negri" è stato ben delineato da Etienne Balibar il quale sottolinea che la nuova xenofobia degli europei contro gli africani "stranieri immigrati" non è che uno sviluppo e una continuazione del razzismo coloniale: invece della nozione di "razza" ispiratrice del primo razzismo, si adotta oggi il termine "immigrazione". Ci vantiamo così di non essere razzisti perché "non viene messa in questione la razza quanto piuttosto lÂÂ’irriducibilità delle differenze culturali"14
E così, stranamente, si sviluppano tra immigrati ed europei due miti analoghi e contrapposti: gli immigrati indicano nella nuova terra un mitico "eldorado" come rifugio e salvezza; gli europei rispondono con un altro mito, questo però apocalittico, che indica negli immigrati gli annunciatori della decadenza, se non della fine, della civiltà madre dellÂÂ’intero occidente.
Così alle speranze e alle attese degli africani si contrappone la risposta negatrice, terroristica degli europei; allÂÂ’immaginario paradiso degli africani si oppone una immaginaria apocalisse degli europei15.
E questa reazione sta a dimostrare quanto sia statica, antistorica, la percezione della propria identità culturale da parte dellÂÂ’Europa che respinge lÂÂ’esperienza di un incontro con culture differenti, chiudendosi nella gabbia del suo egocentrismo culturale. 
Mahmoud Mansoubi, icasticamente: "LÂÂ’Europa non si costruisce criminalizzando il resto dellÂÂ’umanità"16. E tanto meno, aggiungiamo noi, con lÂÂ’enfatizzare fino alla esasperazione il senso di identità nazionale, come di fatto avviene nel nuovo razzismo, sia xenofobo, sia antisemita, sia antiarabo, o quale che sia.
La nostra pretesa di unificare tutte le memorie delle civiltà che sono sulla terra, di espropriarle della loro memoria particolare per inserirle nella nostra memoria, nella nostra civiltà, è fallita perché le molte etnie si appropriano della loro memoria, respingono una memoria unificante che attraverso processi di colonizzazione culturale avevamo voluto imporre sullÂÂ’umanità intera. E questo è un fatto di enorme rilevanza, non certo previsto fino a venti, trentÂÂ’anni fa. Tutti noi siamo stati allevati sui banchi di scuola a questo dogmatismo: la sicurezza di essere superiori, la certezza che ogni popolo che voglia battere le vie della civiltà non può che passare attraverso la nostra strada. Questo razzismo culturale è semplicemente spaventoso ed é alla radice, molto probabilmente, dei fenomeni di razzismo spicciolo che riempie la cronaca quotidiana.

LÂÂ’eclissi dellÂÂ’identità

La contrapposizione tra invidui e culture, la categoria amico-nemico, nelle sue infinite variazioni, è stata la categoria portante delle culture del passato che hanno conosciuto sì, scambi profondi, ma sempre restando fedeli alla dinamica dellÂÂ’antagonismo.
"Eppure, ecco un passaggio importante afferma Balducci, lÂÂ’uomo non si definisce del tutto con la cultura che gli ha dato identità. Sotto lÂÂ’homo editus (lÂÂ’ebreo, il romano, il tedesco, il cinese, il negro e cosi via) cÂÂ’è lÂÂ’homo absconditus, lÂÂ’uomo come infinita riserva di possibilità ancora inedite ma che potrebbero diventare positività storica se non restassero mortificate dalla pressione delle culture storicamente determinate. È suggestivo quanto dice Chomsky nella sua "teoria della sintassi": gli uomini usano grammatiche diverse, a seconda della loro cultura, ma sotto le grammatiche superficiali c'è una "grammatica generativa" che consente anche a un bambino di tre anni di imparare lingue diverse e di passare dallÂÂ’una allÂÂ’altra. Per diverso che sia da me il negro senegalese che incontro, cÂÂ’è in comune a entrambi una "grammatica generativa"; di più: cÂÂ’è una "umanità nascosta" che aspira al superamento delle nostre due culture, aspira insomma ad un modo di convivere che lasci alle sue spalle la nostra massiccia e impenetrabile diversità"17
Le diversità, afferma a sua volta Felice Rizzi, non sono una bandiera da sventolare sulle città che si dichiarano pluraliste: sono valori costitutivi delle persone, sono il riconoscimento dellÂÂ’uguale natura che si esprime al plurale. "La diversità è il volto concreto dellÂÂ’uguaglianza ontologica: riconoscersi diversi è riconoscersi appartenenti alla matrice dellÂÂ’umanità; è "fare i conti" con tutti, senza idealizzare e senza disprezzare, senza escludere e senza esaltare"18.
La diversità delle razze è stata definita la versatilità creativa dellÂÂ’istinto vitale. Invece della repulsione dovremmo sentire ammirazione e rispetto perché la diversità ci appartiene. Mentre la repulsione etnica è un fatto che fa capo alla cultura del "nemico" percepito come minaccia. Di qui la dinamica conflittuale tra etnia ed etnia in cui ha la sua remota radice il sentimento di repulsione dellÂÂ’altro che nellÂÂ’età moderna si è ideologizzato dando luogo al fenomeno del razzismo. Ogni individuo costruisce il senso di sé nella etnia cui appartiene e lo esprime nella repulsione dellÂÂ’estraneo che, semplicemente perché diverso, gli appare appunto come una minaccia. Che il segno della estraneità sia il colore della pelle, la lingua indecifrabile ("barbaro" per gli antichi greci è chi non sa parlare), la patria diversa o la diversa religione è di secondaria importanza: la spinta oscura che porta alla ripulsa dellÂÂ’altro è, in tutti i casi, la paura della perdita della propria identità che, dal punto di vista psicologico, è la pietra angolare della sicurezza. LÂÂ’attuale mescolamento delle "razze" rischia di far riaffiorare appunto questa xenofobia ancestrale.
Siamo nella fase "planetaria" dellÂÂ’evoluzione umana, afferma Balducci. Per cui occorre una conoscenza adeguata alla dimensione dei problemi19. Una dimensione che sul piano del linguaggio politico ricorrente si chiama la categoria dellÂÂ’interdipendenza, della reciprocità, dove finalmente il "nemico" diventa semplicemente "lÂÂ’altro"20. Il senso del futuro che viene, afferma Lévinas, è "lÂÂ’epifania dellÂÂ’altro", l'apparizione dell'altro. 
Questo sentire le altre culture come portatrici di doni vuol dire che cÂÂ’è in noi una umanità comune di cui le culture diverse sono una espressione parziale, che le possibilità umane che sono dentro di noi ci affratellano a tutti gli uomini, diversi da me per cultura, ma uguali a me nella ricerca di una totalità che non si identifica con nessuna cultura. Il nostro compito oggi è di garantire lÂÂ’uguaglianza alle differenze.

Convivere con le diversità

È semplicemente impensabile voler risolvere i tanti problemi di identità (legati alle persone, alla nazione, alla cultura) se non partiamo dal principio che la diversità è valore, risorsa, diritto; se non ci muoviamo, per dirla con Paul Ricoeur, verso un "ethos della reciprocità". La diversità, afferma Levontin, è lÂÂ’inalienabile diritto di ogni persona ad attuarsi e ad espandersi in tutta la sua originaria pienezza, affermandosi come umanità differente non solo dagli altri, ma anche da se stessa, al fine di non deteriorarsi nel conformismo e nella ripetizione21
"Questo incontro con lÂÂ’altro è ormai il problema del futuro ed è un problema affrontando il quale liquideremo in modo positivo, fruttuoso e non catastrofico la modernità, entreremo nellÂÂ’età post-moderna in cui lÂÂ’umanità non avrà un centro e una periferia perché ogni popolo sarà centro e periferia nello stesso tempo, ogni popolo avrà diritto di custodire la propria identità e di sentire"altri"gli altri popoli ma in una reciprocità che non porta affatto in sé la contaminazione dellÂÂ’ideologia del dominio"22
Diciotto milioni di immigrati in Europa ci dicono che il fenomeno non è un fatto congiunturale: è un processo che entra nelle dinamiche di cambiamento strutturale delle nostre società che stanno diventando sempre più multiculturali. Attualmente si possono identificare in Europa più di settanta gruppi etnici, ciascuno dei quali ha un suo territorio, lingua e identità etnica o nazionale, anche se solo un terzo di essi costituiscono anche uno stato. Ogni gruppo etnico ha notevoli differenze non solo a seconda delle lingue parlate, ma anche a seconda delle regioni, della religione, dello stato sociale. Questo è il multiculturalismo europeo.
Come spiega Todorov nel concludere la sua analisi della conquista dellÂÂ’America23 lÂÂ’atteggiamento verso lÂÂ’altro può sboccare in due soluzioni entrambe basate sul più bieco egocentrismo.
È possibile considerare l
ÂÂ’uomo etnicamente diverso come un essere dotato dei nostri stessi diritti: non dunque come altro ma come identico e uguale a noi e quindi necessariamente assimilabile a noi. Noi ti riconosciamo uomo come noi, dunque non ti resta che essere come noi siamo. 
LÂÂ’identità, lÂÂ’uguaglianza annulla lÂÂ’alterità e pone così la premessa per la strategia, dellÂÂ’assimilazione. Il riconoscimento dellÂÂ’uguale dignità si fa punto di appoggio per lÂÂ’eliminazione dellÂÂ’alterità. Eliminazione che in caso di ostinata resistenza, può diventare anche fisica: è il caso degli Indios ai quali non fu lasciata altra alternativa che la conversione o lo sterminio.
Che questa sia anche oggi la tentazione delle società europee messe alla prova dalla presenza di forti gruppi etnici, è dimostrata da una casistica particolarmente ricca: in Francia, quando le ragazze arabe indossarono lo chador durante le ore di scuola, è sorta, violenta, la reazione e lÂÂ’opposizione delle autorità civili. Nella tradizione laica occidentale, per quanto illuminata, ciò che fa scandalo è che la differenza pretenda lÂÂ’uguaglianza restando differenza.
La seconda soluzione dell
ÂÂ’incontro con lÂÂ’altro è quella che mira a conciliare il riconoscimento della sua dignità di uomo con il verdetto della sua inferiorità in quanto diverso: uomo sì, ma diverso e perciò inferiore: Siamo disposti a rispettare la differenza ma solo a condizione che si riconosca la nostra superiorità.
Differenza
e inferiorità e dunque disuguaglianza si equivalgono. Per questo gli Indios, divenuti cristiani, vennero ritenuti per due secoli inidonei a diventare preti: figli di Dio anche loro, ma inferiori24. Alcune componenti politiche in Germania sono tuttora decisamente contrarie alla concessione agli stranieri immigrati del diritto di voto nelle elezioni amministrative: siete diversi, non siete uguali a noi, non potete godere dei nostri stessi diritti.
LÂÂ’assimilazione o la subalternità: ecco fino ad oggi quanto è destinato agli uomini di altra razza venuti a contatto con lÂÂ’uomo occidentale. La modernità non ha conosciuti altri esiti.
Il tempo nuovo, segnato per un verso dalla crisi del sistema dei valori occidentali come sistema assoluto e, per lÂÂ’altro, dallÂÂ’insediamento di vere e proprie comunità etniche dentro le metropoli dellÂÂ’Occidente, ci chiede che tentiamo lÂÂ’unica via autenticamente umana: quella dellÂÂ’uguaglianza nella diversità, senza che l'essere uguali significhi essere identici e quella della diversità nell'uguaglianza, senza che l'essere differenti significhi essere inferiori.
Nel riconoscere lÂÂ’altro come tale, io resto me stesso e in più mi faccio ricco dellÂÂ’alterità riconosciuta, della sua diversità.
Che questa nuova condizione susciti senso di smarrimento, paura, ripiegamento ossessivo sulla propria identità particolare, è un fatto del tutto naturale. Le razze, coi loro diversi corredi culturali, sono chiamate sempre più a convivere, confrontarsi, fecondarsi reciprocamente sciogliendosi sia dai particolarismi tribali che le rendono chiuse lÂÂ’una allÂÂ’altra, sia dalle pretese "universalistiche", totalizzanti che le mettono in guerra lÂÂ’una contro lÂÂ’altra.
È soprattutto a questo livello che va affrontato e risolto un problema che purtroppo fino ad oggi ha messo in moto quasi soltanto provvedimenti dettati dalla logica di mercato (specie del mercato dei lavoratori, vedi il trattato di Schengen) e dalla logica dellÂÂ’ordine pubblico (vedi le misure di polizia contro gli immigrati). La presenza dellÂÂ’altro non farà che aumentare, anche quantitativamente, nei Paesi europei. "Una specie di nemesi demografica, sta assottigliando le risorse biologiche dellÂÂ’occidente: le tribù del Sud del pianeta si stanno spostando con la potenza tranquilla degli assestamenti geologici"25

Riconoscersi uguali accettandosi diversi

La civiltà occidentale dunque si è formata su un unico principio: quello della soppressione del diverso o per espulsione o per assimilazione. Ma la vita dellÂÂ’Europa è destinata ad essere scossa dai suoi millenari fondamenti: gli esclusi, gli emarginati, i periferici, i "dannati della terra" reclamano il loro posto come individui, vogliono partecipare in prima persona alla costruzione dellÂÂ’Europa del domani. Masse dÂÂ’uomini premono oggi alle porte dellÂÂ’Europa: sarebbe miopia chiamarli "barbari" solo a causa di particolarità linguistiche. Essi sono gli europei di domani. La grande scoperta che sta alla base del nuovo compito per lÂÂ’Europa è appunto che le diversità sono una forza. Ecco dunque i due grandi pericoli incombenti: dalle migrazioni per motivi economici: la marginalità (razzismo economico); e dalle migrazioni per motivi culturali: la paura del diverso (razzismo culturale).
LÂÂ’unica possibilità che ci rimane per costruire una società europea giusta e veramente fraterna è quella di riconoscerci uguali accettandoci diversi. "Siamo persone. Siamo uno fra i tanti. Uguali e diversi. Siamo persone. Con i nostri vizi e virtù. Con le nostre convinzioni. Siamo persone. Completiamo gli altri e siamo completati dagli altri. Uguali e diversi"26.
Se appena ci lasciamo animare da quella fede nellÂÂ’uomo che ci viene insegnata dalla nostra storia remota e recente, non dovrebbe suonarci retorica questa tesi: gli altri, i diversi, vengono verso di noi con un dono di cui noi tutti abbiamo bisogno. Essi ci offrono lÂÂ’occasione per la scoperta della nostra umanità più profonda.
Non basta la tolleranza, virtù illuministica. Occorre un atteggiamento dinamico in grado di promuovere la nascita di ciò che attende di nascere. "Bisogna ascoltare la crescita del grano, incoraggiare le potenzialità segrete, risvegliare tutte le vocazioni a vivere insieme che la storia tiene in serbo"27
LÂÂ’unica ipotesi che possiamo assumere come principio di discernimento nei rapporti tra gli individui e le culture, dunque, è quella di un umanesimo planetario in cui una medesima civiltà si integri in culture diverse.

Dalla paura della diversità alla paura dellÂÂ’uguaglianza

LÂÂ’homo absconditus

UnÂÂ’ultima constatazione: finora i nostri tentativi per costruire una società più giusta e veramente fraterna, i nostri sillogismi, i nostri sforzi diplomatici, le nostre ipotesi sociopolitiche, i nostri stratagemmi e programmi hanno mostrato la corda.
Noi cristiani, oggi, siamo forse chiamati a verificare unÂÂ’altra ipotesi: lÂÂ’unico linguaggio capace di svegliare convergenze tra gli uomini di culture diverse è il linguaggio profetico perché, a differenza del linguaggio culturale, esso ha come suo naturale destinatario non lÂÂ’homo editus, come lo chiama Balducci, il greco, il romano, lÂÂ’ebreo, ma lÂÂ’uomo come possibilità, lÂÂ’uomo proteso al trascendimento delle diversità storicamente date, come accadde il giorno di Pentecoste.
Se io scendo in Africa a insegnare la teologia cattolica, anche se non me ne accorgo, compio una sopraffazione culturale; ma se scendo ad annunciare il Vangelo sveglio lÂÂ’"homo absconditus": lo metto in moto verso una sua comprensione della verità unica, non traducibile in nessun concetto28.
In questa concezione trova fondamento una duplice concezione dellÂÂ’attività missionaria: la prima orientata verso la soppressione della diversità, la seconda verso il suo accoglimento e il suo superamento.
Nel primo caso le missioni non fanno che assecondare la cultura del dominio; nel secondo caso diventano messaggio di liberazione.
Per questo il Vangelo è, nella sua sostanza, un annuncio di pace: perché è un annuncio profetico, un messaggio rivolto allÂÂ’uomo nascosto, senza disprezzo per la cultura particolare ma con lÂÂ’invito a superarla in una comunione che abbraccia tutte le persone.

Il diverso-universale

Dal punto di vista culturale Gesù era un ebreo, con tutte le limitazioni della cultura ebrea, ma in quanto Messia egli si rivolse a tutti coloro che le culture del dominio escludono e umiliano per annunciare che per loro era il regno preparato dal Padre fin dalla fondazione del mondo.
Per questo la cultura della città quella del sinedrio e quella del pretorio lo esclude: perché egli era un diverso, vorrei dire"il Diverso", ma un diverso in cui si riconosce lÂÂ’uomo nascosto in ogni essere umano, di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo.
La Scrittura, afferma Enzo Bianchi, mostra che il Dio biblico è il Dio degli stranieri, il Dio che si fa straniero, che sceglie la marginalità, il di fuori, la disuguaglianza, la diversità, fino a rivelarsi quale Dio degli ebrei schiavi in Egitto e a manifestarsi in Gesù che nasce in un luogo scentrato e marginale perché non cÂÂ’era posto per lui (Lc 2,7) e che nel suo ministero storico non aveva dove posare il capo (Lc 9,58). La croce poi, centro della rivelazione cristiana, costituisce il momento tragicamente culminante della radicale diversità e stranierità di Gesù.
Gesù stesso appare fuori dalla società civile e religiosa, estraniato da Dio, abbandonato da Dio, fuori dalla salvezza. Ma, teologicamente, proprio quello è il momento in cui salva tutti gli uomini; proprio quello è il momento in cui la comunione si dilata a tutta lÂÂ’umanità29.

Fra lÂÂ’uomo e il cittadino, una ferita: lo straniero30 

Lo straniero non è più né"una razza né una nazione"; in modo subdolo e inquietante si insinua dentro di noi: noi siamo gli stranieri, gli esseri divisi e sconosciuti a noi stessi.
Lo straniero dunque è anzitutto dentro di noi.
Dobbiamo avere il coraggio di dirci disintegrati per accogliere gli stranieri in quella inquietante estranietà, stranierità, che è loro come nostra. 
Ci stiamo incamminando a grandi passi verso un tempo di nuove conoscenze, nuove alleanze, nuove identità. Ci aspetta una società polivalente e multiculturale in cui persone e culture si pongono tutte sullo stesso piano, tutte ugualmente importanti, con le loro ricchezze e i loro valori. E questo richiede cambiamenti spesso inaspettati e sorprendenti."Il futuro si presenta come una comunità fatta di stranieri che si accettano nella misura in cui si riconoscono stranieri a se stessi e disposti ad accettare lÂÂ’estraneità dellÂÂ’altro come parte e sviluppo della propria31
A questo punto però diventa difficile, forse impossibile, distinguere diversità e uguaglianza. Il che fa dire ad uno psicanalista:"Credo sia venuto il momento di unÂÂ’altra rivoluzione copernicana: quello di affermare finalmente che il razzismo non si fonda tanto sulla paura della diversità, quanto sulla paura della somiglianza, non tanto sulla paura degli altri quanto sulla paura di sè stessi. Quello che ha sempre terrorizzato gli esseri umani è di dover accettare la fondamentale uguaglianza di tutti con gli altri; di attribuire agli altri le proprie qualità e di riconoscere in se stessi i difetti altrui. LÂÂ’uomo deve ritrovare la propria identità perduta ed essere capace di riconoscere negli altri se stesso. Il razzismo è la paura di questo riconoscimento, la paura della propria identità e non della diversità: é il rifiuto di amare il proprio simile32".

Note e riferimenti bibliografici


1G.Rovati, Uguali e diversi. Il problema della stratificazione sociale, Vita epensiero, 1992. La faticosa convivenza del principio di uguaglianza e di diversità viene analizzata dallÂÂ’autore con riferimento sia alle teorie macro e microsociologiche della stratificazione sociale, sia alla concreta dinamica della società italiana. Particolare attenzione è rivolta al dibattito sulla estensione dei diritti di cittadinanza, alle trasformazioni culturali e strutturali dei ceti medi superiori, alla stima delle disuguaglianze socio-economiche tra i nuclei familiari. Il primo capitolo del volume esplora la storica dialettica tra uguaglianza e diversità, così come si è espressa nellÂÂ’ambito della riflessione sociologica. Tra i molti significati e le molte implicazioni del termine-concetto uguaglianza, lÂÂ’attenzione del capitolo viene rivolta esclusivamente al fenomeno delle disuguaglianze sociali e al modo di considerarle nell'ambito della teoria sociologica classica e contemporanea.

2Questi temi sono ripresi e sviluppati nel volume di J.M. Aubert, Diritti umani e liberazione evangelica, Querisiana, Brescia, 1989.

Mai forse come oggi si parla di diritti umani. Ogni partito politico, ogni ideologia e anche ogni confessione religiosa si propone come difensore accreditato di questi diritti, nelle loro continue variazioni. Ma in questo modo, afferma lÂÂ’autore, si dimentica che i diritti umani sono di tutti; solo una coscienza universale può assicurare la loro promozione. LÂÂ’autore non passa sotto silenzio un passato in cui i cristiani hanno pesantemente leso tali diritti attraverso il disprezzo dellÂÂ’uomo, con la pratica della intolleranza e della tortura. È un passato con tanti punti oscuri, ma il fondamento evangelico dei diritti umani non è mai stato completamente dimenticato, anche se spesso rimaneva puramente teorico. Oggi il ventaglio dei diritti umani non cessa di allargarsi e lÂÂ’autore li passa in rassegna, dai diritti individuali più classici a quelli sociali che esprimono la solidarietà tra gli uomini. Difendere i diritti umani afferma Aubert significa lottare per una umanità viva e dignitosa. 

3Sono molte le opere di carattere generale che hanno approfondito questo tema. Tra le altre: AAVV, Diritti dellÂÂ’uomo e società internazionale, Vita e pensiero, 1983; AAVV, I diritti umani: presente e futuro dellÂÂ’uomo Pellegrini, Cosenza, 1989; Auber, op. cit.; J. F. Collange, Teologia dei diritti umani, Queriniana, Brescia, 1991; R. Coste, Verso lÂÂ’uomo. La Chiesa e i diritti dellÂÂ’uomo, Città nuova, Roma, 1985; H. Klenner, Merxismus und Menschenrechte, Berlin, 1982; A. Montemarano, Diritti dellÂÂ’uomo e proposta cristiana, Janua, Roma 1983; B. Mondin, LÂÂ’uomo: chi è?. Elementi di antropologia filosofica,  Massimo, 1997.

4Per il concetto di patria cfr. Patrie di J.M. Aubert, in Catholicisme, Paris 1985 (pag. 816-827), mentre per il concetto di radici cfr. il capitolo su LÂÂ’identità fra riconoscimento dellÂÂ’altro e memoria delle radici (pag. 181- 192) G. Mari, Oltre il frammento, La scuola, Brescia, 1995.

5Gaudium et spes53, 2.

6Sui temi qui accennati (concetto di cultura, incontro delle culture, cultura e cristianesimo) cfr.: la voce Cultura, in Lessico migratorio, CSER, Roma, 1987; la voce Cultura nel Dizionario di sociologia, EP, 1976; T. Tentori, Antropologia culturale, Roma 1968; R. Guardini, Natura, cultura, cristianesimo, Morcelliana, Brescia, 1958; J. Maritain, Religione e cultura, Mocelliana, Brescia, 1978.

7Cfr. O, Filtzinger, Cultura dominante e culture subalterne in Germania, in Quaderno Udep, n. 14-15/1988.

uaderno UdepQqQuaderno 

8Serge Latouche, L‘occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la portata e i limiti dellÂÂ’informazione planetaria, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.

Di questo prezioso cfr. in particolare il capitolo Deculturazione e sottosviluppo (pag. 66-75). Tutto il volume per il resto verte su questa constatazione: il fallimento dello sviluppo, la constatata impossibilità cioè di ripetere nei paesi del cosidetto Terzo Mondo quel complesso di trasformazioni che hanno portato allÂÂ’opulenza dellÂÂ’Occidente, si lascia dietro una vera e propria catastrofe di cui si tarda a misurare lÂÂ’ampiezza. Ovunque, a ristrette élites che vivono allÂÂ’ombra del mercato mondiale, corrispondono immense masse sradicate che hanno subito la stessa invasione culturale prima ancora che economica. LÂÂ’espansione dell‘Occidente risulta essere il trionfo di un modello universale, (quasi una megamacchina tecnico-scientifica che impone al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo i propri imperativi mercantili) più che lÂÂ’effetto di un diretto dominio militare e/o economico. Certo, afferma lÂÂ’autore, questi aspetti del buon vecchio colonianismo e imperialismo non sono scomparsi, anzi!. Ma la loro portata è ormai senza misura con gli effetti di una uniformazione planetaria tanto travolgente quanto destinata nella maggior parte dei casi a restare puramente immaginaria.

9Cfr. V. Lanternari, Il modello centro-periferia in una prospettiva antropologica. In difesa delle identità e delle differenze e Alterità esterna e alterità interna in LÂÂ’incivilimento dei barbari. Problemi di etnocentrismo e di identità, Dedalo, Bari 1992.

10Ibidem

11Populorum progressio, 62

12Anche sui temi del razzismo e nazionalismo la bibliografia è abbondante. Segnaliamo in particolare: R.Bastide, Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali e razziali, Jaca Book, Roma, 1990; R.Galissot, Razzismo e antirazzismo. La sfida dell‘immagine, Dedalo, Bari, 1992; M.Montago, La razza. Analisi di un mito, Einaudi, 1960; X.Limp. Anatomia dellÂÂ’apartheid, Einaudi, 1972; E.Balibar, Io stesso o l‘altro? Per una analisi del razzismo contemporaneo, in La critica sociologica, 1989; Balbo, Marconi, I razzismi reali, Feltrinelli, 1992; T.Tentori, Il rischio della certezza. Pregiudizio, potere, cultura, Studium, Roma, 1987; A.Beteille, La disuguaglianza fra gli uomini, Il Mulino, Bologna, 1981. 

13Cfr. Perotti, Le identità etno-culturali, in Pedagogia e vita, Rivista mensile, Editrice La Scuola, Brescia, 2/1993. La bibliografia sullÂÂ’immigrazione in Germania comprende ormai quasi ottomila titoli. Mi limito a segnalare solo due volumi che riportano, in merito, una buona selezione bibliografica: F.Cabral,Multikulterelle Gesellschaft. Aktuelle Herausforderungen an die Zivilgesellschaft und an die Kirche. Ed. Terra Prometida, Offenbach, 1994; e C.Habbe, Asländer. Die verfemten Gäste, SpiegelBuch, Hamburg 1983.

14E. Balibar, op. cit.

15Cfr. V. Lanternari, Una nemesi storica: gli immigrati del terzo mondo. Aspetti etnoantropologici del fenomeno in Per una società multiculturale, Liguori, 1991.

16M. Mansoubi, Mamma, li (nuovi) Turchi!, in Notiziario-Democrazia Proletaria, 6 ottobre 1989.

17Cfr. E.Balducci, Convivere con le diversità, in Quaderno Udep, 19/1989.

18F.Rizzi, Siamo diversi, quindi uguali, in Pedagogia e vita, Editrice La Scuola, Brescia, 2/1993.

19E.Balducci, LÂÂ’uomo planetario, Camunia, Milano 1984.

20Lévinas, Umanesimo dellÂÂ’altro uomo, Genova 1985.

21Levontin, La diversità umana, Zanichelli, 1987. 

22T.Todorov, Noi e gli altri, Einaudi, 1991, cit. da A.Negrini, Educazione interculturale e razzismo, in Migrazioni e società multiculturali. Una sfida per lÂÂ’educazione. Edizioni Junior 1994. Il volume raccoglie altre relazioni (Agnello, Borrelli, Mangano, Calamoneri, Sirna, Bolognari, Filtzinger, Romano, Ajello) svolte a un convegno internazionale a Catania sul tema della multiculturalità. La riflessione critica mette a fuoco i numerosi motivi di conflittualità ma anche lÂÂ’estrema vitalità e le infinite risorse che si attivano nei soggetti interessati dal fenomeno migratorio. I vari contributi mirano a ridefinire le prospettive teoretiche di fondo entro cui si dovrà muovere il discorso pedagogico, a identificare i nodi problematici delle questioni emergenti e avanzano proposte educative per affrontare adeguatamente ai vari livelli i problemi emergenti.

In proposito, si veda anche G.Mari, Oltre il frammento, dellÂÂ’editrice La Scuola di Brescia, 1995, in particolare il capitolo VI: Lineamenti pedagogici per lÂÂ’educazione della coscienza allÂÂ’interno della postmodernità(pag. 169-226) che, propone la valutazione della coscienza come responsabile della sintesi conoscitiva ed etica. Dopo il richiamo dei diversi quesiti esistenziali che stanno affiorando nel postmoderno, sono individuati i sintomi di una ripresa dellÂÂ’attenzione alla trascendenza che apre alla rivalutazione metafisica della coscienza atta a rappresentare, allÂÂ’interno della cultura del frammento, lÂÂ’elemento capace di nuove sintesi culturali. Segnaliamo infine, di G.Di Cristofaro Longo, Identità e cultura. Per una antropologia della diversità. Studium, Roma 1993.

AllÂÂ’interno delle relazioni tra le persone sta avvenendo un cambiamento radicale di prospettive, contenuti, rapporti; una mutazione antropologica epocale, come la definisce lÂÂ’autrice, che ridefinisce in termini inediti i concetti di identità, appartenenza, interdipendenza, reciprocità. Dopo un ampio esame teorico del concetto di identità, analizzato in rapporto al concetto di cultura, il volume si sofferma su alcune aree di indagine antropologica di particolare interesse e attualità: i rapporti uomo-donna; il recupero di alcune tradizioni popolari come esigenza di riappropriazione delle proprie radici; e per quanto riguarda il nostro tema, lÂÂ’affermarsi di identità planetarie conseguenti alla dilazione degli scenari di riferimento, dove si trovano a convivere, non senza conflitti e apparenti contraddizioni, nuovi localismi e tensioni verso la mondialità. 

23Cfr. T. Todorov, La conquista dellÂÂ’America. Il problema dellÂÂ’altro, Einaudi, 1984 (pag. 297-309).

24T.Todorov, op. cit.

25Cfr. E.Balducci, La terra del tramonto. Saggio sulla transizione, Edizione Cultura della pace, Firenze, 1992; A.Negrini, Frantumazione etnica in Europa e incontro delle culture, in Razzismo e frantumazione etnica: politiche sociali e interventi educativi, in corso di stampa presso le Edizioni Junior di Bergamo, che raccoglie vari interventi a un Convegno internazionale presso l‘Università di Messina (marzo 1993).

26Antonio Cruz, Descobrindo-nos in Extases, raccolta di poesie, Edizioni Alinea, Teresina PI, Brasil, 1994 (p.29); P. Collo, F.Sessi, Dizionario della tolleranza, Bompiani, 1995, in particolare le voci Migrazioni, Minoranze, Razza/Razzismo e Straniero.

27Levi-Strauss, Razza e storia, Einaudi, 1967 (pag. 82); E.Balducci, La terra dei tramonti cit.

28E.Balducci, Convivere con la diversità, art. cit. in proposito vedi anche il quaderno L‘altro, il diverso, lo straniero, della pubblicazione Parola, spirito e vita, n. 27/1993.

Meritano una particolare segnalazione alcuni contributi raccolti nel volume Il pensiero nomade. Per una antropologia planetaria, Cittadella Editrice, Assisi, 1994. In particolare: G. Ruggeri, Metafore per una nuova soggettività. Una meditazione teologica; P.Ricci Sindoni, Abramo: vocazione e provocazione al nomadismo. Una lettura filosofica, e A.Rizzi, Per un pensiero dellÂÂ’Esodo: alterità ed eticità.

I contributi segnalati sono un esame di quella che è la cultura della nostra epoca, caratterizzata da un crescente nomadismo: una percezione inconscia di essere sempre e contemporaneamente ovunque e da nessuna parte, con conseguenze dirompenti, sul piano della persona e della società. Il pensiero nomade intende costituirsi come nuovo paradigma capace di configurare i modelli possibili del darsi della differenza. È possibile definire questa logica come logica del deserto?.. si chiede E.Baccarini nellÂÂ’introduzione al volume "La logica della traccia si struttura nel frammento e nella frammentarietà; nella pazienza delle connessioni da costruire; nellÂÂ’interpretazione polivoca del senso".

29E. Bianchi, Noi cristiani, stranieri ovunque, in Liberal, pubblicazione mensile, agosto 1995.

30J.Kristeva, Stranieri a sé stessi, Feltrinelli, Milano,1990.

31J.Kristeva, op. cit.

32S.Giudro, V.Melotti, Il mondo delle diversità. Uno psicanalista e un sociologo si interrogano sul razzismo. Edizioni Psicanalisi contro, 1991.


Le Migrant entre lÂÂ’égalité et la diversité des cultures.

Le droit à lÂÂ’égalité dans la diversité des cultures est un principe qui caractérise la société moderne toujours plus multiculturelle, Le droit dÂÂ’être tout à la fois égaux et divers est, en résumé, un des traits particuliers de la civilisation occidentale envers toutes les autres civilisations, qui sÂÂ’exprime aujourdÂÂ’hui en termes particulièrement dramatiques au niveau des relations entre nations, ethnies, cultures, ensemble dans un seul état, en blocs économico-politiques ou en systèmes culturels hétérogènes.
Après un bref développement sur les droits fondamentaux de lÂÂ’homme (droit à une patrie, à une culture, à la différence) qui dérivent directement de la structure originale de la personne même, lÂÂ’article dénonce les fortes inégalités dont les migrants sont victimes.
AujourdÂÂ’hui, surtout en Europe, nous assistons toujours davantage, à une fracture croissante entre économie, technologie, culture de masse et de consommation, dÂÂ’une part ; et les processus dÂÂ’identification culturelle des individus, de lÂÂ’autre : alors que lÂÂ’évolution économique, le monde de la finance et la technologie de lÂÂ’information se mondialisent toujours plus, les individus tendent toujours plus à « se localiser », dans un certain sens à « se tribaliser », à mettre en mouvement des processus dÂÂ’exclusion, de discrimination, dÂÂ’intolérance.
La référence ethnique (appartenance nationale) et la référence « au lieu » (appartenance à un territoire déterminé) reviennent en force dans la conscience collective ; il semble que lÂÂ’internationalisation économique et politique rappellent (comme anticorps ?) le développement des nationalismes et des exclusions mentales. De ce phénomène les migrants constituent le meilleur révélateur : ils en sont lÂÂ’effet (leur flux et leur installation en Europe suivent les lois du marché du travail international) et, dans le même temps, ils en sont les victimes (leur installation provoque les chauvinismes locaux et les manifestations de racisme et de xénophobie).
Vivre de façon conviviale dans la diversité et se reconnaître tous égaux en sÂÂ’acceptant, est lÂÂ’unique solution que les sociétés multiculturelles doivent envisager aujourdÂÂ’hui ainsi que ceux qui veulent retrouver leur propre identité tout en acceptant de se reconnaître eux-mêmes dans les autres.


Der Migrant zwischen der Gleichheit und der Verschiedenheit der Kulturen.

Das Recht auf Gleichstellung in der Verschiedenheit der Kulturen ist eine charakteristische Grundlage der heutigen, immer mehr multi-kulturell werdenden Gesellschaft. Das Recht sowohl gleich und auch verschieden zu sein, ist einer der  typischen Züge der westlichen Kultur gegenüber anderen Kultur; dies findet heute seinen Ausdruck in besonders dramatischen Situationen in dem Verhältnis zwischen Nationen, Ethnien, Kulturen, wenn diese präsent sind in einem Staat, in wirtschaftlich-politischen Blöcken oder in ungleichen kulturellen Systemen.
Nach einer kurzen Darlegung der grundlegenden Rechte des Menschen (Recht auf ein Heimatland, eine Kultur, auf ein Andersartigsein) die direkt aus der ursprünglichen Veranalgung des Menschen entspringen, beklagt der Artikel die großen Ungleichheiten den Migranten gegenüber.
Wir beobachten heute immer mehr, besonders in Europa, auf der einen Seite eine wachsende Spaltung zwischen Wirtschaft, Technologie, Massenkultur und Massenkonsum, und auf der anderen Seite einen Prozeß der kulturellen Identifizierung des Einzelnen: während die wirtschaftliche Entfaltung, die Finanzwelt, die Technologie der Information immer mehr planeterisch wird, tendieren die Individuen immer mehr darauf sich zu 'lokalisieren', ja in gewissem Sinn einem 'Tribalismus' zu verfallen und Prozesse des Ausschließens, der Dikriminierung, der Intoleranz auszulösen.
Die ethnische Beziehung (nationale Zugehörigkeit) und eine 'lokalisierte' Beziehung (Zugehörigkeit zu einem bestimmten Territorium) kommen wieder stark im kollektiven Gewissen auf: Es scheint, als ob die wirtschaftliche und politische Internationalisierung (als Antikörper ?) das Aufblühen der Nationalismen und der geistigen Verschließung hervorrufen würde. Die Immigranten sind der klarste Anzeiger dieses Phänomens: sie sind die Wirkung (ihr Zustrom und ihre Niederlassung in Europa folgen den Gesetzen des Arbeitsmarktes, der internationalen Arbeit) und zur gleichen Zeit auch die Opfer (ihr Sich-Niederlassen ruft örtlichen Chauvinismus und Äußerungen von Rassismus und Fremden-feindlichkeit hervor).
Mit diesen Verschiedenheiten leben und sich als gleich anzusehen und anzuerkennen, das ist die einzige Lösung, welche die multi-kulturelle Geschaft heute all denen anbietet, die ihre eigene Identität wiederfinden wollen und bereit sind, sich selbst in den anderen wiederzuerkennen.

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