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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 87, December 2001

 

Il Vescovo Servitore del Vangelo di Gesú Cristo per la Speranza del Mondo[1]

S. E. Mons.Stephen Fumio HAMAO
Presidente del Pontificio Consiglio

Il Decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano Secondo e il Codice di Diritto Canonico riconoscono che la gente in mobilità (quali migrati, profughi, esuli, studenti esteri) spesso non può avvalersi della cura pastorale ordinaria. La cura di fedeli che si trovano a dimorare fuori dalla loro patria o nazione è di competenza dei Vescovi delle Chiese locali dove essi si trovano. Servitore del Vangelo, il Vescovo, con lÂÂ’aiuto dei collaboratori diocesani (sia sacerdoti, religiosi o laici), deve improntare unÂÂ’assistenza specifica.

NellÂÂ’Instrumentum Laboris del Sinodo il tema della cura pastorale della gente in mobilità non ha molto rilievo, benché ci siano nel mondo circa 150 milioni di persone, una ogni 47, che vivono la condizione di migranti e rifugiati. Le migrazioni offrono alla Chiesa nuove opportunità per testimoniare e annunciare il Vangelo in casa propria e per operare, quale esperta in umanità, come stimolo per la società civile alla solidarietà, allÂÂ’accettazione e alla comunione. Il Vangelo di Cristo è ancora oggi lo strumento per lÂÂ’unione dei popoli, promuovendo il bene di tutti al di là delle differenze di lingua, razza e religione. Se ben accolti, i migranti cattolici possono diventare essi stessi soggetti attivi e originali di evangelizzazione, secondo la loro esperienza di cristiani. La tutela dei diritti fondamentali, che acquista sempre maggiore peso, mette ancora più in rilievo la necessità di una cura pastorale specifica. Ciò è stato spesso ribadito sia dai Documenti Pontifici sulla Mobilità Umana, sia dal Dicastero competente in questo campo; ma a livello delle Chiese locali la risposta proprio pastorale deve ancora, in tanti casi, adeguarsi alle realtà della gente in mobilità. Il disinteresse, il non sentirsi a casa propria o emarginati nella Chiesa locale, spingono molti migranti e itineranti a rifugiarsi in altre Comunità religiose o in sette.

I conflitti del secolo scorso non sono stati ancora superati e per questo motivo in numerose zone del mondo si assiste a esodi di massa. In tali condizioni le responsabilità pastorali dei Vescovi sono notevolmente accresciute e la risposta pastorale richiede spesso una collaborazione a livello inter-diocesano, nazionale e regionale.

Il Vescovo che sa essere vigile profeta di speranza, come una sentinella di Dio nella notte (cf. Is. 21,11), può dare fiducia al suo gregge, tracciando nel mondo sentieri di novità. Attualmente la pastorale per i migranti è di solito organizzata in funzione del migrante cattolico che, nellÂÂ’uscire dalla propria patria per trapiantarsi altrove, corre il rischio di non avere lÂÂ’aiuto necessario di una comunità ecclesiale per sostenere e accrescere la propria fede. La migrazione spesso era considerata come un movimento dalla Chiesa di provenienza a quella di arrivo, ma si tratta di presupposti che oggi sono molto ridotti o non esistono affatto. Le migrazioni sono composte in misura sempre maggiore da non cristiani che si avvicinano alla Chiesa e alle sue organizzazioni. La Chiesa perciò è chiamata non solo a svolgere una forma di assistenza sociale, ma anche ad annunciare il Vangelo e promuovere un dialogo interreligioso.

Per migliorare lÂÂ’accoglienza degli stranieri nelle parrocchie è indispensabile che i Vescovi investano risorse per una adeguata formazione professionale e spirituale dei sacerdoti, religiosi/e, e laici che dovranno occuparsi delle problematiche del vasto fenomeno della mobilità umana. In questo processo il ruolo degli operatori pastorali, se ben preparati, è fondamentale per la sensibilizzazione delle loro comunità ecclesiali allÂÂ’accoglienza degli stranieri, evitando il più possibile atti di discriminazione e intolleranza. Ancora oggi il posto più importante per la cura pastorale è la parrocchia. Il Vescovo rappresenta lo strumento di unione tra le diverse culture, formando così una comunità fraterna, vero segno visibile del Regno di Dio.

Sappiamo però che numerosi sono i fedeli che non possono partecipare alla vita parrocchiale a causa della loro mobilità o del loro essere straniero. Il Vescovo con la carità pastorale, che è lÂÂ’anima del suo apostolato, dovrebbe vivere per Dio al servizio dei più deboli. Questi includono gli stranieri che non conoscono la lingua locale o gli usi e costumi locali, come i migranti, i rifugiati, i marittimi, il personale di bordo e di terra dellÂÂ’aviazione civile, i nomadi, i circensi, i turisti e i pellegrini, gli studenti esteri. Non dimentichiamo nemmeno le donne e i bambini vittime dei trafficanti e le persone che subiscono diverse manifestazioni di xenofobia.

A mio avviso, occorrerebbe in futuro promuovere due forme di cura pastorale della mobilità, una attraverso le parrocchie e unÂÂ’altra che, con lÂÂ’assidua collaborazione degli operatori pastorali diocesani o regionali, vada incontro ai migranti e agli itineranti nei luoghi in cui essi si trovano nelle loro situazioni concrete.

Note:
[1]Intervento alla X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, tenutasi in Vaticano dal 30 settembre al 27 ottobre 2001.

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