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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 87, December 2001

 

Il compito del Direttore Diocesano 
della Pastorale Migratoria 
nella Chiesa Italiana

Rev. P. Bruno MIOLI, C.S.
Direttore Nazionale per la Pastorale degli Immigrati,
Migrantes

Prendo la parola a nome della Fondazione Migrantes, lÂ’organismo della Chiesa italiana cui è affidata la cura pastorale dei migranti intesi nel senso più ampio, comprendente quasi tutte le forme di mobilità umana. Questo mio intervento non è una relazione sistematica sul direttore diocesano della pastorale migratoria, ma semplicemente una comunicazione direi esperienziale: descrive come è stata programmata e come di fatto si va strutturando e sviluppando in Italia questa figura che solitamente viene sotto il nome di “Direttore Diocesano Migrantes”; ed anche quando in qualche diocesi assume altra denominazione, ne è come la diramazione e lÂ’espressione nella Chiesa locale.

Il Direttore diocesano della pastorale migratoria esisteva già molto prima che venisse istituita nel 1987 la Migrantes; il suo campo di azione a quel tempo era limitato allÂ’emarginazione degli italiani allÂ’estero. La Fondazione Migrantes continua a interessarsi degli emigrati italiani, ma ora essa allarga il suo campo di azione pastorale anche al fenomeno relativamente nuovo dellÂ’immigrazione estera in Italia nonché ad altre forme di mobilità, come i rom e sinti, i fieranti e circensi, gli addetti alla navigazione marittima e aerea, che prima erano di competenza di altri specifici organismi.

Vogliamo inoltre precisare che quanto qui si scrive non è una felice realtà già esistente di fatto in tutte le diocesi, ma una linea di tendenza, un progetto operativo su cui la Migrantes impegna i suoi maggiori sforzi, convinta che il Direttore diocesano gioca un ruolo fondamentale e decisivo nella pastorale migratoria. Nominalmente questo direttore è presente in quasi tutte le 225 diocesi italiane, ma talora si tratta di un adempimento poco più che formale per dare apparente completezza allÂ’organigramma pastorale della diocesi. Questa carenza effettiva non fa eccessivo problema quando si tratta di diocesi di modesta estensione, dove il fenomeno migratorio è scarsamente avvertito; non così quando si tratta di diocesi più ampie e popolose, dove lÂ’assenza o lÂ’inefficienza del direttore diocesano lascia un vuoto con negative conseguenze sul piano pastorale. In genere tuttavia ci sembra di registrare un progressivo aumento sia di numero che di efficienza di questa figura su tutto il territorio. EÂ’ significativo, per esempio, che al convegno dei direttori diocesani del 1998 abbiano partecipato i rappresentanti di quasi cento diocesi, cui vanno aggiunti i molti la cui assenza era giustificata.

Questo di Assisi è il secondo di una serie di convegni; preceduto da quello del 1996 e seguito da quello celebrato questÂ’anno a maggio. Si sta dunque introducendo la prassi di incontri a scadenza biennale. Questi primi tre appuntamenti sono ritenuti di notevole interesse e utilità perché sono stati celebrati con i direttori e sui direttori diocesani; infatti la figura stessa del direttore, il suo inserimento nella pastorale diocesana, il suo ambito e stile di azione sono state il principale tema allÂ’ordine del giorno. Quanto ora diremo viene in gran parte attinto dal materiale raccolto e vagliato in questi convegni e, di conseguenza, si può legittimamente presumere che esprima una coscienza abbastanza comune fra gli operatori pastorali del settore.

Il quadro non sarebbe completo se non si tenesse conto anche del direttore regionale. Dal punto di vista ecclesiologico questa figura, come del resto quella del direttore nazionale, non ha la stessa importanza di quella del direttore diocesano. In pratica però egli svolge un ruolo di primo piano perché, oltre a costituire in rete i direttori diocesani favorendo tra loro lo scambio e la collaborazione, fa in certo senso da mediazione tra costoro e la direzione nazionale della Migrantes; tanto di fatto è importante il suo ruolo che per i 18 direttori regionali è previsto un incontro annuale. Senza farne un discorso a parte, ci limitiamo a dire che quanto viene detto dei direttori diocesani va esteso, in linea di massima, anche ai regionali.

Ora il nostro discorso si articola in cinque punti: la normativa sul direttore diocesano, la struttura entro cui si muove, il suo campo di attività per i migranti, il suo ruolo verso tutta la comunità diocesana, la giustificazione ecclesiale della sua presenza nella vita della Chiesa locale. Come si vede, si parte dagli aspetti più esterni e concreti, per risalire al significato più autentico e, direi, teologico della sua figura.

Risulta già chiaro da questa impostazione che tutto il discorso sa un poÂ’ di “provincialismo”, perché direttamente rispecchia la situazione italiana. Si ritiene tuttavia che esso rispecchi gli orientamenti generali della Chiesa e possa pertanto confrontarsi con esperienze di altri Paesi per un arricchimento reciproco.

I – Il Direttore diocesano nella normativa della Chiesa

 Ci sembra di poter dire che la consistenza “giuridica” del direttore diocesano e regionale è piuttosto fragile. Tralasciando allusioni piuttosto vaghe della Exul Familia (1952) ci fermiamo sul disposto della Istruzione De pastorali migratorum cura (1969), che a riguardo delle Chiese di partenza degli emigrati parla di un Ufficio speciale per le migrazioni: “Se appare necessario o almeno opportuno, si costituisca e sia ben ordinato presso la Curia diocesana un ufficio speciale per i migranti: esso dovrà non solo trattare i loro problemi o i loro affari, ma sviluppare anche altre iniziative sia prima che dopo la partenza” (n.25). Analoga disposizione per le diocesi di arrivo: “Se appare necessario, anche nelle diocesi di immigrazione ci sia presso la Curia vescovile un ufficio speciale per i migranti, alla cui direzione sia preposto un Vicario episcopale o altro sacerdote idoneo” (n.29). LÂ’indicazione è chiara, ma non tassativa, come indica la premessa: “Se appare necessario o almeno opportuno”. Forse perché la disposizione non è tassativa, essa sfugge del tutto al successivo documento pontificio Chiesa e mobilità umana (1978) che molto si dilunga sui vari attori della pastorale migratoria, ma non fa parola del direttore o dell'ufficio diocesano per le migrazioni.

 La stessa fragilità di supporto normativo riscontriamo in ambito di Chiesa italiana. Lo Statuto della Migrantes, approvato dal Consiglio Permanente della CEI nel 1987, allÂ’art.5 si limita a dire: “Per un più puntuale perseguimento delle proprie finalità la Fondazione (Migrantes) può operare anche mediante centri e servizi articolati su base regionale”. “Può operare”, una semplice possibilità dunque di costituire centri e servizi dislocati sul territorio e limitatamente allÂ’area regionale. Sarà la Commissione Ecclesiale per le Migrazioni, un organismo di minor peso e autorevolezza che nel 1990 riconosce lÂ’esigenza di una diramazione periferica della Migrantes e ne delinea la configurazione. Con riferimento allÂ’appena citato articolo 5 dello Statuto, si dice: “Anche se lÂ’indicazione statuaria è sobria di parole, è fuori dubbio lÂ’efficacia dellÂ’organizzazione regionale, articolata a sua volta sul piano diocesano” (art.2). Sul piano regionale si dà questa indicazione: “LÂ’Ufficio che nella Chiesa a livello regionale si interessa dei problemi della mobilità umana è denominato Centro Regionale Migrantes. Tale centro è la diramazione della Fondazione Migrantes” (art.3). Sul piano diocesano: “Il Vescovo è invitato a nominare un incaricato diocesano per i problemi pastorali della mobilità, che si chiamerà Direttore Diocesano Migrantes” (art.4). La medesima Commissione dà indicazioni anche sulla composizione regionale e diocesana della Migrantes, come ora vedremo.

II – La struttura regionale e diocesana di pastorale migratoria

Il Centro Regionale Migrantes ha come componenti: il Vescovo designato dalla Conferenza Episcopale Regionale, il Direttore regionale nominato dalla medesima, i Direttori diocesani nominati dai rispettivi vescovi ed “eventuali sacerdoti, religiose e laici esperti, impegnati nella pastorale migratoria o particolarmente sensibili in alcuni ambiti della mobilità”. In base a tale indicazione in alcune regioni, come la Calabria, la Campania, la Puglia e la Sicilia, il centro prende una dimensione più ampia e si configura come “Consiglio regionale”.

Quanto al Centro diocesano, “soprattutto nelle diocesi più grandi, è composto oltreché dal Direttore diocesano, anche da rappresentanti di singoli settori più presenti in diocesi, nominati dal Vescovo diocesano su proposta del Direttore diocesano”. Di fatto questo tipo di Centro diocesano, dove sono rappresentati vari settori della mobilità, finora si è formalmente costituito soltanto in poche diocesi, come Cagliari e Catanzaro; in altre esso prende forma di Commissione, formata da rappresentanti di quegli organismi ecclesiali, come la Caritas, il Centro Missionario, lÂ’Ufficio per la pastorale del lavoro, che sono interessati e impegnati a vario titolo in campo migratorio ed è naturale che in tal caso funga da coordinatore il direttore della Migrantes; altrove, come a Roma, un gruppo di cappellani etnici costituisce in via informale col direttore della Migrantes una specie di consiglio presbiterale per la pastorale migratoria. Dunque diverse sono le formule di aggregazione, la cosa importante è che il Direttore Migrantes non sia una figura isolata, ma abbia il supporto di altri operatori e organismi sul piano diocesano.

III – I principali compiti del Direttore Migrantes

Va premesso che nel descrivere i compiti del Direttore Migrantes è facile e, in certa misura comprensibile, che si tenga come punto di riferimento il fenomeno di maggiore novità, che fa più notizia e problema in Italia, ossia lÂ’immigrazione. Però il direttore deve fare attenzione a tutti i settori della pastorale migratoria, a cominciare da quello più tradizionale per gli italiani allÂ’estero: in tante diocesi è ancora forte la presenza di connazionali fuori patria, anzi è tuttora in corso un certo movimento migratorio in entrata e uscita dallÂ’Italia; in altre diocesi si registra una forte mobilità nel settore marittimo, in altre ancora è avvertito lÂ’insediamento o passaggio di rom e sinti o di operatori addetti allo spettacolo viaggiante: gente in buona parte cattolica che rischia come conferma una troppo lunga esperienza di rimanere in tutti i sensi lontana del gregge, se manca un occhio vigile che, per particolare vocazione e per una specifica missione affidatagli dal Vescovo, non fa in mezzo a loro e non suscita in loro favore lÂ’opera del Buon Pastore. EÂ’ chiara lÂ’allusione al direttore diocesano.

Fatta questa precisazione, diciamo che in linea di massima i compiti del direttore diocesano (ed analoga affermazione si può fare per il direttore regionale) sono i medesimi che lo Statuto assegna alla Migrantes nazionale, con lÂ’attenzione di calare le indicazioni piuttosto generiche ivi formulate nella concretezza e nel dettaglio della vita della Chiesa locale. Lo Statuto della Migrantes allÂ’articolo 4 indica cinque piste generali dÂ’impegno, valide e concretamente percorribili anche per il Direttore diocesano. Tentiamo perciò di tracciare i suoi compiti principali nelle seguenti cinque direzioni.

1°) “Favorire la vita religiosa dei migranti, offrendo in particolare modo ai cattolici, attraverso una costante opera di evangelizzazione e di catechesi, i mezzi sacramentali e di culto necessari per un loro libero e originale inserimento nelle Chiese locali”. Questo il compito primario, espresso in una formula piuttosto densa che va analizzata un poÂ’ nel dettaglio. 

-Favorire anzitutto la vita religiosa dei migranti cattolici, che costituiscono circa un terzo della popolazione straniera e si aggirano sul mezzo milione. Sia ben chiaro che in primo piano per il Direttore Migrantes non viene il servizio assistenziale caritativo e di promozione umana, che è di competenza anche di altri organismi ecclesiali, come la Caritas o la Pastorale del lavoro; primo fondamentale compito è nei riguardi dei cattolici lÂ’evangelizzazione sotto forma di catechesi nonché il servizio sacramentale liturgico, con sollecitazione ai parroci a non trascurare questi fedeli “fuori serie”, presenti sul territorio ma non radicati nel territorio; cade infatti sui parroci del luogo la responsabilità primaria di fare anzitutto quanto è nelle loro possibilità e nello stesso tempo di prendere coscienza della propria inadeguatezza per un servizio pastorale soddisfacente verso cattolici di lingua, cultura e tradizione tanto diverse; questa presa di coscienza li indurrà a ricercare e ad accogliere di buon grado lÂ’aiuto di strutture e di operatori che sappiano offrire un servizio più adeguato, grazie a una pastorale specifica. Si fissi bene questa formula chiara e insolitamente forte della De pastorali migratorum cura: “LÂ’assistenza spirituale di tutti i fedeli e quindi anche dei migranti, che risiedono nel territorio di una parrocchia, ricade soprattutto sui parroci, che dovranno un giorno rendere conto a Dio del mandato eseguito. Essi perciò sappiano condividere un compito tanto grave con il Cappellano o Missionario, quando questi si trova sul posto” (n.30, 3). Sia consentito sottolineare che il “perciò” collega strettamente per il parroco la coscienza della sua inedeguatezza al grave compito e il dovere di ricorrere allÂ’aiuto qualificato che gli viene offerto.

Far toccare con mano ai parroci la necessità di una pastorale specifica e offrirne in pari tempo i necessari strumenti è primissimo compito ed insieme squisito atto di carità fraterna del direttore diocesano nei confronti dei confratelli parroci. Secondo il costante insegnamento della Chiesa lo strumento classico per una pastorale specifica efficace è la costituzione di comunità di fede e di culto, che con parola poco felice ma sufficientemente chiara possiamo chiamare etniche, comunità fatte su misura delle loro particolari esigenze. Queste comunità possono prendere forme giuridiche diverse: parrocchie personali (molto rare in Italia), missioni con cura dÂ’anime (sono poco più di una ventina), cappellanie con speciali facoltà accordate da vescovo; a queste strutture canonicamente erette si aggiungono tanti altri centri pastorali, sorti quasi per generazione spontanea, per iniziativa talora occasionale di qualche operatore pastorale o anche di qualche laico. Questi centri costituiscono la maggior parte delle 300 comunità pastorali di varie lingue, etnie, nazionalità e riti che la Migrantes ha finora censito sul territorio nazionale. EÂ’ importante che il direttore diocesano conosca questo arcipelago pastorale, si tenga a contatto, lo favorisca, gli dia una qualche ufficialità e diritto di cittadinanza in diocesi, parlandone con il vescovo e favorendone la presenza e lo sviluppo nelle parrocchie.

-Non va poi dimenticato il numero crescente di cristiani non cattolici, in particolare di ortodossi provenienti dallÂ’Est europeo. Tantissimi di loro sono in situazione molto precaria, anche per lÂ’irregolarità del soggiorno e della posizione lavorativa, ma mostrano una forte religiosità e ricerca di aggregarsi per il loro culto, specialmente i rumeni, gli ucraini e i moldavi. Nello spirito ecumenico e in stretto rapporto con lÂ’Ufficio diocesano per lÂ’ecumenismo si farà sentire a questi fratelli cristiani la nostra vicinanza anche con gesti concreti, ad esempio segnalando loro lÂ’eventuale presenza di un pastore e di un luogo di culto della loro medesima confessione religiosa; inoltre si registrano già diversi casi di cessione in uso ai cristiani ortodossi di qualche nostra chiesa, come è già avvenuto a Roma e in altre diocesi, un gesto che ha riscosso uno schietto apprezzamento da parte di chi ne ha beneficiato.

-Inoltre di giorno in giorno diventa sempre più evidente come lÂ’emarginazione anche in Italia costituisca un areopago di evangelizzazione: occasione per rendere ai non cristiani ragioni della nostra speranza, per testimoniare la carità, per collaborare nel campo sociale e nella promozione della giustizia ed anche per lÂ’annuncio diretto (cfr. Redemptoris missio, n.82), che rimane sempre primo “in intentione” anche quando non può essere primo “in executione”. EÂ’ significativo che in questi anni in cui si è avviato un sistematico cammino di catecumenato nella Chiesa italiana, a frequentarlo e a chiedere il battesimo da adulti siano più gli stranieri che gli italiani. EÂ’ altrettanto significativo che in più parti famiglie non cristiane chiedono o permettono che i loro figli si avvalgano dellÂ’insegnamento della religione cattolica nelle scuole o addirittura frequentino il catechismo nelle parrocchie: occasioni provvidenziali, anche se ci si guarderà bene dallÂ’approfittarne nello stile della propaganda settaria e del proselitismo. Il Direttore diocesano promuoverà unÂ’opera di monitoraggio su questi fenomeni, veri “segni dei tempi”, segnandoli ai competenti uffici diocesani per il catecumenato e per la scuola, onde procedere con i medesimi uffici in una concorde linea di azione.

2°) Secondo compito: “Sollecitare lÂ’invio di operatori pastorali ai ministeri in favore dei migranti”: se mancano i pastori, il gregge dei migranti, già fisicamente e visivamente disperso, è esposto a titolo particolare anche a dispersione spirituale e morale. LÂ’operatore di pastorale etnica non necessariamente dovrà essere un sacerdote, è però importante che, chiunque esso sia, non lo faccia a titolo puramente personale ma in base a un più o meno esplicito mandato della Chiesa; il collegamento con il direttore diocesano è già una buona garanzia che non si tratta di un batticuore libero.

Il Direttore Migrantes ha lÂ’importante compito di fare opera di sensibilizzazione e di stimolo non solo verso i parroci, ma verso tutta la comunità diocesana e in particolare verso il Vescovo sul prezioso e insostituibile servizio di questi operatori pastorali etnici in tutti i settori i vari settori della pastorale migratoria; per il caso italiano viene spontaneo pensare anzitutto ai nostri connazionali allÂ’estero. Nei loro confronti è ancora attuale e urgente la presenza di un sacerdote o altro operatore italiano, che assicuri la continuità del servizio svolto per decenni dalle “Missioni cattoliche italiane” e che rischia ora di interrompersi per la mancanza di personale. Anche gli altri settori, come quello dei marittimi e dei circensi, rischiano la stessa crisi. Sarebbe poi un vero peccato se non potessero proseguire e svilupparsi ulteriormente le 13 comunità di “gagi” (leggi “stanziali”), insediati nei campi dei rom e sinti, dove svolgono una singolare opera di testimonianza e di evangelizzazione.

Le diocesi interpellate da questi fenomeni migratori trovano spesso speciosi motivi per lasciarli al margine o per scaricarne su altri la responsabilità della cura pastorale di questa gente in mobilità. Occorre un qualcuno che conosca in concreto la situazione e faccia da mediazione e da coscienza critica per lÂ’intera diocesi.

UnÂ’attenzione particolare in questi anni è concentrata dalla Migrantes sugli immigrati che sono in continuo aumento. Sembra presentarsi spontanea la domanda: come sollecitare le chiese di partenza degli immigrati cattolici a inviare per loro un qualche sacerdote o altro operatore pastorale? La domanda in teoria è legittima, ma nel contesto italiano altra domanda sembra meritare la precedenza: come valorizzare le tante forze pastorali che in Italia sono già reperibili e che se opportunamente sollecitati potrebbero essere disponibili, almeno part-time? Pensiamo alle centinaia di sacerdoti “fidei Donum” rientrati proprio da quei luoghi di missione, da dove proviene buona parte dei nostri immigrati; aggiungiamo ad essi missionari e missionarie degli istituti religiosi ed anche laici rientrati dalle missioni, pronti a dare parte del loro tempo a questi immigrati che richiamano dal vivo lÂ’ambiente della loro esperienza missionaria; aggiungiamo poi i quasi duemila sacerdoti stranieri che sono incardinati definitivamente o svolgono da anni un servizio di pastorale ordinaria come gli altri sacerdoti nelle nostre diocesi. Pensiamo poi ai 54.273 stranieri presenti in Italia, secondo i dati forniti dalle fonti ufficiali, per “motivi religiosi”: sacerdoti, religiosi, religiose, studenti impiegati in grande maggioranza a Roma, ma a migliaia anche altrove; gente qualificata, certamente assorbita dal proprio compito professionale ma non fino al punto da non poter dedicare qualche ritaglio di tempo ai propri connazionali; anzi un buon numero di loro, di propria iniziativa o su proposta del direttore diocesano, già risponde con prontezza e generosità. Non ci si attende che questi operai vadano nella vigna fin dallÂ’alba o alle ore nove del mattino; è sufficiente che vi dedichino anche soltanto lÂ’ultima ora, una parte del loro week-end. Ma è un lavoro che va organizzato con pazienza e insistenza: spetta anche alla Migrantes nazionale fare la sua parte sollecitando, preparando e inviando operatori presenti in numero eccezionale nella Città eterna; ma spetta soprattutto alla Migrantes diocesana, che può censire nel dettaglio i bisogni e gli operatori necessari, farne ricerca sul posto o farne richiesta da fuori.

Questa collaborazione tra Migrantes nazionale e locale è particolarmente utile per altri due tipi dÂ’intervento pastorale. Il primo riguarda le cosiddette “missioni volanti” per un lavoro di diaspora. Infatti piccoli gruppi di immigrati della stessa etnia o lingua sono sparsi sul territorio, ma non così dispersi da non essere in qualche modo raggiungibili e aggregabili, tantÂ’è vero che non sfuggono allÂ’azione seduttrice di Testimoni di Geova, di pentecostali e di altri movimenti religiosi. EÂ’ necessario accostare a scadenze fisse questi cattolici da parte di qualche sacerdote che viene da fuori diocesi, della medesima nazionalità, cultura o lingua, capace di comunicare in profondità con loro e di corroborare con interventi qualificati lÂ’opera volenterosa condotta sul posto da qualche loro compagno più volenteroso e capace. Credo che questo tipo di missioni diaspora rievochi spontaneamente qualche pagina degli Atti degli Apostoli, dandole piena e quasi letterale attualità.

Il secondo tipo di intervento riguarda la figura di recente istituzione, quella dei “Coordinatori nazionali” nominati su proposta della Migrantes dalla Conferenza Episcopale Italiana: essi hanno il compito di coordinare, di porre in rete, di sostenere le varie comunità pastorali di una determinata etnia o nazionalità sparse sul territorio, garantendone continuità ed efficienza. LÂ’uno e lÂ’altro intervento, quello delle missioni volanti e del coordinamento nazionale, non dovrebbero ridursi ad una affrettata celebrazione della messa in lingua nativa ed hanno senso solo se organizzati o almeno seguiti da vicino dal direttore diocesano, col quale questi operatori che vengono da fuori devono tenersi in stretta relazione.

3°) Segue come terzo importante compito, quello di “coordinare le iniziative a favore delle migrazioni”. Infatti spesso capita che nella diocesi siano molteplici gli organismi e gruppi che operano in forma più o meno sistematica in campo migratorio e già come si è accennato alcuni vescovi hanno proceduto ad istituire una Commissione coordinata dal Direttore Migrantes e composta da rappresentanti di vari organismi della pastorale diocesana interessati alle migrazioni, sotto un loro specifico profilo. EÂ’ il caso di ricordare che in questi anni anche a livello nazionale molto si è lavorato tra i vari organismi della CEI, in particolare tra quelli addetti alla pastorale giovanile, scolastica, familiare, oltre che alla Caritas, per procedere in una azione concorde: si sono organizzati convegni e si sono prese altre iniziative comuni, anche con lÂ’esplicita prospettiva che questo stile di pastorale dÂ’insieme avviato a livello nazionale avesse una positiva ricaduta in sede regionale e diocesana.

4°) “Mantenere i contatti con gli uffici ed enti ecclesiali e civili”: dei contatti e rapporti in ambito ecclesiale si è appena fatto parola. Rimane da dire qualcosa nei riguardi delle istituzioni civili e amministrative. Si tratta di tenere i corretti rapporti umani, di concordare eventuali interventi nei confronti delle autorità civili, di valorizzare gli strumenti offerti dalle nuove leggi per una partecipazione attiva dei migranti nella gestione delle politiche migratorie nazionali e locali; se ne possono ricavare notevoli benefici anche in campo economico nel caso che lÂ’ente ecclesiastico o associazione di aspirazione cristiana gestiscano determinate iniziative in favore dei migranti che rientrano in programmi di finanziamento pubblico. Non si tratta di elemosinare beneficenze, ma di individuare e richiedere quanto di diritto può spettare anche a queste nostre strutture in base alla normativa. Il direttore diocesano o regionale non deve lasciarsi sfuggire lÂ’occasione per assicurare unÂ’attiva e vantaggiosa presenza anche in foro civile delle forze sociali cristianamente ispirate. 

5°) “Promuovere la crescita integrale dei migranti”: oltre lÂ’impegno dellÂ’evangelizzazione, a favore dei migranti da parte delle Chiese locali cÂ’è quasi ovunque una vasta mobilitazione sul piano socio assistenziale e di promozione umana. A chi spetta gestire queste attività? Non è estraneo alla natura della Migrantes avere anche in questo campo la sua parte, benché il suo compito primario, come si è già insistito, si concentri nellÂ’area più strettamente religiosa, pastorale. Di fatto ci sono diocesi dove la Migrantes gestisce una molteplicità di opere di prima e di seconda accoglienza; altre in cui questa attività assistenziale e promozionale è gestita da altri organismi e associazioni, come la Caritas, le Acli, gli istituti religiosi, i patronati. Spetta al Vescovo discernere e stabilire quello che di fatto risulta possibile e più producente per la sua diocesi. Mai tuttavia si può rinunciare, torniamo a ripeterlo, allÂ’armonioso e programmato coordinamento dei vari servizi ed in questo la Migrantes locale è chiamata a svolgere, proprio per la sua natura, un ruolo di primaria importanza.

IV – Animazione pastorale di tutta la comunità diocesana 

EÂ’ quasi superfluo ricordare il principio che il responsabile diocesano della pastorale migratoria rivolge le sue attenzioni non solo ai migranti ma a tutta la comunità cristiana in cui questi migranti sono più o meno stabilmente inseriti. Quanto è importante il servizio diretto ai migranti altrettanto è importante che tutta la chiesa locale assuma quegli atteggiamenti e sia, ove richiesto, coinvolta in quei servizi che sono richiesti dalla fedeltà al Vangelo e Magistero della Chiesa. In positivo ci riferiamo ai valori dellÂ’accoglienza fraterna e della condivisione solidale, fatta anche di comprensione e di pazienza, di accettazione dellÂ’inevitabile peso sociale e delle possibili tensioni che il fatto migratorio facilmente comporta. In negativo escludiamo ogni sentimento e comportamento di sistematico sospetto e di rifiuto, di intolleranza e di condanna quasi pregiudiziale, di xenofobia e di razzismo che si manifestano con una certa facilità in ambiente migratorio.

Allo scopo, fra le tanta attenzioni e iniziative possibili, il direttore diocesano curerà con particolare impegno le seguenti che sono di particolare importanza e praticità:

1.La formazione e lÂ’aggiornamento continuo degli operatori socio-pastorali impiegati in questo campo di azione: si possono impostare specifiche iniziative di formazione in diocesi, ma si farà anzitutto attenzione a quanto in proposito, dalla Migrantes o da altri organismi, viene periodicamente offerto su base regionale, interregionale e nazionale con convegni e corsi di vario tipo.

Va sensibilizzato e coinvolto anzitutto il seminario, non solo sul piano accademico, ma pure su quello del tirocinio pastorale, secondo il suggerimento dato dall’Esortazione apostolica post-sinodale “Pastores dabo vobis”. Citiamo dal n.58: “Attraverso l’iniziale e graduale sperimentazione nel ministero, i futuri sacerdoti potranno essere inseriti nella viva tradizione pastorale della loro chiesa particolare”. E “nella scelta dei luoghi e dei servizi adatti all’esercizio pastorale” tra gli esempi concreti suggeriti dagli stessi padri sinodali si indica “la cura degli emigrati, degli esiliati e dei nomadi”.

Inoltre il settimanale e altri mezzi di comunicazione diocesani sono senzÂ’altro da annoverare tra gli strumenti privilegiati di formazione, oltre che di informazione. 

2.Ribadiamo la necessità di una obbiettiva conoscenza e tempestiva informazione sulla realtà migratoria locale. Questa è di decisiva importanza non solo per una visione chiara e dettagliata del campo concreto su cui dirigere in modo mirato la nostra azione pastorale, ma pure per prevenire e contrastare allarmismi e insinuazioni che di fatto vengono a disturbare in modo serio il nostro lavoro e un sereno rapporto con i migranti. Di qui lÂ’importanza di una rivelazione statistica periodica della realtà migratoria esistente in diocesi e nella regione. Come punto di partenza si può usufruire dei dati che vengono raccolti ed elaborati in sede nazionale, ma è opportuno arricchire questo materiale con quanto si può raccogliere dalle sedi locali dellÂ’anagrafe, della prefettura e di altri uffici periferici della pubblica amministrazione. Indagini a campione possono essere svolte anche in singole parrocchie o nelle scuole.

3.La preparazione e lo svolgimento della Giornata Nazionale delle Migrazioni, una giornata che potrebbe anche diventare la Settima delle Migrazioni. Per lÂ’effettivo risultato di questa giornata si fa affidamento in primo luogo sul Direttore diocesano, sulla sua paziente e illuminata opera di convincimento presso il Vescovo, la curia diocesana e le parrocchie.

Egli inoltre può dare rilievo a questo tema anche in altre occasioni, come per la Giornata della Pace, per la Giornata Missionaria, per la Settima ecumenica, per la veglia di Pentecoste; si registrano in proposito molte esperienze ottimamente riuscite. Infine, quale momento di animazione e mobilitazione di vaste comunità o dellÂ’intera Diocesi, sono ormai di prassi le Feste dei Popoli col coinvolgimento di stranieri e di italiani.

V – Il Direttore diocesano alla luce della ecclesiologia cattolica

Diciamo una parola conclusiva richiamandoci allÂ’accenno iniziale: la figura del direttore diocesano, prima che richiamare un organigramma della curia vescovile e un programma di azione pastorale, rimanda alla teologia della Chiesa locale. Al limite è corretto dire: si può fare senza direttore nazionale e senza direttore regionale, ma non senza direttore diocesano. La Diocesi infatti, quale Chiesa locale presieduta dal Vescovo, è di istituzione divina, la struttura nazionale e regionale della Chiesa sono di istituzione storica, ecclesiastica. La Chiesa locale ha una sua completezza per così dire ontologica, col Vescovo che presiede la comunità, la carità, lÂ’Eucaristia; ha pure una sua completezza di servizio pastorale specifico per i migranti. Lo slogan diventato ormai classico: “Per la Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno” sarebbe svuotato di senso se nella Chiesa locale non ci fosse questo particolare servizio per gli stranieri. Non posso dilungarmi su questo punto, perché occorrerebbe tempo e competenza.

Mi permetto di rinviare, per interessanti riflessioni, ad uno studio di P. Velasio De Paolis c.s. dal titolo “la cura dei migranti secondo il Motu Proprio “Pastorale Migratorum Cura” e l’Istituzione “De Pastorali Migratorum Cura” e in particolare al paragrafo “L’organizzazione della pastorale dei migranti nelle Diocesi” (p. 149ss, della pubblicazione “Per una pastorale dei migranti”, Roma 1980); con interesse si potranno consultare anche i saggi del compianto Mons. Eugenio Corecco, raccolti nel Supplemento di “Servizio Migranti”, n.2, 1995.

I Migranti non sono soltanto oggetto di assistenza o risorsa sia pure sotto lÂ’aspetto religioso nel senso che potrebbero aumentare in una Chiesa locale il numero dei fedeli; essi mettono in risalto lÂ’unità e la cattolicità della Chiesa, che rispetta le culture ma sa bene che la sua unità è costituita non su una base culturale ma spirituale, di fede. Viene quindi relativizzata la cultura tradizionale ma altrettanto viene ridimensionato il valore del multiculturalismo. Né lÂ’una fonda lÂ’unità della Chiesa, né lÂ’altro fonda la sua universalità. LÂ’una e lÂ’altra possono armonicamente incontrarsi e permettere una pacifica convivenza nellÂ’ambito dellÂ’unica Madre Chiesa, dellÂ’unica Famiglia di Dio. E questa esaltante esperienza, vissuta dei figli della Chiesa, non potrà non avere benefici effetti anche al di fuori della Chiesa, nella società civile.

Questa è una delle tante opportunità offerte dai movimenti migratori, e particolarmente dallÂ’incontro di cristiani di diversa provenienza e cultura. Opportunità che però non si presentano da sé quasi automaticamente, ma attendono di essere scoperte, gestite e valorizzate. EÂ’ proprio qui che il Direttore Diocesano Migrantes gioca un ruolo di protagonismo ed è chiamato a svolgere di persona e promuovere un servizio che è strettamente legato alla autentica natura della Chiesa locale.

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