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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 88-89, April - December 2002

“Il profumo non manchi mai sul tuo capo” (Qoelet 9,8)

Gioia e feste nella Bibbia*

Dott.ssa. Sabine Bieberstein, 
Bamberg

“Il profumo non manchi mai sul tuo capo…”. Ignoro quando è stata l’ultima volta che avete avuto l’olio profumato sul capo… Forse per alcuni di voi non è nemmeno troppo estraneo a ciò che fa parte del vostro lavoro: truccarsi e prepararsi, ungersi e farsi belli. Per me personalmente sarebbe un’idea strana, perché non uso ungermi la testa, benché il pensiero di oli preziosi e di profumi inebrianti sia in qualche modo attraente anche per me.

Per lo scrittore biblico che noi chiamiamo Qoelet, quest’olio profumato sul capo è segno di un modo di vita molto festoso e lieto. Qoelet vede il mondo e tutto ciò che avviene con uno sguardo molto realistico. Chiama le cose con il loro nome: per esempio certuni vivono alle spalle degli altri, e noi ci manteniamo a galla attraverso molta ipocrisia. Riconosce la caducità della ricchezza quanto la fragilità della vita umana. Ne deduce che tutto è fumo al vento. Tuttavia questo non significa per lui che dobbiamo rassegnarci e diventare fatalistici, ma, al contrario, che dobbiamo prendere il giorno come esso si presenta, stimarlo e festeggiarlo:

Va’, mangia con gioia il tuo pane,
bevi il tuo vino con cuore lieto,
perché Dio ha già gradito le tue opere.
In ogni tempo le tue vesti siano bianche
e il profumo non manchi sul tuo capo.
Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace,
che Dio ti concede sotto il sole,
perché questa è la sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole. (Qoelet 9, 7-9)

L’ultimo richiamo, quello cioè di godere la vita con la sposa amata, fa pensare che sia indirizzato da un uomo ad un altro. Ma è un particolare trascurabile. Per Qoelet il mangiare e il bere bene e con diletto fa parte della gioia di vivere, così come i vestiti belli e puliti, l’olio profumato e l’amore. Cose che ancora oggi mettiamo in relazione con le feste e con un buon tenore di vita.

La Bibbia sembra intendersi della gioia di vivere e di festeggiamenti e questo per parecchi è forse una sorpresa, perché molte persone la considerano un librone fuori moda ed antiquato. Ma, una volta aperto, è pieno di sorprese, e di gioia di vivere, di feste, di musica, di danza, ecc.

Per una vera festa occorre il vino buono

Secondo la Bibbia, per una buona festa occorre, in tutti i casi, un buon pranzo. Il mangiare compare in quasi ogni pagina della Bibbia e varrebbe la pena di far notare una volta solo questi brani.

Qualche esempio:

Per un buon pranzo occorre un buon vino. Non è a caso che il primo miracolo che Gesù compie nel Vangelo di Giovanni sia la trasformazione dell’acqua in vino in occasione di uno sposalizio, perché la gente possa continuare a festeggiare e la festa non debba finire prima del tempo.

La considerazione del mangiare e del bere in comune arriva a descrivere anche il giudizio universale con immagini di un banchetto. Nel libro di Isaia per esempio sta scritto:

Il Signore degli eserciti preparerà su questo monte
un banchetto di grasse vivande,
un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini raffinati. …
Eliminerà la morte per sempre.
Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto. (Isaia 25,6.8)

Dio stesso, così afferma questa immagine audace, porrà fine ad ogni dolore, vincerà la morte, asciugherà le lacrime di tutti i popoli e questo viene provato e festeggiato in un meraviglioso banchetto dove Dio si mostra come vero buongustaio e intenditore di vini. Un’immagine stupenda e affascinante. In una terra che spesso è stata travolta da guerre in quanto fantoccio delle nazioni superpotenti, che è colpita da siccità e carestia e dove non era certo che tutti gli uomini avessero cibo sufficiente e potessero vivere in pace, - in questa terra per la festa celeste è necessario che tutta questa miseria, la guerra e la morte onnipresente abbiano fine, e che Dio stesso sieda a tavola e festeggi la vita nella sua magnificenza e nella pace fra i popoli.

Anche Gesù parla del Regno di Dio usando immagini di un grande banchetto: questo Regno di Dio, dice, è come quell’uomo che aveva invitato ad un banchetto ed aveva preparato tutto per la festa: aveva macellato dei vitelli, decorato la sala e preparato il vino; poi un ospite dopo l’altro cominciò a scusarmi di non poter partecipare: uno si era appena sposato, un altro aveva comprato dei buoi e un altro ancora un campo. Erano tutti motivi meritevoli di attenzione, ma se tutti gli ospiti disdicono, non si può fare certamente la festa. Perciò il padrone di casa della nostra parabola reagisce in modo irritato. Non disdice la festa, ma orda al suo servo di uscire per la strada e condurre nella sua casa tutte le persone che avrebbe trovato: mendicanti, pubblicani, prostitute, ecc. Tutti trovano un posto - e la festa può cominciare (vedi Luca 14,16-24).

Vestiti di festa per la preziosità dell’occasione

Ritornando al nostro testo nel libro di Qoelet notiamo che, secondo il concetto biblico, per una festa occorrono pure abiti da festa. La lingua tedesca conosce il proverbio “i panni rifanno le stanghe” e forse esistono simili espressioni anche in altri ambienti culturali. Questo proverbio dice anzitutto che i vestiti sono la manifestazione esteriore della posizione o della situazione di una persona, come pure che sono l’espressione della sua condizione interiore. Non a caso esistono vestiti da lutto o divise oppure vestiti per determinate occasioni, di conseguenza anche per la festa. Chi non avesse i mezzi per abiti da festa adeguati, farà di tutto per prepararsi ad una festa con i mezzi che ha a disposizione. I vestiti vanno perlomeno lavati e si esprime l’atmosfera festosa con qualsiasi piccolo oggetto.

Anche nella parabola di Gesù del banchetto celeste compaiono dei vestiti di festa. Qui invece viene gettato fuori dalla sala chi non indossa un abito da festa (Mt 22,1-14). Il Regno di Dio assomiglia dunque ad una festa, ma per tale festa occorrono certi preparativi come gli abiti da festa. Lo si può forse spiegare con la necessità di adeguati modi di comportarsi conformi a questa festa del Regno di Dio. Parlerò più tardi di questo significato.

Olio profumato per la dignità di ogni persona

All’inizio abbiamo visto un’ulteriore ingrediente per la festa: l’olio profumato sul capo. Certi olii ed unguenti, per esempio con nardo (indiano), mirra, cannella o estratto aromatico, erano preziosissimi nell’antichità e in Israele.

In Israele, come pure nei paesi confinanti, i re ed i profeti venivano unti con l’olio.

- Foglia - illustrazione egiziana dell’unzione di un re, Keel 234 f.

Si ungevano pure i morti per rendere loro le onoranze funebri. Nel vangelo di Marco (14,3-9) leggiamo che quando Gesù, poco prima del suo arresto, stava a mensa nella casa di Simone, giunse una sconosciuta. Aveva con sé un vasetto di olio prezioso, lo ruppe e versò l’olio sul capo di Gesù. Con questo gesto ella lo unse quale Messia, ma anticipò pure la sua estrema unzione che non poté essere eseguita regolarmente, perché venne giustiziato come rivoltoso politico.

L’olio e gli unguenti preziosi spettavano pure alle feste. Le padrone di casa ungevano - spesso all’inizio e alla fine della festa - i loro ospiti con olio, come descritto da Dio nel Salmo 23,5:

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.

Anche qui si parla di Dio come di un padrone di casa che si prende interamente cura del benessere dei suoi ospiti e non prepara loro solo un pranzo, ma li unge con l’olio. Anche secondo il Salmo 104,15 è Dio stesso che provvede perché “l’olio faccia brillare il volto dell’uomo”.

- Illustrazione egiziana, Keel 176: Unzione

Tali unzioni venivano considerate un’opera di bene. Il Salmo 133 parla di un’opera di bene, quando fratelli e sorelle abitano insieme in armonia “è come olio profumato o sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste” (Salmo 133,2). Questo strano modo, per noi, di esprimersi indica che gli unguenti venivano portati sul capo come coni di grasso, e col tempo, grazie al calore, si scioglievano e propagavano il loro inebriante profumo. Un bene sotto molti aspetti, specialmente in un ambiente dove non era facile attuare l’igiene quotidiana del corpo.

Tali unzioni in occasione della festa esprimono ancora di più: la preoccupazione per il benessere è un primo aspetto. Quando le persone vengono unte con olio prezioso viene attribuita loro una adeguata dignità e preziosità. è un segno meraviglioso se reciprocamente ci si può aggiudicare questo e se viene anche detto da Dio. Che incoraggiamento: Dio attribuisce a te e a me tale dignità.

Cosa è una festa senza musica e danza?

Se si guarda alle vostre personali usanze di festa, vi fanno certamente parte diverse altre cose. Per esempio la musica e la danza, cose che troviamo anche nella Bibbia. Alle feste in diverse occasioni troviamo persone che fanno musica, cantano, danzano. Mirjam, sorella di Mosè e Aronne, si serve, dopo il riuscito passaggio del mare di canne (Schilfrneer), del tamburo a mano e precede cantando e danzando tra le donne per accogliere con giubilo la salvezza del popolo di Israele e per festeggiare:

Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro di lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. Maria fece loro cantare il ritornello: "Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!” (Es 15,20-22).

Dopo la vittoria di Davide e Saul sui Filistei, uscirono le donne da tutte le città d’Israele a cantare e a danzare incontro agli eroi con timpani, con grida di gioia e con sistri (1 Sam 18,6).

- Illustrazione Keel 313: Donna che, battendo sul collo, produce un alto tono di trillo

Quando l’arca di Dio veniva portata da Baala a Gerusalemme, Davide e tutta la casa d’Israele danzavano davanti all’arca con tutte le loro forze (2 Sam 6,5), con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali. Purtroppo, Davide con questo eccessivo comportamento attirò su di sé l’indignazione di Michal, sua moglie, figlia di un re.

Non si festeggia soltanto dopo le vittorie militari. Sono occasione di festeggiamento anche gli sposalizi, oppure altri avvenimenti di gioia nella vita di una persona, di una famiglia, di una stirpe o città. In modo particolare la lode di Dio è motivo per servirsi di tutti i mezzi possibili per esprimere gioia e giubilo. Perciò i Salmi sono pieni di musica e di danza. I tipi di strumenti usati per la lode di Dio e per la festa sono molti e differenti:

Come esempio citiamo il Salmo 150:

Alleluia. Lodate il Signore nel suo santuario, lodatelo nel suo santuario.
Lodatelo per i suoi prodigi, lodatela per la sua immensa grandezza.
Lodatelo con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra.
Lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti.
Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti.
Ogni vivente dia lode al Signore. Alleluia!

- Illustrazione musicisti Keel 113-128; Braun da pag. 249 (tamburi a mano, flautiste, suonatrici d’arpa, corno di sciofar, cembali, ecc.)

Penso che le cose non si siano svolte sempre ordinatamente. Cantare a piena voce, lodare a voce alta, e contemporaneamente danzare, fa pensare che la gioia non abbia sempre seguito le regole delle forme liturgiche. Il danzare nudo di Davide davanti all’arca di Dio fa arguire uno stato di trance o di ebbrezza e, se un re ha danzato fino a cadere in trance, altri avranno potuto fare altrettanto.

Nessuna festa senza regali - neanche per i poveri

La fine del libro di Ester fa notare un ulteriore aspetto delle feste bibliche: talvolta anche i regali fanno parte di una festa. Così alla fine del libro di Ester viene introdotto nell’ebraismo la festa dei Purim in cui l’intero popolo ricorda la salvezza dall’insidia e dalla persecuzione da parte dei suoi nemici:

Ester 9,21-23

Egli ha stabilito che ogni anno celebrassero il quattordici ed il quindici del mese di Adar come giorni di festa. Questi sono i giorni in cui gli ebrei ebbero tregua dagli attacchi dei nemici e il mese in cui il loro dolore era mutato in gioia, il loro lutto in festa, e perché facessero di questi giorni di banchetto e di gioia, nei quali si mandassero regali scambievolmente e si facessero doni ai poveri.

Fino ad oggi la festa dei Purim è una festa molto allegra, una festa per i bambini che si mascherano, fanno chiasso e ricevono regali - ma anche per i poveri di cui ci si ricorda particolarmente in quei giorni.

Scandire l’anno con le feste

Con la lode di Dio nei Salmi e ora anche con la festa dei Purim siamo definitivamente giunti alle feste religiose e di queste racconta la Bibbia più di tutto. Tali feste religiose scandivano l’anno - come da noi le feste solenni - tanto per quanto riguarda la vita pubblica quanto per la vita di famiglia e quella dei singoli individui.

I testi biblici indicano quattro feste principali che, con lo scorrere del tempo, hanno subito dei cambiamenti e hanno sovrapposto il loro significato. Per esempio, la festa di Pessach e Massot, che inizialmente erano due feste differenti, e poi si sono unite in una sola festa. Secondo i calendari di festa più antichi (Esodo 23,14-17; 34, 18; 22-23) vengono festeggiate tre feste principali che hanno un’origine rurale, anzitutto con la speranza in un buon raccolto ed il ringraziamento per questo. In occasione di queste tre fasi, gli israeliti dovevano fare un pellegrinaggio a Gerusalemme – cioè andare a piedi fino a Gerusalemme (il che poteva voler dire un viaggio di diversi giorni) - e presentare le loro offerte nel tempio, macellare gli animali e fare festa nell’ambito della famiglia. Queste tre feste primordiali erano la festa di Massot, la festa della settimana e la festa della vendemmia o festa dei tabernacoli.

La festa di Massot (festa del pane azzimo) ha origine nell’usanza che i contadini mangiavano, all’inizio di ogni nuovo raccolto, il pane di quello stesso raccolto in onore della divinità. Trattandosi di pane del nuovo raccolto veniva preparato senza lievito, cioè senza parte del cereale proveniente dalla vecchia raccolta. Nel mese di Abib, il “mese delle spighe”, si doveva far festa per sette giorni (cosa sono i nostri due giorni di Natale di fronte a sette giorni di festa!). Più tardi questa festa venne collegata con l’Esodo, spiegandola come segue: come gli israeliti nell’uscita dall’Egitto, per mancanza di tempo, dovettero mangiare il pane azzimo, lo si deve pure mangiare ora in ricordo di questo Esodo.

La festa della settimana era originariamente una festa dei raccolti e veniva festeggiata all’inizio della raccolta del grano. In questa occasione venivano offerte le primizie del raccolto alla divinità.

Se le due feste citate finora si riferiscono all’inizio del raccolto ed esprimono la speranza che l’intero raccolto fosse buono - la terza festa viene festeggiata in autunno, a raccolto avvenuto: la festa del raccolto o festa dei tabernacoli. Secondo l’Esodo (23,16) era questa l’inizio del nuovo anno, secondo Esodo 34,22 era la fine del vecchio anno, ma in ogni caso cadeva a capodanno, in autunno. Questa festa veniva festeggiata fuori, all’aperto, in mezzo ai campi e ai vigneti; forse per questo si costruivano originariamente delle capanne come alloggio provvisorio per il periodo della festa ed è possibile che il nome venga da qui. Ma anche questa festa veniva poi messa in relazione con l’Esodo: si spiegava la festa della raccolta o dei tabernacoli col fatto che gli israeliti abitavano durante l’emigrazione dall’Egitto in simili capanne, in modo che i loro discendenti dovessero ricordarsi di questa emigrazione.

La quarta festa è la festa di Pessach che non è di origine rurale, ma risale ad un rito che i pastori usavano fare all’inizio del cammino verso il pascolo estivo. Con il sangue, messo all’ingresso delle tende, doveva essere trattenuto il “corruttore”, un demonio che poteva essere pericoloso per uomini e bestiame. Anche questa festa veniva messa in relazione con l’Esodo. Con questa festa va ricordata la salvezza dall’uccisione dei primogeniti in Egitto ed il “corruttore” viene tramutato in un assistente di Dio (Esodo 12,23). Più tardi la festa di Pessach venne unita a quella di Massot in un’unica grande festa a ricordo della liberazione dall’Egitto. Così esistono nuovamente tre grandi feste.

Accanto a queste feste principali esistevano ulteriori feste, come quella già citata del Purim o festa di consacrazione del tempio.

Le feste rafforzano la comunità

Le grandi feste scandiscono l’anno. Marcano dei punti importanti nella vita di una comunità: l’inizio del raccolto, la fine del raccolto, l’inizio della grande e pericolosa marcia verso i pascoli, ecc. Sono forse paragonabili a feste che vengono celebrate ai passaggi importanti nella vita dei singoli: alla nascita oppure al Battesimo, all’ingresso nella vita da adulti, al matrimonio e alla morte. “Rites de passage” - passaggi nella vita, celebrati liturgicamente nell’ambito della comunità, che così sono più facili da superare.

Simili feste hanno una ancora maggiore importanza nella vita di una comunità. Ho già fatto notare che tutte le grandi feste dell’Antico Testamento, eccetto la festa della settimana, nel corso della storia della fede di Israele sono state collocate nell’Esodo. Di conseguenza, con queste grandi feste tutta la comunità si ricorda della sua liberazione avvenuta all’inizio della sua storia e che segna la fondazione del popolo di Israele. I festeggianti si ancorano anno per anno e festa per festa a questa storia di fondazione, riscongiurano questa storia su cui è basata la comunità di oggi. Queste feste hanno dunque una grandissima importanza per la comunità: creano identità, la rafforzano e la consolidano in occasione di ogni festa. Una comunità si ricorda di dove viene, quali sono le sue radici, in cosa si costituisce la sua identità. Essa inscena questa storia e l’identità comune - collettiva - nella festa.

Così simili feste hanno una funzione fondamentale nella vita di una comunità, e naturalmente questo vale per tutte le comunità e non solo per quella israelitica-ebraica. Le feste creano una identità collettiva. Esse confermano, rafforzano e rinnovano la comunità. Ciò è possibile anche con altri mezzi: per esempio, raccontandosi ripetutamente la storia comune, oppure raffigurandola in pietre, cioè in monumenti architettonici o nel modo come si costruisce una città. Chi guarda questi monumenti si ricorderà della storia - e viene legata ad essa. Non è a caso che oggi i soldati israeliti prestino il loro giuramento a Massada, luogo dove si cristallizza in modo particolare l’identità dello Stato di Israele.

L’identità di una comunità può essere messa in scena anche con le feste. E allora è specialmente sentita in modo appassionato.

Queste feste che si ripetono annualmente, rompono la monotonia della vita ordinaria. Le feste sono, per così dire, “l’opposto della vita quotidiana”. Il quotidiano è spesso caratterizzato da dolore, contrasti, scarsità o routine. Ogni giorno è uguale (routine, noia). Ogni giorno c’è la battaglia per sopravvivere (scarsità, dolore). Le feste invece si manifestano con pienezza e consapevole messa in scena. è bello, è festoso, c’è di tutto in abbondanza, le preoccupazioni possono per una volta essere lontane, le feste cambiano il tempo (ordinario), gli danno un altro ritmo e aprono un po’ una “finestra” attraverso la quale viene ancorata la vita quotidiana in altro tempo. La profonda dimensione del quotidiano si fa percepire e di fronte al “tempo ordinario” si inserisce un “tempo sacro”. Così si ricrea il collegamento con la storia della fondazione.

La festa ebraica di Pessach, ma anche la Pasqua cristiana, si intendono come messa in scena della identità collettiva, come un rendere visibile la memoria collettiva. La storia della fondazione viene richiamata alla mente attraverso la festa. è decisivo che questa storia della fondazione sia in ambedue i casi una storia della liberazione e della speranza. Questa liberazione viene continuamente messa in scena e richiamata alla mente. Viene commemorata nella cena, nella celebrazione e progettato nel futuro come visione della speranza, così che la celebrazione diventa nello stesso tempo l’anticipazione di tale visione della speranza.

Quanto ognuno di noi è ancorato in queste feste e quanto la nostra identità è legata in queste comuni tradizioni, dimostra un fenomeno che Voi forse conoscete specialmente bene: quando delle persone devono lasciare la loro patria - qualunque siano i motivi - se il lavoro le costringe a cambiare posto, se devono fuggire o vengono cacciate - esse troveranno spesso nella terra straniera come un “pezzo di patria” nelle vecchie collettive feste e tradizioni che tentano di vivere più fedelmente possibile. Ecco perché le colonie europee in Sudamerica cercano di dare alla festa di Natale un’apparenza d’inverno, come era a casa, almeno con un po’ di neve in ovatta. Ciò può aiutare a non essere del tutto sradicati e di conservare la propria identità.

Per una festa della liberazione occorre una prassi liberatrice

Ma occupandoci della Bibbia, non ci è permesso fermarci soltanto sulle belle feste. Infatti, la Bibbia è piena di critica al loro riguardo - oppure ad una certa prassi di feste. Anzitutto nei libri dei Profeti troviamo una parzialmente impetuosa critica alla prassi del culto e delle feste del loro paese.

Così Amos impreca nel nome di Dio:

Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostreriunioni.
Se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni,
e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo.
Lontano da me il frastuono dei tuoi canti; il suono delle tue arpe non posso sentirlo!
Piuttosto scorra come acqua il diritto e
la giustizia come un torrente perenne.
(Amos 5,21-24)

Motivo per questa collera del profeta (e di Dio, nel cui nome egli parla) non è una fondamentale o, in qualche modo, ascetica riservatezza nei confronti di feste e sensualità. Il vero motivo è che il personale del tempio, cioè i sacerdoti e l’intero strato superiore del paese, riescono apparentemente bene a conciliare le feste manomettendo il diritto nel paese, sfruttando i poveri e facendo uso di violenza nei confronti dei deboli.

Amos 8,4-10 lo esprime chiaramente:

Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano?
Quando sarà terminato il sabato? Vogliamo smerciare il frumento,
diminuendo le misure e aumentando il siclo e usando bilance false.
Vogliamo comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali.
Venderemo anche lo scarto del grano. …
Cambierò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamento:
farò vestire ad ogni fianco il sacco, renderò calva ogni testa;
ne farò come un lutto per un figlio unico
e la sua fine sarà come un giorno d’amarezza.

Parole dure e insopportabili che hanno la loro giustificazione nella prassi che il profeta osserva nel suo paese e che, d’altra parte, sono per lui insopportabili: l’ipocrisia di celebrare le feste religiose, i sabati e il novilunio - per ritornare dopo alla prassi dell’ingiustizia, dello sfruttamento e della corruzione, come se l’uno non avesse niente a che fare con l’altro. Questo, dice il profeta, ha per conseguenza l’annientamento e la morte. Dio scruta il cattivo gioco, non si lascia illudere da nessun culto e da nessun canto per quanto bello sia, perché in questo paese regna l’ingiustizia.

Se invece prendiamo sul serio in che cosa consiste l’identità di Israele e le sue feste, cioè nel ricordo della liberazione dalla schiavitù in Egitto, allora la reazione dei profeti è coerente. Se Dio ha fatto uscire il suo popolo dall’Egitto, "perché mi celebri una festa nel deserto” (Ex 5,1), se li ha strappati all’oppressione, perché possano vivere da liberi nella terra promessa, allora deve anche mantenere una prassi adeguata: una prassi di giustizia, di diritto e di liberazione. Chi ancora l’inizio della propria storia in una tanto profonda esperienza della liberazione, non può che realizzare questa liberazione nella propria prassi.

Non a caso numerosi comandamenti della Bibbia sono basati sul fatto che Dio ha liberato Israele dalla schiavitù in Egitto. Per esempio il comandamento del Sabato.

Sabato: festeggiare la vita

Una delle motivazioni per cui il popolo di Israele deve osservare il Sabato, è proprio questa liberazione dalla schiavitù in Egitto:

Osserva il giorno del sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso. Perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato(Dtn 5,12-15).

Qui viene stabilito un giorno di riposo, il Sabato, in ricordo della grande liberazione dalla schiavitù in Egitto. Poiché Israele ha provato la liberazione, è tenuto a donare e può donare a se stesso e agli altri questa giornata di bene, come tempo libero e fatto dono, un tempo in cui nessuno deve lavorare, in cui uomo e bestiame possono riposare e respirare. In fondo, si tratta di un pensiero grandioso: designare un giorno, che cade con regolarità e con sicurezza, che è diverso da tutti gli altri giorni. Un giorno liberato dal peso del lavoro. Un giorno non determinato dal dovere del rendimento e del guadagno. Un giorno libero dalla schiavitù del profitto e della redditività. Un giorno che annuncia un altro tempo, un tempo del poter vivere, del poter essere. Annuncia un tempo sacro, un tempo che va festeggiato.

Il libro dell’Esodo dà un’altra spiegazione del Sabato: Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro (Ex 20, 11).

Il Sabato è dunque legato alla creazione. Viene ancorato all’ordine della creazione stessa, anzi, è l’obiettivo della creazione, poiché Dio stesso, così racconta la Bibbia, si è riposato il settimo giorno. Chi fa altrettanto, vive un po’ in conformità con l’ordine della creazione. Secondo il racconto biblico, Dio ha fornito quotidianamente la manna ad Israele nel deserto. Il sesto giorno Israele ha scoperto che il raccolto era il doppio di quello dei giorni precedenti (Es 16). Per rendere possibile il giorno di riposo, Dio dà al sesto giorno pane per due giorni (Es 16, 29). Chi raccoglie di più, non ha di più; chi vuole di più, non lo riceve. Israele prova su se stesso che la rinuncia ad ulteriore lavoro e maggiore profitto aumenta la ricchezza della vita e non la diminuisce.

èproprio questo che va riscoperto oggi con il Sabato, o la Domenica. Oppure conservato. Oppure difeso dalle nuove sollecitazioni di utilità e di effettività e dalle costrizioni per cause economiche. Il Sabato consente in modo unico degli spazi liberi. Egli è tempo donato che serve alla vita e rende possibile essere vicino a Dio.

Il Sabato sembra essere una anticipazione di un altro tempo, un tempo colmo di Dio, in cui uomo, bestiame e natura possono vivere, in cui sperimentano la vita in pienezza, come dice la Bibbia. Il Sabato - la Domenica - come assaggio di questo tempo diverso, è come un sopravvenire di questo tempo differente nel nostro quotidiano.

Siamo ora giunti ad un aspetto del tema che ci porta definitivamente al Nuovo Testamento, a Gesù ed al suo modo di vivere e di festeggiare, come ne hanno parlato i Vangeli.

Festeggiare al cospetto del Regno di Dio

Gesù è stato rimproverato dai suoi contemporanei di essere un mangione, un beone (Lc 7, 34). Sembra che tale rimprovero non sia del tutto infondato. Infatti, secondo i Vangeli, lo si vedeva continuamente a tavola con qualsiasi gente a mangiare e a bere. E, in compenso, non lavorava nemmeno. Al contrario: non ha solo lasciato la sua famiglia, ma ha pure abbandonato il suo mestiere e gira per il paese come un predicatore ambulante. Con questo non può guadagnarsi il proprio sostentamento di vita e tanto meno quello delle donne e degli uomini che lo seguono, ma dipende da ciò che la gente gli dà. E quelli che gli hanno dato, che lo hanno invitato e lo hanno sostenuto erano molti, e con loro la gente per bene non vuole avere a che fare: pubblicani, peccatori, prostitute ed altre figure a margine della società ordinata: “Ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori”, lo ha rimproverato la gente (Lc 7, 34). Un fannullone che non lavora, ma che celebra ugualmente le feste e gozzoviglia a carico degli altri. E per di più sulle spalle di gente che ha lavorato insieme a quelli che hanno sfruttato e ricattato il paese. Intendo i pubblicani con i quali Gesù è stato, i quali hanno dovuto collaborare con i Romani e con la gente del re Erode, perché era il loro mestiere incassare le tasse e appaltare i diritti di pesca sul Lago di Genesaret. Questi erano presso a poco gli ‘ultimi’ per la popolazione gaelica rurale. E - fra altro - con questa gente Gesù si circondava e celebrava feste.

Alla domanda, perché le sue discepole e discepoli non digiunavano come i discepoli di Giovanni o i farisei, Gesù ha domandato loro: “Possono digiunare gli ospiti al banchetto nuziale, quando lo sposo sta insieme a loro?”. Gesù intende questo come una grande festa - una festa, come promessa per il ‘periodo ultimo’ secondo le tradizioni della Bibbia ebraica, cioè è Dio stesso che prepara un grande banchetto per tutti i popoli con cibi succulenti e vini raffinati. è un testo che abbiamo già visto (Isaia 25,6-8).

Alla vista di Gesù, queste promesse si stanno per compiere: Dio riunisce il suo popolo proprio fra gli emarginati di Israele; Dio rialza chi è zoppicante e debole, come annuncia Amos 4,6-7; i demoni si ritirano, gli uomini respirano con sollievo, i ciechi vedono, i paralitici camminano, il pane basta per tutti. Dio è il Re. La grande festa è iniziata.

Nelle sue parabole Gesù racconta come questo regno di Dio si imporrà o già si impone: irrefrenabilmente, nonostante tutte le avversità, come un grano di senapa che, una volta seminato, nasce e diventa una pianta grande, oppure come il grano che, nonostante le erbe cattive, le spine e gli uccelli rende possibile un grande raccolto, oppure come il lievito che solleva una grande quantità di farina. Gli uomini devono lasciarsi prendere da questa festa del regno di Dio e partecipare a questo nuovo tempo. I pranzi che Gesù festeggia con la sua gente anticipano la pienezza e la gioia del regno di Dio. Così la nuova e particolare ‘comunanza’ praticata in questo regno di Dio diventa già ora percepibile e si festeggia.

Evidentemente non tutti i giorni erano per Gesù e la sua gente giorni di festa. Vi saranno stati numerosi giorni in cui la gente li avrà messi alla porta o mandato via, dal paese e in cui saranno rimasti senza cibo. Non a caso viene raccontata una scena come quella, quando di sabato i discepoli hanno raccolto delle spighe sul campo per mangiarle. Pativano la fame. Erano davvero poverissimi. Nella maggior parte dei casi, i loro pranzi non saranno stati molto abbondanti. Un pezzo di pane, un pesce (Lc 11,11-13) sarà spesso stato tutto. Ogni giorno si trattava di ‘farcela a stento’. Non a caso c’è nella preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi la supplica per il pane quotidiano. Lavoratori a giornata e gente che ha abbandonato tutto, dovevano preoccuparsi giorno dopo giorno di trovare il pane per sopravvivere.

Ma di tanto in tanto c’erano anche i pranzi in comune e addirittura le feste. E allora diventava percepibile ciò che Gesù intendeva quando diceva: "Benedetti voi poverissimi, perché a voi apparterrà il regno di Dio”. Questo è l’inizio di ciò che in Israele viene chiamato la signoria di Dio.

Che questo regno di Dio ha da fare in qualche modo con una festa, si manifesta anche nella parabola della donna povera che ha perso una delle dieci dracme e la cerca in tutta la casa fino a ritrovarla e che poi celebra una festa insieme alle sue amiche. Altrettanto, così dice la parabola, Dio celebrerà una festa. E questo non è poi una brutta previsione..

Festeggiare la vita

Molto di più di quanto potevo elencare qui, la Bibbia parla di feste e di celebrazioni. Mi domando dove tutto ciò è rimasto nella nostra storia del cristianesimo, perché spesso di cristiano è rimasto solo il moralismo, l’ordinario e il dovere. In verità, un tale cristianesimo non è molto attraente. Non dico che la Bibbia ci fornisca delle ricette su come migliorare la nostra situazione. La Bibbia non è un libro di ricette, ma invita a guardare qui e là. E racconta di feste e di gioia e di vita riuscita. Per tutti gli uomini.

èessenziale lasciarsi prendere da questa gioia impetuosa del regno di Dio e dalla “sconvenienza” dei festeggiamenti e del “nonostante tutto questo” espresso nei testi. Perché queste feste donano un tempo prezioso e non utilitaristico. Così si sottolinea la dignità e la preziosità di ogni persona - una dignità che non viene misurata sul rendimento e sull’utilità, ma che è semplicemente donata e può essere festeggiata. Chi festeggia, ha speranza. è chi ha speranza, ha un avvenire. Forse è questo che la Bibbia vuole insegnarci.


*Relazione in occasione del Congresso dei circensi nell’Europapark Rust, mercoledì 20 marzo 2002 
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