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Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the Move - N° 88-89, April - December 2002 ÂÂDallÂÂ ONU al Dicastero Vaticano dei Migranti: i 60 anni di sacerdozio del Cardinale Cheli, riflesso di un servizio alla Chiesa e allÂÂuomo di un testimone del `900ÂÂ * ÂÂSessantÂÂanni di sacerdozio vogliono dire 22 mila Messe: un torrente di grazie, ma io sono stato uno strumentoÂÂ. Il cardinale Giovanni Cheli ÂÂ torinese, 84 anni il prossimo ottobre ÂÂ si schermisce con un filo di sottile umorismo nel considerare il significato del traguardo personale raggiunto oggi. Ma sessantÂÂanni di sacerdozio a servizio della Chiesa ÂÂ come giovane diplomatico negli anni `50 fino alla carica di osservatore permanente della Santa Sede allÂÂOnu del `73 ÂÂ vogliono dire anche la possibilità di aver vissuto in prima persona, e da una posizione privilegiata, i grandi avvenimenti del Novecento. Al microfono di Alessandro De Carolis, il cardinale Cheli intreccia il ricordo delle sue prime esperienze con la storia recente della Chiesa, sempre in prima linea nella promozione umana ad ogni livello: R. ÂÂ Un primo punto importante per me è stato certamente la chiamata a prepararmi per il servizio diplomatico della Santa Sede. Lì, si è davvero allargato davanti a me un orizzonte pastorale e sono diventato cosciente, specialmente approdando alle Nazioni Unite, che i grandi problemi dellÂÂumanità ÂÂ la pace, lo sviluppo, ma anche la fame e la sete nel mondo ÂÂ non si possono risolvere in maniera bilaterale, ma hanno bisogno dello sforzo comune di tutti. E le Nazioni Unite, di per sé, sono nate proprio per favorire questa comunanza di vedute e obiettivi. D. ÂÂ DallÂÂepoca del suo mandato ÂÂ dalla fine degli anni Settanta ad oggi ÂÂ comÂÂè cambiato secondo lei il ruolo della Chiesa allÂÂinterno dellÂÂOnu? R. ÂÂ Al principio, direi che i cattolici erano abbastanza non dico discriminati, ma non visti di buon occhio. Poi, poco a poco lÂÂatteggiamento è cambiato: i cattolici non solo sono stati bene accolti ma anche desiderati. Questo grazie certamente al lavoro di chi mi ha preceduto, ma soprattutto per come si è fatta sentire la Santa Sede: attraverso i messaggi del Papa, i continui interventi. Direi che la visita di Paolo VI prima e di Giovanni Paolo II poi ÂÂ anzi le visite di Giovanni Paolo II, perché sono state due ÂÂ hanno certamente portato ad accrescere moltissimo la stima, lÂÂapprezzamento per il ruolo svolto dalla Santa Sede in seno a questo organismo. D. ÂÂ Lei ha concluso il suo ultimo mandato alla guida del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e itineranti. Come valuta lo scenario di questo fenomeno dei flussi migratori, che sta ridisegnando dal di dentro le società occidentali? R. ÂÂ Si era pensato ÂÂ si era detto e anche scritto ÂÂ che il fenomeno dellÂÂimmigrazione fosse destinato a scomparire. In realtà, il fenomeno dellÂÂimmigrazione è andato continuamente aumentando e ancora oggi non si vede come possa essere arrestato, senza riuscire a rimettere in piedi ÂÂ economicamente e socialmente ÂÂ i Paesi che lo producono. Tra lÂÂaltro, poi, lo sappiamo bene anche qui in Italia: di immigrazione cÂÂè bisogno, perché non basta la manodopera italiana, e questo è vero un poÂÂ in tutto lÂÂOccidente. Quindi, da una parte è certo che questi flussi sono anche necessari, dallÂÂaltra ciò che è importante è il poterli controllare. Evitare in poche parole che se in un Paese occorrono 2 mila emigranti, ne entrino 4 mila, perché i 2 mila in più, non trovando né lavoro né assistenza sociale, andranno ad alimentare la criminalità.
Nota:
*ÂÂRadio Vaticana - Radio GiornaleÂÂ, del 21 giugno 2002
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