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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 93,  December 2003, pp. 137-141

Ripartire da Cristo. Orientamenti ecumenici

per la Pastorale dei Migranti e dei Profughi

Card. Walter KASPER

Presidente del Pontificio Consiglio per la

Promozione dellÂ’Unità dei Cristiani

Nel suo messaggio per lÂ’89ma giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2003, Papa Giovanni Paolo II afferma che la migrazione è diventata un fenomeno molto diffuso nel mondo moderno e che essa rappresenta una sfida per la Chiesa cattolica. Il Santo Padre parla delle varie cause della migrazione e dei gravi problemi connessi, ma, nello stesso documento, egli dichiara anche: “EÂ’ evidente poi che le comunità culturali miste offrono opportunità uniche per approfondire il dono dellÂ’unità con le altre Chiese cristiane e comunità ecclesiali”.

Questo intreccio fra migrazione ed ecumenismo e questa opportunità di arricchimento tramite la migrazione corrisponde anche alla mia esperienza personale. Mi riferisco a ciò che è  accaduto nel mio paese. Dopo la seconda guerra mondiale, lÂ’arrivo nella Germania occidentale di molti profughi tedeschi provenienti dalle antiche regioni della Germania orientale fu uno dei fattori che dettero avvio allÂ’ecumenismo. Gli Alleati avevano spostato i cattolici in regioni protestanti e i protestanti in regioni cattoliche. Da allora cessarono di esistere regioni esclusivamente cattoliche o regioni esclusivamente protestanti. La convivenza delle due comunità è diventata una realtà più o meno normale. Nella situazione di grande bisogno del dopoguerra, quando tutti erano poveri e non cÂ’era molto da dividere, spesso i cattolici sono stati ospiti delle chiese protestanti e viceversa. Così si è sviluppata unÂ’amicizia reciproca. In seguito, negli anni sessanta e settanta, si è verificata una migrazione economica che ha portato in Germania molti lavoratori, i cosiddetti Gastarbeiter, soprattutto dallÂ’Europa meridionale e, negli anni novanta, durante la guerra nei Balcani, molti profughi dalla Bosnia. In un primo momento, abbiamo percepito i loro costumi religiosi come qualcosa di sconosciuto, estraneo alla nostra cultura, ma in seguito ce ne siamo sentiti arricchiti e adesso essi fanno spesso parte integrante della nostra vita ecclesiale.

Con gratitudine vorrei menzionare il prezioso servizio reso dalle Scalabrine a favore dellÂ’integrazione sociale e religiosa di migliaia di persone nella nostra diocesi. LÂ’incontro con tanti migranti e profughi ha fatto crescere in noi una nuova consapevolezza dellÂ’universalità della nostra Chiesa e della nostra cattolicità.

Detto ciò, comunque, non posso non riconoscere lÂ’esistenza dei gravi problemi e dei pericoli della migrazione anche dal punto di vista ecumenico, pericoli come quello del relativismo e dellÂ’indiferentismo. Questi sono presenti soprattutto là dove gli immigrati non sono bene accolti ed integrati nelle comunità cattoliche. Il pericolo di tensioni e di xenofobia è  particolarmente acuto là dove regna un clima di chiuso confessionalismo, di confessionalismo esclusivista ed antiecumenico.

 Il fenomeno della migrazione è dunque unÂ’opportunità ed una sfida per riflettere sullÂ’urgenza, sui fondamenti, sulla natura, sui metodi e sugli scopi di un ecumenismo inteso nel senso proclamato dal Concilio Vaticano II. Non si tratta di un ecumenismo qualsiasi, ma di un ecumenismo secondo i principi cattolici, di un ecumenismo illustrato nel Decreto conciliare “Unitatis redintegratio” (1964), spiegato concretamente nel Direttorio per lÂ’applicazione dei principi e delle norme sullÂ’ecumenismo (1993), approfondito nellÂ’enciclica sullÂ’impegno ecumenico “Ut unum sint” (1995) ed in molti altri documenti del Santo Padre e dei dicasteri responsabili della Santa Sede.

1. Il fondamento dellÂ’ecumenismo: Il Concilio Vaticano II ha inteso lÂ’ecumenismo come risposta ai segni del tempo, un tempo caratterizzato da unÂ’ambigua globalizzazione, dove le diverse culture e religioni e le diverse confessioni sono così vicine le une alle altre. In questa situazione mondiale, siamo più profondamente consapevoli che la divisione fra i discepoli di Cristo è contraria alla volontà di Cristo stesso, che, alla vigilia della sua morte, ha pregato affinché “tutti siano una sola cosa” (Gv 17, 21). “Credere in Cristo significa volere lÂ’unità” (UUD 9). Per questo, lÂ’ecumenismo non è attributo secondario, non è qualche appendice della cura pastorale ma appartiene allÂ’essere stesso della Chiesa (UUS 8; 20).

LÂ’ecumenismo non è dunque la conseguenza di un umanesimo e di un filantropismo liberale o di un vago spirito di famiglia, ma risulta da un ripartire da Cristo e si radica nel riconoscimento dellÂ’unico Battesimo. LÂ’ecumenismo riparte da Cristo, la cui opera salvifica va oltre ogni razza e ogni nazione ed è veramente universale. LÂ’ecumenismo va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica (UUS 42).

Cosa è questa affermazione ecclesiologica? Il Concilio ritiene che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, e pienamente sussiste solo nella Chiesa cattolica (Dominus Jesus, 16), ma questo non esclude che al di fuori del suo organismo visibile si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni della chiesa di Cristo, spingono verso lÂ’unità cattolica” (LG 8; UR 3 s). il decreto sullÂ’ecumenismo parla di parecchi e segnalati elementi ed elenca: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità e altri doni interiori dello Spirito santo ed elementi visibili (UR 3). Il Concilio dice persino: Quantunque le chiese separate e le comunità ecclesiali separate hanno le loro carenze, lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza (UR 3). Così, fuori della Chiesa cattolica non cÂ’è il vuoto ecclesiale (UUS 13).

2. La natura del dialogo ecumenico: Come ogni cosa al mondo, anche il dialogo ecumenico è soggetto a malintesi ed abusi. A volte, il dialogo è diventato uno slogan sotto cui si cela lo spirito del relativismo, dellÂ’indifferentismo e di un pluralismo di principio, oggi largamente predominante nella nostra civiltà. A volte, il dialogo ecumenico viene anche scambiato per un falso irenismo che può condurre a simulacri di soluzione, a compromessi ridotti al minimo comune denominatore, oppure ad un qualunquismo opportunistico e pragmatico che perde di vista la questione della verità.

La Dichiarazione “Dominus Iesus” ha giustamente respinto tali atteggiamenti che contraddicono lÂ’esigenza di verità del Vangelo. Il dialogo ecumenico devÂ’essere un dialogo nella carità e nella verità. Poiché la verità senza la carità è fredda e spesso repellente; mentre la carità senza la verità è insincera e vuota. Si tratta di vivere secondo la verità nella carità (Ef 4, 15).

Correttamente inteso, il dialogo ecumenico non è in contraddizione con lÂ’esigenza di verità; al contrario, esso è al servizio della piena conoscenza della verità. Essendo il dialogo totalmente diverso da uno “small talk” privo dÂ’impegno, esso penetra nel profondo dellÂ’esistenza umana e del suo orientamento verso la verità. Pertanto, per Giovanni Paolo II il dialogo è un passaggio obbligato del cammino da percorrere verso lÂ’autocompimento dellÂ’uomo, del singolo individuo come anche di ciascuna comunità umana (UUS 28).

Nessuna mente umana, nessuna cultura e nessuna formulazione teologica, per quanto profonda, può esaurire “le imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8). Abbiamo però la promessa dello Spirito di Cristo che ci guida alla verità tutta intera (Gv 16, 13). Per mezzo dello Spirito Santo, Dio non cessa di parlare con la Chiesa e  introduce i credenti alla verità intera (DV 8).

Il dialogo ecumenico è una via per la quale lo Spirito di Dio ci conduce più a fondo nella verità affidata alla Chiesa. Infatti, il dialogo ecumenico è molto di più di uno scambio di idee, interessante ma senza impegno, o di un dibattito di politica ecclesiale. Esso non è neanche una faccenda puramente accademica o un colloquio tra esperti. EÂ’ uno “scambio di doni” (UUS 28). Quindi, il dialogo non intende togliere nulla alla verità; non intende abbandonare nulla di ciò che ci è dato come ricchezza della nostra fede: al contrario, esso ci può arricchire con un maggiore discernimento e con aspetti nuovi e finora meno contemplati dellÂ’unica verità che è Gesù Cristo stesso (Gv 14, 6). Il dialogo ecumenico può allora aiutarci concretamente a realizzare con più pienezza la cattolicità propria della Chiesa (LG 13; UR 4).

Così, ad esempio, noi cattolici abbiamo molto imparato dai fratelli evangelici sullÂ’importanza della Bibbia e dellÂ’annuncio della parola di Dio; loro imparano da noi lÂ’importanza dei simboli liturgici e soprattutto dellÂ’eucaristia; e dagli ortodossi possiamo riscoprire il senso del mistero della liturgia.

Inteso in questo modo, il dialogo ecumenico è un processo profondamente spirituale. Esso non è possibile senza una conversione personale ed un rinnovamento istituzionale (UR 4); lo spirito di preghiera deve essere lÂ’anima di ogni dialogo ecumenico (UUS 21-27). Perché in ultima analisi, non siamo in grado di “fare” la piena unità; possiamo soltanto chiederla come dono dello Spirito Santo. Ecco perché la Settimana di Preghiera per lÂ’unità di tutti i cristiani è così importante.

3. La prassi del dialogo ecumenico: Non è possibile in questo contesto e in questo tempo limitato presentare tutte le possibilità che si aprono al dialogo ecumenico. Il summenzionato Direttorio ecumenico ne menziona molte. Per la pastorale dei migranti e dei profughi, vale lÂ’atteggiamento e la prassi dellÂ’ospitalità secondo la Regola di San Benedetto: ricevere lÂ’ospite come lo stesso Cristo (Cap. 53). Questo significa concretamente: disponibilità di aprire le nostre chiese per lÂ’uso liturgico, i nostri centri di comunità, i nostri asili, le nostre scuole cattoliche, ecc.

Tutto ciò deve essere realizzato senza il minimo segno di proselitismo. Il proselitismo è lÂ’espressione di una ecclesiologia chiusa ed esclusivista, di unÂ’ecclesiologia che spiega l’“extra ecclesiam nulla salus” in senso stretto e contrario allÂ’interpretazione data dal Concilio Vaticano II e nega praticamente che lo Spirito di Dio può operare anche fuori i confini visibili della Chiesa cattolica. Il Decreto sullÂ’ecumenismo dichiara che la preparazione e la riconciliazione di singole persone che desiderano la piena comunione cattolica è di natura distinta dallÂ’iniziativa ecumenica, ma che, dÂ’altra parte, non cÂ’è alcuna opposizione fra le due iniziative (UR 4).

Di solito si distingue fra il dialogo della carità, cioè il dialogo della vita e della collaborazione nellÂ’ambito sociale, politico, caritativo –soprattutto nei campi profughi- e il dialogo della verità, cioè lo scambio su ciò che nella nostra fede abbiamo in comune  e che è di più di ciò che ci divide, e sulle differenze nella nostra fede. Il dialogo teologico è la testa; il dialogo spirituale è il cuore; la collaborazione ecumenica rappresenta le mani dellÂ’ecumenismo. EÂ’ dunque sbagliato concentrare tutto il problema della comunione eucaristica, che per la Chiesa cattolica è normalmente legata alla comunione ecclesiale. Le regole si trovano nel Decreto sullÂ’ecumenismo (UR 8), nel Direttorio ecumenico (nr. 122-136) e di nuovo nellÂ’enciclica “Ecclesia de eucharistia” (2003) (nr. 44-46) e non debbono essere ripetute in questo contesto.

4. Lo scopo ecumenico: Scopo ultimo di tutti i dialoghi è quello di far crescere, sotto la guida dello Spirito di Dio, la comunione parziale esistente verso la piena comunione nella verità e nella carità (UUS 14). La piena comunione, sul modello della comunità primitiva di Gerusalemme, non è un pluralismo di chiese che vivono amichevolmente lÂ’una accanto allÂ’altra, ma consiste nella comunione di fede, di sacramenti, in particolare dellÂ’eucaristia, e di governo apostolico (At 2,42) (LG 14).

Così intesa, lÂ’unità non significa uniformità. La Chiesa è plasmata sul modello della Divina Trinità: un solo Dio nella diversità di tre persone (LG 4; UR 2). AllÂ’interno dellÂ’unità deve quindi esserci lo spazio per la diversità della liturgia, della teologia, della spiritualità e della disciplina; tale diversità non è mancanza o debolezza, ma è lÂ’espressione dellÂ’esuberante ricchezza e della bellezza della Chiesa. Tramite l'incontro e lo scambio con le culture e i costumi religiosi dei migranti, le nostre comunità cattoliche perdono il loro carattere spesso troppo nazionale, etnico o limitato dallÂ’appartenenza sociale e diventano più cattoliche. I migranti non ricevono soltanto, ma hanno anche molto da offrire.

Il superamento dello scandalo della separazione e il ristabilimento della piena unità nella diversità non sono assolutamente fine a se stessi; devono far risplendere in modo nuovo il volto della Chiesa in tutta la sua bellezza e renderlo attraente affinché essa possa svolgere il suo compito di evangelizzazione del mondo, un compito tanto più urgente quanto più il fenomeno della migrazione porta a vivere fedeli di altre religioni in mezzo a noi. Dobbiamo allora fare del nostro meglio per rendere il nuovo millennio ecumenico, affinché il mondo creda (Gv 17, 21).
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