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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 93,  December 2003, pp. 217-227

Ripartire da Cristo,

per un mondo più giusto, libero e pacifico

Card. Jean-Louis TAURAN

Segretario uscente della Sezione per i 

Rapporti con gli Stati - Segreteria di Stato

(Città del Vaticano)

Mi è stato affidato un tema - vorrei dire - di speranza: Starting afresh from Christ. Ripartire con nuova forza per additare a questo mondo dove e soprattutto in Chi trovare la speranza di costruire “un mondo più giusto, libero e pacifico”.

Ho avuto negli ultimi 13 anni l'onore e la gioia di poter prestare il mio servizio al Santo Padre come Segretario per i Rapporti della Santa Sede con gli Stati.

In tutti questi anni ciò che ho costantemente ammirato nel Santo Padre e che le decisioni più importanti riguardanti i rapporti della Santa Sede con i vari Governi e le organizzazioni internazionali, soprattutto nei momenti più difficili, egli le prendeva alla presenza dell'Eucarestia.

Questo ripartire da Cristo, che il Santo Padre vive in modo cosi totale e concreto, mi ha in certo modo sempre destato nuova sorpresa ed è stato il senso più profondo del mio lavoro in Segreteria di Stato.

Qual è il contributo della Santa Sede affinché la società civile ed i nostri contemporanei possano trovare in Cristo via verità e vita per costruire la civiltà dell'amore?

Nel corso dei secoli, la Chiesa Cattolica romana ha potuto esercitare una presenza attiva nelle relazioni internazionali, soprattutto nell'ambito della diplomazia bilaterale e multilaterale, grazie alla soggettività intera riconosciuta alla Santa Sede.

Questa azione della Santa Sede si svolge nel contesto del mondo attuale, in rapido mutamento, soprattutto nei Paesi occidentali ed in quelli più avanzati economicamente.

E' un mondo che talora fa della tolleranza la sua bandiera laica e che rifiuta a volte i valori della cultura cristiana in nome dellÂ’assertiva parità di ogni convinzione. Ove i mezzi e le tecnologie della comunicazione e dell'informazione propongono ogni giorno nuovi approcci, nuove esperienze e modi di pensare, più o meno “confezionati” e diretti a fini precisi, presentati in modo avvenente.

La ricerca scientifica, d'altra parte, ha raggiunto risultati impensabili solo pochi anni fa ed ha contribuito in misura notevole al miglioramento delle condizioni di vita dell'ambiente umano, aprendo tuttavia nuovi interrogativi etici e sfidando gli stessi con il rischio di distruggere quanto e stata chiamata a difendere.

E', però, questo il mondo che alletta tante persone, in cerca di un avvenire economicamente più sicuro o più rispettoso della dignità umana in Paesi diversi dal proprio.

In questi giorni sono già state considerate sotto diversi aspetti le sfide poste dall'attuale situazione mondiale alla condizione dei migranti a vario titolo.

Nell'ambito della diplomazia, negli incontri internazionali, la presenza della Santa Sede anche in questo contesto vuole accompagnare il cammino degli Stati e degli uomini, ed operare, come affermava Papa Paolo VI, nel 1965, riferendosi all'ONU, “valorizzando la persona umana nella sua dimensione individuale, sociale e trascendente; ... incoraggiando i Popoli e i loro dirigenti a privilegiare sempre il dialogo ed il negoziato; ... ricordando il valore del diritto: il diritto che serve la libertà, il diritto che protegge i piccoli, il diritto che instaura la giustizia, il diritto che salvaguarda la pace”.

La Comunità internazionale

Se guardiamo alla comunità internazionale negli ultimi decenni, alla caduta dei muri ideologici e della contrapposizione economica e politica con i Paesi dell'Est Europeo, era seguito un periodo di grande speranza.

Ne sono testimonianza le grandi Conferenze indette dall'ONU, quali la Conferenza dell'ONU sull'Ambiente e lo Sviluppo (Rio de Janeiro, 1992); la Conferenza Mondiale sui Diritti Umani (Vienna, 1993); la Conferenza Mondiale sulla Popolazione e lo Sviluppo (Cairo, 1994); il Vertice Mondiale per lo Sviluppo Sociale (Copenaghen, 1995); la Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna (Pechino, 1996) nelle quali si ambiva a dare una nuova forma consensuale alle politiche sui bisogni e sulle prospettive dell'umanità, orientandola verso uno sviluppo sostenibile ed un benessere raggiungibile da parte di ogni nazione.

D'altra parte, in queste Conferenze e nell'ambito dei diversi fori internazionali andavano parallelamente delineandosi forti pressioni ideologiche, economiche e politiche che contrastavano con l'affermazione di voler “mettere le persone al centro dello sviluppo” e di voler dirigere le “economie cosi da affrontare più efficacemente i bisogni dell'uomo” (ICDP, Platform for Action, 8.25).

Gruppi guidati da precise ideologie e da forti interessi economici riuscivano a condizionare pesantemente le scelte politiche di Paesi economicamente più deboli o governi culturalmente resti ad accettare riferimenti etici, soprattutto circa questioni demografiche (le catastrofiche previsioni di una crescita superiore alle possibilità di sopravvivenza sul pianeta si sono rivelate poi inattendibili), e circa la libertà senza limiti della donna e di ogni individuo in generale (compresi i bambini e gli adolescenti) a decidere sul proprio corpo, includendo in questa signoria l'essere concepito.

Benché gli Atti di queste Conferenze internazionali avessero carattere non obbligatorio, ma solo orientativo per le politiche dei singoli Paesi (soft law), i principi ivi accolti andavano pero a confermare linee politiche generali ed a condizionare gli aiuti multilaterali o talvolta bilaterali ai Paesi più poveri.

Negli ultimi anni, tuttavia, l'approccio a queste tematiche e andato cambiando.

Al tema dello sviluppo si è accompagnato quello della globalizzazione e dell'accesso alle stesse opportunità; a quello della crescita demografica si contrappone il tema dell'invecchiamento della popolazione; si fanno pure più continui e decisi gli interventi per far accettare anche nei documenti internazionali sotto la veste di nuovi diritti l'aborto, la liberalizzazione dell'eutanasia, la sperimentazione sugli embrioni, il riconoscimento della definizione e dei diritti del matrimonio ad unioni di persone dello stesso sesso, e cosi via.

Tuttavia, se il diffondersi di un relativismo pratico sembra oggi indebolire le spinte etiche che hanno dato origine a molti enti internazionali, proprio la constatazione dell'interdipendenza tra individui e società diverse - indotta anche dalla rivoluzione delle comunicazioni e dalla circolazione della informazione - costringe i principali attori delle relazioni internazionali a tenere conto di elementi diversi da quelli della potenza e della forza.

A livello multilaterale l'evoluzione del diritto internazionale testimonia questa crescente consapevolezza della reciproca responsabilità e interdipendenza fra gli Stati. Le relazioni fra essi sono ormai una necessità in ambiti molto più numerosi e diversificati da quelli solo immaginati nel primo dopoguerra, quando nasceva l'ONU e le varie agenzie e Programmi ad esso collegati.

Nel campo del diritto umanitario internazionale, gli anni '90 hanno visto accendersi numerosi conflitti, in maggioranza e apparentemente a carattere locale, ma non privi di impulsi e supporti esterni, ove l'appartenenza etnica o religiosa costituiva talvolta il pretesto per una contrapposizione che aveva ben altre origini e occasioni.

Se ingenti interessi economici erano costantemente sullo sfondo di conflitti e di sconvolgimenti istituzionali, anche le organizzazioni umanitarie non erano esenti da critiche per le loro contraddizioni, che portavano talora a relazioni di connivenza e di divisione del lavoro con gli apparati statali presso i quali avrebbero dovuto appoggiare i propri assistiti.

Il clima internazionale faceva però intravedere la possibilità di trovare soluzioni nuove al dissidio tra il rispetto della sovranità nazionale e la necessità d'intervenire ove lo Stato non assicurava più la sicurezza dei propri cittadini o ne diveniva esso stesso il persecutore.

Dopo i tragici fatti dellÂ’11 settembre 200l e ciò che ne è seguito, si e posta una pesante ipoteca sul rispetto dei diritti umani e sull'assistenza alle popolazioni sfollate o in pericolo, ponendo in primo piano l'esigenza dell'auto‑difesa degli Stati di fronte ad interventi esterni.

Cresce l'interesse per il tema della sicurezza ma diminuisce l'attenzione anche finanziaria ai problemi umanitari (da più anni ormai si parla di “crisi dell'umanitario”), e le organizzazioni internazionali sono costrette a ridurre la propria attività sul terreno, in dipendenza delle scelte politiche dei donatori, piuttosto che dei bisogni delle popolazioni.

Sicurezza e legalità tendono a divenire sinonimi.

L'opinione pubblica ha seguito con apprensione il caso della recente guerra in Iraq, ove il Consiglio di Sicurezza delle N.U. non ha potuto trovare una voce comune per tutelare la sicurezza ed il ruolo dell'ONU, proprio in un momento in cui era sentita più che mai necessaria la presenza di un'autorità internazionale, munita di potere sufficiente a far rispettare gli accordi ed a garantire la pace.

Il rispetto dei diritti umani ed il diritto umanitario

Da più parti - ed anche da questo Dicastero - e stato denunciato il pericolo che la lotta al terrorismo ed all'illegalità possa andare a scapito della difesa dei diritti umani.

Come affermava nel maggio scorso Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario per i Diritti Umani (cfr. “La Repubblica”, 7 maggio 2003, pag. 16) – “nella crisi che ha colpito il mondo le disfunzioni nella stessa definizione di sicurezza hanno evidenziato la loro inutilità”, mentre il concetto di sicurezza andrebbe ripensato non solo in termini di potenza delle armi di distruzione di massa, ma soprattutto in termini di diritti umani, le cui violazioni costituiscono spesso il nocciolo della sicurezza interna e internazionale.

Proprio le violazioni continuate dei diritti umani costituiscono una minaccia per la sicurezza e la stabilita della Comunità internazionale che, tuttavia, si è mostrata spesso incapace di rispondere adeguatamente al grido di aiuto proveniente dalle popolazioni vittime di soprusi.

Il 9 gennaio 1995, durante la guerra nella Bosnia ed Erzegovina, il Santo Padre avvisava il Corpo Diplomatico che il diritto umanitario e il diritto internazionale venivano violati, e chiedeva “il diritto non sancisca mai i risultati ottenuti con la sola forza! Sarebbe la sconfitta della civiltà!”.

Purtroppo le violazioni protratte della vita e della dignità umana continuano a costituire l'humus ove ogni sorta di violenza e anche origine di povertà, di abusi e di sfruttamento. E' già stato detto quanto ciò incida sulle migrazioni, con esodi di popolazioni che non si possono spiegare solo con il triste commercio gestito dalla criminalità organizzata.

D'altra parte, chi fugge miseria e persecuzione trova spesso violenza ed umiliazioni che non poteva nemmeno immaginare alla sua partenza.

Fra i diritti umani un'attenzione particolare chiede il diritto alla libertà di coscienza e di religione, che include quello di cambiare la propria religione o credo e la libertà di insegnamento, di osservanza e di culto, sia in pubblico, sia in privato.

Il tema della libertà religiosa e uno dei campi più delicati che riguardano anche la situazione dei migranti, sia nel loro Paese, dal quale fossero eventualmente perseguitati a motivo della loro fede, sia nel Paese di transito o d'accoglienza. Recenti casi di mancanza di rispetto per le radici religiose sia dei migranti stessi, sia delle popolazioni che li accolgono, ci mostrano quanto il venir meno a questi principi irrinunciabili crei infine incomprensioni, discriminazione, aggressività indebita e profonde umiliazioni.

Da parte di alcuni governanti, inoltre, si vorrebbe talora sopprimere qualsiasi riferimento religioso nelle norme di principio che regolano la società civile, sulla base di una tolleranza mal compresa che, per essere imparziale non dovrebbe riflettere alcun valore religioso.

Il Papa Giovanni Paolo II, nella Veglia di preghiera della Giornata Mondiale della Gioventù (27.7.2002) affermava che “Non si può rifiutare o emarginare Dio senza esporsi al rischio di umiliare l'uomo”.

Parlando ai rappresentanti della cultura, dell'arte e della scienza ricordava che è importante che tutti riconoscano che in una situazione come quella attuale la religione non è la radice del problema, ma una parte essenziale della sua soluzione. (Vaticano, 11.4.2002).

Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia (Centesimus Annus, 46).

L'attività della Santa Sede

In questo contesto, la Santa Sede, che Paolo VI definiva “esperta in umanità”, ha sempre manifestato la propria fiducia nella comunità internazionale ed in questa da dato il proprio contributo per difendere i diritti umani, primo fra tutti quello alla vita, base di tutti gli altri diritti: quello alla libertà di coscienza e di religione, all'educazione, al lavoro, allo sviluppo umano, alla salute, ecc.. Diritti che provengono dalla stessa natura umana e che non sono, pertanto, oggetto di concessione, ma debbono essere riconosciuti come universali, inviolabili, indivisibili e inalienabili.

La diplomazia pontificia è stata presente ed e intervenuta più volte nei fori multilaterali, sia per incoraggiare e sostenere quanto poteva favorire il rispetto dei diritti umani ed il progresso delle nazioni e dei singoli, sia per richiamare alla propria responsabilità i governanti, quando ha ravvisato che potesse essere messa in pericolo la persona umana, soprattutto se debole o vulnerabile, in ogni fase della sua vita, dal concepimento alla morte naturale.

L'instancabile lavoro dei rappresentanti della Santa Sede non ha cessato di ricordare i riferimenti dettati dalla legge naturale, iscritta nel cuore dell'uomo ed impressa in certo modo anche nelle società che egli compone, a vari livelli.

Una legge che chiama alla fraternità, alla giustizia, alla libertà e alla pace. La razza, la religione, i partiti politici non debbono essere “sacralizzati” nell'ordinamento giuridico civile, pena l'instaurarsi della legge del più forte, a scapito dei diritti delle minoranze. Diverso è riconoscere giustamente le radici religiose ed i valori religiosi che hanno contribuito all'edificazione delle civiltà e che costituiscono i presupposti di costruttive relazioni di pace fra esse.

Quale segno d'incoraggiamento per la comunità internazionale nel suo impegno a rispettare i diritti umani, la Santa Sede ha ratificato numerose Convenzioni a questo riguardo. Cosi, ha recentemente ratificato la Convenzione contro la tortura ed altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti (2002), essendo già parte della Convenzione sui diritti del bambino (1989), dei suoi due Protocolli aggiunti e della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (1969).

In tema di diritto umanitario, la Santa Sede è contraente delle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dei due Protocolli addizionali sulla protezione delle vittime di guerra; ha ratificato tra i primi Stati la Convenzione sullo status dei rifugiati (1951) ed il suo Protocollo del 1967, come dirò più avanti.

Ha ratificato poi numerose Convenzioni sul disarmo, incoraggiando gli sforzi che vadano oltre la mera dissuasione, fondata sull'equilibrio del terrore. In questo senso d'incoraggiamento dev'essere vista la sua adesione al Trattato di non proliferazione nucleare del 1971, a quello contro la produzione, lo sviluppo e l'utilizzo delle armi biologiche, del 1972, e delle armi chimiche, del 1993, e ed a quello che bandisce le mine anti‑uomo, del 1997

A questo riguardo, occorre ricordate la ferma convinzione con cui i Papi hanno rigettato la guerra come soluzione per le controversie tra i popoli.

Anche in occasione della recente crisi irachena, la Santa Sede ha ricordato che ogni Stato ha il diritto di difendere la propria esistenza e libertà contro un ingiusto aggressore, con mezzi proporzionati. Al di fuori del caso di legittima difesa, che può giustificare una reazione armata, occorre preferire sempre il dialogo e la mediazione, giacche l'esperienza insegna che la violenza genera violenza e che la guerra nulla risolve, arreca soltanto più vasta sofferenza e morte,... (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi, 31 marzo 2002).

Numerosi conflitti nascono in situazioni di estrema indigenza.

La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite ha sancito l'impegno a ridurre la povertà estrema del 50% entro l'anno 2015. La riduzione della povertà e prima di tutto un imperativo morale per la Comunità internazionale, che ha ormai raggiunto il progresso scientifico e sociale sufficiente per eliminare questa piaga, che spinge molte persone a migrare anche in modo illegale, trovando spesso nelle società ove approdano nuova discriminazione e violenza.

I numerosi appelli - come quelli sulla cancellazione del debito estero dei Paesi più poveri e gli appelli alla giustizia ed all'equità negli scambi commerciali e nell'amministrazione dei beni - che il Santo Padre ha lanciato in occasione dell'ultimo anno giubilare e di cui si sono fatti eco vari Rappresentanti Pontifici, hanno trovato vasta eco nell'opinione pubblica ed hanno ottenuto alcune buone risposte da parte dei Governi.

La Santa Sede continua a ricordare, in questo campo, che occorre favorire lo sviluppo, educando la responsabilità collettiva e coinvolgendo i poveri, destinatari degli aiuti e dei vari programmi d'assistenza economica, nella definizione dei progetti che li riguardano, nella costruzione di comunità sociali che garantiscano a ciascuno pari opportunità di progresso.

Migranti

Le questioni attinenti alle migrazioni e ai rifugiati sono ampiamente trattate nei fori internazionali. Con riferimento alla tutela dei diritti umani dei migranti, i delegati della Santa Sede sono intervenuti più volte dinanzi alla Commissione sui diritti umani, per ricordare ai rappresentanti dei governi la necessità di intensificare e coordinare in maniera più adeguata la riflessione sulle migrazioni a livello internazionale, affrontando questo tema, come quello sulla sicurezza, nel quadro del rispetto dei diritti umani.

Come ho accennato sopra, la Santa Sede fu tra i 26 Stati (e 2 Osservatori: Cuba e Iran) che, nel 1951, parteciparono alla Conferenza di Ginevra che approvò la Convenzione sullo status dei rifugiati e la firmò il 21 maggio 1952 a New York, nel Palazzo delle N.U. Era significativo che la prima visita ufficiale di un Rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite avvenisse allo scopo di promuovere il bene dei rifugiati e degli apolidi.

La Convenzione sullo status dei rifugiati e stata poi ratificata, il 28 febbraio 1958, dalla Santa Sede che, in seguito, aderì per prima, l'8 giugno 1967, al Protocollo del gennaio precedente, che eliminava il limite temporale e geografico contenuto nella Convenzione sui rifugiati.

Tuttavia, gli Accordi internazionali riguardanti i rifugiati hanno avuto origine in un contesto piuttosto limitato e non rispondono più ai bisogni di un numero crescente di persone che, per vari motivi, lasciano i loro Paesi (rifugiati “de facto”: persone vittime di conflitti armati, di politiche economiche erronee o di disastri economici).

E' ormai necessario un approccio più organico del problema ed una protezione più completa dei rifugiati, mentre i cosiddetti “clandestini” si mescolano ad essi, rendendo difficile l'identificazione dei motivi dell'espatrio e del loro diritto ad una protezione internazionale.

Gli Stati hanno un diritto-dovere di regolare questo fenomeno con una chiara politica migratoria, ma e ormai universalmente constatato che le migrazioni sono una forza inarrestabile, che non può venire regolata solo alzando muri, che avrebbero il solo risultato di aumentare l'irregolarità.

Il Santo Padre, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante 1992, notava che la condizione dei migranti in situazioni considerate illegali interpella comunque la sensibilità sociale nell'esigenza di dare legittimità, scopo e dignità a queste persone, attraverso l'adozione di opportuni provvedimenti.

Non mancano nella comunità internazionale, tentativi di promuovere approcci più favorevoli alla questione delle migrazioni, come l’“Iniziativa di Berna”, considerandole come fattore positivo per le società d'accoglienza e per i migranti stessi, e consultazioni che, nell'esaminare le dimensioni attuali del fenomeno hanno il fine di studiare la possibilità di gestirne i flussi, superando l'angusto criterio degli interessi nazionali o regionali in un quadro di nuova cooperazione e di reciproca fiducia.

Numerose organizzazioni cattoliche operano a livello internazionale a fianco dei rifugiati e dei migranti a vario titolo, nei confronti delle quali, in più occasioni, I rappresentanti pontifici hanno raccolto gli apprezzamenti di numerosi rappresentanti di istituzioni internazionali.

Il Santo Padre Pio XII aveva voluto, pochi anni dopo la guerra, che venisse istituita la Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni, in funzione di istituzione d'informazione, di coordinamento e di rappresentanza, per rispondere all'urgente problema delle migrazioni.

Essa, con altre organizzazioni caritative, ha accompagnato i momenti fra i più tristi della vita di migliaia di rifugiati, di migranti a vario titolo e di ogni età e condizione sociale, e si confronta frequentemente con i problemi connessi con interpretazioni ristrette del principio di “non refoulement” dei rifugiati; con episodi di razzismo e xenofobia, con l'inadeguatezza di strutture e di norme di fronte a flussi d'immigrazione talvolta incontenibili ed a strutture ramificate e potenti dai connotati criminali.

I problemi della sicurezza e la diffusione di malattie, lo sfruttamento di uomini, donne e bambini per fini criminali o immorali, il rapimento di bambini e la riduzione in schiavitù di donne e minori, le mutilazioni fisiche, le violenze, le morti sconosciute, i furti di documenti, l'utilizzo di migranti in lavori clandestini, la mancata integrazione soprattutto delle donne e delle persone più anziane, la dispersione di nuclei familiari e la rottura di legami matrimoniali e le misure discriminatorie contro gli immigrati, col pretesto della lotta al terrorismo, sono il contesto quotidiano con il quale questi enti cattolici si confrontano. Voi conoscete bene quanto lavoro e quanta incomprensione incontra anche il buon samaritano...

Ma è soprattutto a fianco delle attività pastorali che il lavoro di queste organizzazioni trovano la loro più specifica connotazione, nel ribadire e difendere il diritto dei migranti e dei rifugiati all'assistenza spirituale e religiosa. Mentre nella collaborazione con altre organizzazioni a livello ecumenico ed interreligioso si trovano in prima linea nel testimoniare che, come figli di un unico Padre, e possibile incontrarsi delle diversità, e possibile la convivenza umana, e possibile il dialogo fra persone con radici culturali e storiche differenti.

La famiglia delle Nazioni

L'anno scorso, nel suo discorso nell'aula di Montecitorio (Cfr. L'Osservatore Romano, 15 novembre 2002), il Santo Padre rifletteva con il Parlamento italiano che il nuovo secolo porta con se un crescente bisogno di concordia, di solidarietà e di pace tra le nazioni: esigenza ineludibile di un mondo sempre più interdipendente e tenuto insieme da una rete globale di scambi e di comunicazioni, in cui tuttavia spaventose disuguaglianze continuano a sussistere. Ricordava i cronici conflitti, in special modo quello in Terra Santa, il terrorismo che si ammanta di una nuova dimensione, chiamando in causa in maniera totalmente distorta anche le grandi religioni e affermava che proprio in tale situazione le religioni sono stimolate a far emergere tutto il loro potenziale di pace, orientando e quasi “convertendo” verso la reciproca comprensione le culture e le civiltà che da esse traggono ispirazione.

Il cristianesimo ha un'attitudine ed una responsabilità peculiari in ciò, giacché annunciando il Dio dell'amore, esso si propone come la religione del reciproco rispetto, del perdono e della riconciliazione.

Ricordiamo ancora il discorso del Papa ad Assisi, il 24 gennaio 2002: “Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono... La pace! L'umanità ha bisogno della pace sempre ... in Dio troviamo l'unione eminente della giustizia e della misericordia...

Le tenebre non si dissipano con le armi; le tenebre si dissipano accendendo fari di luce... L'odio si vince solo con l'amore .....”.

Ricorda la Costituzione Apostolica Gaudium et Spes (76) che la Chiesa, fondata sull'amore del Redentore, contribuisce a estendere il raggio di azione della giustizia e dell'amore all'interno di ogni nazione e di tutte le nazioni.

In questa linea, la Santa Sede sostiene le nazioni nel loro rispetto del diritto consuetudinario e del diritto internazionale, che compendia ormai una serie di diritti e di doveri reciproci che l'umanità ha faticosamente elaborato e che costituiscono il suo patrimonio a fondamento dell'armonia, della libertà e della pace fra i popoli. Essa stessa ha collaborato spesso alla preparazione di Convenzioni e, come si è detto, vi ha aderito per appoggiare un ordine internazionale fondato sulla giustizia e sul diritto.

Giovanni XXIII proclamava nella Pacem in terris (51) “I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati secondo giustizia: il che comporta, oltre al riconoscimento dei vicendevoli diritti, l'adempimento dei rispettivi doveri. [Le comunità politiche hanno il diritto all'esistenza, al proprio sviluppo, ai mezzi idonei per attuarlo: ad essere le prime artefici nell'attuazione del medesimo; ed hanno pure il diritto alla buona riputazione e ai debiti onori ... ]

Come nei rapporti tra i singoli esseri umani agli uni non è lecito perseguire i propri interessi a danno degli altri, così, nei rapporti fra le comunità politiche, alle une non è lecito sviluppare se stesse comprimendo od opprimendo le altre”.

Tutti forse abbiamo davanti agli occhi le figure di Papa Paolo VI e dell'attuale Papa, quando parlavano dalla tribuna del Palazzo delle Nazioni Unite. I Papi ed i loro collaboratori negli areopaghi della diplomazia multilaterale hanno messo la comunità internazionale dinanzi ad una verità poco ricordata: tra le nazioni dovrebbero avere corso gli stessi rapporti di reciproco rispetto e di solidarietà che necessitano tra le persone. Tutte le nazioni sono uguali in dignità e debbono essere solidali, giacché è di una “globalizzazione della solidarietà” che il mondo ha bisogno oggi di fronte ai suoi grandi problemi.

Giovanni Paolo II vede l'ONU come una “famiglia delle nazioni, ... ove non esiste il dominio dei forti, ma i membri più deboli sono, a ragione della loro debolezza, amati e serviti”. E' per questo che la Santa Sede ha mantenuto presso l'ONU la sua presenza come “Osservatore”: ciò le consente di rimanere al di sopra delle parti, esercitando però il diritto di parola.

In certo senso la Santa Sede si trova, nella comunità internazionale, a svolgere un ruolo profetico, per additare ai vari attori internazionali “il legame costitutivo dell'umanità con la verità ed il primato dell'etica sulla politica, l'economia e la tecnologia” (Cfr. Giovanni Paolo II: discorso al Convegno Europeo del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 20 giugno1997).

E' stato detto che essa è la voce di chi non ha voce o, come ha detto il Santo Padre al Corpo diplomatico (1995) “la ragione d'essere della Santa Sede in seno alla comunità delle nazioni è di essere la voce che la coscienza umana attende, senza sminuire per questo l'apporto delle altre tradizioni religiose”.

Questa attesa che abbiamo constatato innumerevoli volte, anche da chi talvolta pubblicamente osteggiava il suo messaggio.

I rappresentanti pontifici tentano instancabilmente di convincere chi detiene la responsabilità dei popoli che se talora “la forza delle tenebre sembra prevalere”, il male, la violenza e la morte non avranno l'ultima parola.

In questo quadro, mi piace ricordare una frase del Santo Padre Giovanni Paolo II: “Nei disegni della Provvidenza non ci sono mere coincidenze”. Egli ci ricorda che la fiducia dei credenti si fonda non soltanto sulle umane risorse, ma anche su Dio onnipotente e misericordioso. Egli e la luce che illumina ogni uomo. Tutti i credenti sanno che la pace è dono di Dio ed ha in Lui la vera sorgente. (Cfr. Discorso di Sua Santità Giovanni Paolo II ai partecipanti alla Conferenza dei Ministri dell'Interno dell'Unione Europea, 31 ottobre 2003).

Con Cristo “che ha vinto in sé l'inimicizia” e la morte, ci è permesso credere che anche il corso degli eventi umani possa essere cambiato, che ogni sforzo dell'uomo, con l'aiuto di Dio, possa contribuire ad edificare un futuro più fraterno, più giusto, più in pace.

Il giovane Karol Wojtyla scriveva nelle sue poesie: “Sono un viandante sullo stretto marciapiede della terra e non distolgo il pensiero dal Tuo volto che il mondo non mi svela". Anche nel nostro servizio comprendiamo che il mondo non ci svela il volto di Cristo.

Ma è in questo cammino che occorre cercarlo: non solo in ogni uomo, ma anche tra le comunità umane, i popoli, nel dialogo dell'amore e della giustizia finche ci sarà dato di contemplare quel volto “non da stranieri”.
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