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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move 

N° 94,  April 2004, pp. 201-203

“Europa, non chiuderti agli immigrati.

Pensa una strategia”*

Kofi ANNAN

(Nazioni Unite)

La sfida dellÂ’immigrazione e il modo in cui verrà gestita saranno uno dei test più importanti per lÂ’Unione Europea allargata negli anni e nei decenni futuri. Se le società europee saranno allÂ’altezza di questa sfida, lÂ’immigrazione le arricchirà e le rafforzerà. In caso contrario, il risultato potrà essere una riduzione dei livelli di vita e divisione sociale.

Che le società europee abbiano bisogno di immigranti é indubitabile. Gli europei vivono più a lungo e hanno meno figli. Senza immigrazione, la popolazione di quelli che presto saranno i venticinque Stati membri dellÂ’Unione Europea scenderà dagli attuali quattrocentocinquanta milioni a meno di quattrocento milioni nel 2050.

Il fenomeno non riguarda soltanto lÂ’Europa. Il Giappone, la Federazione Russa e la Corea del sud, fra gli altri, hanno davanti un possibile analogo futuro, con posti di lavoro vacanti e servizi che non vengono forniti a fronte di una contrazione dellÂ’economia e stagnazione della società. LÂ’immigrazione da sola non risolverà questi problemi, ma é una parte essenziale di qualsiasi soluzione.

Possiamo star certi che le popolazioni di altri continenti continueranno a voler venire a vivere in Europa. In un mondo che non é equo, unÂ’enorme moltitudine di asiatici e di africani non dispone delle opportunità di migliorarsi che la maggior parte degli europei dà per scontate. Non é sorprendente che molti di loro vedano lÂ’Europa come una terra di opportunità, nella quale aspirano a cominciare una nuova vita, esattamente come le potenzialità del Nuovo Mondo attrassero un tempo milioni di europei impoveriti ma intraprendenti.

Tutti i Paesi hanno il diritto di decidere se ammettere o meno gli immigrati volontari (contrapposti ai rifugiati bona fide, che in base alla legge internazionale hanno diritto di protezione). Ma chiudere le porte sarebbe insensato per gli europei. Non soltanto andrebbe a detrimento delle loro prospettive

economiche e sociali di lungo termine. Spingerebbe anche sempre più gente a tentare di entrare dalla porta di servizio, chiedendo asilo politico (e quindi sovraccaricando un sistema pensato per proteggere i rifugiati in fuga dalla persecuzione) o cercando 1Â’aiuto di trafficanti, col rischio spesso di morire o di farsi del male in azioni clandestine dettate dalla disperazione su barche, camion, treni e aerei.

LÂ’immigrazione illegale é un problema reale, e gli Stati hanno bisogno di collaborare nei rispettivi sforzi per fermarla, dando soprattutto un giro di vite a contrabbandieri e trafficanti le cui reti di criminalità organizzata sfruttano i vulnerabili e sovvertono la legalità. Combattere 1Â’immigrazione illegale dovrebbe però essere parte di una strategia più ampia. I Paesi dovrebbero fornire veri e propri canali per 1Â’immigrazione legale, e cercare di coglierne i benefici pur nella salvaguardia dei diritti umani fondamentali degli emigrati.

Anche i Paesi poveri possono trarre vantaggio dallÂ’emigrazione. Nel 2002 gli emigrati hanno mandato nei Paesi in via di sviluppo almeno ottantotto miliardi di dollari in rimesse, il cinquantaquattro per cento più dei cinquantasette miliardi di dollari ricevuti da quegli stessi Paesi in aiuti destinati allo sviluppo.

LÂ’emigrazione é quindi una questione nella quale tutti i Paesi hanno un loro interesse, e che richiede maggior collaborazione internazionale. Recentemente é stata insediata una Commissione, la Global Commission on International Migration, co‑presieduta da personalità di primo piano di Paesi che vanno dalla Svezia al Sud Africa. Questa commissione può contribuire a introdurre norme internazionali e politiche migliori, che aiutino a gestire lÂ’emigrazione nellÂ’interesse di tutti. Sono sicuro che produrrà buone idee, che spero otterranno lÂ’appoggio dei Paesi che «inviano» gli emigrati e anche di quelli che li ricevono.

Gestire lÂ’immigrazione non é soltanto una questione di porte aperte e di unione di forze a livello internazionale. Richiede anche che ciascun Paese faccia di più per integrare i nuovi arrivati. Gli immigrati devono adattarsi alle nuove società e le società devono adattarsi a loro volta. Soltanto una strategia creativa di integrazione garantirà ai vari Paesi che gli immigrati arricchiscano la società ospite più di quanto la disorientino.

Ciascun Paese affronterà la questione sulla base del proprio carattere e della propria cultura, ma nessuno dovrebbe perdere di vista lÂ’enorme contributo che milioni di immigrati hanno già dato alle moderne società europee. Molti sono diventati leader di governo, figure di primo piano nella scienza, nel mondo accademico, sportivo e artistico. Altri sono meno famosi ma svolgono un ruolo altrettanto vitale. Senza di loro molti sistemi sanitari sarebbero a corto di personale, molti genitori non avrebbero lÂ’aiuto domestico di cui hanno bisogno per proseguire nella carriera, e molti posti di lavoro che forniscono servizi e generano entrate rimarrebbero vacanti. Gli immigrati sono parte della soluzione, non parte del problema.

Tutti coloro che sono impegnati per il futuro dellÂ’Europa, e della dignità umana, dovrebbero quindi prendere posizione contro la tendenza a fare degli immigrati il capro espiatorio dei problemi sociali. La stragrande maggioranza degli immigrati & costituita da persone industriose, coraggiose e determinate. Non vogliono niente per niente. Vogliono unÂ’opportunità equa per sé e per le loro famiglie. Non sono criminali né terroristi. Non vogliono vivere isolati. Vogliono integrarsi pur conservando la loro identità.

In questo ventunesimo secolo, gli emigranti hanno bisogno dellÂ’Europa. Ma anche lÂ’Europa ha bisogno degli emigranti. UnÂ’Europa chiusa sarebbe unÂ’Europa più mediocre, più povera, più debole, più vecchia. UnÂ’Europa aperta sarà unÂ’Europa più equa, più ricca, più forte, più giovane, purché sia unÂ’Europa che gestisce bene lÂ’immigrazione.

* Dal Corriere della Sera, del 29 gennaio 2004
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