Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 97, April 2005
Integrazione interculturale:una sfida per lÂÂÂEuropa cristiana*
S.E. Mons. Agostino Marchetto Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
1. Nel 2001, dichiarato dalle Nazioni Unite ÂÂÂAnno internazionale del dialogo fra le civiltàÂÂÂ, Giovanni Paolo II invitava tutti i credenti in Cristo e tutti gli uomini di buona volontà ÂÂÂa riflettere sul dialogo tra le differenti culture e tradizioni dei popoliÂÂÂ. Tale infatti era il tema del Suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quellÂÂÂanno, e lo indicava come ÂÂÂla via necessaria per l'edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro. 2. In effetti, la presenza di persone di differenti culture e civiltà che vivono e interagiscono nello stesso territorio diventa sempre più frequente. Tale realtà, di cui la causa più dÂÂÂimmediato evidente è lÂÂÂaccelerazione del fenomeno migratorio, pone problemi che vanno affrontati con saggezza. Qualunque sia infatti il motivo che induce una persona a lasciare la terra natìa per vivere, almeno per un certo tempo, in altro luogo, essa troverà inevitabilmente la nuova ÂÂÂpatria diversa dalla società in cui aveva sempre vissuto e operato: vale a dire si incontrerà-scontrerà con un modo differente di vedere e trattare le cose, una maniera diversa di reagire alle situazioni, con valori non sempre uguali e unÂÂÂaltra lingua. E se i nuovi arrivati sono centinaia di migliaia, provenienti dai luoghi più disparati, nessuno rimarrà indifferente di fronte alle culture altrui, diverse dalla propria, sia egli immigrato che autoctono. 3. A questo punto ci sia permesso richiamare, in breve, la situazione migratoria in Europa  continente oggetto della nostra riflessione di oggi  , a conferma della vastità di tale fenomeno e per renderci conto del caleidoscopio di culture qui presenti attualmente. Ho scelto solo pochi Paesi, ÂÂÂad illustrandumÂÂÂ, ma potrete conoscere il tutto consultando lÂÂÂultimo rapporto (del 2003) della Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Così osserviamo che la Germania, con popolazione totale di circa 82 milioni, ospita  sono cifre arrotondate  1,9 milioni di turchi, 609 mila italiani, 592 mila Serbi e Montenegrini, 359 mila greci, 318 mila polacchi, 231 mila croati, 189 mila austriaci, 164 mila bosniaci, 156 mila russi, 131 mila portoghesi e 128 mila spagnoli. Vi abitano inoltre, in minor numero, olandesi, statunitensi, francesi, britannici ed altri. La Danimarca, invece, per fare un altro esempio, con popolazione totale di 5,3 milioni di abitanti, è Paese di destino di 35 mila persone provenienti dallÂÂÂex-Iugoslavia, 33 mila turchi, 16,5 mila iracheni, 14,6 mila somali, 13 mila norvegesi, appena 13 mila tedeschi e quasi altrettanti britannici, 11 mila svedesi e, ancora, pakistani, afgani, islandesi, polacchi, statunitensi, thailandesi, srilankesi, ecc., ecc. Venendo ora allÂÂÂItalia, per finire, con popolazione totale di circa 57 milioni e mezzo di cittadini, costatiamo che vi sono accolti 158 mila marocchini, 144 mila albanesi, 75 mila romeni, 64 mila filippini, 57 mila cinesi, 47 mila tunisini  sempre arrotondando le cifre  , 44 mila statunitensi, 37 mila cittadini dellÂÂÂex-Yugoslavia, 36 mila tedeschi, 35 mila senegalesi e altri 35 mila srilankesi. Siamo inoltre un approdo anche per polacchi, indiani, peruviani ed egiziani. 4. Certo, in genere, ogni nazionalità rappresenta una cultura, giacché essa si riflette, ÂÂÂin modo più o meno rilevante, nelle persone che ne sono portatrici, in un dinamismo continuo di influssi subìti dai singoli soggetti umani e di contributi che questi, secondo le loro capacità e il loro genio, danno alla loro cultura (così leggiamo sempre nel Messaggio della Pace 2001, al n. 5). Ogni persona, infatti, è ÂÂÂsegnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione, attraverso i percorsi educativi e le più diverse influenze ambientali, attraverso la stessa relazione fondamentale che ha con il territorio in cui vive (ibid.). Tale processo, però, è dinamico, dove ÂÂÂnon cÂÂÂè alcun determinismo, ma una costante dialettica tra la forza dei condizionamenti e il dinamismo della libertàÂÂÂ. La cultura dunque, espressione ÂÂÂdellÂÂÂuomo e della sua vicenda storica, sia a livello individuale che collettivo (ibid.), non è qualcosa di fisso ma è aperta a modifiche, grazie alle esperienze vissute. 5. I contatti tra le varie culture, perciò, necessariamente portano a una certa interculturalità, anche se lÂÂÂincontro tra persone di cultura diversa spesso può innescare un conflitto dÂÂÂidentità. Il nuovo ambiente rende, cioè, lÂÂÂimmigrato più consapevole di chi egli è, dei valori propri, di ciò che dava senso alla sua vita nella società dÂÂÂorigine. Gli autoctoni, da parte loro, sono messi a confronto con lÂÂÂidentità altrui. Occorre dunque trovare ÂÂÂil giusto equilibrio tra il rispetto dellÂÂÂidentità propria e il riconoscimento di quella altrui (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2005, n. 2). Così, da un lato, occorre saper apprezzare i valori della propria cultura, dallÂÂÂaltro è necessario riconoscere che ogni cultura, ÂÂÂessendo un prodotto tipicamente umano e storicamente condizionato, implica necessariamente anche dei limiti (Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2001, n. 7). 6. Da qui dunque la necessità di ÂÂÂriconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dellÂÂÂordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini (GMMR 2005, n. 2). Conoscere infatti le altre culture, serenamente e senza pregiudizi, è un sicuro antidoto contro la chiusura che può portare, da una parte, alla formazione di ghetti o allÂÂÂemarginazione delle minoranze, o, dallÂÂÂaltra parte, alla loro assimilazione, spingendole a sopprimere o dimenticare la propria identità culturale, diventando quasi ÂÂÂcopie della popolazione locale. Su questo punto mi permetto di rimandare al mio intervento in occasione della presentazione del Messaggio Pontificio della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di questÂÂÂanno (v. LÂÂÂOsservatore Romano del 9-10 dicembre 2004), in cui mettevo in evidenza lÂÂÂaspetto interculturale nella Istruzione nostra Erga migrantes caritas Christi, del maggio scorso. 7. Ma quale deve essere allora il rapporto tra la cultura della maggioranza e le culture delle minoranze? ÂÂÂLa via da percorrere  afferma Giovanni Paolo II ancora per tale Giornata (n. 2)  è quella della genuina integrazione, in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoniÂÂÂ. Si mira, infatti, a formare, con il contributo di tutti, ÂÂÂsocietà e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini (GMMR 2005, n. 1). Le culture, del resto, appaiono ÂÂÂespressioni storiche varie e geniali dellÂÂÂoriginaria unità della famiglia umana ed occorre salvaguardare sia le loro peculiarità che la loro reciproca comprensione e comunione, secondo il modello di Dio Uno e Trino (cf. GP 2001, n. 10). Avviene così un arricchimento reciproco e la società si trasforma in un mosaico, dove ogni cultura ha il suo posto nel comporre una figura sempre più bella, nella molteplicità delle culture, secondo il primordiale disegno dÂÂÂunità della famiglia umana (cfr. ibid.). 8. Quando si parla di integrazione  ed essa dovrebbe essere progressiva  molti pensano che lÂÂÂimmigrato sÂÂÂÂÂÂintegra adattandosi al modello di vita locale, fino a diventare come tutti gli altri, a volte quasi trascurando le proprie radici culturali. In fondo verrebbe dunque assimilato e non integrato. I giovani immigrati sono  del resto  generalmente più attratti da questo tipo di ÂÂÂinserimentoÂÂÂ, ma non sempre. Il problema è che tale assimilazione rappresenta in fondo un impoverimento anche della società dÂÂÂaccoglienza, perché il contributo culturale e umano dellÂÂÂimmigrato al tutto nazionale viene così minimizzato se non distrutto. SenzÂÂÂaltro i migranti devono fare i passi necessari per essere inclusi socialmente nella società di destino, con ÂÂÂlÂÂÂapprendimento della lingua nazionale e lÂÂÂadeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata (GMMR 2005, n. 1), ma ciò va fatto rispettando lÂÂÂeredità culturale che ognuno porta con sé, non scartandola, annientandola. 9. Può accadere invece che il contatto con il nuovo ambiente renda lÂÂÂimmigrato più che mai consapevole della propria identità, e di ciò che essa comporta, e perciò si senta spinto a cercare compagnia e sicurezza tra coloro che provengono dalla medesima Nazione e cultura. Se così facendo, peraltro, egli non si apre pian piano alla realtà più vasta della società dÂÂÂapprodo, corre il pericolo di formare, insieme agli altri, un ghetto ed essere di conseguenza emarginato, in situazione quasi di ÂÂÂapartheid spirituale. 10. LÂÂÂintegrazione, infatti,  progressiva, ripeto  non è una strada a senso unico, non responsabilità solo dellÂÂÂimmigrato, ma anche della società di arrivo, che, a contatto con lui,  come afferma il Santo Padre (cf. GMMR 2005, n. 1)  scopre il suo ÂÂÂsegretoÂÂÂ, cogliendone i valori della cultura. La vera integrazione quindi si realizza là dove lÂÂÂinterazione tra gli immigrati e la popolazione autoctona non si verifica soltanto in campo economico-sociale, ma anche culturale. Ambedue le parti, comunque, devono essere disposte a farlo, giacché motore dellÂÂÂintegrazione è il dialogo (v. il filo rosso di tutti i documenti del nostro Dicastero, come appaiono in People on the Move, la nostra Rivista, del dicembre 2004, n. 96, pp. 37-51). 11. Qui entra in gioco la missione della comunità cristiana, chiamata a dare il proprio contributo, specifico, affinché i rapporti tra autoctoni e non siano caratterizzati da quel ÂÂÂdialogo fra uomini di culture diverse, in un contesto di pluralismo, che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia (GMMR 2005, n. 3; cf. EMCC, n. 36). Ecco dunque il contesto in cui nasce lÂÂÂatteggiamento cristiano verso lÂÂÂintegrazione, nel vero senso della parola. Esso implica mutua stima e simpatia, reciproco apprezzamento, con conseguente fecondazione delle culture, in un ambiente di ÂÂÂautentica comprensione e benevolenza (ibid.). 12. Ai migranti e ai rifugiati, il V Congresso Mondiale della pastorale specifica ad essi relativa, tenutosi a Roma nel mese di novembre 2003, fa così un appello affinché ÂÂÂaiutino i propri figli e nipoti nei loro sforzi verso una piena integrazione nel Paese di accoglienza, preservando nel contempo la loro identità culturale e perché ÂÂÂapprezzino il Paese d'accoglienza e ne rispettino le leggi e lÂÂÂidentità culturaleÂÂÂ, fino ad amarlo. Al tempo stesso, il Congresso chiama la società civile e i singoli suoi membri ad ÂÂÂapprezzare le origini culturali di ogni persona, e a rispettare le diverse abitudini culturali, nella misura in cui non contraddicano i valori etici universali inerenti al diritto naturale o ai diritti umani (Gli Atti sono pubblicati in People on the Move, N. 93 del dicembre 2003, e nel nostro sito internet: www.vatican.va  Curia Romana Pontifici Consigli  Pastorale per i Migranti e gli Itineranti  Migranti  Documenti del Dicastero  ). 13. LÂÂÂintegrazione è dunque un progetto a lungo termine, - è ÂÂÂprogressivaÂÂÂ, come dicevamo - e coinvolge tanto i migranti quanto gli autoctoni in un ÂÂÂclima di ÂÂÂragionevolezza civicaÂÂÂ, che consente una convivenza amichevole e serena (GMMR 2005, n. 3). E la prima volta  notiamolo  che il Magistero usa questa espressione: ÂÂÂragionevolezza civicaÂÂÂ. Quando si riconosce il benefico contributo che la presenza dellÂÂÂimmigrato  con la sua cultura e i suoi talenti  può donare alla società ospitante, egli stesso del resto è più motivato a cercare un alto grado di interazione con tale società di accoglienza. È allora che si verifica una sana integrazione interculturale. 14. LÂÂÂidentità Europea e lÂÂÂinterculturalità Entrando ora più profondamente nel nucleo del nostro tema si può anzitutto chiedere se lÂÂÂEuropa sia pronta ad affrontare la sfida di una tale integrazione interculturale, vale a dire se essa sia consapevole della sua identità e perciò atta a dialogare con le altre culture, senza perdere la propria. Cerchiamo quindi ora di ÂÂÂdefinireÂÂÂ, se possiamo, la ÂÂÂcultura europeaÂÂÂ. 15. Nel suo saggio intitolato ÂÂÂEuropa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domaniÂÂÂ, il Cardinale Joseph Ratzinger afferma che essa non è un continente afferrabile in termini geografici, ma piuttosto un concetto culturale e storico. A questo riguardo, egli segnala tre fondamentali svolte storiche  che pure noi, come storici, accettiamo  , e cioè, la prima, la dissoluzione del vecchio continente mediterraneo ad opera del Sacrum Imperium, collocato più verso nord, in cui si forma, a partire dallÂÂÂepoca carolingia, lÂÂÂEuropa come mondo occidentale-latino. Accanto a questo vÂÂÂè la continuazione della vecchia Roma, a Bisanzio, con il suo protendersi verso il mondo slavo. Il secondo passo è la caduta di Bisanzio e il conseguente spostamento, da una parte, dellÂÂÂEuropa verso nord e verso est, e perciò dellÂÂÂidea cristiana di Impero, e, dallÂÂÂaltra parte, lÂÂÂinterna divisione dellÂÂÂEuropa in mondo germanico-protestante e latino-cattolico. Oltre a ciò, ci fu fuoruscita europea verso lÂÂÂAmerica. Il segnale, ben visibile, della terza svolta è la Rivoluzione francese: la storia non si misura più in base ad unÂÂÂidea di Dio ad essa precedente e che le dà forma. Lo Stato viene ormai considerato in termini puramente secolari, fondato sulla ÂÂÂrazionalità e sul volere dei cittadini. Per la prima volta in assoluto, nella storia, sorge lo Stato puramente secolare e si dichiara Dio stesso affare privato, che non fa parte della vita pubblica e della civile formazione del volere. E un nuovo tipo di ÂÂÂscismaÂÂÂ, nasce la divisione tra cristiani e ÂÂÂlaiciÂÂÂ. 16. Dal canto suo, lo storico Prof. Cesare Alzati, tenta di dare una definizione ad un altro concetto-chiave, per noi, per il nostro tema di oggi, quello della specificità europea nel contesto della civiltà, intesa, questa, come ÂÂÂuna categoria ... che attinge alla sfera culturale, e nella quale i vari aspetti dellÂÂÂattività dellÂÂÂuomo, dalla elaborazione intellettuale alla creazione artistica, alle forme di vita istituzionalizzata, convergono in un insieme unitario e coerente, dotato di una sua irriducibile specificità (v. La Scuola Cattolica, 1994, p. 146). In questa luce, dunque, Alzati vede ÂÂÂlÂÂÂEuropa apparirci come il comune spazio umano, in cui realtà originariamente assai diverse sono venute confluendo e, pur senza perdere la propria individualità, si sono inserite a pieno titolo in una più vasta Koiné, facendone propri gli ideali, gli orizzonti mentali, in una parola la ÂÂÂWeltanschauungÂÂÂÂÂÂ. Un processo più profondo, dunque, della ÂÂÂcasa comune europea a cui si è soliti riferirci. 17. Ma qual è la forza che ha reso popoli differenti, spesso antagonisti, cioè i latini e i germani, gli elleni e gli slavi, compartecipi di una medesima identità di fondo, di una specificità europea, nonostante le diversità di ceppo etnico-linguistico? Non ci sono dubbi per noi. Risulta evidente infatti che il Cristianesimo costituisce il comune humus in cui tutti questi popoli affondano le loro radici (ed ecco il terzo concetto chiave, le radici) e dal quale hanno tratto la linfa vitale che ha animato le rispettive culture. Per citare ancora il Prof. Alzati: ÂÂÂE la fede cristiana, in effetti, che ha comunicato loro un medesimo patrimonio ideale, che ha loro donato un unico linguaggio, al di là delle diverse lingue, che ha insegnato loro le forme, anche istituzionali, per unÂÂÂarticolata e pur sinfonica convivenza; in altri termini, che ha suscitato in loro la comune civiltàÂÂÂ. 18. LÂÂÂunità culturale europea, prima ancora che quella economica e politica, va cercata dunque nelle sue radici, nei valori comuni, in quello stile di vita che ha un ÂÂÂsupplemento dÂÂÂumanitàÂÂÂ, identificante appunto la civiltà europea, radicata nellÂÂÂhumus cristiano. Giovanni Paolo II, allÂÂÂAngelus del 21 luglio 2003, definisce perciò il Cristianesimo ÂÂÂelemento centrale e qualificante dellÂÂÂEuropa, un patrimonio che non va disperso. 19. E significativo qui ricordare che i ÂÂÂPadri dellÂÂÂUnione Europea  e mi si perdoni, se ho bisogno di scusarmi  erano soprattutto tre ÂÂÂgrandi cattolici: il francese Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e lÂÂÂitaliano Alcide De Gasperi. Per essi, dopo gli orripilanti orrori della II guerra mondiale, era chiaro che esiste una identità europea di cui fondamento e futuro è lÂÂÂeredità cristiana. Risultava evidente, per essi, che le devastazioni naziste e leniniste-staliniste avevano origine nella demolizione della base popolare cristiana: era la superbia che non si sottometteva più al Creatore, bensì pretendeva creare da sé lÂÂÂuomo, che si pensava migliore e invece giunse ad abissi di disumanità e scelleratezza infernale. 20. Accanto ai cattolici sopra indicati, vi sono comunque pure ÂÂÂlaiciÂÂÂ. Per Goethe ÂÂÂla lingua materna dell'Europa è il Cristianesimo e anche per Kant ÂÂÂil vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra civiltàÂÂÂ. Marc Chagall era convinto che per secoli i pittori hanno intinto il loro pennello in quellÂÂÂÂÂÂalfabeto colorato della speranza che sono le sacre Scritture. Per lo stesso Francesco De Sanctis, spirito ÂÂÂlaico dell'Ottocento, la radice del nostro ÂÂÂsentimento religioso, che è lo stesso sentimento morale nel senso più elevatoÂÂÂ, si trova altresì nel Cristianesimo. Concludiamo questa carrellata pur veloce di pensieri di grandi europei, sulle radici dellÂÂÂEuropa, con quello di T. S. Eliot per il quale ÂÂÂsenza Cristianesimo non ci sarebbe stato neppure un Voltaire o un Nietszche. Se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta lanostra cultura, sene va il nostro stesso voltoÂÂÂ. 21. Perdere le radici cristiane dellÂÂÂEuropa equivarrebbe dunque a perdita della identità. Ebbene ciò che per Eliot era una ipotesi, per Giovanni Paolo II e il Primate della Chiesa ortodossa di Grecia, Sua Beatitudine Christodoulos, costituisce comune preoccupazione, come attesta la loro Dichiarazione congiunta, pronunciata proprio dallÂÂÂAreopago di Atene il 4 maggio 2001. ÂÂÂCi rallegriamo  affermarono i due esponenti religiosi  del successo e del progresso dellÂÂÂUnione Europea. LÂÂÂunità del Continente europeo in unÂÂÂunica entità civile, senza tuttavia che i popoli componenti perdano la propria autocoscienza nazionale, le loro tradizioni e la loro identità, è stata unÂÂÂintuizione dei suoi pionieri (n. 6). La Dichiarazione, però, così continua: ÂÂÂLa tendenza emergente a trasformare alcuni Paesi europei in Stati secolarizzati senza alcun riferimento alla religione costituisce una regresso e una negazione della loro eredità spirituale. Siamo chiamati  essi attestarono  ad intensificare i nostri sforzi affinché lÂÂÂunificazione dellÂÂÂEuropa giunga a compimento. Sarà nostro compito fare il possibile perché siano conservate inviolate le radici e lÂÂÂanima cristiana dellÂÂÂEuropa (ibid.). 22. Preoccupa infatti ÂÂÂla supina omologazione delle culture a modelli culturali del mondo occidentale che, ormai disancorati dal retroterra cristiano, sono ispirati ad una concezione secolarizzata o praticamente atea della vita e a forme di radicale individualismo (GP 2001, n. 9). Gli alti livelli raggiunti dalla moderna scienza e tecnologia tendono a generare infatti una cultura che vuol realizzare il bene dellÂÂÂuomo facendo a meno di Dio. ÂÂÂMa ÂÂÂla creatura  afferma Giovanni Paolo II, citando il Concilio Vaticano II,  senza il Creatore svanisce! Una cultura che rifiuta di riferirsi a Dio perde la propria anima e si disorienta, divenendo cultura di morte, come testimoniano i tragici eventi del secolo XX, e come stanno a dimostrare gli esiti nichilistici attualmente presenti in rilevanti ambiti del mondo occidentale (GP 2001, n. 9). 23. Perciò se lÂÂÂEuropa vuol essere se stessa deve riconoscere le sue radici cristiane. In effetti, il contributo della nostra fede alla vita e allÂÂÂautocoscienza dei popoli deve necessariamente procedere in senso autenticamente cristiano. Non li si orienta, quindi, a una rivendicazione chiusa e conflittuale della propria identità, ma piuttosto a conservarla e valorizzarla, promuovendo la comprensione reciproca e la pace, la riconciliazione e la collaborazione anche con popoli di matrici religiose e culturali diverse. Del resto, ogni cultura porta con sé valori radicati nella natura stessa della persona umana. Sono dunque valori in comune ad esse e si può puntare su tali valori universali per intavolare il dialogo tra le culture, strumento privilegiato per costruire la ÂÂÂciviltà dellÂÂÂamoreÂÂÂ. 24. Certo ci sono differenze, anche importanti, nei valori che ogni gruppo culturale considera propri, ma sembra che sia in corso un processo di sviluppo, o evoluzione,  afferma il noto Prof. Fukuyama  che porta allÂÂÂaccoglienza dei valori sorti dallÂÂÂilluminismo occidentale,  egli dice  per esempio lÂÂÂuguaglianza universale, i diritti umani, la democrazia politica, ecc., come parte del cammino verso la modernizzazione. Tali valori, ereditati per noi dalla cultura cristiana dellÂÂÂOccidente, sono caratterizzati da un certo ÂÂÂuniversalismo per ora almeno potenziale  egli attesta ÂÂÂ. Cristianesimo infatti, oggi specialmente, vuol dire universalismo, apertura, umanesimo, speranza nel futuro, ecumenismo, dialogo interreligioso, attenzione allÂÂÂambiente, riconoscimento della diversità nellÂÂÂuguaglianza, capacità critica, accettazione del pluralismo, tolleranza e solidarietà, messaggio di civiltà e ÂÂÂpotenza moraleÂÂÂ. 25. Certo, unÂÂÂidentità culturale non si può imporre. Anche le leggi, in tal senso, non sarebbero efficaci se non fondate nellÂÂÂethos della popolazione. Anzi sono ÂÂÂnaturalmente destinate a cambiare, se una cultura perdesse di fatto la capacità di animare un popolo e un territorio, diventando una semplice eredità custodita in musei o monumenti artistici e letterari (GP 2001, n. 15). E dunque necessario che lÂÂÂEuropa mantenga la sua anima, se vuole mantenere la sua identità, perché ÂÂÂuna cultura, nella misura in cui è veramente vitale, non ha motivo di temere di essere sopraffatta, mentre nessuna legge potrebbe tenerla in vita quando fosse morta negli animi (ibid.). 26. Ne abbiamo conferma dallÂÂÂagire dei discepoli di Cristo dei primi tempi. Essi, lungi dal dibattere su cosa fosse il cristianesimo, lo tradussero nella vita. Ne troviamo conferma nella lettura di J. Holzner, nel suo ÂÂÂLe défi culturel chrétien selon Saint PaulÂÂÂ, riedito or non è molto da Téqui (Parigi, 2002) dallÂÂÂoriginale ÂÂÂRings um PaulusÂÂÂ. Holzner  ricordiamo  è lÂÂÂautore del famosissimo ÂÂÂPaolo di TarsoÂÂÂ, un vero bestseller scientifico. Ecco dunque la vera sfida della cultura cristiana oggi, quella posta ai credenti, i quali debbono essere capaci e disposti a tradurre nella vita il loro cristianesimo. 27. Tale concetto-sfida è stato ripreso anche recentemente dal Cardinale Camillo Ruini, nel suo discorso al VI Forum del progetto culturale sul tema: ÂÂÂA quarantÂÂÂanni dal ConcilioÂÂÂ. Ascoltiamolo anche noi: ÂÂÂAllÂÂÂinterno della Chiesa e della ÂÂÂcultura cattolicaÂÂÂ, di fronte [alla]  riscoperta dellÂÂÂidentità cristiana si registrano sensibilità e valutazioni differenziate: è frequente la denuncia dei rischi, certamente reali, che essa venga strumentalizzata e porti a uno snaturamento della fede autentica, a una sua riduzione a ideologia. Non sempre, pertanto, vengono percepite le opportunità che essa offre e le sfide che issa implica, sia culturali sia propriamente pastorali, e in ultima analisi a livello di fede vissuta (Il Regno, N. 960 del 1 gennaio 2005, p.28). 28. ÂÂÂSe però teniamo presente  continuava il Card. Ruini  che la fede cristiana stessa, fin dalle sue origini, si rivolge certamente anzitutto al cuore e alla coscienza dellÂÂÂuomo, ma ha anche unÂÂÂineliminabile dimensione pubblica, lÂÂÂatteggiamento più congeniale allÂÂÂindole e alla missione del cristianesimo, oltre che meglio conforme alle necessità attuali dellÂÂÂItalia, come dellÂÂÂEuropa e dellÂÂÂintero Occidente, sembra piuttosto quello di rispondere positivamente alle richieste, implicite nel risveglio identitario, che la fede cristiana possa alimentare, in unÂÂÂottica non confessionale, ossia pienamente rispettosa della libertà religiosa e della distinzione tra Chiesa e Stato, una visione della vita e alcuni fondamentali valori etici che forniscano la base dellÂÂÂidentità delle nostre nazioni: si ha così, tendenzialmente, il superamento della fase storica del laicismo e del secolarismo. In questo contesto anche per la cultura cattolica lÂÂÂidea della ÂÂÂlaicità appare da sola del tutto inadeguata alla nuova congiuntura storica E essenziale [comunque] rendersi conto che la fede cristiana può svolgere in maniera efficace e duratura un simile ruolo pubblico solo se non si riduce a unÂÂÂeredità culturale del passato, ma è attualmente creduta e vissuta dalle persone concrete, nella sua verità e autenticità Vanno pertanto prese sul serio le preoccupazioni di strumentalizzazione e snaturamento della fede (ibid.). 29. Ma non vÂÂÂè Cristianesimo senza Chiesa  e concludiamo ÂÂÂ. A questo riguardo, per fugare nuovi timori e antichi ricordi negativi nelle relazioni Chiesa e Stato, basterà ricordare che  e lo ha ripetuto il Santo Padre nella sua recente allocuzione al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede  ÂÂÂla Chiesa sa ben distinguere, come suo dovere, ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cf. Mt 22,21); essa coopera attivamente al bene comune della società, perché ripudia la menzogna ed educa alla verità, condanna lÂÂÂodio e il disprezzo ed invita alla fratellanza; essa promuove ovunque sempre  come è facile riconoscere dalla storia  le opere di carità, le scienze e le arti. Essa chiede soltanto libertà, per poter offrire un valido servizio di collaborazione con ogni istanza pubblica e privata preoccupata del bene dellÂÂÂuomo (n. 8). Integración intercultural: un reto para la Europa cristiana Resumen Mirando al ÂÂÂAño internacional [proclamado por las Naciones Unidas] del diálogo entre civilizaciones y al correspondiente discurso del Santo Padre a los Diplomáticos acreditados ante la Santa Sede, en el que se invitaba a ÂÂÂreflexionar sobre el diálogo entre las diferentes culturas y tradiciones de los pueblosÂÂÂ, el Arzobispo Secretario afronta aquí el tema intercultural, fruto de los contactos entre las varias culturas que caracterizan la identidad de los emigrantes. De aquí la necesidad de encontrar ÂÂÂel justo equilibrio entre respeto a la identidad propia (del autóctono) y el reconocimiento de la del otroÂÂÂ. En el fondo, es la cuestión de la genuina y progresiva integración  que no asimilación  de los emigrantes en la sociedad de acogida. Las culturas del resto aparecen como ÂÂÂexpresiones históricas varias y geniales de la originaria unidad de la familia humana que deben entrar en diálogo (este es justamente el hilo conductor  afirma Mons. Marchetto  de todos los últimos documentos de nuestro Dicasterio). Aquí entra también en juego la comunidad cristiana y la "racionalidad cívica", que consiente una convivencia amigable y serena. Es un término nuevo pero importante la tal "racionalidad cívica", para poder llegar a una sana integración intercultural. El Arzobispo afronta, después, el tema de la identidad europea y el de la interculturalidad, inclinándose a considerar a Europa más como un concepto cultural, histórico, de civilización, que como continente. Europa se abre puesÂÂÂsiguiendo el pensamiento del historiador Prof. Alzati  "como un común espacio humano en el que realidades bastantes diversas han ido confluyendo y que, sin perder la propia individualidad, se han ido insertando, a título pleno, en una más vasta Koiné, haciendo propios los ideales, los horizontes mentales, en una palabra, la Weltanschauung". Ahora bien, esta misma identidad de fondo, tal especificidad europea, su humus profundo, no son otra cosa que el Cristianismo. Como dice Kant, es en fin "el Evangelio la fuente de la que mana nuestra civilización", o como atesta T. S. Eliot: "Si el Cristianismo desaparece, también toda nuestra cultura desaparece, y con ella nuestro propio rostro". Es cierto, con todo, que la identidad cultural no se puede imponer y no debe ser una herencia custodiada en museos o monumentos artísticos y literarios, sino realidad viva, con una inalienable dimensión pública. Mons. Marchetto concluye recordando que no existe Cristianismo sin Iglesia, pero "una Iglesia que sabe distinguir bien  como es su deber  lo que es de César y lo que es de Dios". Es cuanto Juan Pablo II recuerda (n. 8) en su alocución de comienzo de este año al Cuerpo Diplomático acreditado ante la Santa Sede. Intercultural Integration: A Challenge for Christian Europe Summary Referring to the ÂÂÂInternational Year of the Dialogue between Civilizations (proclaimed by the United Nations) and to the relative discourse of the Holy Father to the diplomats accredited to the Holy See (which urges ÂÂÂreflect[ion] on the dialogue between the different cultures and traditions of the nations), the Archbishop-Secretary confronts the intercultural theme, which results precisely from contacts between the various cultures characterising migrants identity. In this context it is necessary to find ÂÂÂthe right equilibrium between the respect for oneÂÂÂs own identity and the recognition of the identity of other peopleÂÂÂ. It is, after all, a question of the genuine and progressive integration  and not assimilation  of migrants in the welcome society. Cultures, moreover appear to be ÂÂÂvarious and ingenious historical expressions of the original unity of the human familyÂÂÂ, which must converse together (and that dialogue is really the recurring theme, claims Archbishop Marchetto, of all our latest documents). Here Christian communities and ÂÂÂcivic reasonableness also come into play, permitting a serene, friendly relationship. It is a new term, but an important one, this ÂÂÂcivic reasonablenessÂÂÂ, needed to attain a healthy intercultural integration. The author then confronts the theme of European identity and particularly that of interculturism, considering Europe more as a cultural and historical concept, that of civilization, than a continent. Europe appears, therefore  now following the thoughts of the historian Prof. Alzati  as ÂÂÂa common, human space where originally very different realities have combined and, without losing their own individualities, have fully inserted themselves into a vaster ÂÂÂKoinéÂÂÂ, making it their own with common ideals and mental horizons, in short a ÂÂÂWeltanschauungÂÂÂ. So Christianity, in the end, is basically the same deep-rooted identity that specifies Europe in its profound ÂÂÂhumusÂÂÂ. As Kant says: ÂÂÂThe Gospel is the source from which our civilization springsÂÂÂ. Or as T. S. Eliot certifies: ÂÂÂIf Christianity goes, all our culture will also go and with it our very countenanceÂÂÂ. It is certain however, that a cultural identity cannot be imposed and must not be an inheritance bequeathed to museums or artistic and literary monuments, but must be a living reality with a public dimension that cannot be eliminated. Archbishop Marchetto concludes remembering that there cannot be Christianity without the Church, but a Church that knows how to distinguish  as is its duty  what is CaesarÂÂÂs and what is GodÂÂÂs. It is this that John Paul II recalls in this yearÂÂÂs Address to the Diplomatic Corps Accredited to the Holy See (n. 8).
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Conferenza pronunciata nella Biblioteca del Senato, Roma, il 16 febbraio 2005. Indissero lÂÂÂincontro Europa Cristiana e lÂÂÂAssociazione Amici del Benin, con il Patrocinio del Senato della Repubblica.
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