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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 97, April 2005

 

I PELLEGRINAGGI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO* 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

Mi piace iniziare questa mia presentazione del volume di Jean Chélini e Henry Branthomme Les pèlerinages dans le monde con una citazione di Goethe, vale a dire: “L’Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il cristianesimo”, sottolineando cioè l’importanza dell’opera anche nella Sitz im Leben europea contemporanea, mentre nella parte finale cercherò di sintetizzare l’insegnamento ecclesiale recente su pellegrinaggi e santuari ad indicarne l’attualità, direi anzi il risveglio. Ciò, per noi, anche in contesto ecumenico e interreligioso, come risulta dall’ultimo incontro europeo dei Direttori dei pellegrinaggi e santuari, svoltosi a Kevelaer (Germania), dal 20 al 23 settembre 2004, sul tema “Ecumenismo della Santità. Il pellegrinaggio agli inizi del terzo millennio”. Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, di cui sono l’Arcivescovo Segretario, ne pubblicherà prossimamente gli “Atti” sulla sua rivista People on the Move, mentre le conclusioni possono essere già lette nella nostra pagina web: www.vatican.va/roman_curia/Pontifical_councils/migrants/ index_fr. htm

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Immediatamente, quando ho preso in mano il volume, una folla di immagini care, e di pensieri, sentimenti e ricordi sono affiorati al mio spirito. Sì, perché ciascuno di noi – credo – ha vissuto l’esperienza del pellegrinaggio, ha compiuto una visita a un santuario, che ne è in genere la meta ovvia, conclusiva.

Ed ecco anzitutto per me il santuario della Madonna della misericordia, lassù a Monte Berico, dolce e sereno presidio alla mia città natale, Vicenza, quella anche del grande architetto Palladio, oltre che dedicata a Maria. V’è poi, vicino, la città di Padova, con il suo santuario votato ad Antonio di quella città, ma da Lisbona, con le sue tante e belle cupole. E poi penso alla serena Loreto e alla santa Casa. Papa Giovanni, quand’era ancora teologo, vi andò per la prima volta e disse a Maria che l’amava, ma che non sarebbe più tornato colà. Evidentemente disturbò la sua pietas adamantina e giovanile il rumore e il “contorno” del santuario, ed è questione grave e umana, oltre che di fede-amore, per tutti i santuari, che corrono il rischio del turismo, diciamo così, e degli “affari”. Papa Giovanni non mantenne però – felicemente – il suo proposito e lo rivedo, col cappello in mano, in quel treno che lo condusse anche ad Assisi, a implorare una nuova Pentecoste, conciliare.

In pellegrinaggio sono stato anche qui a Roma, diventata peraltro ora luogo della mia residenza, dopo più di 20 anni d’Africa – dove non mancano i santuari, e ripenso a Notre-Dame d’Afrique, ad Algeri, per es. – e 34 di servizio diplomatico della Santa Sede. Ivi salii anche il Kilimangiaro volendo portarvi sulla cima un rosario e alcune medaglie del pontificato di Giovanni Paolo II, Papa per eccellenza del pellegrinaggio, nel mondo intero. Ricordo qui – permettetemelo – una sua espressione ad Antananarivo (capitale del Madagascar), la seguente: “Sono qui pellegrino al santuario del popolo di Dio che costì abita”. E poi penso a Gerusalemme, dorata e sanguinante (che ancor oggi vive, magari senza averne coscienza, il mistero pasquale), a Fatima austera, e alle notti passate in accoglienza e riconciliazione dei pellegrini penitenti, che si accostano a lavare i loro panni sporchi nel sangue dell’Agnello immolato, per intercessione di Maria Vergine. Ricordo Lourdes, con la sua grotta e il fiume, e la sua acqua, da cui v’è chi rinasce non solo nello spirito. E che dire di San Giacomo di Compostela e di quella città armoniosissima. Come dimenticare del resto Nostra Signora di Guadalupe, patria spirituale specialmente dei nostri fratelli e sorelle latino-americani, nel continente oggi cattolico per eccellenza? Non posso nemmeno non menzionare, cubano come fui per più di tre anni, il santuario “de la Caridad del Cobre”, a Santiago de Cuba appunto.

Desidero comunque concludere questa carrellata del mio spirito, che il libro qui presentato ha fatto, al solo prenderlo in mano, con la vostra Francia e mi scuserete se cito solo Chartres e vedo i fedeli, e non, a terra, distesi pancia in su per contemplare meglio quel blu divino dei suoi vitraux, che può incendiarsi al bacio di fratello sole.

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Ebbene – come ha scritto nella sua prefazione l’Em.mo Card. Poupard, che non ha potuto esser qui con noi stasera – l’opera di Jean Chélini e Henry Branthomme è “un véritable pèlerinage dans le pèlerinage”, che mi ha ricondotto pure ai santuari da me fin qui citati, in spirito di dialogo direi interreligioso, terreno in cui s’incontra il cammino di Dio che cerca l’uomo – ed ecco la Rivelazione divina, la Sacra Scrittura, l’Israele di Dio, e il Suo riverbero pure in terra d’Islam –, ma anche il cammino dell’uomo che cerca Dio. Vi è in lui, l’uomo, infatti, una ferita, se volete un marchio di fabbrica del Creatore, uno iato, un’apertura infinita al pulchrum, bonum, verum et unum, al Trascendente insomma, con la T maiuscola, che lo fa cercare il “veltro del cielo”, l’Assoluto, nelle sue varie forme ed espressioni, nel contingente e relativo dell’umano divenire.

Non dimentichiamo comunque, noi cristiani, che Dio si è fatto pellegrino, come e con noi e per noi, poiché ha posto – dice S. Giovanni – la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1, 14). L’Eucaristia poi – lo dico in quest’anno ad essa specialmente dedicato, nella Chiesa cattolica – “è il punto culminante del pellegrinaggio strettamente legato al santuario”. Lo attesta ancora l’Em.mo Poupard nella sua prefazione al volume.

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Veniamo alla sua “introduzione” molto bella che, menzionando le prime due opere degli Autori, stabilisce punti di somiglianza dei vari tipi e delle diverse origini dei pellegrinaggi, a dirci che la pasta umana, la ricerca del “sacro”, del “santo”, ci accomuna, noi uomini, pur in quella fermentazione ed elevazione che è data dalla Rivelazione divina, la quale assume tutto quello che è nobile, giusto, bello e santo nella natura umana e nelle altre religioni (cfr. Nostra Aetate, n. 2 e Erga migrantes caritas Christi, n. 96). V’è, dunque, un cammino comparativo, ricco, in quest’opera, che ha dovuto vincere, per giungere alla “scientificità” dell’analisi, non poche difficoltà e situarsi in ricerca interdisciplinare non facile.

Uguale interesse gli Autori mostrano per la strada, i mezzi di trasporto, le tappe dei pellegrini, sulla rete di ospizi che ne è stesa, e quanto avviene al giungere alla meta.

V’è un aspetto, infine, da rilevare ed è il fatto che “con i pellegrini circolano le lingue, le preghiere, i canti, ma anche le idee, le tecniche e le forme artistiche: i pellegrini pregano, cantano, scambiano, fanno paragoni. Quando ci si ferma s’aprono le discussioni, ciascuno può apprendere a scoprire le abitudini degli altri, i loro usi, gusti, metodi di lavorare il legno, il ferro e l’oro, la loro arte di dipingere o di scolpire”: in una parola siamo in un crogiolo di cultura e civiltà. Mi pare che ci sia qui quella visione storica affermata dal vostro grande Braudel.

Il primo capitolo del volume è occupato ancora in opera preliminare su l’ “approche” del pellegrinaggio, sulla terminologia, nel tempo e nello spazio, sull’attrattiva – direi universale – di luoghi eccezionali e di esseri prestigiosi, sugli “elementi” che la basano: la terra, il cielo, l’acqua, il fuoco, il vento. Noto l’attrattiva specifica per i monti, le grotte e le caverne, per il deserto, i fiumi, i laghi. Tombe e reliquie poi richiamano folle. E qui l’analisi si fa puntuale, concreta, esemplare, oltre che esemplificativa.

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La prima parte dell’opera è dedicata al pellegrinaggio nel corso delle varie epoche, iniziando con un capitolo intitolato “Dal mito alla storia”. È interessante procedere dalla preistoria alla storia, grazie all’archeologia soprattutto, e nella menzione abbastanza particolareggiata degli “oracoli” antichi in Estremo Oriente, in Grecia e Italia, nella Gallia e Arabia preislamica, presso gli Aztechi, i Maya e gli Incas.

Nei “pellegrinaggi alle origini della Storia” si afferma che “tutti quelli antichi non cercavano di conoscere il futuro; molti infatti erano mossi dalla pietà e dalla riconoscenza”. Sono cioè forme che evocano quelle abituali del pellegrinaggio classico, nel senso “moderno” del termine. Passa così davanti a noi l’antichità sumerica, l’antico Egitto, le divinità precolombiane, l’India, in eterno pellegrinaggio, la terra di Canaan, da Silo a Gerusalemme, il tornante del VI sec. prima di Cristo, che caratterizza tutta una fascia spaziale che va dall’estremo al vicino Oriente. Citiamo un passo, affascinante e indicativo, - pur con mancata distinzione tra le caratteristiche d’Israele dal resto dei popoli -, il seguente: “Questa corrente (di speranza) ha dato luogo a forme differenti di pensiero, fornendo nuove risposte alle questioni fondamentali che l’uomo si poneva da secoli: il confucianesimo e il taoismo in Cina, il buddismo e il gianismo in India, lo zoroastrismo in Iran, il pitagorismo e le filosofie in Grecia, il giudaismo in Israele e la civiltà celtica nelle nostre regioni occidentali. Tale secolo vide emergere, appunto, in differenti parti del mondo, un certo numero di religioni o di movimenti assetati d’immortalità e d’unità, suscitando nuove forme di pellegrinaggio”. Indicheremo solo il pur breve esame del messianismo e dei profeti in Israele: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.

Arriviamo così ai pellegrinaggi cristiani. Davanti all’obiettivo quasi fotografico degli Autori, passano dunque i secoli: dall’antichità al VII secolo (con infelice impressione sul- l’“esperienza della tomba [di Gesù] vuota”), i Luoghi santi di Gerusalemme, le tombe dei martiri, a cominciare da Pietro e Paolo, le conseguenze in Oriente e Occidente dell’editto di Costantino, la realtà pellegrinante del VII sec., Costantinopoli e l’Oriente bizantino, l’inizio del pellegrinaggio cristiano, nell’alto Medio Evo (sec. VIII-X), lo sviluppo del culto mariano (espresso nel titolo “Notre-Dame”), con legame alle feste liturgiche mariane, l’apogeo del pellegrinaggio medievale, nei sec. XI-XIII, con breve trattazione – per me non scritta con penna acuminata ed esatta – della questione delle indulgenze. Vi furono poi “cambiamenti e difficoltà” (nei sec. XIV - XVI), con quelle critiche che tutti conosciamo al “sistema delle indulgenze”. Pensiamo a Lutero, a Calvino, ecc. Veniamo poi al Concilio di Trento e al pellegrinaggio “mitigato” – come lo definiscono gli Autori – e infine al suo risveglio e ai suoi cambiamenti, dal 1814 ad oggi, con menzione particolare dei giubilei, che certamente ne furono stimolo e alle Giornate mondiali della gioventù. Siamo proprio all’oggidì, alla preparazione ormai di quella di quest’anno, a Köln. Un bel tocco finale? Non lo voglio tralasciare, eccolo: “Le pape ne cesse de rappeler que c’est sur les chemins de l’existence que l’on peut rencontrer le Seigneur, dans un grand pèlerinage au quotidien de la vie”.

Un successivo capitolo è dedicato ai pellegrinaggi musulmani, iniziando dall’Arabia preislamica e poi analizzando gli alti luoghi islamici di Hedjaz e della Palestina, de La Mecca, di Medina e Gerusalemme, dall’Egitto ai Balcani, sulle strade della seta e in occasione dell’inizio dei pellegrinaggi marabutici in Senegal e altrove. E qui rispuntano i miei ricordi algerini che mi fanno concludere pensando alle diversità esistenti all’interno dell’Islam, e che devono essere considerate quando facciamo giudizi, invece generali, specialmente dopo l’undici settembre di più di tre anni fa.

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La seconda parte dell’opera è dedicata al viaggio del pellegrino e comincia a ponderare la partenza, le sue motivazioni, il suo protocollo, per mettersi poi “alla scuola della strada” nella marcia del corpo e dello spirito, quando la “route”, − parola vicina a “rupture” (più che a “chemin”) – s’impone al pellegrino. Cenno è fatto qui alla “route du désert” e ripenso, io, all’Assekrem algerina e al P. Charles de Foucauld che finalmente è alla fine del suo pellegrinaggio verso la beatificazione. Ma anche i “libri santi” sono in pellegrinaggio, in questa scuola di verità verso il “mont-joie”, oggetto di belle e giuste considerazioni e applicazioni, Ne riprendo il passo finale: “La décision du départ, les préparatifs, le chemin lui-même avec ses espoirs, ses découragements et ses épreuves, constituent un ensemble de forces vives et indescriptibles qui prédisposent le pèlerin à entrer dans le sanctuaire, le cœur plein de joie et d’espérance”.Segue il capitolo sui cammini di pellegrinaggio nelle religioni non cristiane, con descrizione iniziale delle difficili condizioni del pellegrinaggio nell’antichità (Egiziani, Ittiti e Greci) e passaggio poi a quelli buddisti, induisti (una principessa indiana in pellegrinaggio a Benares), giudaici e musulmani, a La Mecca, con i loro problemi.

V’è quindi, nel volume, un capitolo dedicato ai “cammini” e spostamenti nell’Occidente cristiano, con analisi delle condizioni di viaggio (pellegrinaggio equestre, per via marittima, in bicicletta, a piedi, ecc.) e considerazione di quelli dei malati e dei portatori di handicap. Si studia poi il luogo di accoglienza dei pellegrini, cioè gli ospizi (“xenodachia”), i monasteri e gli ospedali, ricordando anche l’epoca del loro declino e il loro rinnovarsi fino ai nostri giorni.

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La terza parte dell’opera porta il titolo “Il pellegrino al santuario”, con immediata applicazione ai grandi santuari di pellegrinaggio, nell’antichità (Mosopotamia, Egitto, Grecia, in Israele – il tempio di Gerusalemme, la venerazione del Kotel (muro del pianto), il rinvio al Tempio del Cielo – nell’islam, – la Kaába e la Cupola della Moschea d’Omar a Gerusalemme – in Iran – i santuari del fuoco – e a quelli indù e buddisti (Benares, monte Kailash, vicino all’Himalaya, Angkor Vat, in Cambogia). Ci si rivolge poi ai luoghi di pellegrinaggio recenti: dal deserto californiano al mare e Salt Lake City.

Successivamente ecco delinearsi la visione dei grandi santuari cristiani: il Santo Sepolcro, anzitutto, e, in Occidente, Echternach, S. Pietro in Roma e le basiliche maggiori, e poi dei luoghi di pellegrinaggio occasionale, ai viventi o a immagini, icone, statue o reliquie. Menzione è fatta qui al Santo Sudario e alla Madonna pellegrina.

Non manca in seguito l’analisi dei gesti e riti compiuti al santuario, vale a dire la preghiera, il canto, l’adorazione, la musica, espressioni del desiderio di purificazione, offerta, sacrificio. Qui si apre per quest’ultimo l’attenzione alle religioni monoteistiche (sacrifici cruenti e loro spiritualizzazione fino a giungere all’Eucaristia), con successivo passaggio alla processione, espressione corporale e collettiva del pellegrinaggio, e a Siviglia, nel silenzio o nella danza.

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La quarta parte del volume è dedicata al ritorno del pellegrino con presentazione dei gesti prima della partenza ed espressioni (iscrizioni e graffiti) del desiderio di lasciare una traccia di sé nel santuario (ex-voto), o di portare con sé un suo ricordo (“reliquie … di sostituzione”, medaglie, insegne, “agnus Dei”, “grottes de Nevers”, ecc.).

È affrontato quindi il “cammino di ritorno”, con menzione alle confraternite di pellegrini, mentre la V parte illustra le forme della vita pellegrinante, da quelle religiose classiche del pellegrinaggio alla ricerca della conoscenza, a quello popolare, cosiddetto. A quest’ultimo riguardo gli Autori dicono buone cose (v. pp. 259-260) sulla importanza e necessità dei riti, costumi, simboli e segni: reliquie, medaglie, statue, candele e acqua benedetta sono presenti nell’intento di dare corpo alla preghiera. Troviamo quindi un bel capitolo sui pellegrinaggi delle popolazioni nomadi, a cominciare dagli zingari. Ne trattiamo pure noi, al Pontificio Consiglio, poiché fra i nostri settori di competenza pastorale vi sono pure i nomadi, i circensi e i lunaparchisti (v. “People on the Move”, supplemento al N. 93, tutto sul Congresso internazionale di Budapest). Interessante è pure la trattazione che riguarda i nomadi del mare.

Nel capitolo “rigore e penitenza” passano davanti all’obiettivo degli Autori gli eremiti e asceti pellegrini, i “girovaghi mistici” della Russia, l’ajari giapponese, il pellegrino nudo, a disprezzo di freddo e calore, e i pellegrini al “Purgatorio di S. Patrizio”.

Si passa poi all’ “immaginario” – con citazione di un poema allegorico del XIV sec., e del “Viaggio del pellegrino” di John Bunyan (XVII sec.) – e al “pellegrinaggio fortuito”, visionario, con successivo passaggio all’analisi del “sincretismo e sopravvivenza”, sempre sul nostro tema, e di sue forme semi-profane e profane (“pellegrinaggio e turismo”), e relative comunanze e distinzioni con quelle religiose. Ma i due cammini si stanno intersecando sempre di più – osserviamo −. Vi sono anche “pellegrinaggi” per ricordo, culturali e politico-mediatici.

La VI parte studia il pellegrinaggio dei viventi e dei morti, fuori dallo spazio e dal tempo, cioè quello “in spirito”, con richiamo a Pitagora e all’ “homo viator”, a Parmenide e al cammino della Verità, a Empedocle e alla “via salutis”, ai Dialoghi platonici, sui passi poi del Re Minosse, della “teoria” (processione ufficiale) degli ateniesi e considerazione di Socrate, nonché del pellegrinaggio e del luogo di riunione delle anime, con visione del “paradiso celeste” e del cammino dell’amore, con l’ultima purificazione e l’ultimo viaggio, secondo la concezione romana classica.

Si aggiungono qui belle considerazioni sul viaggio e deserto interiori, attraverso anche la malattia – con richiamo a un magnifico e sconvolgente libro di Jean-Dominique Bauby, che ebbi l’occasione di recensire anch’io su “L’Osservatore Romano” – e giusto aggancio ai “pellegrinaggi” di mistici. Sono belle pagine.

V’è poi la dimensione d’iniziazione interna, e cioè come “interessare il corpo al cammino dello spirito”, con i gesti simbolici, la deambulazione circolare, la danza “intorno senza fine”, la pratica del “mandala” (concentrazione mentale), la deambulazione a spirale, il labirinto (marcia verso Dio, gli uomini e in sé), la “granitola” (ancora a spirale, a chiocciola), nella processione.

L’errare dei viventi e l’itinere dei defunti è il bel titolo del successivo capitoletto.

I morti interpellano così i vivi, con citazione del “Libro dei defunti” egiziano e del pellegrinaggio post mortem, in Tibet, secondo Bango Thödol. Si conclude, con la visione del pellegrinaggio come “spiritualità incarnata”. Molto vero!

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La VII parte riguarda “Il pellegrinaggio nella società degli uomini” ed inizia con l’ “analisi sociologica del pellegrinaggio”, con i libri dei pellegrini della grotta della Sainte-Baume per passare quindi a Marsiglia e Cascia, da Santa Rita, e a Lourdes, con i suoi pellegrini (esame di un’inchiesta fra di loro sulle grazie che chiedono, sui ringraziamenti e sui loro dispiaceri e pentimenti, nonché sull’età di chi si reca a Lourdes). V’è quindi un interessante capitoletto circa la natura psicofisiologica dell’uomo, basato sulla piramide di Maslow, (in cui si parte dai bisogni fisiologici, per passare a quelli di sicurezza e affettivi, fino a giungere alla realizzazione di sé, senza tralasciare prima il bisogno di stima) perché “il y a autant de raisons de pérégriner qu’il y a des besoins chez l’homme”. Gli Autori fanno riferimento quindi alla fede e alla speranza del pellegrino, con citazione del conosciuto brano di Péguy sulle tre virtù teologali, che fanno il loro cammino come pellegrini.

“È una componente della società globale”, il pellegrinaggio, si attesta successivamente, e all’affermazione ci sentiamo di poter aderire pure noi, anche tenendo in conto – come fanno gli Autori – la manna socio-economica del pellegrinaggio, non tralasciando altresì le incidenze eventuali di esso sulla vita politica. A conferma, or non è molto, qualche giornale italiano parlava di una strana e pronunciata presenza di politici per la recita – teletrasmessa – del “rosario di Padre Pio”.

Gli Autori ritornano quindi a Lourdes, in visione medica, per la “questione dei miracoli”, costatando una accresciuta partecipazione colà di malati e portatori di handicap. Non manca neppure l’illustrazione delle incidenze del pellegrinaggio sulla vita culturale, sulla letteratura (pensiamo a Goethe) e sull’arte. E arriviamo alla conclusione, in cui gli Autori riprendono brevemente le grandi direttrici dell’opera. Noi qui ricorderemo solo un punto, vale a dire che “il pellegrinaggio è cosa universale, presente in tutte le generazioni”; le analogie cioè che vi si riferiscono vincono le differenze che pure appaiono. Il pellegrinaggio è “missione, testimonianza, esortazione”. Oggi inoltre, con l’accresciuta facilità di viaggiare, i santuari offrono in Europa luoghi attraenti e vicini. Il pellegrinaggio – notiamolo – perde così il suo carattere eccezionale, d’un tempo, per diventare quasi un ritiro spirituale periodico, dove la ripetizione conduce il pellegrino ad approfondire il senso del suo andare. Unico o ripetuto, esso rimane comunque marcato dalla presenza divina o da una traccia sacra. Ma vi sono altresì pellegrinaggi “civici”.

Dopo aver attestato che “il pellegrinaggio è universalmente esteso, ma non universalmente approvato”, il volume così termina: “Le pèlerinage est vécu comme une remise en forme spirituelle, un retour aux racines de l’être, l’anéantissement progressif du moi égoïste et possessif, le détachement des contingences de la terre pour parvenir à l’équilibre du corps et, dans le meilleur des cas, de l’âme, pour s’ouvrir à l’infini de la transcendance”. Molto ben detto!

Ricordo che qualcuno mi sussurrò che l’anima di un libro – si può dire? – è rivelata dalla sua ultima parola. Lì – volenti o nolenti – sta la chiave d’interpretazione, il “segreto” dell’Autore. Se applichiamo all’opera fin qui a voi presentata, mi pare l’indicazione risulti giusta. L’ultima parola è: “trascendenza”, con la “t” minuscola. Sì, v’è in tutto il libro uno slancio – costatato ovunque, nel tempo e nello spazio degli uomini, – verso il trascendente, che mi azzarderei, io, – e me ne assumo tutte le responsabilità – a scrivere con la “T” maiuscola.

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Siamo alla parte finale del nostro intervento in cui cercherò – come dicevo all’inizio – di sintetizzare l’insegnamento ecclesiale, al centro, – diciamo così – nei documenti del nostro Dicastero su pellegrinaggi e santuari, ad indicarne l’attualità, direi anzi il risveglio, e a vederne quasi in controluce, la continuità, lo sviluppo, con il volume qui da me presentato o l’allontanamento e la variazione, se non la dissonanza. Quest’ultimo compito peraltro lo lascio a voi, perché io non farò che presentare, e abbastanza sommariamente perché il tempo passa veloce.

Cominciamo dal pellegrinaggio, concretamente dal documento pubblicato in occasione del Grande Giubileo del 2000 (v. People on the Move, N. 78, del dicembre 1998). Basterebbe la lettura dei capitoletti che lo compongono per farci l’idea comparativa che vi ho proposto. Li cito: il pellegrinaggio d’Israele, di Cristo, della Chiesa e poi quello verso il Terzo Millennio, nel contesto del pellegrinaggio dell’umanità. Successivamente è affrontato quello del cristiano oggi, “vissuto come celebrazione della propria fede; per il cristiano il pellegrinaggio è una manifestazione culturale da compiere con fedeltà alla tradizione, con sentimento religioso intenso e come attuazione della sua esistenza pasquale” (Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000, n. 32). Ne è meta la tenda dell’incontro con Dio, la tenda dell’incontro con la Chiesa e la tenda dell’incontro nella riconciliazione, dell’incontro eucaristico, con la carità e con l’umanità, oltre che cosmico, nonché con se stessi. Molto spesso v’è poi in tutto questo la Madre del Signore. Nella conclusione il documento attesta che “il pellegrinaggio simboleggia l’esperienza dell’homo viator”.

L’altro documento del nostro Pontificio Consiglio che qui richiamo porta il titolo “Il Santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente” e fu pubblicato nel 1999 dalla Libreria Editrice Vaticana.

S’inizia dal “Santuario, memoria dell’origine”, dell’opera di Dio, presentandolo come iniziativa “dall’alto”, che suscita stupore e ammirazione, azione di grazie, condivisione e impegno, considerandolo, successivamente, “luogo della divina presenza”, dell’alleanza, della Parola, dell’incontro sacramentale, e di comunione ecclesiale.

La terza parte del documento presenta finalmente il santuario come “profezia della patria celeste”, segno di speranza, quindi, un invito alla gioia, richiamo – qual è – alla conversione, al rinnovamento, simbolo dei cieli nuovi e della terra nuova.

Anche qui vi leggerò alcune frasi conclusive, anche perché sono in connessione con l’opera presentata, le seguenti: “Il santuario non è soltanto un’opera umana, ma anche un segno visibile della presenza dell’invisibile Dio. Per questo, si esige un’opportuna convergenza di sforzi umani e un’adeguata consapevolezza dei ruoli e delle responsabilità da parte dei protagonisti della pastorale dei santuari, proprio per favorire il pieno riconoscimento e l’accoglienza feconda del dono che il Signore fa al Suo popolo attraverso ogni santuario”. Non manca anche in questo documento la presenza di Maria, “santuario vivente” (n. 18) del Verbo di Dio, Arca dell’alleanza nuova ed eterna.

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Vogliamo, per concludere, fare pure qui la prova dell’ultima parola del testo? Per “Il pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000” v’è un “lui”, scritto minuscolo, ma che dovrebbe essere maiuscolo, perché Egli “cenerà con noi e noi con lui”, mentre per “Il Santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente” è proprio “Dio” l’ultima parola. Per gli Autori del volume qui presentato oggi credo sia consolante costatare che la loro espressione finale “il trascendente”, specialmente se letta – come ho suggerito – con la “T” maiuscola, trova conferma nella chiusura dei nostri due citati documenti. Grazie!

Pilgrimages in Time and Space 

Summary

 This presentation of the volume, I Pellegrinaggi nel mondo (Pilgrimages in the World), of J. Chélini and H. Branthomme, first offers the Archbishop-Secretary of this dicastery the opportunity for a long journey through the many paths of a book that is beautiful and complete. Goethe’s initial quotation, “Europe was born in pilgrimage and its mother tongue is Christianity”, makes us realize, moreover, the importance of the research illustrated in this book, also in the Sitz im Leben of Europe nowadays. In the final part Archbishop Marchetto synthesises the recent ecclesiastical teaching on pilgrimages and sanctuaries to show its relevance, indeed its revival. To confirm this statement, the Pontifical Council will soon publish in this same review (Supp. No. 97) the proceedings of the European Congress of Directors of Pilgrimages and Sanctuaries (Kevelaer, 20th - 23rd September 2004). 

Part I of this work is dedicated to pilgrimages through the centuries, and Part II to the travel of the pilgrim. Part III is about the goal of pilgrimage, the Shrine, while Part IV deals with pilgrims return home. Part V then illustrates forms of pilgrim life, and Part VI studies the pilgrimage of the living and the dead. The last part is about “The Pilgrimage in Human Society”.

Someone in the past suggested to Mons. Marchetto the idea that “the soul of a book” – if one can put it like that – is revealed in its last word. There is the key for interpretation, the “secret” of the author. If this idea is applied to the work presented here, the suggestion seems correct enough. The last word is “transcendence”, but spelt with a small “t”. In the whole book there is, actually, a leaning towards the transcendent, found everywhere in time and space. The Archbishop-Secretary ventures to write it here with a capital “T”, for which he assumes full responsibility.

In conclusion, Mons. Marchetto, to make a comparison, applies the same test on the last word of the texts of the two most recent pontifical documents on the same subjects (pilgrimages and sanctuaries). In doing so he noted that in The Pilgrimage in the Jubilee Year 2.000, there is, at the end, “he” (lui) written with a small letter, but that should be a capital letter, because He “will have supper with us and we with him”. In the document, The Sanctuary Memory, Presence and Prophecy of the Living God, “God” is the last word. For the writers of the book presented here, it is thus comforting to note that their final expression, “transcendence”, especially if read as suggested with a capital “T”, is confirmed by the end of the two above-mentioned documents of this Pontifical Council.

Les Pèlerinages dans le temps et l’espace 

Résumé 

La présentation du livre « Les pèlerinages dans le monde » de J. Chélini et H. Branthomme offre avant tout à l’Archevêque-Secrétaire du Dicastère l’occasion d’une longue chevauchée à travers les sentiers de cet ouvrage. Un beau travail complet, qui commence par une citation de Goethe: « L’Europe est née en pèlerinage et sa langue maternelle est le Christianisme », pour nous faire comprendre l’importance de cette recherche, confirmée également par la Sitz im Leben européenne d’aujourd’hui. L'ouvrage s'achève sur une synthèse de Mgr Marchetto qui passe en revue les derniers enseignements de l’Eglise, sur les mêmes arguments, en montrant que les pèlerinages et les sanctuaires sont d'une parfaite actualité, le signe même d'un réveil. A cet égard, notre Conseil Pontifical publiera prochainement sur cette Revue (Suppl. N. 97) les Actes du Congrès européen des Directeurs de Pèlerinages et Sanctuaires, organisé à Kevelaer, du 20 au 23 septembre 2004.

 La I° partie du livre en question est consacrée au pèlerinage à travers les siècles, la II° au voyage du pèlerin, la III° à son point de destination, le sanctuaire, alors que la IV° retrace le parcours du pèlerin en rentrant chez lui. La V° partie illustre enfin les différentes manières de vivre du pèlerin, la VI fait un récit du pèlerinage des vivants et des morts, alors que la dernière est une illustration du « pèlerinage dans la société des hommes ». 

Il avait été suggéré un jour à Mgr Marchetto que « l’âme d’un livre » se cache toujours dans le dernier mot du texte. Qu’on le veuille ou non, c’est là que la clef de l’interprétation, le « secret » de l’Auteur, se trouve. Si telle indication nous l’appliquons au livre que nous traitons ici, cela parait assez juste. Le dernier mot est « transcendance », mais avec un « t » minuscule. Tout l’ouvrage est en effet imprégné d'un élan qui nous pousse – constaté partout dans le temps et dans l’espace – vers le transcendant. L’Auteur n’hésite pas à doter le mot d'un « T » majuscule, prenant pour cela sur lui toute la responsabilité du changement.

Pour conclure Mgr. Marchetto décide de faire des comparaisons avec les derniers mots des deux plus récents documents pontificaux portant sur les mêmes sujets (pèlerinages et sanctuaires). Pour « Le pèlerinage dans le Grand Jubilé de l’An 2000 » le mot lui, à la fin, commence par un « l » minuscule, alors qu'il devrait être en majuscule, dans la mesure où il est écrit: Il « dînera avec nous et nous avec lui ». Pour « Le Sanctuaire. Mémoire, présence et prophétie du Dieu vivant » c'est le mot « Dieu » qui conclue le document. Un constat plutôt réconfortant pour les deux Auteurs de l'ouvrage présenté ici, dans la mesure où leur expression finale "transcendant", spécialement si elle est lue – comme suggéré – avec un « T » majuscule, trouve confirmation dans la clôture des deux documents du Conseil Pontifical cités ci-dessus.



* Conferenza pronunciata al “Centre Culturel Saint Louis de France”, il 17/02/2005, presente il Prof. Chélini

 

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