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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 98, August 2005 

 

 

 AlcunE considerazioni sull'Istruzione EMCC dal punto di vista del diritto

delle Chiese Orientali Cattoliche

 

Prof. P. Cyril VASIL', S.J.

Pontificio Istituto Orientale

 Roma 

 

Nuovo documento del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

La Chiesa vive con i suoi fedeli tutte le loro situazioni di vita e perciò non può essere estranea ad un fenomeno così profondo e radicale come è la migrazione umana. Oltre a un tradizionale modo pratico, secondo il quale il clero era solito accompagnare i gruppi che colonizzavano nuove terre, dalla metà dell'800 si rivela necessario affrontare questa problematica in un modo più cosciente ed articolato e di stabilire certe norme riguardo l'organizzazione della cura pastorale dei migranti.

Dopo una serie di documenti precedenti[1], oggi la Chiesa si rende conto che "le migrazioni odierne costituiscono il più vasto movimento di persone di tutti i tempi" e perciò c'è bisogno di "aggiornare la pastorale migratoria tenendo conto appunto dei nuovi flussi migratori e delle loro caratteristiche". Come "una risposta ecclesiale ai nuovi bisogni pastorali dei migranti" la Chiesa desidera presentare – oltre una riflessione teologica, sociologica e pastorale – anche un compendio pratico per "una puntuale applicazione della legislazione contenuta nel CIC e nel CCEO per rispondere in modo più adeguato anche alle particolari esigenze di quei fedeli emigrati orientali, oggi sempre più numerosi"[2].

Il risultato di questa nuova coscienza e della ricerca del miglior modo per affrontare un fenomeno migratorio, antico e sempre nuovo, è l'attuale Istruzione Erga migrantes caritas Christi (d'ora in poi solo EMCC) del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, approvata dal Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il 1 maggio 2004 e promulgata il 3 maggio 2004.      

I. Terminologia e fonti canoniche dell'Istruzione EMCC

Nel passato, in vari documenti ecclesiastici, talvolta anche nei documenti della Santa Sede, capitava che un lettore semplice, non "addetto ai lavori", doveva faticare per capire se un determinato testo fosse indirizzato esclusivamente alla Chiesa latina – numericamente maggioranza schiacciante dei fedeli cattolici – oppure intendeva descrivere e coinvolgere la realtà dell'intera Chiesa cattolica, percepita come varietas Ecclesiarum, cioè comprendendo anche i cattolici appartenenti alle diverse Chiese Orientali Cattoliche. Questi ultimi, pur essendo minoranza, rappresentano un segno importante, anzi imprescindibile, della "cattolicità" della Chiesa. Causa di tale difficoltà fu spesso l'utilizzo indiscriminato della terminologia teologica e canonica latina, considerata “universale”[3] e talvolta anche scarsa conoscenza generale della teologia e legislazione ecclesiastica orientale[4].

Già dal primo sguardo all'Istruzione EMCC si evince che questo documento è riuscito saggiamente a evitare un simile increscioso inconveniente. L'intera impostazione dell'Istruzione presenta per un cattolico orientale un segno concreto ed eloquente dell'attenzione all'universalità della Chiesa cattolica. L'universalità infatti va concepita non come uniformità ma piuttosto come unione, communio fra i diversi, nel rispetto delle peculiarità di tutti e nella ricerca del bene di ognuno.

A livello di terminologia vediamo nella EMCC un simultaneo uso dei termini tecnici sia latini che orientali, per esempio diocesi/eparchia, ordinario/gerarca, Conferenza Episcopale/Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali, ecc. L'aspetto orientale non si ferma soltanto all'introduzione dei binomi tecnici latino/orientali, ma cerca di prendere in considerazione anche altri aspetti disciplinari, amministrativi e liturgici nelle quali si differenziano le Chiese d'Oriente e d'Occidente.

Per quanto riguarda l'analisi statistica dei riferimenti alla normativa canonica, notiamo che a confronto di 24 riferimenti al CIC (di cui in 10 casi si tratta di canoni specifici del CIC senza controparte orientale), 9 volte con il canone del CIC viene citato anche il canone parallelo del CCEO, ma 5 volte non viene citato l’esistente canone parallelo del CCEO). Troviamo 34 riferimenti al CCEO (in 20 casi si tratta di canoni specifici al CCEO, in 9 casi il canone del CCEO è citato come parallelo ai canoni del CIC, mentre in 6 casi si tratta dei canoni del CCEO che hanno un parallelo latino che però non viene citato). Anche questa statistica – con tutti i limiti di una statistica – ci conferma l'attenzione dell'Istruzione alla specifica situazione dei cattolici orientali.

L'impostazione ecclesiologico-pastorale dell'Istruzione EMCC

Dal punto di vista delle Chiese Orientali Cattoliche ci interessa vedere come è stato concretamente espresso l'aspetto "orientale" dell'Istruzione, preannunciato sia nella sopraccitata Presentazione del documento, sia al suo n. 3 che afferma: "Questo documento, inoltre vuol rispondere ad alcune esigenze importanti e attuali. Ci riferiamo alla necessità di tenere in debito conto la nuova normativa dei due Codici Canonici vigenti, quello latino e quello orientale, rispondendo anche alle esigenze particolari dei fedeli emigrati delle Chiese Orientali Cattoliche, sempre più numerosi."

Infatti la partecipazione massiccia di cattolici orientali al fenomeno migratorio comincia dagli inizi del XX secolo, ma, come lo ricorda il n. 19, "nel secondo dopoguerra, nel secolo scorso, si fece ancora più drammatica la realtà migratoria non solo per le distruzioni causate dal conflitto, ma anche per l'acuirsi del fenomeno dei rifugiati (specie dai Paesi detti dell'Est), non pochi dei quali erano fedeli di varie Chiese Orientali Cattoliche."

Dato che la migrazione di cattolici orientali con gli anni non diminuisce, anzi, "nella mobilità umana ora sono legioni pure i fedeli delle Chiese Cattoliche Orientali dall'Asia e dal Medio Oriente, dall'Europa centrale e orientale, che si dirigono verso i Paesi d'Occidente, si pone in modo evidente il problema anche della loro cura pastorale, sempre nell'ambito della responsabilità decisiva dell'Ordinario di luogo d'accoglienza. Vanno quindi considerate con urgenza le conseguenze pastorali e giuridiche della loro presenza, sempre più consistente, fuori dai tradizionali territori e dei contatti che si vanno realizzando a vari livelli, ufficiali o privati, individuali o collettivi, tra comunità e tra singoli suoi membri. E la relativa normativa specifica, che consente alla Chiesa cattolica di respirare già, in un certo senso, con due polmoni, è contenuta nel CCEO." (n. 25).

La Chiesa da tempo affronta il complesso fenomeno della migrazione degli orientali verso il cosiddetto "Occidente", creando per loro apposite strutture gerarchiche. Basti ricordare che mentre al momento della pubblicazione dell'ultimo motu proprio di Paolo VI, Pastoralis Migratorum Cura, esistevano nel cosiddetto "Occidente" 17 Strutture Gerarchiche di tre Chiese Orientali Cattoliche (due metropolie, sei eparchie e sei esarcati ucraini, due eparchie rutene e infine un esarcato armeno)[5], oggi vediamo la "diaspora" orientale di dieci Chiese Orientali Cattoliche organizzata in 45 circoscrizioni ecclesiastiche (sei eparchie maronite, una eparchia e un esarcato siro-cattolici, due eparchie, due esarcati e due ordinariati armeni, due eparchie caldee, una eparchia siro-malabarese, cinque eparchie e due esarcati melkiti, una eparchia romena, una eparchia slovacca, una metropolia e tre eparchie rutene, due metropolie, dieci eparchie, tre esarcati ucraini)[6]. In caso di fedeli di alcune Chiese è difficile parlare di "diaspora in Occidente”, perché oramai la maggioranza di questi fedeli si trova in Occidente, mentre "l'Oriente" (in modo particolare il cosiddetto Medio Oriente, ossia “Proche Orient”) si svuota progressivamente della presenza di cristiani orientali in favore dell'espansione dell'Islam. Questa situazione, del tutto nuova, costituisce una sfida sia per l'ecclesiologia e per il diritto canonico che per gli stessi concetti di "Oriente" e "Occidente" come categorie territoriali e ecclesiologiche. Come assicurare la conservazione di questa arricchente varietà ecclesiale nell'epoca della unificazione e globalizzazione? A questi interrogativi cerca risposta anche l’Istruzione. 

Nella sezione chiamata "Migranti cattolici" ai nn. 49-51 troviamo di nuovo menzionati gli orientali, quando al n. 49 si afferma: "In relazione ai migranti cattolici la Chiesa contempla una pastorale specifica, dettata dalla diversità di lingua, origine, cultura, etnia e tradizione, o da appartenenza ad una determinata Chiesa sui iuris, con proprio rito, che si frappongono spesso a un pieno e rapido inserimento dei migranti nelle parrocchie territoriali locali, o che sono da tener presenti in vista dell'erezione di parrocchie o Gerarchia propria per i fedeli di determinate Chiese sui iuris."

Questo numero dell'Istruzione afferma un importante principio di diversificazione degli approcci che dovrebbero tenere i Vescovi latini, alla cura pastorale dei quali si trovano affidati i nuovi migranti. Tale diversificazione viene in un qualche modo annunciata già al n. 38 dell'Istruzione che cita i precedenti documenti del Magistero: "Concretamente le scelte pastorali specifiche per la accoglienza dei migranti si possono così delineare:

- cura di un determinato gruppo etnico o rituale, tesa a promuovere un vero spirito cattolico (cfr. LG 13);

- necessità di salvaguardare universalità e unità che non può contrastare, al tempo stesso, con la pastorale specifica, la quale possibilmente affida i migranti a Presbiteri della loro lingua, della stessa Chiesa sui iuris, o a Presbiteri ad essi affini dal punto di vista linguistico-culturale (cfr. DPMC 11)."

Ai sensi del citato n. 49 dell'Istruzione, mentre verso i migranti latini si presenta come obiettivo pastorale quello del loro "pieno e rapido inserimento nelle parrocchie territoriali locali", per i fedeli orientali la cura pastorale dovrebbe essere organizzata "in vista dell'erezione di Parrocchie o Gerarchia propria per i fedeli di determinate Chiese sui iuris." 

Così si potrebbe dire che per un Vescovo latino – a cui vengono affidati i migranti cattolici orientali – il traguardo finale della sua cura verso gli orientali cattolici dovrebbe essere – paradossalmente ma allo stesso tempo logicamente – quello di aiutarli a "uscire dalla sua cura pastorale", dando loro ogni aiuto possibile prima per organizzarsi nelle proprie parrocchie e infine perché un gruppo di queste parrocchie si costituisca in esarcato o in eparchia della rispettiva Chiesa sui iuris orientale, con Gerarca proprio. 

L'applicazione dell'Istruzione per evitare i conflitti del passato

In questo indirizzo generale dell'Istruzione vediamo un radicale cambiamento a confronto dell'atteggiamento che circa un secolo fa – all'epoca della grande migrazione verso il "Nuovo Mondo" – teneva la gerarchia latina in USA verso gli emigrati orientali. Infatti a questi orientali si suggeriva di passare alla Chiesa latina per il loro migliore inserimento culturale e religioso nella nuova patria.   

La migrazione degli orientali in America all'epoca colse la gerarchia latina locale, e in una certa misura anche la Santa Sede, del tutto impreparata ad affrontare tale flusso migratorio e a comprenderne le peculiarità sociali ed ecclesiali. L'idea originale di conglobare tutti i cattolici sotto l'unica giurisdizione – ovviamente latina – trovava il suo appoggio sia nella diffusa mentalità della praestantia ritus latini, sia nella sottovalutazione delle peculiari caratteristiche degli orientali[7].

Un classico esempio della mancanza di sensibilità nei confronti degli orientali è rappresentato dal noto caso della questione del servizio pastorale del clero uxorato. All'episcopato statunitense all'epoca era del tutto sconosciuta ed estranea l'esistenza del clero cattolico orientale uxorato, che specialmente nelle chiese di tradizione bizantina rappresenta l’assoluta maggioranza del clero eparchiale. L’insistenza dell'episcopato latino, perché la Santa Sede proibisse la migrazione e il  servizio pastorale del clero cattolico uxorato, ha portato infine alla pubblicazione di decreti proibitivi in questo senso. Questi decreti rimangono ancora oggi in vigore. All'epoca tali decreti hanno costituito una sorta di precedente giuridico, ma senza contenere una convincente e sufficiente motivazione di tale normativa. Gli orientali cattolici hanno sempre percepito questi decreti come preconcetto negativo nei riguardi della loro tradizione disciplinare e culturale. I veri motivi, anche se discutibili, sono oggi conosciuti; possiamo trovarli nelle lettere dell'episcopato americano del periodo in cui nasce la normativa restrittiva[8]. L'imposizione perentoria del celibato ed un atteggiamento di insensibilità nei confronti della diversità rituale e disciplinare dei cattolici orientali nel nome della "uniformità della disciplina" ha però causato la scissione di decine di migliaia di fedeli dalla Chiesa cattolica ed è all’origine di una nuova Chiesa ortodossa sul suolo americano[9].

Per fortuna, la Chiesa cattolica è capace di imparare dagli errori del passato. Testimone di questo approccio è l’attuale richiamo dell'Istruzione alla necessità di una "pastorale specifica" verso i migranti, che prende in considerazione il patrimonio liturgico e disciplinare della Chiesa sui iuris

 "Migranti cattolici di rito orientale" e norme concrete per la loro cura pastorale

Dopo la prima menzione di specificità dell’azione pastorale verso i cattolici orientali al n. 49 nella sezione "Migranti cattolici",seguono altri quattro numeri dell'Istruzione (nn. 52-55) raggruppati sotto il titolo "Migranti cattolici di rito orientale". Il titolo della sezione forse non è ideale, in quanto non esiste un "rito orientale", ma esistono cinque tradizioni rituali diversificate in 21 Chiese Orientali Cattoliche. Probabilmente sarebbe stato più preciso intitolare questa sezione "Migranti delle Chiese Orientali Cattoliche", ma a prescindere da tale dettaglio[10]è importante il contenuto dei quattro numeri dell'Istruzione. 

Questa sezione si può considerare un approfondimento di quello che riguardo alla costituzione di Chiese sui iuris è stato detto al n. 26. Un preciso richiamo dei nn. 52-55 ai canoni sia del CIC che del CCEO si concentra sul dovere dei fedeli di conservare il proprio rito e sul dovere dei vescovi propri e anche di quelli latini (nel caso dell'assenza della gerarchia propria) di assicurare una loro adeguata cura pastorale.

Questa sarà possibile nella misura in cui la Gerarchia riuscirà a compiere il suo dovere, ricordatole al n. 52, cioè di curare che "coloro i quali hanno relazioni frequenti con fedeli di altro rito lo conoscano e venerino (cfr. CCEO can. 41)".Ovviamente, in primo luogo deve in questo senso sforzarsi ogni Operatore pastorale delle migrazioni che secondo il n. 78 ha come suo compito "la tutela dell'identità etnica, culturale, linguistica e rituale del migrante, essendo per lui impensabile una azione pastorale efficace che non rispetti e valorizzi il patrimonio culturale dei migranti, che deve naturalmente entrare in dialogo con la Chiesa e la cultura locale per rispondere alle nuove esigenze."

La diversità "rituale" (o piuttosto la diversa appartenenza a singole Chiese sui iuris) la vediamo valorizzata anche al n. 91 dell'Istruzione, che prospetta la creazione di diverse Strutture pastorali, corrispondenti a diverse situazioni e necessità nelle quali si trovano i migranti. Oltre la formula classica di Missio cum cura animarum, vediamo che l'Istruzione prospetta la creazione delle seguenti strutture:

- Parrocchia personale etnico-linguistica o rituale,

- Parrocchia locale con missione etnico-linguistica o rituale

- Servizio pastorale etnico-linguistico a livello zonale.In quest'ultimo caso la distinzione "rituale" non appare nel titolo del servizio, ma dal testo seguente[11] è previsto pure di conservare alcuni elementi di pastorale legata ad un rito.            

*    *    *

La mirabile varietas Ecclesiarum, risultato di lungo sviluppo storico, culturale, spirituale e disciplinare, costituisce un tesoro della Chiesa, “regina in vestitu deaurato circumdata varietate”[12] che attende lo sposo con fedeltà e pazienza di vergine saggia, fornita di abbondante riserva d’olio perché la luce della lampada possa illuminare tutte le genti nella lunga notte dell’attesa dello Sposo. La normativa canonica, grazie e attraverso un adeguato approccio verso situazioni ecclesiali diverse, sia orientali che occidentali, mediante modifiche e diversificazioni di normativa giuridica, di direttive pastorali e per capacità di adattamento, si rivela uno strumento al servizio della Chiesa per facilitare tale cammino, per guidare l’intero Popolo di Dio sulla retta strada del Vangelo – tale è il suo scopo principale e il motivo della sua esistenza.

Questa attenta diversificazione dell’approccio, che caratterizza la normativa generale della Chiesa, la vediamo applicata anche nell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi,che fa di questo documento uno strumentopastorale atto ad aiutare la Chiesa nell’affrontare le sfide migratorie dell’inizio del terzo millennio.

II. Contributo alla discussione e alla lettura più attenta dell'Istruzione

L'Istruzione si presenta a prima vista con intento non soltanto descrittivo o esortativo riguardo al fenomeno migratorio, ma intende formulare concrete norme di carattere canonico. Oltre il fatto che queste norme sono contenute in numerosi brani dell'Istruzione, segue pure all'Istruzione stessa, dopo la Conclusione, una sezione intitolata Ordinamento giuridico-pastorale. Tale Ordinamento è diviso in premessa e in sei capitoli contenenti 22 articoli, che in maniera concisa e con linguaggio canonico riassumono la normativa contenuta nelle quattro parti dell'Istruzione. 

Circa l'opportunità e la modalità di tale iniziativa del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che in questo modo vuole coinvolgere anche i fedeli delle Chiese cattoliche orientali sui iuris, sono stati recentemente sollevati alcuni dubbi[13], ma in questa sede – fait accompli – ci limitiamo ad analizzare la normativa senza approfondire e discernere gli aspetti formali e le modalità della sua emanazione.

Abbiamo sottoposto il testo ad un vaglio critico, specialmente dal punto di vista terminologico e formale, sia dell'Istruzione sia dell'Ordinamento. Certamente non abbiamo fatto ciò con l'intento di sminuire l'importanza dell'Istruzione e del suo contributo positivo per affrontare la questione della migrazione, ed in modo particolare quella della migrazione dei fedeli appartenenti alle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris. Al contrario, il fatto che (a parte pochi casi) quando nell'Istruzione viene trattata la materia delle Chiese Orientali Cattoliche e dei loro fedeli vediamo applicato – si potrebbe dire quasi puntigliosamente – ogni doveroso "distinguo"  e "secundum quid", questo costituisce dal punto di vista delle Chiese Orientali Cattoliche, a nostro parere, uno dei maggiori pregi dell’Istruzione. 

Assumendo perciò in seguito il compito del cosiddetto advocatus diaboli e cercando di trovare eventuali punti deboli dell'Istruzione, siamo convinti che risulteranno maggiormente i suoi punti forti.

Alcuni punti che necessitano un'analisi canonica

Come ogni opera umana, nonostante tanti pregi e lati positivi, anche nell'Istruzione EMCC possiamo trovare qualche incongruenza, oppure qualche punto discutibile che necessita una spiegazione o "lettura contestuale" più articolata, che tentiamo di suggerire.

Ad n. 25 e 74

Al n. 25 dell'Istruzione leggiamo: "Poiché nella mobilità umana ora sono legioni pure i fedeli delle Chiese Cattoliche Orientali dall'Asia e dal Medio Oriente, dall'Europa centrale e orientale, che si dirigono verso i Paesi d'Occidente, si pone in modo evidente il problema anche della loro cura pastorale, sempre nell'ambito della responsabilità decisiva dell'Ordinario di luogo d'accoglienza". Il termine "l'Ordinario del luogo" è un termine tecnico esplicito e tipico del CIC, cioè della Chiesa latina. Senza una dovuta specificazione e in assenza del binomio Ordinario/Gerarca, utilizzato in altri passi dell'Istruzione, a stretto rigore dal testo si potrebbe trarre la conclusione che l'Ordinario del luogo, cioè l'Ordinario latino, abbia la responsabilità decisiva ed esclusiva circa tutti i migranti, anche quelli appartenenti alle Chiese Orientali sui iuris. Questo corrisponderebbe alla normativa canonica ovviamente solo nel caso che l'Ordinario latino sia unico Ordinario cattolico con la giurisdizione su determinato territorio. Nel caso che sullo stesso territorio si estenda la giurisdizione anche di un Gerarca di una Chiesa Orientale Cattolica, sarà costui ad avere la responsabilità decisiva verso gli emigranti appartenenti a questa Chiesa sui iuris. Tale modo di interpretare il testo del n. 25 ci sembra essere confermato anche da quanto viene stabilito al n. 74. In questo numero, parlando del Coordinatore nazionale dei Cappellani/Missionari di migranti, si afferma: "Egli non ha competenza diretta, invece, sui migranti che, in ragione del domicilio o del quasi domicilio, sono soggetti alla giurisdizione degli Ordinari/Gerarchi delle Chiese particolari o delle Eparchie. Non ha nemmeno potestà di giurisdizione sui Cappellani/Missionari, i quali sottostanno, per quanto riguarda l'esercizio del ministero, all'Ordinario/Gerarca del luogo, dal quale ricevono le relative facoltà." Come vediamo in questo punto l'Istruzione, utilizzando il binomio Ordinari/Gerarchi, prevede logicamente, che là dove è già stabilita la gerarchia orientale sia questa ad avere la "responsabilità decisiva" verso i migranti appartenenti a Chiesa Orientale Cattolica sui iuris.

La continuazione del n. 74 rivela però un'altra probabile svista terminologico-tipografica. Affermando che "Il Coordinatore nazionale dovrà dunque operare in stretto contatto con i Direttori nazionali e diocesani della pastorale per i migranti", vista la mancanza dell'uso del binomio diocesani/eparchiali potrebbe sembrare che il Coordinatore nazionale entri in relazione solo con i responsabili latini (diocesani) per la cura dei migranti e non anche con quelli orientali (eparchiali). In questo caso ci sembra poter dedurre che si tratti davvero soltanto di una svista terminologica, perché la summenzionata "stretta" interpretazione sarebbe in palese contraddizione con l'enunciato iniziale del n. 74: "Verso i Cappellani/Missionari il Coordinatore nazionale svolge funzioni di fraterna vigilanza, di moderazione e di collegamento fra le varie comunità", includendo ovviamente fra le "varie comunità" anche quelle la cui varietà si basa sull'appartenenza alle diverse Chiese sui iuris.

Ad n. 26

Nel n. 26, quando si asserisce che il CCEO contempla la costituzione di Chiese sui iuris, come canone di riferimento viene indicato il can. 147[14]. Questo canone però contempla la situazione di fedeli che si trovano in territorio di una Chiesa patriarcale, ma che non appartengono a questa Chiesa e sono privi del Gerarca proprio. Certamente tale situazione si può presentare, ma è molto più frequente la situazione della migrazione di cattolici orientali fuori dai territori tradizionali delle Chiese patriarcali, specialmente verso i paesi d'Occidente. In tal caso sarebbe stato piuttosto pertinente un riferimento al CCEO can. 148[15] che contempla il ruolo del Visitatore, mandato dal Patriarca di una Chiesa orientale per verificare la situazione dei fedeli emigrati, onde poter suggerire alla Santa Sede le forme più adeguate per la loro cura pastorale, includendo fra queste anche la creazione di nuove circoscrizioni amministrative, come parrocchie, esarcati, eparchie e di conseguenza anche metropolie.

Ad art. 5 § 2[16]

A norma dell'art. 5 § 2 il "canale" per assicurare l'arrivo e distribuzione pastorale dei Cappellani/Missionari dei migranti è la Conferenza Episcopale ad quam. La mancanza dell'utilizzo del binomio Conferenza Episcopale/competente Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali Cattoliche in questa parte dell'art. 5 § 2 potrebbe suscitare sicuramente fra gli orientali notevole perplessità.

L’attuale formulazione infatti sembra fatta esclusivamente per dei migranti e Cappellani della Chiesa latina. Per migranti e rispettivi Cappellani/Missionari appartenenti alle Chiese Orientali Cattoliche si possono verificare infatti le seguenti situazioni di cui avrebbe dovuto tenersi maggior conto nella formulazione dell’art. 5 §2.

a) Gli orientali migrano in un territorio dove esiste solo la gerarchia latina - in questo caso sono soggetti alla cura pastorale dei rispettivi vescovi latini che sono loro ordinari propri e che devono provvedere alle loro necessità spirituali (cfr. anche nn. 54 e 55 dell'Istruzione).

b) Gli orientali migrano in un territorio dove esistono le gerarchie di diverse Chiese sui iuris, ma non quella cui appartengono.

c) Gli orientali migrano in un territorio dove esistono già le strutture gerarchiche, cioè gli esarcati o le eparchie o addirittura le metropolie della loro Chiesa sui iuris, erette per i fedeli fuori del territorio delle "Chiese madri" Orientali.

d) Gli orientali migrano in territorio dove esiste una loro Chiesa orientale cattolica sui iuris con la piena struttura gerarchica e giuridica.

Nel caso a) sicuramente non sussiste nessuna difficoltà con l'applicazione dell'art. 5, anzi tale modo di procedere sembra del tutto logico.

Situazione radicalmente differente si presenta nei casi b), c) e d).

Nel caso b) deve essere prima stabilito chi sarà il Gerarca proprio di questi fedeli emigrati. Il CCEO nel can. 916 § 5[17] lascia questa decisione per i migranti delle Chiese patriarcali al loro Patriarca (in virtù del CCEO can. 152 ciò vale anche per i fedeli delle Chiese arcivescovili maggiori e i rispettivi Arcivescovi maggiori) e per altri migranti orientali alla decisione della Sede Apostolica. Una volta stabilito chi è il Vescovo proprio di questi migranti orientali (non necessariamente il Vescovo latino del luogo), sembrerebbe più logico che il nuovo Cappellano/Missionario dei migranti si presenti in primo luogo a questo Gerarca e non alla Conferenza Episcopale latina, che può essere del tutto estranea alla questione.

Vediamo un esempio concreto. Per i fedeli della Chiesa patriarcale copta cattolica, che emigrano in Libano, è stato indicato da diversi decenni come Gerarca proprio il Patriarca maronita. Invece l’applicazione rigorosa dell'art. 5 § 2 dell'Istruzione supporrebbe che il Patriarca copto mandi il suo presbitero, destinato a servire i migranti copti in Libano, prima alla Conferenza Episcopale del Libano (che non esiste, ma avrebbe come corrispondente l’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici nel Libano), che poi dovrebbe provvedere alla destinazione di tale presbitero al Vescovo competente (in questo caso al Patriarca maronita). Tale modo di procedere – se non altro – allunga la burocrazia e intanto fornisce alla Conferenza Episcopale latina una nuova competenza che in determinati casi potrebbe risultare eccessiva o ingiustificata.

Nel caso c) sembrerebbe più logico che il Vescovo (Metropolita o Patriarca) orientale che manda il suo presbitero a servire i migranti della propria Chiesa entrasse direttamente in contatto con il Vescovo eparchiale della propria Chiesa sui iuris, senza fare necessariamente il giro attraverso la Conferenza Episcopale latina. Infatti, tale situazione si può presentare anche sullo stesso territorio di una Chiesa patriarcale che sia diviso in vari stati politici. Per es. immaginiamo in un domani una massiccia migrazione dei fedeli caldei dall’Iraq (un fenomeno purtroppo ormai in atto), verso Siria o Libano. Forse il Patriarca Caldeo, per mandare i presbiteri a servire questi nuovi migranti, deve indirizzarli prima alla Conferenza Episcopale di Libano o di Siria (cioè all’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici nel Libano oppure all’Assemblea della Gerarchia cattolica in Siria) piuttosto che entrare direttamente in comunicazione con i locali vescovi caldei, suoi sudditi, che si trovano sul territorio della Chiesa di cui lui è pater et caput? Oppure, quando migreranno dall' Iraq in Libano i Siri cattolici, perché il sacerdote Siro cattolico di Iraq mandato dal suo Vescovo dovrebbe presentarsi in Libano alla "Conferenza Episcopale ad quam" (cioè all’Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi cattolici nel Libano) piuttosto che direttamente al suo Patriarca che risiede in Libano? Ora, nei possibili casi contemplati sopra è da tenere presente che esistono territori – destinazione delle migrazioni – dove la presenza e la struttura della Chiesa latina è piuttosto marginale, tanto che possono anche mancare le Conferenze Episcopali ecc. In questo caso un'applicazione letterale dell'art. 5 § 2 non sarebbe tecnicamente possibile.

Una variante di questa situazione può essere la seguente: attualmente emigrano in America del Nord numerosi Ucraini cattolici. Da decenni esiste per questi fedeli sia in USA che in Canada una struttura della Chiesa ucraina, organizzata a livello delle metropolie (sia in Canada che in USA). Ora, un nuovo sacerdote ucraino cattolico, mandato dall'Arcivescovo maggiore di Leopoli per servire i migranti ucraini dovrebbe presentarsi alla Conferenza Episcopale canadese o statunitense (cioè "Conferenza Episcopale ad quam" nei termini dell'art. 5 di EMCC) che poi provvederà ad affidare tale presbitero al rispettivo Vescovo eparchiale ucraino in Canada o negli Stati Uniti? Non sarebbe più logico presentarsi piuttosto al Metropolita Ucraino, o anche direttamente al Vescovo ucraino del luogo, nell'eparchia del quale si deve svolgere il ruolo di cappellano?

Vediamo infine la situazione d). La formula attuale non contempla l’ipotesi che nel paese di destinazione ci possa essere una piena struttura gerarchica di una delle Chiese Orientali Cattoliche, corrispondente, anzi dal punto di vista funzionale e giuridico-legislativo, superiore alla Conferenza Episcopale della Chiesa latina. Questa è, per esempio, la situazione della Chiesa metropolitana sui iuris di Pittsburgh, eretta per i fedeli di rito bizantino-ruteno, (più semplicemente per i cattolici orientali slavi che non appartengono alla Chiesa ucraina)[18]. La migrazione di questi fedeli è stata massiccia fra le due guerre e dopo la seconda guerra mondiale, ma la caduta della cortina di ferro, accompagnata dalla crisi economica negli ex-paesi comunisti dell'Europa centro-orientale, crea i presupposti per una nuova ondata migratoria. La mancanza delle vocazioni sacerdotali di questa Chiesa negli Stati Uniti e la necessità di assicurare l'assistenza pastorale sia agli emigrati di vecchia data (oppure ai loro discendenti di seconda e terza generazione) che ai nuovi migranti che si riversano attualmente sul suolo americano, richiedono l'invio di sacerdoti dai paesi d'origine dei migranti. 

Però, si può credere che negli Stati Uniti d'America, per accettare un sacerdote per il servizio della Chiesa metropolitana rutena sarebbe più pratico e più logico lasciare la competenza al Consiglio dei Gerarchi di questa Chiesa e non alla Conferenza Episcopale statunitense, che rappresenta la struttura ecclesiastica della Chiesa latina. Applicando alla lettera la disposizione dell'art. 5: "si mettano a disposizione di servizio della Conferenza Episcopale ad quam (…). La Conferenza Episcopale ad quam provvederà poi ad affidare tali Presbiteri al Vescovo diocesano o eparchiale o ai Vescovi delle Diocesi o Eparchie interessate…" si può creare una falsa impressione che la Conferenza Episcopale sia un organo giuridico e gerarchico superiore anche per i vescovi e per i metropoliti orientali cattolici e per il Consiglio dei gerarchi delle Chiese Orientali Cattoliche di grado metropolitano sui iuris. Un'altra possibile falsa impressione potrebbe essere che la Conferenza Episcopale presenti una struttura territoriale sovra-rituale e sovra-ecclesiale, insomma che rappresenti la "Chiesa cattolica", e perciò le spetti la competenza di organizzare e coordinare i bisogni pastorali "di diversi riti". Per una mentalità giuridica orientale ciò è difficilmente accettabile. Infatti il CCEO per risolvere le questioni pastorali concernenti diverse Chiese sui iuris prevede un'altra struttura, descritta nel titolo IX del CCEO De conventibus Hierarcharum plurium Ecclesiarum sui iuris[19]

Come sembra logico che il sacerdote latino, per es. polacco o portoricano, mandato dal suo Vescovo per il servizio degli emigranti polacchi o portoricani, si presenti alla Conferenza Episcopale (latina) e nessuno pensa che dovrebbe presentarsi al Consiglio dei Gerarchi della Chiesa bizantino-rutena, il principio di "pari dignitas Ecclesiarum" suggerisce, come logico, che il sacerdote ruteno, mandato per es. dall'Ucraina Transcarpatica, per servire i nuovi emigranti Ruteni stabilitisi a Pittsburgh, si presenti in primo luogo al Consiglio dei Gerarchi della Chiesa Metropolitana di Pittsburgh, che rappresenta sul terreno degli Stati Uniti la suprema autorità della Chiesa Rutena. La Conferenza Episcopale degli Stati Uniti – in quanto struttura della Chiesa latina – non dovrebbe avere nessuna giustificazione per esercitare competenza diretta su una delle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris, come lo è la Chiesa Metropolitana di Pittsburgh.    

È vero che in un documento non si possono contemplare tutti i casi immaginabili, ma la formulazione e l’interpretazione della norme di carattere canonico deve cercare di evitare contraddizioni sia con le altre norme in vigore, che con l’intero spirito della legislazione. 

Unica spiegazione plausibile dell'assenza del binomio Conferenza Episcopale/competente Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali Cattoliche nel testo dell' art. 5 § 2, ci sembra la svista tipografica, altrimenti si dovrebbe supporre la volontà di creare una nuova norma, discutibile e in contrasto con il principio della pari dignitas Ecclesiarum.

Per evitare tale impressione si dovrebbe interpretare l'art. 5 § 2 nel senso che per accogliere e distribuire i Cappellani/Missionari sia competente la Conferenza Episcopale ad quam, oppure – se esiste – una competente Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali Cattoliche.

Tale interpretazione sembra confermata dalla formulazione di un altro articolo dello stesso Ordinamento giuridico-pastorale. Leggiamo nell'art. 18 § 2: "I Vescovi diocesani o eparchiali dei luoghi a quibus si preoccupino inoltre di cercare Presbiteri diocesani/eparchiali adatti alla pastorale con gli emigranti e non trascurino di mettersi in stretta relazione con la Conferenza Episcopale, o la rispettiva Struttura Gerarchica della Chiesa Orientale Cattolica, della Nazione ad quam per stabilire un aiuto nella pastorale."

Questo testo suppone che il Vescovo del territorio e della Chiesa sui iuris, da dove vengono i migranti entrerà in contatto, anzi in stretta relazione con la "Conferenza Episcopale, o la rispettiva Struttura Gerarchica della Chiesa Orientale Cattolica, della Nazione ad quam". L'utilizzo del binomio latino/orientale " la Conferenza Episcopale, o la rispettiva Struttura Gerarchica della Chiesa Orientale Cattolica" per indicare l'autorità competente, con cui deve mettersi in contatto il Vescovo che manda il presbitero ad assicurare la cura pastorale dei migranti, offre una chiara chiave di interpretazione al problema che abbiamo esposto riguardo alla formulazione e applicabilità dell'art. 5 § 2. 

Se non fosse così, il Vescovo orientale, prima di mandare il suo presbitero ad assistere i migranti, dovrebbe concordare tutto con la Struttura Gerarchica della Chiesa Orientale in territorio ad quam, ma il presbitero, una volta nel paese, dovrebbe mettersi a disposizione della Conferenza Episcopale latina, che provvederebbe alla sua destinazione. L'assurdità di tale ipotesi conferma la necessità di interpretare e applicare l'art. 5 § 2 nel modo suggerito sopra.

 

[1] Cfr. Decreto Ethnografica studia della Sacra Congregatio Consistorialis del 1914 (AAS VI/1914/182-186); Decreto Magni semper della medesima Congregazione del 1918 (AAS XI/1919/39-43); Costituzione Apostolica Exsul Familia di Pio XII del 1 agosto 1952 (AAS XLIV/1952/649-704). Il Concilio Vaticano II segna un momento decisivo per la cura pastorale dei migranti e i suoi documenti trattano tale problematica in molteplici punti. Nel periodo successivo al Concilio il suo insegnamento circa i migranti viene nel 1969 riassunto nel Motu proprio di Paolo VI Pastoralis Migratorum Cura (AAS LXI/1969/601-603) che promulgava l'Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De Pastorali Migrantum Cura (AAS LXI/1969/614-643). Dopo la creazione, nel 1970, della Pontificia Commissione per la Pastorale della Migrazione e del Turismo (che nel 1988, con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus, è diventata l'attuale Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti), segue nel 1978 la Lettera Circolare alle Conferenze Episcopali Chiesa e mobilità umana (AAS LXX/1978/ 357-378).

[2] Cfr. Istruzione Erga migrantes caritas Christi (EMCC), Presentazione.

[3] Tale conclusione si può trarre ancora oggi dalla formulazione - forse poco felice - utilizzata nel CIC '83 che chiama le leggi della Chiesa latina leges universales, mentre sarebbero da considerare universales solo le leggi riguardanti tutta la Chiesa cattolica. Migliore è la terminologia usata dal CCEO.

CCEO can. 1492 ‑ Leges a suprema Ecclesiae auctoritate latae, in quibus subiectum passivum expresse non indicatur, christifideles Ecclesiarum orientalium respiciunt tantummodo, quatenus de rebus fidei vel morum aut de declaratione legis divinae agitur vel explicite de eisdem christifidelibus in his legibus disponitur aut de favorabilibus agitur, quae nihil ritibus orientalibus contrarium continent.

CCEO can. 1493 ‑ § 1. Nomine iuris communis in hoc Codice veniunt praeter leges et legitimas consuetudines universae Ecclesiae etiam leges et legitimae consuetudines omnibus Ecclesiis orientalibus communes.

 § 2. Nomine vero iuris particularis veniunt omnes leges, legitimae consuetudines, statuta aliaeque iuris normae, quae nec universae Ecclesiae nec omnibus Ecclesiis orientalibus communes sunt.

[4] All'illustrazione di ciò basti ricordare che nelle prime edizioni del Catechismo della Chiesa cattolica si faceva riferimento ad un Corpus (sic!) Canonum Ecclesiarum Orientalium, cioè ad un documento non esistente, distorcendo così il nome del Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium promulgato da Giovanni Paolo II il 17 ottobre 1990, mentre nell’editio tipica latina è Canonum Ecclesiarum Orientalium Codex (sic!).

Cf. Catechismo della Chiesa cattolica, Libreria Editrice Vaticana, 1992, 734. 

Nell’edizione del 1993 troviamo riferimento corretto al Codex Canonum Ecclesiarum nell’indice a p. 734, ma tutti i riferimenti ai canoni nel testo (nn. 1213, 1269, 1250, 1246 ecc.) rinviano all’inesistente Corpus Canonum Ecclesiarum Orientalium. 

Nell’edizione latina, fatta dalla Libreria Editrice Vaticana con il testo tipico latino del 1997 e testo italiano del 1999 troviamo nelle note citato il CCEO con la sigla abbreviata che a sua volta è correttamente spiegata fra le sigle a p. 5 come Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium, ma nell’Indice, di fronte alla corretta traduzione italiana come Codice dei Canoni delle Chiese Orientali quale corrispondente titolo latino è indicato Canonum Ecclesiarum Orientalium Codex  (sic!).

[5] Cf. Annuario Pontificio 1969, 1317-1319.

[6] Cf. Annuario Pontificio 2004, 1059-1062.

[7] Nella corrispondenza dei vescovi latini di America con Propaganda fide troviamo spesso le espressioni: "omnes, quot quot sunt Ruteni immigrati, ad ritum latinum amplectendum adducendos esse" - "Omnes in hoc convenerunt, alium ritum in Americam invectum generatim loquendo magis nocere quam rei ecclesiasticae prodesse - Cf. Ireland - CPF, 17.III.1888, Scritture riferite nei Congressi Generali (1884-1892) 1540, Archivio della Congregazione Propaganda Fide.

[8] Fra questi si trova per es. la difficoltà di spiegare ai fedeli latini che il celibato sacerdotale vige solo nella Chiesa latina. Scrive mons. Wigger, vescovo di Newark: "So dal confessionale che vi sono ragazze le quali si innamoriscono in giovani preti. In questi casi è spesso ben difficile farle capire che la chiesa non concederà mai ai preti cattolici di rito latino di ammogliarsi. Ora se vi vengono preti del rito greco, con moglie, e se noi dobbiamo spiegare che questo si permetta dalla chiesa cattolica, allora sarà impossibile di far capire a queste signore che questo non sia possibile anche per altri preti." Cf. Wigger - CPF, 21.V.1888, Sacra Congregazione per le Chiese Orientali: Rubrica - Ruteni (1-26) Giacobiti (27) USA/ volumen 117/ an. 1887-1892, 1925; Archivio della Congregazione Propaganda Fide. Un effetto negativo ha avuto anche la preoccupazione che la presenza del clero uxorato sia nociva al rispetto per il clero cattolico "Non si potrà mai spiegare a nostri cattolici che si permetta ad un prete cattolico di ammogliarsi. Non lo capiranno mai; e se lo capissero, perderebbero molto di quel rispetto che hanno adesso per un prete cattolico." Ivi. 

Tutto sommato, agli occhi dei vescovi latini di quell'epoca la situazione è stata la seguente: "presence of married priest of the Greek rite is a constant menace to the chastity of our unmarried clergy, a source of scandal to the laity and therefore the sooner this point of discipline is abolished before these evils attain large proportions, the better for religion, because the loss of a few souls of the Greek rite, bears no proportion to the blessing resulting from uniformity of discipline."Fourth Meeting of the Archbishops (Chicago 1893) 91, V1, Archives of the Archdiocese of Baltimore.

[9] Cf. R. ROBERSON, The Eastern Christian Churches, Edizioni “Orientalia Christiana”, Roma 19996, 98; 112-113.

[10] Infatti, anche nello stesso CIC (per es. c. 450 § 1) e in altri documenti della Santa Sede, a differenza dalla chiara terminologia introdotta dal CCEO, troviamo espressioni di appartenenza al "Rito" piuttosto che alla Chiesa sui iuris. Così anche in un recente documento della Congregazione per i Vescovi leggiamo: "I Vescovi cattolici di rito orientale con sede nel territorio della Conferenza Episcopale, possono essere invitati all'Assemblea Plenaria dell'Organismo con il voto consultivo." Cf. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, 22. II. 2004, Città del Vaticano 2004, n. 29, p. 38.

[11] "Vi può essere altresì il Servizio pastorale etnico‑linguistico a livello zonale, concepito come azione pastorale in favore di immigrati relativamente integrati nella società locale. Sembra importante infatti conservare alcuni elementi di pastorale linguistica, o legata ad una nazionalità, o a un rito, impegno che assicuri servizi essenziali, e legati a un certo tipo di cultura e pietà e curi, nello stesso tempo, l'apertura e l'interazione tra la comunità territoriale e i vari gruppi etnici."

[12] Dal salmo 44, citato anche da Leone XIII nell’introduzione della sua Lettera apost. Orientalium Dignitas del 30 novembre 1894.

[13] Sulle modalità dell'emanazione di tali norme e sulla loro applicazione verso i fedeli orientali ha recentemente sollevato il dubbio il prof. Antonio Viana dall'Università di Navarra al XII° Congresso Internazionale di Diritto canonico della Consociatio Internationalis Studio Iuris Canonici Promovendo tenutosi a "Notre Dame du Mont" - Adma, Libano dal 20 al 25 settembre 2004. Nel testo distribuito alla conferenza (in via di pubblicazione) alla p. 19 leggiamo: "En efecto, es llamativo que la normativa especial sobre la emigración se formalice mediante una instrucción (norma prevista por el c. 34 CIC, pero no por las normas generales del CCEO) publicada por un Consejo Pontificio sin habilitación especial por parte del Papa, y sin intervención formal de la Congregación para las Iglesias Orientales. En mi opinión habría sido necesaria una delegación especial pontificia o bien una approbatio in forma specifica por el Papa para revolver toda duda sobre el alcance de la Instrucción Erga migrantes. Además, a la vista de la distribución material y personal de competencias establecida por la const. Pastor Bonus, la Instrucción habría debido ser publicada con intervención formal de la Congregación para las Iglesias Orientales, sola o junto con el Consejo Pontificio para la Atención espiritual de los Emigrantes e Itinerantes. (…) [in nota 65]: Otro aspecto problemático de la Instrucción Erga migrantes es la competencia del Consejo Pontificio para la Atención espiritual de los Emigrantes e Itinerantes de publicar instrucciones, competencia que la misma Instrucción autoafirma en el art. 22 § 2,2 aunque no encuentro bases para ello en la const. Pastor Bonus.(…) Por último, cabe recordar, por lo que se refiere a la interpretación de alcance de las normas sobre los orientales, el contenido del c. 1492 CCEO, que se refiere sin embargo a leyes promulgadas por la autoridad suprema y no a normas administrativas publicadas por los dicasterios de la curia romana. En resumen, no acaba de explicarse cuál es la justificación de que el problema migratorio de los católicos orientales se regule canónicamente mediante una instrucción, en lugar de una norma personal del Papa (o por delegación suya, o por aprobación pontificia en forma específica), y sin intervención formal de la Congregación para las Iglesias Orientales."

[14]CCEO can. 147 ‑ Intra fines territorii Ecclesiae patriarchalis potestas Patriarchae ac Synodorum exercetur non tantum in omnes christifideles eidem Ecclesiae ascriptos, sed etiam in ceteros, qui Hierarcham loci propriae Ecclesiae sui iuris in eodem territorio constitutum non habent quique, etsi propriae Ecclesiae permanent ascripti, curae Hierarcharum loci eiusdem Ecclesiae patriarchalis committuntur firmo can. 916, § 5.

[15]CCEO can. 148 ‑ § 1. Patriarchae ius et obligatio est circa christifide­les, qui extra fines territorii Ecclesiae, cui praeest, commorantur, opportunas informationes exquirendi etiam per Visitatorem a se de assensu Sedis Apostolicae missum.

 § 2.Visitator, antequam suum munus init, Episcopum eparchia­lem horum christifidelium adeat eique nominationis litteras exhibeat.

§ 3. Visitatione peracta Visitator ad Patriarcham relationem mittat, qui re in Synodo Episcoporum Ecclesiae patriarchalis discussa Sedi Apostolicae opportuna media proponere potest, ut ubique terrarum tuitioni atque incremento boni spiritualis christifidelium Ecclesiae, cui praeest, etiam per erectionem paroeciarum ac exarchiarum vel eparchiarum propriarum provide­atur. 

[16] Art. 5 § 1. Il Vescovo diocesano o eparchiale voglia concedere la licenza di assumerlo [compito] a quei Presbiteri che desiderano dedicarsi all'assistenza spirituale dei migranti e che ritiene adatti per tale missione, secondo quanto stabilito dal CIC can. 271 e dal CCEO cann. 361‑362, nonché dalle disposizioni del presente ordinamento giuridico‑pastorale.

§ 2. I Presbiteri, che abbiano ottenuto il dovuto permesso di cui al paragrafo precedente, si mettano a disposizione di servizio della Conferenza Episcopale ad quam, muniti dell'apposito documento loro concesso, tramite il proprio Vescovo diocesano o eparchiale e la propria Conferenza Episcopale, o le competenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche. La Conferenza Episcopale ad quam provvederà poi ad affidare tali Presbiteri al Vescovo diocesano o eparchiale o ai Vescovi delle Diocesi o Eparchie interessate, i quali li nomineranno Cappellani/Missionari dei migranti.

[17] CCEO can. 916 § 5. In locis, ubi ne exarchia quidem pro christifidelibus alicuius Ecclesiae sui iuris erecta est, tamquam proprius eorundem christifidelium Hierarcha habendus est Hierarcha loci alterius Ecclesiae sui iuris, etiam Ecclesiae latinae, firmo can. 101; si vero plures sunt, ille habendus est tamquam proprius, quem designavit Sedes Apostolica vel, si de christifidelibus alicuius Ecclesiae patriarchalis agitur, Patriarcha de assensu Sedis Apostolicae.

 

[18] Per le informazioni più dettagliate cf. R. ROBERSON, The Eastern Christian Churches, Edizioni “Orientali Christiana”, Roma 19996, 169-173.

[19] CCEO c. 322 § 1. Ubi id de iudicio Sedis Apostolicae opportunum videtur, Patriarchae, Metropolitae Ecclesiarum metropolitanarum sui iuris, Episcopi eparchiales et, si statuta ita ferunt, etiam ceteri Hierarchae loci plurium Ecclesiarum sui iuris, etiam Ecclesiae latinae, in eadem natione vel regione potestatem suam exercentes ad periodicos conventus statutis temporibus convocandi sunt a Patriarcha aliave auctoritate a Sede Apostolica designata, ut communicatis prudentiae et experientiae luminibus et collatis consiliis sancta fiat ad commune Ecclesiarum bonum virium conspiratio, qua unitas actionis foveatur, communia opera iuventur, bonum religionis expeditius promoveatur atque disciplina ecclesiastica efficacius servetur.

§ 2. Decisiones huius conventus vim iuridice obligandi non habent, nisi de eis agitur, quae nulli possunt esse praeiudicio ritui uniuscuiusque Ecclesiae sui iuris vel potestati Patriarcharum, Synodorum, Metropolitarum atque Consiliorum Hierarcharum atque simul saltem per duas ex tribus partibus suffragiorum membrorum suffragium deliberativum habentium latae necnon a Sede Apostolica approbatae sunt.

§ 3. Decisio, etsi unanimo suffragio facta, quae quomodocumque competentiam huius conventus excedit, omni vi caret, donec ab ipso Romano Pontifice approbata erit.

§ 4. Unusquisque conventus Hierarcharum plurium Ecclesiarum sui iuris sua conficiat statuta, in quibus foveatur, quatenus fieri potest, etiam participatio Hierarcharum Ecclesiarum, quae nondum sunt in plena communione cum Ecclesia catholica; statuta, ut valeant, a Sede Apostolica approbari debent.

 

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