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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 99, December 2005

 

SOLLECITUDINE ECCLESIALE RIGUARDO A rifugiati, profughi e vittime 

del traffico di esseri umani*

 

S.E. Mons. Agostino Marchetto

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

Come appare dal Messaggio Pontificio, vi sono varie categorie di migranti. Nel mio intervento mi limiterò ai rifugiati e ai profughi, con attenzione anche al traffico di esseri umani.

La nostra storia ha appena attraversato un periodo, il ventesimo secolo, che – fra le tante definizioni – è stato pure detto a ragione il secolo dei rifugiati e degli sfollati. Ci riferiamo, per esempio, al tempo della I Guerra Mondiale e alle sue conseguenze, così come alla creazione delle prime Istituzioni Internazionali destinate a prendersene cura (circa 10 milioni di persone). Seguì la II Guerra Mondiale, che sradicò, in cifra tonda, 8 milioni di cittadini, considerando solo l’Europa. Per il loro soccorso, e per tutti gli altri profughi, fu creato proprio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e fu approvata la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa al loro status, quale importante strumento di diritto internazionale. La pace, tuttavia, non interruppe il loro flusso.

Nella seconda metà del secolo scorso i Padri Conciliari, nel contesto dello scrutare i segni dei tempi, si riferirono alla “moltissima gente spinta per varie ragioni ad emigrare” (GS 6). Tra esse si elencano persecuzioni, violenza generalizzata e violazione in massa di diritti umani. Orbene, all’inizio di questo nuovo millennio, tale drammatica eredità ancora ci accompagna, per cui, come Cristiani, guidati dallo Spirito Santo, dobbiamo continuare a “discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui (il popolo di Dio) prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio” (GS 11). In effetti lo dobbiamo fare (v. GS 4) nella convinzione che il discernimento va applicato anche agli eventi e alle realtà più terribili, quelle stesse che trasformano le persone in rifugiati e sfollati. V’è in essi un eco del lamento di Cristo sulla croce, che grida ancora, nel suo Corpo mistico: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Quel grido è un appello alla liberazione dal profondo della sofferenza. È supplica permanente anche alla solidarietà fra gli uomini e ad un’efficace azione politica e civile che trasformi questa “valle di lacrime” in nuova creazione, per nuova umanità. Del resto il Santo Padre, nel suo Messaggio, ci conferma che “tra i segni dei tempi oggi riconoscibili sono sicuramente da annoverare le migrazioni”.

Se cerchiamo di comprendere più profondamente anche la realtà dei rifugiati e degli sfollati quale segno dei tempi, ci troveremo ad affrontare questioni che molto ci turbano e ci domanderemo perché la crudeltà e l’intolleranza umana si spingano fino al punto di perseguitare il prossimo “per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per le sue opinioni politiche” [v. Convenzione di Ginevra, 1951, Art. 1, A.2]. In tale testo ci si riferisce a varie forme di persecuzione, quali la violenza, l’intimidazione, la tortura, l’omicidio e la detenzione, che degradano, pur diversamente, sia coloro che le perpetrano, sia chi ne è vittima.

Se poi prendiamo in considerazione una definizione più ampia di rifugiato, secondo alcune Convenzioni Regionali, dovremmo includere in questa categoria anche coloro che fuggono la guerra, la violenza generalizzata o la violazione di massa di diritti umani. Crescerebbe così la rivelazione spaventosa del mistero di iniquità “misterium iniquitatis”, che contrasta il piano di Dio, “misterium amoris et misericordiae”, mistero d’amore e di misericordia.

Come rispondere dunque, in quanto comunità di credenti, alla sfida dolorosissima? Anche la risposta – teste il Messaggio Pontificio – è cristocentrica: “La Chiesa guarda a tutto questo mondo di sofferenza e di violenza con gli occhi di Gesù, che si commuoveva davanti allo spettacolo delle folle vaganti come pecore senza pastore (v. Mt 9,36)”. E il Papa continua: “Speranza, coraggio, amore e altresì ‘fantasia della carità’ devono ispirare il necessario impegno, umano e cristiano, a soccorso di questi fratelli e sorelle nelle loro sofferenze”. E così la Chiesa risponde, infatti. Ci sono migliaia e migliaia di Organizzazioni ecclesiali, di Servizi che portano speranza e amore in situazioni, altrimenti disperate, in cui rifugiati e sfollati si trovano. Pure ciò è segno di questi tempi, buono, anche se la risposta generosa può sempre essere migliorata e ampliata, che esiste, pur mescolato ai grandi mali del nostro tempo.

Infatti, nonostante tali lodevoli sforzi, vanno continuamente ripresentandosi necessità gravissime e carenze ingiustificate. Ne cito soltanto una, fra le più consistenti, e cioè il programma alimentare nei campi dei rifugiati, che è da lungo tempo drammaticamente sotto-finanziato. Ne sono conseguenze inevitabili gravi tagli alle razioni di cibo, bloccate anche per mesi al di sotto delle fatidiche 1500 calorie al giorno. Ne risulta il sottosviluppo dei ragazzi nell’età più delicata, il rischio di incentivare il deleterio commercio di “sesso per cibo” e, ancora, il ritorno forzato di rifugiati e sfollati in ambienti insicuri.

Una parola, infine, sul traffico di esseri umani, che Sua Santità pure menziona nel suo Messaggio. Poiché mancano ancora appropriati programmi di migrazione, coloro che fuggono la povertà o vogliono emigrare a tutti i costi ricorrono spesso a contrabbandieri e trafficanti per entrare in Paese straniero. Nel caso del traffico si giunge ad un’enorme sfruttamento, poiché i diritti umani degli individui non vengono rispettati. Così le vittime di questa schiavitù moderna non sono libere di decidere, per esempio, quale lavoro fare e a quali condizioni, per cui il loro diventa un lavoro forzato, sotto la pressione di un debito insolubile contratto con i trafficanti. Li può attendere un’opera di costruzione, di lavoro domestico, o di assistenza, o essi possono essere soggetti allo sfruttamento sessuale, così legato al traffico di esseri umani, anche giovanissimi. A quest’ultimo riguardo il primo Incontro Internazionale di Pastorale per la liberazione delle donne di strada, organizzato da questo Pontificio Consiglio, nel giugno di quest’anno, ha dichiarato che occorre puntare l’attenzione penale sul “cliente”, che è elemento determinante del sistema di consumo. La stessa considerazione si può fare a proposito dei datori di lavoro.

Guardando tutto questo “con gli occhi di Gesù”, la Chiesa leva la sua voce in soccorso di milioni di persone emarginate, e presenta sempre di nuovo tali disperate necessità, a molti ignote. “Le loro Chiese d’origine, scrive il Santo Padre, non mancheranno di mostrare la loro sollecitudine con l’invio di assistenti della stessa lingua e cultura, in dialogo di carità con le Chiese particolari d’accoglienza”. È il campo pastorale che è specifico, del resto, del nostro Pontificio Consiglio.

 
*da L’Osservatore Romano, N. 254 (44.091), del 29 ottobre 2005, p. 4.

 

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