The Holy See
back up
Search
riga

 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 100 (Suppl.), April 2006

 

 

Orientamenti 

per una pastorale degli Zingari

 

 

CITTÀ DEL VATICANO

2005

 

Sigle e abbreviazioni

 

 AAS          Acta Apostolicae Sedis

AG             Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes

CCEO       Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium

CD            Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi Christus Dominus

CIC            Codex Iuris Canonici

IM              Giovanni Paolo II, Bolla di indizione del Grande Giubileo dell’Anno 2000 Incarnationis Mysterium

LG              Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium

PG              Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale sul Vescovo servitore Pastores Gregis

PL               Patrologia Latina, Migne 

RM              Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica circa la permanente validità del mandato missionario Redemptoris Missio

UR               Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio

 

**********

 

INDICE

 

 

PRESENTAZIONE 

Premessa

 

Capitolo I

Popolazioni NON BEN conosciute, sovente marginalizzate 

Un lungo cammino      

Il rifiuto: opposizione di culture 

Una mentalità particolare

Un grande cambiamento

Una realtà che interpella 

Capitolo II

sollecitudine della chiesa 

Alleanza di Dio e itineranza degli uomini

Vita itinerante e prospettiva cristiana

Cattolicità della Chiesa e pastorale per gli Zingari

Capitolo III

Evangelizzazione e inculturazione 

Evangelizzazione tesa all’inculturazione

Purificazione, elevazione e compimento in Cristo della cultura zingara 

Interazione culturale

Capitolo IV

Evangelizzazione e promozione umana

Unità della famiglia umana

Diritti umani e civili degli Zingari

Minoranza particolare fra le minoranze

Condizioni di sviluppo integrale

Prospettiva cristiana della promozione

Capitolo V

Aspetti particolari di pastorale PER GLI zingarI 

Aspetti specifici di tale pastorale

Accostamento e modi di comunicazione

Pastorale sacramentale

I pellegrinaggi

Le sfide della pastorale per gli Zingari

Passaggio dal sospetto alla fiducia

Dalle varie credenze alla fede

Ecclesialità, ecumenismo e dialogo inter-religioso  

La secolarizzazione

Capitolo VI

STRUTTURE E OPERATORI PASTORALI

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

Le Conferenze Episcopali e le corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche

L’Episcopato e la pastorale degli Zingari

Possibili strutture pastorali di giurisdizione personale

Il Promotore episcopale

La Direzione nazionale

Le Cappellanie/Missioni

I Cappellani/Missionari

Operatori pastorali al servizio delle comunità zingare

Le Comunità-ponte

Operatori pastorali zingari

auspicio finale

 

**********

 

PRESENTAZIONE 

Con la Costituzione Apostolica Pastor Bonus[1], Giovanni Paolo II affidò al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti il compito di “impegnarsi perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza spirituale, se necessario mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti, ai Nomadi e alla gente del circo”. La Chiesa, pertanto, ritiene che gli Zingari abbiano bisogno di una pastorale specifica, diretta alla loro evangelizzazione e promozione umana.

Se – per quanto riguarda l’adempimento di questo compito – prendiamo in considerazione solo il passato recente, ricordiamo per importanza il V Congresso Mondiale della Pastorale degli Zingari[2], svoltosi a Budapest nel 2003 e organizzato dal nostro Dicastero. Esso diede l’opportunità di ampliare ed approfondire gli aspetti teologici ed ecclesiologici di un tale ministero. Dopo di allora, i Lineamenta del presente documento sono passati tra le mani di esperti, compresi alcuni Zingari, Operatori pastorali, Vescovi e, naturalmente, anche i nostri Membri e Consultori. Alla fine, vari Dicasteri della Curia Romana hanno potuto esaminare il testo e presentare le loro osservazioni, in modo tale da situare questa pastorale specifica nella più ampia cornice della missione universale della Chiesa. 

La necessità di Orientamenti era evidente fin dall’inizio dell’opera di rinnovata evangelizzazione, ma solo ora è maturo il tempo per questa pubblicazione. Il Documento si rivolge comunque non solo a coloro che sono coinvolti – Zingari e non – in questo specifico campo pastorale, ma anche alla Chiesa tutta (cfr Orientamenti 4). 

Sebbene si riferisca agli Zingari (Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Gitani, Yéniches, ecc.), il Documento è ugualmente valido, mutatis mutandis, anche per altri gruppi di nomadi, che condividono condizioni simili di vita. Ad ogni modo, il nomadismo non è l’unica caratteristica degli Zingari, anche perché molti di essi sono ora sedentarizzati, in maniera permanente o semi-permanente. Per loro è da considerarsi, in effetti, la diversità etnica, la cultura e le antiche tradizioni. Perciò i Pastori delle Chiese locali delle Nazioni in cui gli Zingari vivono potranno trovare ispirazione pastorale in questi Orientamenti, ma dovranno adattarli alle circostanze, alle necessità ed esigenze di ciascun gruppo (ib. 5).

Desideriamo d’altra parte ricordare subito che molti sono i segni di evoluzione positiva nel modo tradizionale di vivere e pensare degli Zingari, come il crescente desiderio di istruirsi e ottenere una formazione professionale, la maggiore consapevolezza sociale e politica, che si esprime nella formazione di associazioni e anche di partiti politici, la partecipazione nelle amministrazioni locali e nazionali in alcuni Paesi, l’accresciuta presenza della donna nella vita sociale e civile, l’aumentato numero di vocazioni al diaconato permanente, al presbiterato e alla vita religiosa, ecc. In questa prospettiva, è consolante tener presente il contribuito, nei passati decenni, della promozione sociale e della pastorale specifica intrapresa dalla Chiesa Cattolica, in particolare grazie agli stimoli di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Fu certo, poi, con orgoglio collettivo che, il 4 maggio 1997, gli Zingari assistettero alla beatificazione del martire spagnolo Zeffirino Giménez Malla[3], primo Zingaro nella storia della Chiesa ad essere elevato agli onori degli altari (ib. 21). 

“Dalla nascita alla morte, la condizione di ciascun individuo è quella dell’homo viator”[4]– ha affermato il Servo di Dio Giovanni Paolo II –, e ciò è espresso, come un’icona, nel tipo di vita degli Zingari. Eppure v’è indifferenza o opposizione nei loro riguardi; si passa dai pregiudizi abituali a segni di rifiuto che, spesso, non suscitano reazioni o proteste da parte di coloro che ne sono testimoni. Ciò ha causato indicibili sofferenze e ha dato luogo a persecuzioni nei loro confronti, specialmente durante il secolo scorso. Ebbene, tale situazione dovrebbe scuotere le coscienze e destare solidarietà verso di essi, mentre la Chiesa riconosce il loro diritto ad avere una propria identità, e si adopera per ottenere una maggiore giustizia verso di essi, rispettandone essa stessa la cultura e le sane tradizioni. Diritti e doveri, però, sono strettamente legati e quindi anche gli Zingari hanno dei doveri in rapporto alle altre popolazioni. 

Questi Orientamenti sono, quindi, un segno della preoccupazione della Chiesa per gli Zingari, che abbisognano di una pastorale specifica, attenta alla loro cultura, la quale, ovviamente, deve passare attraverso il mistero pasquale di morte e resurrezione. Ciò è d’altronde necessario per tutte le culture. La storia universale dell’evangelizzazione attesta infatti che la diffusione del messaggio cristiano è stata sempre accompagnata da un processo di purificazione delle culture, visto come una necessaria elevazione. Pertanto, una difesa indiscriminata di tutti gli aspetti della cultura zingara, senza le dovute distinzioni e i relativi giudizi evangelici, non giova. Purificazione, comunque, non significa svuotamento, ma pure una certa integrazione con la cultura circostante: si tratta di un processo interculturale (ib. 39). Pertanto, riconciliazione e unione tra Zingari e coloro che non lo sono inducono a una legittima interazione di culture. 

Inoltre, l’educazione, la formazione professionale, le iniziative e la responsabilità personali sono requisiti indispensabili per una qualità di vita degna per gli Zingari, elementi tutti di promozione umana. Dovrebbe ugualmente essere promossa nelle comunità zingare l’uguaglianza di diritti fra uomini e donne, con eliminazione di ogni forma di discriminazione; essa esige poi il rispetto della dignità della donna, l’elevazione della cultura femminile e la promozione sociale, senza pregiudicare il forte senso di famiglia presente tra gli Zingari (ib. 40). In questo senso, ogni tentativo di assimilazione della loro cultura e una sua dissoluzione in quella maggioritaria, deve essere respinto (ib. 53).

In questo contesto il Documento fa presente che se l’avviamento di progetti per la promozione umana è, primariamente, responsabilità dello Stato, può essere conveniente e perfino necessario che la Chiesa sia coinvolta in iniziative concrete in tal senso, dando spazio agli Zingari come protagonisti. Appartiene, invece, alla missione fondamentale della Chiesa informare le istanze pubbliche delle condizioni di disagio di queste popolazioni, mentre va tenuto presente che “lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica”[5](ib. 55-56).

Ritornando all’evangelizzazione degli Zingari, essa, in questi Orientamenti, appare come missione di tutta la Chiesa, perché nessun cristiano dovrebbe rimanere indifferente di fronte a situazioni di emarginazione in relazione alla comunione ecclesiale. Ma la pastorale per gli Zingari, proprio per la sua specificità, richiede una formazione attenta e profonda di quanti vi sono direttamente coinvolti, mentre le comunità cristiane devono mostrare un atteggiamento di accoglienza (ib. 57). E questa combinazione di specificità e universalità risulta fondamentale.

L’annuncio della Parola di Dio, poi, sarà più facilmente accolto se proclamato da chi ha mostrato solidarietà nei loro confronti in situazioni di vita quotidiana. Inoltre, nella catechesi, è importante includere un dialogo che permetta agli Zingari di esprimere come essi percepiscono e vivono il rapporto con Dio. Perciò, bisognerà tradurre testi liturgici, la Bibbia e libri di preghiera nell’idioma usato dai vari gruppi etnici nelle diverse regioni. Similmente, la musica – molto apprezzata e suonata dagli Zingari – è supporto estremamente valido alla pastorale, da promuovere e sviluppare negli incontri e nelle celebrazioni liturgiche. Lo stesso dicasi di tutti i mezzi audiovisivi della tecnica moderna (ib. 60-61).

Inoltre dagli Orientamenti risulta che i pellegrinaggi rivestono un’importanza speciale nella vita degli Zingari, in quanto rappresentano opportunità ideali per riunioni di famiglie. Spesso i “luoghi sacri” mete del pellegrinaggio sono, infatti, legati alla storia familiare. Perciò un avvenimento, un voto, un cammino di preghiera, sono vissuti come un incontro con il “Dio del (loro) Santo”, che cementa anche la fedeltà di un gruppo. I pellegrinaggi, poi, offrono a chi vi partecipa un’esperienza di cattolicità che porterà dal “Santo” a Cristo e alla Chiesa (ib. 70-71).

Nel considerare, infine, il rischio – purtroppo confermato da fatti incresciosi – che gli Zingari cadano vittime delle sette, il Documento esprime la convinzione che i nuovi Movimenti ecclesiali potrebbero svolgere un ruolo particolare in questa pastorale specifica. Con il loro forte senso comunitario e di apertura, la disponibilità e la particolare cordialità dei loro membri, essi dovrebbero infatti offrire accoglienza concreta e favorire altresì l’evangelizzazione. In questo senso, le Associazioni cattoliche di Zingari, tanto nazionali quanto internazionali, possono svolgere un ruolo di particolare rilievo, rimanendo però in costante rapporto e comunione con i Pastori delle Chiese locali e il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti (ib. 77-78). 

Ci auguriamo che questi Orientamenti rispondano alle aspettative di tutti coloro che auspicavano la pubblicazione di un Documento pastorale d’insieme a proposito del ministero a favore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nomadi. 

 

Stephen Fumio Cardinale Hamao

Presidente

 

 

Agostino Marchetto

Arcivescovo titolare di Astigi

Segretario 

**********

Premessa 

1.        La missione affidata da Cristo alla sua Chiesa si rivolge «a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l'esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo» (AG 5). Questa universalità di missione spinge la Chiesa a raggiungere i popoli anche geograficamente più lontani, come pure a preoccuparsi di quelli che, pur abitando in terre di antica tradizione cristiana, non hanno ancora accolto il Vangelo o l’hanno ricevuto parzialmente, oppure non sono tuttavia pienamente entrati nella comunione ecclesiale.

2.        Fra questi si può certamente annoverare una gran parte della popolazione zingara, da secoli presente in terra tradizionalmente cristiana ma sovente emarginata. Segnata dalla sofferenza, dalla discriminazione e spesso anche dalla persecuzione, essa non è tuttavia abbandonata da Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla piena conoscenza della verità» (1 Tm 2,4). La Provvidenza divina, infatti, ha saputo suscitare, specialmente nel corso degli ultimi decenni, una crescente attenzione verso questa popolazione, muovendo il cuore e la mente di molti Operatori pastorali che si sono generosamente votati alla sua evangelizzazione, non senza sperimentare anche per se stessi una relativa incomprensione.

           Questa attenzione si è estesa poco a poco nelle varie regioni abitate dagli Zingari, con progressivo coinvolgimento altresì dei Pastori delle Chiese particolari, organizzandosi, successivamente, a livello nazionale e anche diocesano. Si sono pure realizzati numerosi Convegni internazionali al fine di studiare e promuovere la pastorale a favore degli Zingari, mentre anche in ambito civile si è sviluppata una maggiore attenzione verso di loro. È così emersa una realtà pastorale, indubbiamente inserita nello slancio missionario della Chiesa, alla quale essa, spronata dallo Spirito di Dio, intende imprimere una svolta decisiva, impegnandosi a sostenerla, incoraggiarla e a dedicarle le risorse materiali, umane e spirituali che sono necessarie.

3.        Dall’impegno pastorale svolto, e dallo scambio di esperienze e pensieri, si è quindi individuato un insieme di atteggiamenti, obiettivi da raggiungere, difficoltà da superare e risorse da ottenere, che è poi confluito in un instrumentum laboris redatto dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Su di esso sono stati chiesti pareri e contributi da parte di vari Operatori pastorali, anche Zingari, impegnati nell’evangelizzazione di questa popolazione, che lo hanno notevolmente arricchito e trasformato. Si è poi affrontata, dopo un ulteriore lungo sondaggio, la stesura definitiva, tenendo presente anche istanze ecclesiali non direttamente coinvolte, in modo tale da situare adeguatamente la pastorale a favore degli Zingari nella più ampia cornice della missione universale della Chiesa.

4.        Con la pubblicazione di questo Documento si intende riaffermare, senza tentennamenti, l’impegno della Chiesa a favore di questa popolazione. Si propongono poi anche strade nuove da tracciare in seno alle società nazionali e alle Chiese particolari, per aprire le comunità a questi fratelli. Vengono altresì stabiliti alcuni criteri pastorali generali per l’azione e traguardi da raggiungere. Il presente Documento segna dunque un momento importante nella storia di evangelizzazione e promozione umana a favore degli Zingari, dopo l’incontro di Paolo VI a Pomezia con loro[6].

           Esso si rivolge quindi non solo ai Pastori e agli Operatori di una pastorale specifica, ma anche all’intera comunità ecclesiale – che non può restare indifferente a questo proposito – e agli stessi Zingari. Poiché il cammino di piena comunione fra Zingari, e non, è appena iniziato o, anzi, in numerosi Paesi è ancora da battere, si richiede da parte di tutti una grande conversione della mente, del cuore e degli atteggiamenti: è questo il primo motore di una tale comunione, nella consapevolezza che alla radice di ogni situazione di rifiuto e di ingiustizia si trova la dolorosa realtà del peccato.

5.        Considerato che la popolazione zingara è profondamente segnata dalla diversità, spetta alle Chiese locali adeguare i criteri, le indicazioni e i suggerimenti qui contenuti, alla situazione concreta di luogo e di tempo. Sul piano conoscitivo, inoltre, occorre grande prudenza per non uniformare facilmente una realtà in se stessa variegata. Perciò in questo Documento, anche quando ci si riferisce al popolo zingaro, si intendono le popolazioni zingare, costituite da diverse etnie. Conseguentemente, bisognerebbe usare abitualmente il plurale quando si parla della lingua, della tradizione e di altri elementi che configurano l’identità zingara, ma ciò non è sempre possibile e potrebbe essere addirittura riduttivo, perché esistono, di fatto, vari elementi comuni che confluiscono in un modo specifico di essere (Weltanschauung) e che configurano fondamentalmente tale identità.

           Per indicare comunque queste popolazioni nella loro globalità e complessità, si usa qui il termine “Zingari”, che però deve permettere di riferirsi all’insieme dei nostri fratelli, viaggianti o sedentari, nel rispetto della loro persona e della loro cultura. Occorre tuttavia non dimenticare che la realtà concreta soggiacente non è dunque un tutto omogeneo, generico, ma raggruppa vari gruppi o etnie quali sono i Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Gitani, Yéniches, ecc. Molti di essi addirittura preferiscono essere riconosciuti e chiamati secondo la propria etnia. Con la parola gağé (al singolare gağó) gli Zingari denominano invece tutti coloro che tali non sono, e in questo senso si usa qui la parola senza discriminanti di sorta.

6.        È necessario rilevare, infine, che in vari Paesi vivono numerosi nomadi, le cui origini risalgono a gruppi di pastori, di pescatori, di cacciatori nomadi e altri (Travellers, per es.), per cui il loro modo di vita e le caratteristiche antropologiche sono differenti da quelle delle popolazioni zingare propriamente dette. Tuttavia le Chiese locali dei Paesi con presenza di nomadi, potranno trovare ugualmente ispirazione pastorale nei presenti Orientamenti, da adattare, certo, alle circostanze, necessità ed esigenze di ciascun gruppo. 

 

Capitolo I

Popolazioni non ben conosciute, sovente marginalizzate 

Un lungo cammino

7.        Gli Zingari costituiscono una “popolazione in movimento”, la cui visione del mondo ha le proprie origini nella civiltà nomade, che in una situazione di sedentarietà si ha difficoltà a comprendere in profondità. Il mondo zingaro si muove ancora in gran parte nella tradizione orale; la loro è una cultura non scritta e non esiste memoria della loro erranza. Essi non appartengono, cioè, alla categoria classica dei migranti, fra i quali si corre generalmente il rischio di classificarli. Le testimonianze della origine e dell’andare loro sono infatti esterne e marginali, e solo di recente la realtà zingara è diventata oggetto di studio. La loro ancestrale resistenza ai censimenti – spesso preludio di una deportazione – e il fatto più sistematico che gli Zingari sedentarizzati sono di solito esclusi dai censimenti, in quanto Zingari, rende più difficile il numerarli e conoscere la loro distribuzione geografica.

8.           Ciononostante si può dire che la popolazione zingara è in continuo aumento grazie a famiglie numerose, pur con una certa tendenza alla diminuzione, oggi, del numero dei propri membri.

           Le comunità si caratterizzano, poi, in genere, per il loro insediamento in quartieri degradati, su terreni abbandonati, nelle bidonvilles, in aree di stazionamento poco organizzate o in quartieri ai margini delle città e dei villaggi dei gağé. Le famiglie che dispongono di maggiori risorse si stabiliscono invece su terreni acquistati, dove alzano “una tenda” con le loro carovane. Vi sono poi i sedentarizzati, con maggior istruzione e titoli di studio, che possono essere bene inseriti nella società.

           Ai nostri giorni assistiamo inoltre ad una nuova migrazione, quella degli Zingari provenienti dai Paesi più poveri dell’Europa centrale e dei Balcani che arrivano in quelli più industrializzati. Essi, in genere, sono accolti da reazioni di rifiuto da parte degli abitanti, creando imbarazzo agli amministratori della cosa pubblica, ricevendo un’accoglienza timida, se non appunto di rifiuto, anche da parte dei loro fratelli occidentali. Comunque oggi c’è più capacità di accoglienza rispetto al passato e maggiore sensibilità sociale da parte delle pubbliche autorità.  

Il rifiuto: opposizione di culture

9.        La predisposizione all’itineranza riguarda l’insieme di tali popolazioni ed essa sussiste, come mentalità, anche fra coloro che da lungo tempo sono sedentarizzati. Essi ne costituiscono in effetti la maggior parte. Questo modo di vita, legittimo per natura, ha suscitato opposizione nella società di arrivo, che in molti Paesi si traduce in una incomprensione tenace, alimentata anche dalla mancata conoscenza delle caratteristiche e della storia zingare.

           Pur godendo della cittadinanza del Paese in cui si sono stabiliti, essi sono, in realtà, spesso considerati e trattati come cittadini di seconda classe. Gli stereotipi con cui sono classificati, risultano presi come verità evidenti e questa persistente ignoranza o nescienza alimenta un rifiuto latente e pericoloso, ostacola e falsa il necessario dialogo delle etnie nazionali.

10.      Per essere visti da molti come stranieri nocivi e mendicanti insistenti, l’opinione pubblica in genere auspicò spesso l’interdizione del nomadismo e la sua messa al bando. Nel corso della storia ciò provocò anche persecuzioni che si giustificarono quasi come misura sanitaria. La storia di queste popolazioni è così tristemente scandita da punizioni corporali, prigioni, deportazioni, sedentarizzazione forzata, schiavitù, o altre misure atte a conseguire finalmente il loro annientamento.

11.      La persecuzione degli Zingari è peraltro in gran parte coincidente con la formazione dei grandi Stati nazionali. Il secolo XX conobbe inoltre la persecuzione razziale, che li colpì assieme agli Ebrei, e fu perpetrata dal nazismo, ma non solo. La loro deportazione in campi di concentramento e anche l’eliminazione fisica di migliaia e migliaia di persone, sollevò, in generale, solo proteste isolate. Più vicino ai nostri giorni, anche l’instabilità politica di vari Paesi ha contribuito a gravare gli Zingari. Ne è prova la guerra dei Balcani, la quale ha mostrato, in circostanze drammatiche, che tale popolazione continua a essere rifiutata da gran parte dei cittadini. In diverse Nazioni sono state infatti registrate anche aggressioni fisiche nei loro riguardi, che alimentano ancora, tragico circolo vizioso, incomprensione e violenza.           

Una mentalità particolare

12.      L’identità zingara non si svela facilmente, senza dubbio perché è dinamica, pure fluttuante, e portata alla luce da relazioni perturbate tra Zingari egağé. Non ci si può nemmeno riferire con certezza a un territorio ancestrale, dove essi avrebbero le proprie radici. Difficile è anche individuare una unità etnica complessiva e relativamente uniforme, dalla quale si possa risalire all’origine di questa popolazione. E tuttavia si può parlare correttamente di un insieme di elementi che, presi nella loro globalità, configurano un certo modo caratteristico di essere, non forse regolamentato, né dai contorni definiti, inteso piuttosto come mentalità e atteggiamento esistenziale.

           Si può così attestare che essa è essenzialmente segnata da una propensione al viaggio e alla vita errante che il gağó, anche se migrante, non possiede. Questi semmai si sradica, magari momentaneamente, per mettere le basi della sua esistenza in un altro luogo che ritiene migliore. In genere, poi, non tende a ripetere tale esperienza di sradicamento e migrazione. Lo Zingaro, invece, è naturalmente disponibile al viaggio, al movimento.

13.      Ciò risulta vero anche se gran parte degli Zingari, come già accennato, sono oggi sedentari o semi-sedentari. Queste nuove forme di vita non intaccano peraltro negli Zingari la percezione della loro diversità nei confronti dei gağé. Il timore di essere assorbiti, di essere staccati dalla loro identità, riafferma poi in loro la resistenza all’assimilazione, ma anche, in un certo senso, alla stessa integrazione.

           La lunga storia dell’isolamento e del contrasto con la cultura circostante, le persecuzioni subite, la incomprensione da parte dei gağé, hanno anche esse lasciato traccia nella identità zingara, che si traduce in un atteggiamento di sfiducia verso gli altri, con tendenza a chiudersi in se stessi, nella consapevolezza di poter contare solo sulle proprie forze per sopravvivere nel seno di una società ostile.

14.      Al centro della vita della popolazione zingara sta comunque la famiglia. Essere Zingaro vuol dire trovarsi radicato in maniera vitale nella famiglia, dove la coscienza e la memoria collettiva plasmano ogni persona e educano il giovane, pur in mezzo al mondo deigağéche lo avvolge e allo stesso tempo lo tiene a distanza. Gli anziani della famiglia sono quindi grandemente rispettati e venerati, perché possiedono la sapienza della vita. I defunti restano per lungo tempo nella memoria e, in un certo senso, la loro presenza si conserva sempre viva. Presso gli Zingari è inoltre in onore la “famiglia allargata”, costituita da una rete di molteplici famiglie imparentate, che porta a un atteggiamento di grande solidarietà e di ospitalità, specialmente verso i membri della propria etnia. 

           La volontà di essere e rimanere liberi, di disporre dello spazio e del tempo per realizzare se stessi nella famiglia e nella propria etnia, è dunque radicata molto profondamente nella mentalità zingara. Il desiderio e l’apprezzamento della libertà, come condizione fondamentale di esistenza, possono essere infatti considerati un cardine della loro Weltanschauung.

15.      La religiosità occupa pure un posto di grande rilievo nell’identità di questa popolazione. Il rapporto con Dio è dato infatti per scontato e si traduce in una relazione affettiva e immediata con l’Onnipotente, che cura e protegge la vita familiare, specialmente nelle situazioni dolorose e inquietanti dell’esistenza. Tale religiosità si inserisce abitualmente nella religione o nella confessione maggioritaria del Paese dove gli Zingari si trovano, sia essa luterana, riformata, cattolica, ortodossa, musulmana o altra, spesso senza troppi interrogativi sulle loro differenze. 

Un grande cambiamento

16.      Nel corso del XX secolo si è ancora accentuata la tendenza alla sedentarizzazione e in varie regioni ciò ha facilitato la scolarizzazione dei bambini e il conseguente incremento della popolazione zingara alfabetizzata. Il maggior contatto con il mondo dei gağé, che ne è così derivato, ha inoltre contribuito ad una progressiva appropriazione dei nuovi mezzi tecnici della società contemporanea. Pensiamo al trasporto motorizzato, alla Televisione e perfino alla comunicazione telematica, all’informatica, ecc.

           Di conseguenza, il passaggio dal carro tradizionale alla roulotte trainata da un’automobile ha paradossalmente incrementato il fenomeno della semi-sedentarizzazione. La macchina permette di percorrere liberamente lunghe distanze nel corso di una stessa giornata, senza che moglie e figli debbano necessariamente accompagnare il capofamiglia o gli uomini che esercitano la propria attività professionale. Una sosta prolungata permette inoltre ai figli di frequentare con regolarità la scuola, nelle famiglie in cui i genitori hanno compreso l’evolversi del mondo e sofferto dell’inferiorità di essere analfabeti.

           In alcuni Paesi si assiste pure all’incorporazione abbastanza generalizzata degli Zingari nel lavoro finora esclusivo dei gağé, specialmente in campo artistico. Sono diventati inoltre più frequenti i matrimoni fra Zingari e gağé, e anche nell’ambito della promozione della donna si registra un significativo cambiamento, pur restando ancora molto da fare sulla via dell’uguale dignità con l’uomo.

17.           Malgrado le tensioni talvolta presenti tra i differenti gruppi e la mancanza di abitudine a mobilitare e riunire le proprie forze per raggiungere un obiettivo, con continuità e precisione, in alcuni Paesi gli Zingari hanno creato Associazioni in vista di negoziazioni collettive a loro vantaggio. Non di rado si vedono gağé amici porre altresì a loro disposizione le proprie competenze affinché essi facciano sentire la propria voce e assumano nelle loro mani il futuro. Queste Associazioni reagiscono sempre più efficacemente alle legislazioni che limitano la libertà di movimento o che ignorano la loro identità, restringendo legittimi diritti. L’associazionismo, naturalmente, non si realizza ovunque con la stessa forza, ma è un movimento che esiste, sta crescendo e domanda sostegno.

18.           Tuttavia, questa evoluzione è ancora incipiente e varia molto da Paese a Paese, vale a dire che la situazione generale della popolazione zingara, segnata da un plurisecolare isolamento, resta molto arretrata, in genere, rispetto ai grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la società dei gağé durante l’ultimo secolo. Ciò comporta pesanti conseguenze anche in campo economico-lavorativo. Infatti l’anteriore contesto di una società prevalentemente rurale aveva permesso una sorta di simbiosi degli Zingari con la società dei gağé, grazie ai loro mestieri legati all’allevamento di equini, alla lavorazione dei metalli, al piccolo artigianato, alla musica e allo spettacolo viaggiante. Oggi, invece, la trasformazione tecnico-industriale della società ospitante lascia poco spazio economico, ed essi sono costretti ad abbandonare i mestieri tradizionali, ormai obsoleti, e a cercare mezzi di sussistenza in attività di scarso profitto, o anche in quelle al limite della legalità, od oltre.

19.      Non va altresì sottovalutato l’influsso della secolarizzazione, che dalla società dei gağé si riversa progressivamente anche su quella zingara. La religiosità tradizionale si trova quindi sotto la pressione incalzante di una cultura che volta le spalle a Dio o lo nega e, quando non trova accoglienza in una comunità cristiana, la popolazione zingara facilmente cade preda delle sette o dei cosiddetti “nuovi movimenti religiosi”. Ciò costituisce un ulteriore e urgente appello ad aprire le braccia a una popolazione sempre desiderosa dell’incontro con Dio, nonostante tutto.

           Inoltre, l’odierna idolatria del benessere, prevalente presso i gağé, certamente non è uno stimolo ad abbandonare le proprie comodità, né ad andare incontro a questi nostri fratelli, bisognosi di uscire dalla povertà e dall’isolamento e di trovare il loro posto nella società contemporanea. 

Una realtà che interpella

20.      Tutto ciò rende particolarmente dolorosa l’indifferenza o l’opposizione nei riguardi di queste popolazioni nomadi. Solo gradualmente e molto lentamente, alcune comunità si sono aperte all’accoglienza, ancora troppo poche, peraltro, perché gli Zingari possano scoprire il volto materno e fraterno della Chiesa. I segni del rifiuto persistono, dunque, e si perpetuano, suscitando, in genere, poche reazioni e proteste in chi ne è testimone.

           Questa situazione dovrebbe invece scuotere la coscienza dei cattolici, sollevando sentimenti di solidarietà verso questa popolazione. La Chiesa si sente perciò chiamata a riconoscere l’itinerario zingaro nel corso della storia ed è interpellata da tale cultura. Essa deve riconoscere il loro diritto di “voler vivere insieme”, provocando e sostenendo una sensibilizzazione in vista di una maggiore giustizia nei loro confronti, nel rispetto reciproco delle culture, orientando i propri passi sulle orme di Cristo, in risposta alle aspettative di questa popolazione nella sua ricerca del Signore.

 

CAPITOLO II

Sollecitudine della Chiesa 

21.      Non si può dimenticare comunque che dalla seconda metà del secolo scorso v’è stato, da parte dei Pastori, un progressivo avvicinamento agli Zingari, avviandosi in alcuni Paesi una pastorale specifica a favore di questa popolazione. Il Concilio Vaticano II ha inoltre esortato i Vescovi ad avere «un particolare interessamento per quei fedeli che, a motivo delle loro condizioni di vita, non possono godere dell’ordinario ministero dei parroci o sono privi di qualsiasi assistenza» (CD 18), e fra questi fedeli sono annoverati anche «i nomadi». Un tale particolare interessamento è stato confermato da Paolo VI, quando, nel celebre incontro di Pomezia, già ricordato, così si è rivolto agli Zingari: «voi siete nel cuore della Chiesa»! La dignità cristiana, nella loro condizione, ha ricevuto poi un ulteriore riconoscimento con la beatificazione di Zeffirino Giménez Malla (1861-1936), detto “il Pelé”, uno Zingaro spagnolo appartenente al gruppo nomade dei Kalós.

           La strada dell’evangelizzazione, di un’autentica riconciliazione e di comunione Zingari-gağé, non può tuttavia che partire dalla riflessione biblica, alla luce della quale trova una sua cristiana intelligenza anche il loro mondo. Occorre perciò, a questo punto, fare una lettura attenta della Sacra Scrittura, affinché ci conduca anche ad un retto inserimento della pastorale degli Zingari nel contesto della missione della Chiesa. 

Alleanza di Dio e itineranza degli uomini 

22.      La figura del pastore e della sua prevalente vita itinerante trova un posto privilegiato nella rivelazione biblica. All’origine del popolo d’Israele spicca Abramo che riceve, come prima indicazione di Dio, quel «vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò» (Gn 12,1). Abramo «partì senza sapere dove andava» (Eb 11,8), e d’allora in poi la sua vita fu segnata da continui spostamenti, «di accampamento in accampamento» (Gn 13,3), «abitando sotto le tende» (Eb 11,9) come straniero (cfr Gn 17,8), consapevole che pure i suoi immediati discendenti sarebbero «forestieri in un paese non loro» (Gn 15,13). Nelle conferme del patto d’alleanza di Dio con Abramo, l’immagine dell’itinerante si trova quale segno privilegiato della controparte umana: «cammina davanti a me e sii integro» (Gn 17,1).

23.      Il popolo eletto è posteriormente affidato alla guida di Mosè, che, «divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio piuttosto che godere per breve tempo del peccato» (Eb 11,24-25). Mosè ricevette dal Signore il compito di liberare gli israeliti dalla schiavitù dell’Egitto per portarli alla Terra promessa, e ciò si realizzò attraverso un lungo andare, durante il quale essi «vagavano nel deserto, nella steppa, (e) non trovavano il cammino per una città dove abitare» (Sal 107,4).

           Proprio in questo contesto itinerante avvenne la conferma dell’alleanza di Dio con il suo popolo, sul monte Sinai. Essa rimase rappresentata dall’arca contenente i simboli dell’alleanza, arca che si sposta con il popolo e lo accompagna nel cammino verso la Terra promessa. In queste condizioni, anche se assaliti da fame e sete, dall’inimicizia e dalla non‑accoglienza da parte dei popoli circostanti, gli ebrei trovano la protezione e la predilezione di Dio, e ciò sarà ricordato e cantato posteriormente nei salmi, così: «Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, la terra tremò, stillarono i cieli davanti al Dio del Sinai, davanti a Dio, il Dio di Israele» (Sal 68,8‑9). La nostalgia di questi tempi che forgiarono l’anima d’Israele è conservata sempre viva in quelli successivi, evocata dai pellegrinaggi che gli Ebrei erano tenuti a fare verso la Città dove nel Tempio era custodita l’arca dell’alleanza.

24.           L’itineranza è peraltro una caratteristica dell’atteggiamento d’ogni uomo nel suo rapporto con Dio. Per i salmi «l’uomo d’integra condotta» è colui «che cammina nella legge del Signore», che «cammina per le sue vie» (Sal 119,1.3), «nella terra del ... pellegrinaggio» (Sal 119,54). «Colui che cammina senza colpa» (Sal 15,2) esperimenta quanto Dio lo «rinfranca» e lo «guida per il giusto cammino» (Sal 23,3). Su questa scia, Paolo ci ricorderà che «finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore» (2 Cor 5,6).

           Anche il mistero di Cristo è presentato dalla Sacra Scrittura come un esodo, quello del Figlio dal Padre, nel mondo, e del suo ritorno al Padre. La vita terrena di Gesù è segnata, già dal suo inizio, dall’itineranza, nel fuggire dalla persecuzione d’Erode verso l’Egitto e nel ritorno a Nazareth. Il vangelo di Luca attesta, inoltre, i suoi annuali pellegrinaggi al Tempio di Gerusalemme (cfr Lc 2,41), e il suo intero ministero pubblico è scandito dagli spostamenti da una regione all’altra, fino al punto che «il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Il medesimo mistero pasquale è addirittura introdotto, dal vangelo di Giovanni, come la sua ora «di passare da questo mondo al Padre» (Gv 13,1). Gesù è consapevole che era venuto da Dio e a Dio ritornava (cfr Gv 13,3). Da questo esodo del Figlio inviato dal Padre per opera dello Spirito Santo, anche l’uomo è interpellato a mettersi in cammino in un "esodo pasquale" verso il Padre.

25.           L’esodo, dunque, non è ancora concluso poiché «la storia della Chiesa è il diario vivente di un pellegrinaggio mai terminato» (IM 7). In continuità con la tradizione veterotestamentaria e con la vita di Cristo, che «ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni», pure la Chiesa, Popolo di Dio in cammino verso il Padre, «è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (LG 8). Come «nuovo Israele dell'era presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente (cfr Eb 13,14)» (LG 9), essa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio»[7]e «nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio» (LG 9). La Chiesa, in definitiva, rivela una mobilità, testimoniata dalla sua indole escatologica, che ne alimenta la tensione polare verso l’eschaton del suo compimento. Anche la condizione del singolo cristiano è per conseguenza come un grande pellegrinaggio verso il Regno di Dio: «dalla nascita alla morte, la condizione di ognuno è quella peculiare dell’homo viator » (IM 7). 

Vita itinerante e prospettiva cristiana 

26.      Ne deriva così che la condizione itinerante, sia nella sua oggettiva realizzazione, sia come visione di vita, diventa un richiamo permanente di quel «non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura» (Eb 13,14). Essa si configura come un segno ecclesiale ancorato saldamente alla rivelazione biblica, trovando nel tessuto vivo della Chiesa le sue diverse forme esistenziali. Fra tutte queste va annoverata quella incarnata nella vita degli Zingari, tanto nelle sue variegate realizzazioni storiche quanto nelle odierne circostanze.

27.      Fra i valori, che, in un certo modo, definiscono il loro stile di vita, spiccano, infatti, rassomiglianti tratti biblici. Segnata poi dalla persecuzione, dall’esilio, dalla non‑accoglienza, anzi dal rifiuto, dalla sofferenza e dalla discriminazione, la storia zingara si è forgiata come un andare permanente, che distingue lo zingaro dagli altri e lo conserva nella sua tradizione nomade, sicché egli non si lascia trascinare, in genere, dall’influsso dell’ambiente circostante. Si è così configurata un’identità, con la sua cultura, le proprie lingue, la sua religiosità e le proprie abitudini e con un senso forte d’appartenenza e relativi legami. Grazie agli Zingari e alle loro tradizioni, l’umanità si arricchisce dunque di un vero patrimonio culturale, trasmesso soprattutto attraverso la vita nomade. Infatti «la loro saggezza non è scritta in nessun libro, ma non per questo è meno eloquente»[8]

28.           Abbandonati spesso dagli uomini ma non da Dio, gli Zingari hanno posto la loro fiducia nella Provvidenza, con una convinzione così profonda da potersi qualificare parte della loro “natura”. La vita zingara è in fondo una testimonianza viva di una libertà interiore di fronte ai vincoli del consumismo e delle false sicurezze fondate sulla presunta autosufficienza dell’uomo. Peraltro non va dimenticata la saggezza popolare che dice: “Aiutati, che Iddio ti aiuta”.

           La loro itineranza è comunque un richiamo simbolico e permanente al cammino della vita verso l’eternità. In un modo del tutto speciale essi vivono, cioè, quello che tutta la Chiesa dovrebbe realizzare, vale a dire l’essere continuamente in cammino verso un’altra Patria, la vera, l’unica, pur dovendo ciascuno impegnarsi nel quotidiano lavoro e dovere. 

Cattolicità della Chiesa e pastorale per gli zingari

29.      Ne dovrebbe seguire una sollecitudine specifica della Chiesa verso questa popolazione. Come gruppo particolare del Popolo pellegrinante di Dio, esso merita in effetti un atteggiamento pastorale speciale e un apprezzamento dei suoi valori. Ma più ancora, tale pastorale è richiamata e richiesta come esigenza interna della cattolicità della Chiesa e della sua missione. Con Cristo, infatti, da cui essa procede, scompare ogni tipo di discriminazione. Egli «è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, ... per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia» (cfr Ef 2,14 ‑16).

30.      Nella Chiesa, quindi, strumento della missione del Signore, che in essa continua presente, «tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio» (LG 13). La Chiesa ha la vocazione a essere fermento in tutte le nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi il Signore prende i cittadini del suo regno che per sua natura non è della terra, ma del cielo (cfr LG 13). In essa ogni persona deve trovare accoglienza, senza spazi per l’emarginazione, per l’estraneità. In effetti la Chiesa si rivolge in modo particolare «ai poveri e ai sofferenti, prodigandosi volentieri per essi (cfr 2 Cor 12,15). Infatti condivide le loro gioie e i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell'angoscia della morte» (AG 12).

31.      La cattolicità della Chiesa, poi, benché contenga la vocazione a raggiungere ogni uomo di qualsiasi condizione, non è unicamente estensiva ma, più interiormente e decisivamente, qualitativa, con capacità, cioè, di penetrare nelle diverse culture e di fare proprie le angosce e le speranze di tutti i popoli, in modo da evangelizzare, arricchendosi, contemporaneamente, delle variopinte ricchezze culturali dell’umanità. Il Vangelo, uno e unico, va dunque annunciato in modo adeguato, tenendo conto anche delle diverse culture e tradizioni, proseguendo così nel «movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse» (AG 10). 

32.      Un tale radicamento cattolico fa sì che ogni eventuale forma di discriminazione, nello svolgimento della sua missione, risulterebbe un tradimento della propria identità ecclesiale. Sulle orme del suo Fondatore – l’Inviato da Dio «per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18‑19) –, la Chiesa cerca dunque mezzi sempre più adeguati per annunciare agli Zingari il Vangelo in modo vivo ed efficace. Di nuova evangelizzazione si tratta, alla quale così spesso ci invitava Papa Giovanni Paolo II.

33.      Dalla dimensione cattolica della missione sgorga, infatti, quella capacità ecclesiale di trovare e di sviluppare le risorse necessarie per venire incontro alle molteplici forme sociali in cui le comunità umane organizzano la loro esistenza. In questo modo la salvezza è a disposizione di tutti. Memore dell’avvertimento paolino – «guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16) –, la Chiesa non risparmia quindi sforzi e sacrifici per raggiungere di fatto tutti gli uomini. È una storia segnata altresì dall’iniziativa e dalla creatività per rendere più incisivo l’annuncio, sfidando spesso mentalità e strutture che il tempo ha rese obsolete.

           Le attuali circostanze in cui si trovano gli Zingari, poi, sottomessi ai vertiginosi cambiamenti della società contemporanea, al materialismo selvaggio e a false proposte, che pur si richiamano al Trascendente, imprimono un’urgente spinta all’azione pastorale, in modo da evitare in essi sia la chiusura statica in se stessi, sia la fuga verso le sette o la dispersione del proprio patrimonio religioso, inghiottito da un materialismo che soffoca ogni richiamo al Divino. 

 

CAPITOLO III

Evangelizzazione e Inculturazione 

34.      In vista dell’auspicata nuova evangelizzazione e della riconciliazione e comunione fra Zingari e gağé, occorre valorizzare adeguatamente la “diversità zingara”, riconoscendo a pieno titolo la sua esistenza, senza tuttavia tagliare i ponti d’incontro con la cultura dei gağé. Il sano e giusto equilibrio di questa valorizzazione risulta infatti indispensabile per una corretta impostazione del rapporto fra evangelizzazione, inculturazione e promozione umana. 

Evangelizzazione tesa all’inculturazione 

35.      Poiché la salvezza raggiunge l’uomo tutto intero, l’evangelizzazione non può certo trascurare quegli aspetti culturali, linguistici, tradizionali, artistici, e altri ancora, che plasmano l’essere umano e i popoli nella loro integrità. Nel farlo la Chiesa «nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le ricchezze, le risorse e le forme di vita dei popoli in ciò che esse hanno di buono e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva» (LG 13). Lo spirito genuinamente cattolico dell’evangelizzazione conduce inoltre a un reciproco arricchimento, visto che «le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale» (LG 13).

36.           Orbene, in questa visione trovano la loro adeguata comprensione alcuni criteri-guida per l’animazione dell’azione pastorale con gli Zingari, vale a dire non solo l’accettazione della loro legittima rivendicazione di un’identità specifica e del diritto a inserirsi, in quanto tali, nel tessuto vitale della società civile ed ecclesiale, ma anche l’apprezzamento reale – affettivo ed effettivo – degli autentici valori della loro tradizione, che va non solo rispettata ma anche difesa. Più ancora, da tale prospettiva soteriologica, occorre leggere dall’interno la cultura di questa popolazione quale elemento da integrare nel disegno salvifico divino.

37.      La peculiarità della Weltanschauung zingara e della caratteristica loro forma di vita non sono facilmente paragonabili ad altre realtà sociali dell’umanità, per cui rientrano pienamente in quelle per le quali la Chiesa, esperta in umanità, ha applicato, in prassi missionaria, l’assioma «a qualsiasi condizione o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati» (AG 6). Ne segue il bisogno e la convenienza di un’assistenza pastorale specifica per gli Zingari, non ridotta alla facile soluzione di spingerli a “integrarsi” nell’insieme del resto dei fedeli. Essa deve essere diretta soprattutto verso la loro evangelizzazione e promozione. 

           Occorre, cioè, prendere atto che la struttura ecclesiastica ordinaria e territoriale per la cura delle anime non permette, in genere, a questa popolazione un inserimento effettivo e duraturo nella vita e nella comunità ecclesiale. Si rende, pertanto, necessario un avveduto discernimento al fine di trovare un giusto equilibrio anche nell’adattamento delle piattaforme pastorali ordinarie alle particolarità che ogni situazione esige.

38.      La specificità della cultura zingara, in effetti, è tale da non rendere a loro consona un’evangelizzazione semplicemente “dall’esterno”, facilmente giudicata come un’invadenza. Sulla scia della vera cattolicità, la Chiesa deve diventare, in un certo senso, essa stessa zingara fra gli Zingari, affinché essi possano partecipare pienamente alla vita della Chiesa. Ciò porta a prospettare un atteggiamento pastorale improntato alla condivisione e all’amicizia, per cui risulta importante per gli Operatori pastorali specifici immergersi nella loro forma di vita e condividerne la condizione, almeno per un certo tempo. Per essi vale dunque in modo del tutto speciale ciò che la Chiesa esige da quanti sono impegnati nei territori missionari, vale a dire che «debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono e improntare le relazioni con essi a un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli» (AG 11).

Purificazione, elevazione e compimento in Cristo della cultura zingara

39.      Un incontro autentico fra vangelo e cultura zingara non può comunque legittimare indiscriminatamente ogni suo singolo aspetto. La storia universale dell’evangelizzazione attesta, infatti, che la diffusione del messaggio cristiano è stata sempre accompagnata da un processo di purificazione delle culture a cui esso è riferito, purificazione che va vista in realtà come aspetto necessario della loro elevazione cristiana. Non dovrebbe perciò stupire che a fianco della “accettazione” di una tale cultura, la Chiesa orienti la pastorale anche verso il superamento di quegli aspetti non condivisibili dalla visione cristiana della vita o che, in un modo o nell’altro, costituiscono ostacoli sulla strada della riconciliazione e comunione fra Zingari e gağé. Un atteggiamento minimalista nei confronti di questi ostacoli, o una difesa indiscriminata di tutto quanto è presente nelle tradizioni zingare, senza le dovute distinzioni e i relativi giudizi evangelici, non può giovare quindi alla causa dell’evangelizzazione stessa.

40.      In questo contesto, è necessario aggiungere che la custodia delle proprie tradizioni non dovrebbe diventare un alibi per giustificare un atteggiamento d’isolamento, chiuso anche al giusto progresso delle società dei gağé. La riconciliazione e la comunione fra Zingari e gağé include cioè l’interazione legittima delle culture, e in questo processo l’iniziativa deve venire anche da parte zingara. Occorre prendere atto, cioè, che l’attuale configurazione generale della società non permette il necessario progresso delle culture che restano isolate dal flusso centrale dello sviluppo. Anche se, evidentemente, esistono molte situazioni d’ingiustizia sociale che, in ultimo termine, hanno la loro origine nel peccato, bisogna tuttavia riconoscere, contemporaneamente, che le situazioni di sottosviluppo sociale non sempre provengono dalla cattiva volontà degli altri strati sociali, ma anche dalla struttura del tessuto sociale stesso, che richiede integrazione come condizione di progresso.

41.      È altresì tratto caratteristico della società contemporanea la necessità dell’educazione, della qualificazione professionale e dell’iniziativa e responsabilità personali, come condizioni indispensabili per risalire a una qualità di vita almeno degna. Sono valori che vanno dunque apprezzati e fomentati, specialmente dai genitori. Gran parte della popolazione zingara trascina ancora, in effetti, un’eredità nella quale manca questa consapevolezza, anche come conseguenza dell’isolamento. Benché spesso non li si possa e debba colpevolizzare, si rende comunque necessario superare questa carenza, specialmente in vista delle future generazioni.

           L’uguaglianza di diritti fra uomo e donna, in questo contesto, va decisamente fomentata, togliendosi ogni forma di ingiusta discriminazione. Ciò non significa peraltro stravolgere l’istituzione familiare, come capita purtroppo quando tale uguaglianza è mal intesa, non accettandosi la differenza tra uomo e donna in una cultura della reciprocità. L’uguaglianza richiede però il rispetto della dignità della donna, l’elevazione della cultura femminile, la promozione sociale, ecc.

42.      Il senso forte di famiglia, così radicato presso gli Zingari, non può permettere poi che offese personali o collettive, ricevute, diventino un risentimento permanente trasmesso di generazione in generazione, prolungando nel tempo l’inimicizia fra famiglie e/o etnie.

           L’onestà e la rettitudine in ambito lavorativo è altresì un valore civile e cristiano che non può essere mai disatteso. Le attività che producono “denaro facile”, al margine o addirittura fuori della legalità, vanno quindi decisamente abbandonate. Occorre prendere atto del danno rilevante che ciò provoca sia alla popolazione circostante gli Zingari che a loro stessi, in quanto contribuisce ad alimentare i pregiudizi dei gağé

Interazione culturale

43.      La purificazione della cultura zingara, tuttavia, non dovrebbe significare un suo svuotamento. Ma assieme al rispetto e all’apprezzamento dei suoi legittimi valori, va decisamente spinto il processo della sua integrazione nel seno della cultura della società circostante, il che implicherà un atteggiamento di accoglienza da parte di quest’ultima. Tanto per motivi di carità cristiana, quanto per esigenze della vita civile, il non-incontro o l’opposizione delle culture zingara e dei gağé è infatti realtà da superare e ciò richiede un grande cambiamento di mentalità, sia in ambito ecclesiale che civile.

44.      In questo processo, peraltro, gioca un ruolo decisivo l’educazione impartita nelle scuole dei gağé. Effettivamente, i comuni testi scolastici presentano spesso una visione storica e sociologica della popolazione zingara ereditaria dei pregiudizi che si sono trascinati di generazione in generazione, continuando così ad alimentare l’atteggiamento generale di diffidenza. In modo analogo, l’informazione diffusa attraverso i mass-media solo raramente porta a conoscenza del grande pubblico i valori positivi della cultura zingara, essendo assai più frequente la diffusione di notizie negative che contribuiscono a danneggiarne ancor più l’immagine. Lo zelo per il rispetto delle minoranze, sempre più esteso ai nostri giorni, dovrebbe invece trovare anche in questi ambiti la sua realizzazione, senza discriminazione di nessun tipo. In questo caso ciò che è valido per tutte le minoranze è anche da applicare a quella zingara. Resta quindi da compiere un grande lavoro di apertura e di informazione, per strappare dagli animi la diffidenza, sostenuta da una letteratura acritica e tristemente diffusa nella società, che alimenta l’atteggiamento di rifiuto.

 

capitolo IV

Evangelizzazione e Promozione Umana 

Unità della famiglia umana

45.      In Adamo, Dio si rivela Creatore, Padre di tutti gli uomini e di tutte le donne che formano una sola famiglia, l’umanità intera. Ogni persona è stata creata a immagine di Dio (cfr Gen 1,27), in solidarietà con gli altri. La relazione di Dio con l’uomo, quindi, anche quando sfortunatamente non è riconosciuta, rimane vitale, fondamento della dignità della persona umana.

           Nel dono della vita, Dio manifesta incessantemente il suo amore creatore, così come Cristo rivela a tutta l’umanità, con le sue parole e azioni, con la sua passione e resurrezione, la presenza attuale di questo amore creatore, che è anche redentore. In questo modo, l’umanità composta da figli e figlie di Dio, fratelli e sorelle nel Figlio di Dio, è chiamata a vivere insieme in un’unica famiglia, arricchita dai doni di ciascuno e dalle caratteristiche di ogni popolo. Tutti sono invitati a costruire un’umanità fraterna, chiamata ad attestare che il Regno di Dio è già presente nella persona del Risorto e nella sua Chiesa, suo inizio e germe (cfr LG 5). 

Diritti umani e civili degli Zingari

46.      L’unità della famiglia umana si manifesta anche nel riconoscimento della dignità e della libertà di ogni persona, qualunque ne sia l’etnia, il Paese d’origine e la religione, in relazione di solidarietà con tutti. La persona è pure infinitamente preziosa poiché Cristo ha offerto la sua vita per ciascuno. Egli è il primogenito di questa umanità nuova, infinitamente amata dal Padre. Dopo il trionfo della Resurrezione, che suggella la morte dell’odio e di ogni morte, Egli ha diffuso il suo Santo Spirito, Spirito di verità e di amore, Spirito di libertà e di pace, che ci riconcilia con l’avversario, ci strappa all’indifferenza, facendoci prossimo di tutti i membri della famiglia umana.

47.      Ogni persona, unica e insostituibile, è chiamata, dunque, a realizzare le proprie capacità, a svilupparsi nell’esercizio dei suoi diritti e doveri, a vivere del suo lavoro, nel rispetto reciproco. Affinché ciò diventi vita quotidiana, qualsiasi decisione personale o collettiva deve partire dalla persona, nei suoi rapporti con gli altri, tenendo conto delle condizioni di vita di ordine politico ed economico. La priorità dell’amore per l’altro, che Cristo ha proclamato e vissuto, dovrà dunque condurre i cristiani all’amore incondizionato per ogni essere umano e a occupare con Lui il posto del servitore. È così che Egli ha combattuto, senza violenza, la volontà di potere che assoggetta in particolare i più vulnerabili dei nostri fratelli fino all’annichilamento.

48.      Il compito da intraprendere, affinché gli Zingari, particolarmente vulnerabili, si considerino e siano accettati come membri a pieno titolo della famiglia umana, è perciò grande e urgente. Alla pace autentica e duratura, quella che dovrebbe caratterizzarla come riflesso della “famiglia divina” (la Santissima Trinità), non si arriva però fuori da un contesto di giustizia e di sviluppo. Fra la popolazione zingara va quindi custodita la dignità e rispettata la identità collettiva, vanno incoraggiate le iniziative per il suo sviluppo[9]e difesi i diritti. 

Minoranza particolare fra le minoranze

49.      Per comprendere adeguatamente la storia spesso drammatica di questa popolazione, occorre tener presente non solo la sua situazione di minoranza in seno alla società, ma anche la sua specificità nei confronti delle altre minoranze. La sua peculiarità sta infatti nel fatto che gli Zingari costituiscono una minoranza senza un preciso insediamento territoriale o uno Stato di riferimento originario, e pertanto non ne ha un suo eventuale sostegno. Questo “vuoto” di garanzie politiche e di protezione civile rende molto critica la vita degli Zingari. Mentre l’arrivo di altre popolazioni in cerca di rifugio e di sicurezza ha infatti potuto mobilitare un certo numero di persone, quello degli Zingari ha invece provocato, in genere, fenomeni di rifiuto. E, tuttavia, le ondate di loro rifugiati dimostrano in modo lampante che anch’essi provengono da Paesi poveri, dove, inoltre, la discriminazione è spesso accompagnata da reiterata violenza. Tale situazione potrà così essere gestita solo se i Governi definiranno insieme una politica comune, globale, condivisa, per strappare gli Zingari dalla miseria e dal rifiuto.

50.      Tutto ciò rende particolarmente necessario l’interessamento degli Organismi internazionali a favore di questa popolazione. Parimenti, i Governi nazionali debbono rispettare questa minoranza tra le minoranze e riconoscerla, contribuendo a sradicare gli episodi di razzismo e di xenofobia ancora diffusi, che provocano discriminazione in materia di impiego, di alloggio e di accesso agli studi.

           Anche la Chiesa, attraverso il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, grazie ai Rappresentanti e agli Osservatori della Santa Sede presso gli Organismi internazionali, e alle Autorità ecclesiastiche delle varie nazioni, è chiamata a intervenire affinché le decisioni degli Organismi nazionali e internazionali a favore degli Zingari trovino accoglienza presso le istanze locali e si ripercuotano nella vita quotidiana. 

Condizioni di sviluppo integrale

51.           L’istruzione è condizione fondamentale e imprescindibile di sviluppo. A questo riguardo, mentre, in passato, il costume prevalentemente itinerante degli Zingari rendeva abbastanza difficile l’educazione sistematica delle giovani generazioni, ai nostri giorni gli ostacoli da superare risiedono piuttosto nel tipo di insegnamento impartito. La loro integrazione – quando è possibile – nel normale percorso educativo contribuirà a superare le eventuali carenze. Quando poi la semi-sedentarizzazione o l’itineranza rendono impossibile una educazione sistematica, normale, occorrerà allora uno sforzo congiunto dei Governi, delle associazioni zingare e anche della Chiesa, per attivare in qualche altro modo la formazione dei ragazzi zingari.

52.           Analogamente è necessario pensare a tutti gli altri elementi di sviluppo di cui pure queste popolazioni dovrebbero godere, cioè la formazione professionale dei giovani, l’accesso ai servizi sanitari, le condizioni decenti delle abitazioni, la previdenza sociale, ecc. Tuttavia, se non si tiene conto della storia degli Zingari, l’azione sociale tenderà ad orientarsi a partire dall’idea di una deviazione sociale da superare. Essi saranno facilmente considerati, in fondo, come degli asociali da ricondurre al più presto nell’alveo della società maggioritaria. Così facendo, si negherebbe la discriminazione a cui gli Zingari sono stati sottoposti per secoli e verrebbe meno il riconoscimento della specificità della loro cultura.

           Occorre invece mettere al centro il rispetto della persona umana, anche nella sua dimensione collettiva, soprattutto se le condizioni di vita l’hanno resa fragile. Da ciò derivano alcuni criteri da tener presenti quando si affrontano i progetti di sviluppo delle comunità zingare. Se, cioè, questi relegano sistematicamente gli Zingari nella categoria di assistiti rischiano già in partenza di mancare il loro obiettivo. Certo, le circostanze possono spesso richiedere un congruo assistenzialismo, ma la promozione autentica deve continuare ben oltre, finché essi diventino veri responsabili delle risorse necessarie per il loro sviluppo.

53.           L’impostazione delle vie di sviluppo richiede altresì una adeguata comprensione delle nozioni distinte di integrazione e di assimilazione. La prima, infatti, va decisamente incoraggiata, puntando verso il pieno inserimento della vita e delle tradizioni zingare nel concerto delle altre culture, nel rispetto della propria. Vanno invece decisamente respinti i tentativi di assimilazione, vale a dire quelli conducenti all’annientamento della cultura zingara, dissolvendola in quella della maggioranza. Lo Zingaro inserito nella società dei gağé dovrà continuare a essere se stesso, a preservare cioè la propria identità.

           È inoltre necessaria una conoscenza della situazione delle comunità dall’interno. Troppo spesso invece i Poteri pubblici, sottoposti alla pressione di avvenimenti disumani, che finiscono per turbare l’opinione pubblica, o all’azione di associazioni zingare e di persone che denunciano le condizioni di vita subumane di queste famiglie, rischiano di prendere decisioni affrettate sulle misure da adottare. Bisognerà invece lavorare seriamente, di comune accordo con gli interessati, non ignorando il modo di vita, le tradizioni, la specificità del lavoro degli Zingari.

54.      In questo contesto prende importanza l’associazionismo zingaro come utile interlocutore in vista di tracciare le vie di sviluppo. Esso va aiutato ad acquisire competenza e serietà nelle iniziative, per rappresentare l’intera popolazione ed essere consultato dai Poteri pubblici nell’elaborazione di progetti a largo raggio, diretti a migliorare l’alloggio, le aree di sosta, la scolarizzazione, le condizioni di vita dei sedentari, dei semi-sedentari o di coloro che viaggiano. 

Prospettiva cristiana della promozione 

55.      Anche se l’avviamento di progetti concreti di promozione umana spetta primariamente allo Stato, può essere conveniente e addirittura necessario che istituzioni della Chiesa siano coinvolte in iniziative concrete al riguardo, dando spazio agli Zingari stessi come protagonisti. Tuttavia, appartiene più propriamente alla missione fondamentale della Chiesa segnalare alle istanze pubbliche le condizioni di disagio di questa popolazione.

56.           Bisogna comunque non dimenticare che «lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica» (RM 58).

 

CAPITOLO V

Aspetti particolari di Pastorale per gli Zingari 

57.           L’evangelizzazione degli Zingari è missione di tutta la Chiesa, perché nessun cristiano dovrebbe restare indifferente davanti a situazioni di emarginazione o di allontanamento dalla comunione ecclesiale. Anche se la pastorale per gli Zingari ha una sua specificità, e richiede ai suoi diretti protagonisti un’accurata e specifica formazione, un atteggiamento di accoglienza deve così manifestarsi nell’intera comunità cattolica. Occorre perciò sensibilizzare maggiormente tutto il Popolo di Dio non solo per superare l’ostilità, il rifiuto o l’indifferenza, ma per giungere a un comportamento apertamente positivo nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle Zingari. 

Aspetti specifici di tale pastorale 

58.      Per impostare adeguatamente la pastorale per gli Zingari, la dimensione antropologica ha una grande rilevanza, anche perché essi sono specialmente aperti all’impatto “sensitivo” di un evento, soprattutto se riguarda l’ambiente familiare. La loro relazione con la storia resta poi sempre fondamentalmente “emotiva”. I loro punti di riferimento nello spazio e nel tempo, in effetti, non sono fissati dalla geografia o dalle date del calendario, ma piuttosto dalla densità affettiva di un incontro, di un lavoro, di un incidente, di una festa. Le loro reazioni sono piuttosto immediate, guidate da un criterio più intuitivo che da un pensiero teorico, e tutto ciò rende indispensabile una grande capacità di discernimento, di iniziativa e creatività nel modo d’impostare l’azione pastorale.

Accostamento e modi di comunicazione

Per la mentalità degli Zingari l’azione pastorale sarà più incisiva quando essa si svolgerà nel seno di piccoli gruppi. Risulta qui più facile la personalizzazione e la condivisione della esperienza di fede, mentre ivi si partecipa agli stessi avvenimenti, illuminandoli con la luce del Vangelo e si raccontano le singolari realizzazioni d’incontro con il Signore. In tali gruppi gli Zingari si ritrovano con se stessi e con la loro cultura ed è apprezzato il loro “protagonismo” e la responsabilità laicale. L’anonimato spersonalizzante toglie invece alla pastorale gran parte delle sue potenzialità.

60.      La Parola di Dio annunciata agli Zingari nei vari ambiti dell’azione pastorale sarà da loro più facilmente accolta se proclamata da qualcuno che si è dimostrato, in concreto, solidale verso di loro attraverso gli avvenimenti della vita. Nell’ambito concreto della catechesi risulta inoltre importante includere sempre un dialogo che permetta agli Zingari di esprimere come percepiscono e vivono il proprio rapporto con Dio. Le situazioni vissute spesso dicono più delle idee ridondanti in cui rischiano di perdersi.

61.           Occorrerà inoltre valutare l’opportunità di intraprendere traduzioni di testi liturgici, della Bibbia, di libri di preghiere, nella lingua usata dalle varie etnie nelle diverse regioni. Analogamente, il ricorso alla musica – molto apprezzata e praticata presso gli Zingari – negli incontri pastorali e nelle celebrazioni liturgiche è un validissimo supporto, che conviene promuovere e sviluppare. Infine, dato che la memoria visiva degli Zingari è straordinariamente sviluppata, i sussidi didattici in forma cartacea e video, con foto significative, e in tutta la varietà offerta dalle nuove tecnologie, se ben adattati alla mentalità zingara, possono offrire un aiuto prezioso, se non indispensabile.

Pastorale sacramentale

62.      La richiesta dei sacramenti da parte delle famiglie si situa in un contesto che riguarda il rapporto reciproco fra Chiesa e Zingari. Essi si rivolgono di preferenza al Rašaj (sacerdote) o all’équipe parrocchiale che hanno saputo dimostrarsi accoglienti e aperti nei loro confronti, senza dubbio perché hanno condiviso anche momenti dolorosi o pericolosi della loro vita. Prima di dare una risposta affrettata, è necessario discernere la qualità della relazione esistente fra la famiglia zingara e la comunità cristiana locale. Questa valutazione determina l’autenticità della domanda, e dovrà incidere nella preparazione al sacramento e nel suo svolgimento.

63.      Il battesimo è di solito il sacramento più richiesto. Occorrerà però sviluppare l’accompagnamento spirituale della famiglia e del battezzato in modo tale da arrivare a completare l’intero arco dell’iniziazione cristiana. La risposta data alla prima domanda di battesimo sarà però determinante e si ripercuoterà sull’avvenire, su tutta una vita.

           Il dialogo preparatorio alla celebrazione del battesimo deve comunque partire dalla esistenza zingara quotidiana, altrimenti si correrà il rischio di usare un linguaggio religioso parallelo alla loro vita, al quale si aderirà soltanto esteriormente. Bisognerà inoltre fare una scelta accurata del padrino o della madrina, un ruolo che implica l’accettazione di una relazione privilegiata, in continuità, con la famiglia. Per questo la loro presenza, nella preparazione, è molto conveniente, anche se non sempre è facile da ottenere.

64.      Vanno dunque evitati sia i battesimi senza l’adeguata preparazione, sia l’imposizione delle esigenze che valgono per i gağé, come se gli Zingari fossero membri “usuali” della comunità territoriale. Se il celebrante non possiede una formazione specifica per una catechesi adattata agli Zingari, converrà dunque che si consulti con il Cappellano degli Zingari più vicino. Durante la celebrazione si dovrà poi curare bene il linguaggio, per poter nutrire e sviluppare la fede dei genitori, dei padrini, delle madrine e di tutta la famiglia presente. Non tutte le parole di cui può servirsi un gağó sono infatti comprensibili a uno Zingaro. Le immagini utilizzate non hanno cioè lo stesso impatto in una differente visione del mondo.

           Comunque il battesimo dovrebbe essere celebrato con la presenza di membri di tutto il Popolo di Dio. Come nel caso degli altri cattolici, la famiglia zingara, nella sua diversità, sarà associata alla preparazione e alla celebrazione. Si può giungere così a un’esperienza di cattolicità che può inaugurare un rapporto nuovo tra Zingari e gağé, più ancora se le relazioni istaurate in occasione della preparazione sono mantenute in seguito, condividendo la loro vita.

65.           Importante, soprattutto per i giovani, appare una pastorale della confermazione, sacramento praticamente sconosciuto dalle comunità zingare. La relativa catechesi di preparazione consente di recuperare, sul modello catecumenale, le carenze precedenti dell'iniziazione cristiana, educandoli a una libera e consapevole aggregazione alla Chiesa. La confermazione, mentre introduce il battezzato alla piena partecipazione alla vita dello Spirito, all'esperienza di Dio e alla testimonianza della fede, gli scopre insieme il significato della sua appartenenza ecclesiale e della sua responsabilità missionaria. Appare altresì importante dare rilievo all'altro “soggetto” del sacramento, cioè alla comunità, da includere nella catechesi in forma intergenerazionale, perché in occasione della celebrazione dei “suoi cresimati” possa vivere essa stessa la grazia di una nuova Pentecoste, venendo confermata al soffio dello Spirito, nella sua vocazione cristiana e nella sua missione evangelizzatrice.

66.      Fonte e vertice della comunione in Cristo e con la Chiesa è l'Eucaristia, memoriale della morte e resurrezione del Signore, sacramento pure non ancora acquisito nel suo pieno significato dagli Zingari. Tuttavia esso trova un risvolto importante nella tradizione di alcuni gruppi circa i banchetti sacri, celebrati di solito in onore del Santo protettore della famiglia o per la pace dei defunti. Vi si loda Dio per le grazie ricevute e si condividono i cibi, prima il pane e il vino, che vengono spesso benedetti dal capo della famiglia ospitante. Questa esperienza di comunione nel convito, in cui gli Zingari affermano l'appartenenza alla propria comunità, può essere permeata da un continuo riferimento a Dio quale fonte dei beni che danno un senso e un valore alla vita, nel qual caso diventa punto di partenza per una progressiva introduzione nella comunità cristiana riunita nella preghiera. Ciò avviene soprattutto nella liturgia eucaristica, dove il sacramento potrà essere rivelato e celebrato quale condivisione dello stesso pane della vita, alla mensa del Padre, nell’incontro con il mistero pasquale, celebrato nell’eucaristia quale memoriale del Cristo fattosi dono per noi. Lo contraccambiamo, fatti noi stessi dono a Dio e al prossimo, nella carità.

67.      Il sacramento della penitenza o riconciliazione, pur disertato nella forma sacramentale, trova un preciso riferimento sia nella consuetudine degli Zingari di chiedere continuamente e anche pubblicamente perdono a Dio per le proprie mancanze, sia nella concezione e nel comportamento con cui la tradizione regola la riconciliazione, quando riammette un membro nella comunità, dalla quale era stato dichiarato "impuro" e bandito per gravi infrazioni del codice etico. Il sacramento allora si fa segno visibile di un processo di conversione, nel quale, da una parte, è Gesù stesso che dona, mediante il ministero della Chiesa, il perdono misericordioso del Padre, inscindibile dalla riconciliazione con i fratelli, dall'altra è la risposta umana sostenuta dalla grazia dello Spirito, che si apre alla retta coscienza morale nell'adesione radicale a Dio.

68.      Per quanto riguarda il matrimonio, è da considerare che esso è iscritto nella cultura e nella tradizione zingara con varietà di rituali, a seconda del gruppo di appartenenza, ma con uguale sostanza. I due contraenti assumono, cioè, tutti i diritti e doveri coniugali di fronte alla comunità, che sancisce la validità dell’unione, quale status permanente dove i valori etici e naturali – libertà, fedeltà, indissolubilità e fecondità – sono sostanzialmente custoditi. L’unione matrimoniale è qui intesa come totalmente diversa da una qualsiasi semplice unione sessuale e si presenta quindi come un evento straordinario, che si avvicina alla visione cattolica del matrimonio, per cui potrà essere ritenuto, per i battezzati, una base significativa del futuro sacramento, la cui “forma” è richiesta dalla Chiesa. La famiglia, cuore e fondamento della cultura e della struttura sociale degli Zingari, sacramentalmente così rinnovata, si fa terreno fecondo per la formazione di piccole comunità cristiane, nella prospettiva della graduale e piena partecipazione alla vita della Chiesa nella varietà dei carismi e dei ministeri.

69.           L'unzione degli infermi è un sacramento non solo non praticato, ma misconosciuto come segno sacramentale di Cristo e preghiera di tutta la Chiesa per il malato. Il rifiuto del sacramento è dovuto alla falsa convinzione che esso sia collegato alla morte. Da qui l'istanza di una evangelizzazione della sofferenza, in cui il malato, unito a Cristo, che si è caricato delle sofferenze dell'umanità (cfr Mt 8,17), vive l'esperienza della sua infermità come abbandono fiducioso a Dio Padre e come apertura generosa alla solidarietà con gli altri sofferenti, così disponendosi ad accogliere il dono della guarigione, che Dio può operare nel profondo dell'anima, irradiandone gli effetti sul corpo. Il sacramento può trovare un efficace punto di partenza nella grande sollecitudine per i malati e in particolare per i morenti, che sono portati dall'ospedale a "casa" perché possano ancora godere dell'amore e della tenerezza della famiglia e della comunità.

La liturgia dei defunti, insistentemente richiesta per il timore che il defunto non si senta adeguatamente onorato, è chiamata a purificare e a perfezionare, alla luce del mistero pasquale, il culto tradizionale dei morti, vissuto in tutti i gruppi, pur con modalità diverse, in modo comunitario, con grande enfasi e generosità.

I pellegrinaggi

70.      I pellegrinaggi sono espressione devozionale molto apprezzata dagli Zingari. Risultano, di fatto, attraenti occasioni di riunione per le loro famiglie. Spesso poi i “luoghi sacri” di incontro con il “Santo”, o la “Santa”, sono legati alla storia familiare. Un avvenimento, un voto, un cammino di preghiera vissuti come un incontro personale con il “Dio del Santo o della Santa”, cementano in effetti la fedeltà di un gruppo. Se la Chiesa, grazie alla presenza di Cappellani, di religiosi/e, o di laici, condivide, comprendendola, la preghiera degli Zingari, amministra loro il battesimo o benedice un matrimonio, il pellegrinaggio disporrà i partecipanti a un’esperienza di cattolicità che condurrà dalla “Santa” o dal “Santo” alla persona di Cristo e a legami ecclesiali con i gağé.

           Pure i battesimi preparati in questi luoghi di pellegrinaggio possono essere celebrati con maggiore profondità e autenticità, perché risultano più familiari e sono scelti per tempo dagli Zingari stessi. In tali occasioni sarà altresì possibile, mediante catechesi adattate agli adulti, approfondire la fede in Cristo partendo dalla loro religiosità.

71.      Anche la Via Crucis, svolta e ripetuta specialmente durante i giorni del pellegrinaggio, è di solito molto apprezzata. La si vive, cioè, come una celebrazione penitenziale che gli Zingari possono animare con maggiore facilità, giacché le stazioni della Via Crucis di Cristo parlano a loro cuore a cuore, rimandandoli alle sofferenze della vita e invitandoli a operare a favore della riconciliazione con i gağé e tra Zingari. Ma anche la pia recita del Rosario fa parte dell’orante peregrinare.

           La presenza di Sacerdoti, religiosi/e e laici che vivono vicino a loro durante alcuni giorni, rende inoltre possibili molteplici riunioni e conversazioni in cui gli Zingari prendono la parola e testimoniano la loro fede, nutrendosi di un Vangelo condiviso. In queste occasioni ci sono altresì possibilità di contatti con gağé, che modificano spesso l’immagine negativa degli Zingari nell’opinione pubblica e distruggono generalizzati pregiudizi.

72.      Per questo è conveniente promuovere tutti i vari tipi di pellegrinaggio, ma in particolare quelli a dimensione internazionale, nei quali più facilmente si sperimenta la cattolicità vissuta. Devono essere analogamente sostenuti i pellegrinaggi regionali, più accessibili anche alle famiglie povere. Seppur questi pellegrinaggi, meno conosciuti, non sono soliti avere una funzione formativa, possono però trasmettere il gusto del Vangelo, alimentando la fede di ognuno. Essi costituiscono inoltre una buona occasione per promuovere i grandi pellegrinaggi, attraverso le testimonianze delle famiglie che vi hanno già partecipato, vivendo momenti indimenticabili e incontri inediti. 

73.      È necessario infine che la comunità responsabile di un santuario coordini il pellegrinaggio zingaro e prenda contatto con qualche responsabile della relativa équipe pastorale, soprattutto se in loco non si è abituati alla loro cultura e alle loro tradizioni. In questo modo si potranno anche analizzare le eventuali reazioni degli abitanti della città o del paese dove sorge il santuario, o del vicinato, per conoscerne il tenore e stabilire gli opportuni interventi. Se non si agisce in anticipo, l’alloggio delle famiglie o lo stazionamento delle carovane possono suscitare infatti tensioni il cui ricordo negativo durerà a lungo. 

Le sfide della Pastorale per gli Zingari

Passaggio dal sospetto alla fiducia

74.      Il fatto di presentarsi con amore e con il desiderio di proclamare la Buona Novella non è sufficiente per creare tra Zingaro e Operatore pastorale gağó un rapporto di fiducia, perché la storia ha un suo peso e, dopo tanti torti subiti, la popolazione gitana resta sospettosa di fronte all’iniziativa di chiunque cerchi di penetrare nel suo mondo. Il superamento di questo iniziale atteggiamento può solo provenire da dimostrazioni concrete di solidarietà, anche attraverso una condivisione di vita.

           Ogni dimostrazione e ogni atto di reciproco perdono consolidano poi la fiducia e la solidarietà, favorendo l’instaurazione di rapporti positivi tra Zingari e gağé. In tale contesto si inserisce la parola di Papa Giovanni Paolo II ai fedeli, il 12 marzo 2000, quando si chiese perdono anche per i peccati commessi nei confronti degli Zingari dai figli della Chiesa nel corso della storia[10]

Dalle varie credenze alla fede

75.           Analogamente a quanto succede fra i gağé, molti Zingari sono battezzati ma non evangelizzati. La sola “credenza in Dio” non è sufficiente, nella visione della fede cristiana, perché è necessario arrivare all’accoglienza autentica di Gesù Cristo e del suo messaggio. Il passaggio dalle credenze alla fede può essere eventualmente avviato attraverso itinerari di tipo catecumenale, che portino i battezzati al gioioso incontro con la persona del Signore.

           Questo sforzo verso la maturità della fede cristiana dovrebbe sradicare quella fuorviante credulità che spesso porta alla pratica della chiromanzia e più in generale alla superstizione. Vanno altresì superate le concezioni errate sul significato dei riti liturgici. In questo contesto occorre rimettere sul giusto binario le richieste di sacramenti motivate da intenzioni sbagliate o incomplete, come lo è il desiderio della salute corporale del bambino.

Ecclesialità, ecumenismo e dialogo inter-religioso

76.      Una fede matura è anche fede ecclesiale, vissuta cioè stabilmente in seno alla Chiesa. Mentre il contatto con membri di altre confessioni cristiane e religioni potrebbe essere un’occasione d’arricchimento, non giova certo alla crescita della fede un cambiamento di appartenenza con passaggio a una Chiesa o comunità ecclesiale determinata dato che tra queste e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo di carattere storico, sociologico, psicologico e culturale, ma soprattutto nell'interpretazione della verità rivelata (cfr UR 19). È da evitare dunque anche la contemporanea frequentazione di due o più chiese, il che significherebbe un’anomala spaccatura fra fede e sua celebrazione nel culto.

77.      È inoltre necessario distinguere accuratamente le confessioni cristiane dalle sette e dai “nuovi movimenti religiosi”. Questi ultimi possono eventualmente attirare – a volte addirittura con metodi permeati di proselitismo non evangelico – l’innata religiosità degli Zingari, ma non si configurano come realtà autenticamente ecclesiali. Perciò si dovrà fare tutto il possibile perché gli Zingari non cadano in lacci settari.

           Comunque occorre tener presente che le frequenti migrazioni li mettono in contatto con gağé e Zingari appartenenti ad altre confessioni e religioni, e da ciò sorge la necessità di impostare la pastorale con giusta prospettiva ecumenica e inter-religiosa, sia nel modo di presentare il messaggio evangelico, sia nel rapporto con i credenti delle altre confessioni e religioni.

78.      Un ruolo particolare potrebbero avere in questa pastorale specifica i nuovi movimenti ecclesiali che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa. Con il forte senso della dimensione comunitaria, con l’apertura, la disponibilità e la cordialità loro peculiari, possono costituire in effetti un luogo concreto per l’espressione “emotiva” religiosa degli Zingari, nonché favorire la loro migliore evangelizzazione, in una reciproca interazione.

           Analogamente sarebbe utile creare nella pastorale specifica per gli Zingari, uno spazio per le associazioni cattoliche internazionali e/o nazionali, che rimangano, però, in costante rapporto di comunione e di collaborazione, a seconda delle circostanze, con il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, con la Chiesa locale e la Direzione nazionale che si occupa dei Nomadi. 

La secolarizzazione

79.           Costatiamo a questo proposito che essa, generalizzata in molte società di oggi, investe sempre più anche gli Zingari e in particolare quelli più integrati nel mondo dei gağé. L’urto ha la particolarità di trovarli “meno preparati”, perché la situazione di separazione dal resto della società li aveva finora risparmiati da questo pericolo. Adesso invece ne subiscono quasi d’un tratto l’impatto. La secolarizzazione ha poi una presa del tutto speciale sul mondo giovanile, più facilmente attirato da false prospettive che si offrono, e ciò a danno della religiosità vissuta in seno alle famiglie. I giovani entrano sempre più in contatto con altri giovani gağé, che spesso non manifestano alcun interesse religioso, suscitando negli Zingari interrogativi ignorati dai loro genitori. Questi non sono poi così preparati per rispondere a domande che a loro volta non si sono mai poste, perché finora Dio risultava “evidente”. Ciò rende pressante una pastorale giovanile degli Zingari, che va impostata in modo prioritario.

 

CAPITOLO VI

Strutture e Operatori Pastorali 

80.      Fermo restando il primato della carità, che accende nelle persone e nelle istituzioni il desiderio di favorire la piena comunione con Cristo di ogni singolo essere umano e ogni comunità, comprese quelle zingare, occorre considerare quali siano le strutture più adeguate per l’avviamento, dove non si sia ancora iniziata, o per il miglioramento, della pastorale per, fra e con gli Zingari. Visto che ci troviamo di fronte a una loro realtà complessa e pluriforme, e che la situazione delle diverse Chiese particolari è pure molto variegata, i criteri generali riportati qui di seguito andranno applicati alle concrete circostanze locali, con gli opportuni adeguamenti. Occorrerà inoltre distinguere ciò che trova la sua realizzazione a livello locale, da ciò che si estende a un’intera Nazione o regione, o addirittura alla Chiesa universale, anche se va ben curato il relativo coordinamento e la necessaria comunione gerarchica. 

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

81.      Papa Giovanni Paolo II, nella Costituzione Apostolica Pastor Bonus[11], del 28 giugno 1988, affidava al Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti il compito di rivolgere «la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto; parimenti [il Consiglio] procura di seguire con la dovuta attenzione le questioni attinenti a questa materia» (art. 149). Esso «s’impegna perché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace e appropriata assistenza spirituale, se necessario anche mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti, ai nomadi e alla gente del circo» (art. 150 § 1). Questo Dicastero è, pertanto, una nuova espressione della cura costantemente manifestata dalla Chiesa nei passati decenni, con successive creazioni di vari Organismi e Uffici operanti all’interno della Curia Romana.

82.      La realizzazione concreta del mandato ad esso affidato si svolge nel lavoro quotidiano di animazione, promozione e coordinamento della pastorale, come pure nella presenza a diverse attività dell’Apostolato dei Nomadi. Il Pontificio Consiglio si rivolge dunque alle Conferenze Episcopali, alle corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche – nel rispetto della competenza della relativa Congregazione – e alle Federazioni regionali e continentali delle Conferenze Episcopali, nonché a singole Diocesi/Eparchie, per stimolare, nell’attuazione specifica, questa cura pastorale. Per favorire, poi, la diffusione e la condivisione delle esperienze concrete nelle varie Chiese locali, il Dicastero organizza esso stesso congressi, incontri e seminari internazionali, e partecipa, nella misura del ragionevole, a quelli indetti pure da altre entità. Inoltre, si mantengono contatti diretti con vari Enti internazionali impegnati nella promozione umana e nella pastorale della gente nomade. 

Le Conferenze Episcopali e le corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche

83.      Considerato il carattere specifico della pastorale per gli Zingari, un ruolo speciale spetta in essa alla Conferenza Episcopale del Paese dove vivono gli Zingari e alle corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche che, per mezzo della Commissione istituita nel suo seno per la pastorale dei Migranti e degli Itineranti, avrà una particolare attenzione per la specificità zingara. Nella distribuzione delle risorse umane e materiali disponibili, la Conferenza Episcopale e la corrispondente Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali Cattoliche sarà poi attenta a che la pastorale per gli Zingari non subisca discriminazioni, ma riceva un trattamento proporzionato alla sua importanza, nel contesto anche delle altre minoranze.

           I compiti della relativa Commissione includono non solo il coordinamento delle istanze locali, ma anche gli sforzi per sensibilizzare fedeli e Pastori circa la realtà zingara. I Vescovi daranno dunque la dovuta attenzione a questa pastorale durante una qualche loro sessione di formazione permanente (cfr PG 24). Sarà inoltre necessario promuovere un’informazione nelle comunità, che sia sostenuta dall’insieme dei Pastori, anche se il Promotore episcopale – o chi per lui – riceve il suo incarico specifico. Egli comunque non può svolgerlo da solo. Tenendo in conto la distribuzione geografica della popolazione zingara, potrebbe risultare inoltre conveniente un certo coordinamento pastorale a livello regionale o continentale, oltre che nazionale. 

L’Episcopato e la pastorale degli Zingari

84.      Dal rapporto d’immanenza reciproca fra Chiesa universale e singole Chiese particolari (cfr LG 13)[12], deriva una cattolicità che congiunge e plasma entrambe le dimensioni ecclesiali. Ogni singola Chiesa particolare, cioè, è cattolica in sé stessa, con una cattolicità che si traduce in cordiale comunione. La Chiesa «che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione babelica» (AG 4), raggiunge, penetra, e assume le diversità umane nella pienezza cattolica (cfr AG 6).

85.       Compito dei Vescovi è dunque quello di mantenere e approfondire l’unità delle Chiese particolari, nella missione, riconoscendo e valorizzando ogni esperienza umana aperta alla dimensione religiosa e trascendente, con particolare sollecitudine verso quei fedeli che sono in situazione di emarginazione. La minoranza zingara deve attirare dunque la loro attenzione pastorale, evitando che la caratteristica “internazionale” di questa popolazione si traduca in mancanza di una sua percezione a livello locale e regionale.

86.      Come custodi, per eccellenza, della comunione, i Vescovi tenderanno concretamente a custodire l’unità e l’identità zingara, e l’unione fra essa e quella ecclesiale autoctona. Se non rispetta la loro identità, in effetti, la Chiesa particolare non può neppure costruire la propria unità. Parimenti è un’esigenza della comunione ecclesiale che gli Zingari sentano come propria la Chiesa locale in cui si trovano. I Pastori cercheranno quindi di stimolare questo sentimento. Un’espressione pratica di tale comunione ecclesiale è certamente il dialogo sincero e autentico tra le varie comunità stabili autoctone e gli Zingari. È compito ancora dei Vescovi favorire e agevolare tale comunicazione, nella piena considerazione, appunto, dei valori, della cultura e dell’identità di ciascuno. 

Possibili strutture pastorali di giurisdizione personale

87.      La peculiarità della pastorale zingara è tale che una Chiesa particolare o locale può trovarsi senza possibilità adeguate – soprattutto per mancanza di Operatori pastorali adatti – per attuarla con efficacia. Occorrerà dunque pensare alla possibilità di una direzione interdiocesana o nazionale/sinodale, che faccia capo alla Conferenza Episcopale o alla corrispondente Struttura Gerarchica delle Chiese Orientali Cattoliche, e che possa occuparsi della congrua distribuzione delle risorse, nel senso ampio del termine, della preparazione degli Operatori pastorali, del coordinamento e del rapporto con istituzioni simili di altri Paesi, ecc. A questo proposito potrebbe risultare utile o addirittura necessaria un’unità di direzione pastorale, che segua efficacemente il lavoro e le condizioni in cui vivono i Cappellani e gli altri Operatori pastorali, ferma restando la potestà dei Vescovi diocesani.

88.      Le dimensioni del “fenomeno zingaro”, infatti, e le sue peculiarità non sempre rendono facile una risposta pastorale efficace impostata esclusivamente sulla figura della “Cappellania” diocesana o interdiocesana. Una soluzione complessiva, duratura, più sicura e con adeguati margini di autonomia – sempre in armonica convergenza con le Autorità ecclesiali locali – potrebbe essere cercata nell’ambito delle strutture pastorali previste nella legislazione e nella prassi della Chiesa[13]

Il Promotore episcopale

89.      È necessario che all’interno delle Conferenze Episcopali e delle corrispondenti Strutture Gerarchiche delle Chiese Orientali Cattoliche interessate sia nominato un Vescovo Promotore della pastorale per gli Zingari. È auspicabile che egli abbia una qualche esperienza pastorale presso questa popolazione, ma in ogni caso dovrà avere una formazione personale sufficiente per penetrare la specificità del mondo zingaro e comprenderla, giacché questa non è riducibile a ciò che viene comunemente affermato o ritenuto. Il Promotore episcopale, come è evidente, dovrà permanere in stretto contatto con l’équipe nazionale relativa e vi apporterà anche la visione della Chiesa universale in relazione alla Chiesa locale, al fine di far captare la dimensione generale, oltre la relazione fluttuante degli Zingari con la società e con la Chiesa. Egli si mostrerà particolarmente sollecito in favore degli Zingari, sostenendo l’azione pastorale che a loro vantaggio svolgono i Cappellani e i Parroci. Occorrerà, inoltre, informare i Vescovi della presenza zingara nelle loro diocesi/eparchie – e viceversa – e invitarli magari a destinare un sacerdote, una religiosa o un laico, per tener desta la preoccupazione dell’evangelizzazione fra gli Zingari. Nei Paesi poi in cui tale popolazione è numerosa e in espansione, uno dei primi compiti sarà quello di creare una struttura pastorale nazionale/sinodale, regionale o nell’ambito di una specifica Chiesa sui iuris, o di rafforzare quella esistente. 

La Direzione nazionale

90.      Anche se le “Cappellanie” nazionali, o simili, sono organizzate in modo non uniforme, in genere esse comprendono un Direttore nazionale, magari coadiuvato da uno o due assistenti, secondo la consistenza della popolazione zingara e l’ambito geografico in cui essa è presente. Incontri nazionali, o simili, in cui partecipano Zingari e sacerdoti, religiose e laici gağé, permettono di trattare i grandi problemi che riguardano questa popolazione e di emettere proposte per l’azione pastorale ecclesiale. In questo ambito, l’indirizzo del Promotore episcopale è indispensabile. L’asse portante di ogni attività tenderà comunque a far sì che gli Zingari stessi siano responsabili del loro destino. Il Direttore nazionale, o l’equivalente, sarà persona con vasta conoscenza della popolazione zingara, con visione internazionale ed esperienza sul terreno e di lavoro in équipe.

91.      Il Direttore nazionale, o l’equivalente, incoraggerà anche la creazione – se necessario – di équipes regionali e diocesane/eparchiali con il compito di analizzare la comune esperienza, sia in vista di una maggiore giustizia nei confronti degli Zingari, sia per migliorare la qualità e la continuità dell’assistenza religiosa e della catechesi. Saranno proposte poi sessioni annuali di formazione per Cappellani, religiosi/e e laici. Sarebbe opportuno altresì organizzare periodi di convivenza presso famiglie e comunità zingare, per comprenderne dall’interno la mentalità, la rete relazionale, la povertà relativa, le qualità e le carenze esistenti. È un’esperienza difficile, ma anche arricchente. La Direzione nazionale, o l’equivalente, potrà altresì sostenere la creazione di “scuole della fede” per le coppie e le famiglie zingare, chiamate a partecipare, in forma più concreta, all’animazione cristiana delle loro comunità. 

Le Cappellanie/Missioni

92.      Allo scopo di non escludere nessuno dalla comunione ecclesiale, una ormai collaudata esperienza affianca alle strutture pastorali su base territoriale – sostanzialmente le parrocchie – altre strutture, rivolte invece a diverse categorie di persone bisognose di una pastorale specifica. Troviamo così nella Chiesa Cappellanie/Missioni per i migranti, i rifugiati, gli universitari, gli ammalati negli ospedali, i carcerati, il mondo dello sport, dello spettacolo, ecc. Abbiamo richiamato questo contesto perché in esso trova il suo posto la “Cappellania” che realizza una specifica pastorale degli Zingari, dotata di tutti i mezzi necessari per adempiere la sua missione. 

I Cappellani/Missionari

93.      Per esercitare il ministero pastorale specifico con gli Zingari è necessaria una speciale preparazione, guidata dal Promotore episcopale, indirizzata dalla Direzione nazionale, o l’equivalente, in comunione con i Vescovi diocesani/eparchiali interessati. Questo compito di formazione dei presbiteri per il mondo zingaro richiede così un’équipe nazionale, o equivalente, efficiente e preparata. In ogni luogo dovrebbe poi operare un numero di Cappellani proporzionato alla presenza in loco di popolazione zingara.

Tale pastorale coinvolge naturalmente anche i Parroci del luogo, che non debbono caricare l’intero peso dell’impegno apostolico con gli Zingari sulle spalle dei Cappellani/Missionari di pastorale specifica. Fra essi e i Parroci dovrà svilupparsi, comunque, una grande sinergia e uno spirito di collaborazione. Spetta infatti specialmente a questi ultimi sensibilizzare pastoralmente la comunità parrocchiale nei riguardi degli Zingari, mentre debbono essere disposti anche a lasciarsi aiutare dal Cappellano/Missionario nel ministero presso di loro.

94.      Dato che il ministero nelle Cappellanie/Missioni di pastorale specifica per gli Zingari si presenta come un impegno particolarmente difficile, i Sacerdoti destinati a questo compito vanno aiutati e incoraggiati.

           Si raccomanda, poi, il coordinamento tra pastorale territoriale e personale e si auspica che i Parroci e tali Cappellani/Missionari cerchino e realizzino un proficuo dialogo tra di loro. È importante altresì che nei Seminari e negli Istituti di formazione dei religiosi e delle religiose dei Paesi interessati si dia almeno una qualche nozione circa la pastorale a favore degli Zingari.

95.      Il decreto della Pontificia Commissione per la Pastorale delle Migrazioni e del Turismo, del 19 marzo 1982, riportava un elenco di sette facoltà speciali di cui godevano i Cappellani di alcune categorie di fedeli, tra cui i Cappellani dei nomadi (facoltà che si estendevano anche al sacerdote che, assente o impedito il Cappellano, fosse stato nominato a farne le veci). 

Va tenuto conto che quando fu emanato l’anzidetto decreto, oltre al Codice di Diritto Canonico del 1917, vigeva l’istruzione De pastorali migratorum cura, della Sacra Congregazione per i Vescovi, del 22 agosto 1969, il cui n. 36 § 2 prevedeva che la nomina di tali Cappellani avvenisse attraverso un suo rescritto.

Comunque, nel considerare le facoltà dei Cappellani/Missionari dediti alla pastorale in favore degli Zingari, occorre tener presente ora non solo la disciplina del CIC del 1983 e quella del CCEO riguardo alle singole materie a cui si riferiscono le facoltà, ma soprattutto il fatto che i Cappellani/Missionari sono nominati dal competente Ordinario/Gerarca, per esempio a norma del CIC can. 565 e del CCEO can. 585. Come tali, dunque, le facoltà si riferiscono a una certa diocesi/eparchia, con eccezione della facoltà di ascoltare le confessioni, data ora normalmente ubique terrarum[14].

           Rimarrebbe unicamente, quindi, la facoltà di riservare il Santissimo Sacramento in roulottes, sebbene anche qui la normativa del can. 934 conceda maggiore possibilità di azione all’Ordinario di quanto lo facesse il can. 1265 del Codice del 1917. In ogni caso il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti può concedere simile indulto, a certe condizioni.  

Operatori pastorali al servizio delle comunità zingare

96.      Gli Operatori pastorali, uomini e donne, coppie zingare o di gağé, laici, diaconi, religiosi non sacerdoti e religiose, sono chiamati a mettersi al servizio degli Zingari con una responsabilità precisa ed eventualmente con “lettera di missione” del Vescovo o di chi regge la struttura pastorale eretta a tal fine. Spetta al Vescovo diocesano o al Gerarca del luogo riconoscere e definire il servizio richiesto, preoccupandosi di affidarne la formazione all’équipe nazionale, o a quella regionale, guidata dal Promotore episcopale.

97.      In genere, per la formazione varrà ricordare che un Operatore pastorale anche con relazioni permanenti con famiglie zingare, non è facilmente accettato o riconosciuto dalla comunità territoriale, mentre è pure vero che non sempre è immediatamente accettato dagli Zingari stessi. Egli comunque dovrà intensificare i suoi contatti per conoscerne la storia e la situazione e per comprendere la rete relazionale di un quartiere zingaro o di un’area di sosta.

           Gli Operatori pastorali inoltre cercheranno di preoccuparsi di formare un’équipe di riflessione con presenza zingara, non facile da realizzare, soprattutto d’inizio. Per questo non pochi Operatori pastorali si stancano e si scoraggiano perché si trovano da soli ad analizzare le loro esperienze e a sopportarne il peso. Situati alla frontiera di due mondi culturali diversi, essi devono invece contare su una comunità cristiana accogliente, che cerca, anche grazie a loro, di andare incontro agli Zingari, di camminare insieme, affinché la fraternità cristiana universale proclamata sia effettiva. 

Le comunità-ponte

98.      In tali situazioni di sperimentata e oggettiva difficoltà, le cosiddette comunità-ponte, costituite da Operatori pastorali gağé che condividono la vita di una comunità zingara, si sono dimostrate una valida espressione di unità organica e vanno quindi incoraggiate. In effetti, la condivisione della vita quotidiana ha spesso più valore di molti discorsi, per cui esse si rivelano quasi indispensabili affinché anche le comunità cristiane si liberino dei pregiudizi e delle condanne generalizzate degli Zingari e accettino d’incontrarli.

           L’intervento del Promotore episcopale e del Vescovo diocesano/eparchiale, in questo campo, è particolarmente decisivo, al fine di ottenere che tali comunità-ponte siano appoggiate e promosse, e contemporaneamente non diventino una facile giustificazione per il disinteresse degli altri cristiani. Per lo stesso motivo, poi, il Promotore episcopale e l’Ordinario diocesano o il Gerarca del luogo saranno sistematicamente informati circa l’operare della comunità-ponte. 

Operatori pastorali zingari

99.      Da una pastorale ben impostata dovrebbe nascere, come frutto naturale, un “protagonismo” degli stessi Zingari. Essi saranno cioè apostoli di se stessi. Anche in questo modo troverebbero allora compimento le parole di Papa Paolo VI, che attestò, pur in altro contesto: «Occorrerà un’incubazione del ‘mistero’ cristiano nel genio del vostro popolo, perché poi la sua voce nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel coro delle altre voci della Chiesa universale»[15].

           Comunque, generalmente, i laici zingari impegnati nella pastorale preferiscono un compito non definitivo e rinnovabile, poiché, di fatto, le loro condizioni di vita, più di altre, sono soggette alle incognite dell’esistenza. La povertà di alcuni familiari, per esempio, quando diventa insopportabile, rende per essi impossibile l’esercizio della propria responsabilità apostolica, dato che l’urgenza di lottare per sopravvivere richiede tutte le loro forze. Inoltre la poca recettività dell’ambiente, nel caso in cui si percepisca il laico come un inviato dei gağé, può indurre a rinunciare al servizio, poiché ciò implica il rischio di escludere lo Zingaro dalla sua comunità originaria.

100.     La formazione di laici zingari per compiti pastorali è comunque una priorità e impegna il futuro della Chiesa. Essa non è cosa semplice poiché presuppone sempre il rapporto personale con un sacerdote, un religioso, una religiosa o un laico che vive abitualmente in legame con una o più famiglie zingare, e che ha individuato la disposizione e la generosità di una persona o di una coppia ben accette nel proprio ambiente e la cui influenza è percepibile. La loro formazione però non deve essere realizzata con separazione dalla famiglia, le cui reazioni e prese di coscienza devono essere puntualmente considerate. Essa dovrà avvenire, come ideale, congiuntamente anche ad altre persone o coppie zingare che abbiano accettato questo invito.

           L’équipe animatrice dovrà comunque discernere regolarmente l’evoluzione del gruppo e la sua ripercussione sull’ambiente zingaro. L’esperienza della cattolicità porterà a valutare poi se gli Zingari prendono facilmente la parola, scoprendo sempre più che la fede è relazione personale con Cristo, il Quale è amore gratuito verso ogni persona. Anche la comunità cristiana che accompagna l’équipe animatrice dovrà interrogarsi sulla qualità della sua accoglienza e delle sue aspettative. L’iniziativa dovrà dunque essere reciproca e fonte di una esperienza cristiana condivisa, con parole e condizioni di vita alle quali i laici non sono in genere abituati.

101.     All’interno di tale “protagonismo” sgorgherà la preghiera affinché lo Spirito susciti fra gli Zingari generose vocazioni sacerdotali, diaconali e religiose, necessarie perché si possa parlare di una autentica implantatio Ecclesiae (radicamento della Chiesa) in ambiente zingaro. Occorrerà quindi operare un’adeguata promozione delle vocazioni, memori che «la Chiesa mette più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza» (AG 16).

 

Auspicio Finale

102.     Ci auguriamo che questi Orientamenti rispondano alle aspettative di molti che desideravano avere un indirizzo pastorale d’insieme nel ministero a favore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle nomadi. Per la Chiesa, l’accoglienza degli Zingari rappresenta certamente una sfida. La presenza dei nomadi, diffusa quasi ovunque, è in effetti anche un appello costante a vivere con fede il nostro pellegrinaggio terreno, a realizzare la carità e la comunione cristiana, affinché si superi ogni indifferenza e animosità nei loro riguardi. Nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, Papa Giovanni Paolo II ci invita di fatto a «promuovere una spiritualità di comunione»[16],che significa soprattutto condivisione delle gioie e delle sofferenze altrui, con intuizione dei loro desideri e cura dei bisogni di ciascuno, per offrire a tutti vera e profonda amicizia[17].

 

           Roma, dalla sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, l’otto Dicembre 2005, nella Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. 

 

Stephen Fumio Cardinale Hamao

Presidente

 

 

Agostino Marchetto

Arcivescovo titolare di Astigi

Segretario 

 



[1] Giovanni Paolo II, Costituzione Apostolica Pastor Bonus, art. 150, § 1:  AAS LXXX (1988), 899.
[2] V Congresso Mondiale della Pastorale per gli Zingari, in People on the Move XXXV (2003), n. 93 Supplemento. 
[3] Cfr Romualdo Rodrigo,OAR, Zeffirino Giménez Malla “El Pelé”.Il primo zingaro della storia beatificato, Roma 1997. 
[4] Giovanni Paolo II, Bolla di Indizione del Grande Giubileo dell’Anno 2000 Incarnationis Mysterium (29 novembre 1998), n. 7: AAS XCI (1999), 135.

[5] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), n. 58: AAS LXXXIII (1991), 306.

[6]Cfr Paolo VI, Omelia, 26 settembre 1965: Insegnamenti di Paolo VI,  III (1965), 490-495.
[7] S. Agostino, De civitate Dei, XVIII, 51, 2: PL 41, 614.
[8]Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al III Convegno Internazionale della Pastorale per gli Zingari, 9 novembre 1989: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2 (1989), 1195.

[9]Cfr Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al II Convegno Internazionale della Pastorale per i Nomadi, 16 settembre 1980: “On the Move” X (1980) n. 31, 28-30.

[10]Cfr L’Osservatore Romano, N. 61 (42.398), 13-14 marzo 2000, 7-9.
[11] AAS LXXX (1988), 841-934.
[12]Cfr pure Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, nn. 8-9: AAS LXXXV (1993), 842-844.
[13]Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sul Ministero e la vita dei Presbiteri Presbyterorum Ordinis (7 dicembre 1965), n. 10: AAS LVIII (1966), 1007-1008 e Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes (7 dicembre 1965), n. 20, nota 4: AAS LVIII (1966), 971 e n. 27, nota 28: ibidem 979. Per analogia, vedi Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America (6 novembre 1999), n. 65, nota 237: AAS XCI (1999), 800 ed Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa (28 giugno 2003), n. 103, nota 106: AAS XCV (2003), 707.Cfr CIC cann.294-297.
[14] Diversamente dalla situazione vigente con il Codice del 1917, molte delle facoltà menzionate nel citato decreto del 19 marzo 1982 sono attualmente concesse nella Chiesa latina dall’Ordinario del luogo a qualsiasi sacerdote: la facoltà di binare in giorni feriali e di celebrare tre Messe nei giorni festivi ( CIC can. 905 § 2); la possibilità di celebrare una Messa nel pomeriggio del Giovedì Santo per i fedeli che non possono partecipare alla Messa in Cena Domini ( Missale Romanum); la facoltà di ascoltare le confessioni ovunque ( CIC cann. 566 § l e 967 § 2) e quella di amministrare il sacramento della confermazione ( CIC can. 884 § 1). Quanto alla facoltà di assolvere in foro sacramentale dalle censure latae sententiae non dichiarate e non riservate alla Sede Apostolica, essa non appare tanto rilevante, poiché si tratta di facoltà che rientra nella potestà esecutiva ordinaria dell’Ordinario/Gerarca a norma del CIC can. 1355 § 2 e CCEO can. 1420 § 1, e, quindi, è delegabile a terzi in virtù del CIC can. 137 § 1 e CCEO can. 988 § 1. Per quanto riguarda le rispettive norme da osservare nelle Chiese Orientali Cattoliche, queste si deducono dai rispettivi canoni del CCEO e dal diritto particolare delle singole Chiese sui iuris.
[15] PaoloVI, Discorso ai Vescovi dell’Africa, 31 luglio 1969: AAS LXI (1969), 577.
[16]Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica al termine del Grande Giubileo dell'Anno Duemila Novo Millennio Ineunte(6 gennaio 2001), n. 43: AAS XCIII (2001), 297; cfr. V Congresso Mondiale della Pastorale per gli Zingari sul tema in parola: People on the Move XXXV (2003), n. 93 Supplemento.  
[17] Cfr Giovanni Paolo II, ibidem.

 

top