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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 101 (Suppl.), August 2006

 

 

MIGRAZIONI E PASTORALE dai Rapporti DEL 2005 delle Commissioni Episcopali Nazionali

 

 

1. Il fenomeno migratorio oggi

Il presente Rapporto offre l’aggiornamento dei dati emergenti del fenomeno migratorio su scala internazionale – sempre con finalità pastorale –corredati dall’articolazione di cause e tendenze, che lo configurano attualmente. Si tratta dell’elaborazione sintetica di quanto è dettagliato nei Rapporti provenienti dalle Commissioni Episcopali, con l’esposizione degli elementi più caratteristici nelle rispettive aree dei cinque continenti[1].

1.1. Dati essenziali 

A livello mondiale si calcola che attualmente i migranti siano circa 190.600.000, con un aumento di 15.800.000 rispetto a cinque anni fa. Nei Paesi industrializzati si concentra poi il 60% della popolazione migrante, costituita da donne per il 49%. Esse così rappresentano sempre di più la prima fonte di reddito per le loro famiglie – soprattutto per i Paesi Africani e Asiatici – (cfr Tavola 1). Tra il 10 e il 15 per cento dei migranti internazionali si trova inoltre in situazione irregolare, mentre quasi la metà è economicamente attiva, impiegata o impegnata in attività remunerative.

Il continente europeo ospita oltre 64.100.000 immigrati, seguito dall’Asia con 53.300.000 e dal Nord America con 44.500.000. Gli Stati Uniti d’America sono in testa alla classifica dei Paesi con il più alto numero di immigrati (35.400.000), seguiti dalla Federazione Russa (12.100.000) e dalla Germania (10.100.000). Dati recenti stimano che un immigrato su tre vive in Europa e circa uno su quattro nel Nord America[2]

Rispetto al passato, i flussi migratori stanno dunque cambiando rotta, a seguito del mutare dei poli di attrazione del mercato del lavoro. Il contributo determinante dei migranti nel mercato del lavoro in Europa, Stati Uniti e Australia conferma la loro indispensabile rilevanza per l’economia di questi Paesi.Tra l’altro, l’immigrazione si presenta come la condizione necessaria non solo per il funzionamento del mercato del lavoro, ma addirittura per il ricambio “organico” della popolazione, ad esempio in Australia, Stati Uniti e in alcuni Paesi dell’Unione Europea, per cui diventa importante prendere in seria considerazione, nel fenomeno migratorio, anche il fattore demografico.

Nonostante ciò, pure a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, molti Governi – tra i quali si distinguono Stati Uniti d’America, Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Estonia e Romania – hanno aumentato gli sforzi per contrastare l’immigrazione – soprattutto irregolare – adottando misure restrittive. Il dibattito, ad esempio, è tuttora infuocato tra Stati Uniti e Messico, soprattutto in riferimento alla legge H.R. 4437 (nota anche come Sensenbrenner), dal significativo titolo: “Border Protection, Antiterrorism, and Illegal Immigration Control Act”[3].

In effetti, gli studiosi del fenomeno migratorio, senza aderire alla visione di una «totale» e «indiscriminata» libertà d’immigrazione, sono favorevoli ad un’apertura delle frontiere, offrendo con le loro riflessioni ai Governi, responsabili delle scelte politiche ed operative, quei parametri d’analisi e di giudizio capaci di sostenere giuste scelte. Inoltre, dal momento che un numero crescente di Paesi è interessato dal fenomeno migratorio, risulta imprescindibile l’adozione di un approccio multilaterale da parte degli Stati.

A questo riguardo, la Convenzione per la tutela dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, entrata in vigore nel 2003, è stata ratificata finora da 34 Paesi. Si auspica però un’adesione più corale, responsabilmente adottata soprattutto dai Paesi, ancor oggi in larga parte assenti, che maggiormente sono coinvolti nelle questioni migratorie, come aree di provenienza, di transito o di destinazione dei migranti.

1.2. Elementi che qualificano l’andamento del fenomeno migratorio

A. I Rapporti delle Commissioni Episcopali che ci sono giunti evidenziano che le migrazioni sono portatrici sia di costi che di benefici, tanto per i Paesi di origine quanto per quelli di destinazione, sebbene non sempre equamente distribuiti. La globalizzazione, in effetti, impedisce agli Stati di dipendere dai singoli mercati domestici del lavoro, per cui si richiede una corretta gestione delle migrazioni, di modo che esse possano apportare più benefici che costi. Si conferma, in ogni caso, che è priva di fondamento scientifico l’idea secondo la quale i migranti costituiscano un fardello e non una risorsa.

B. Negli ultimi anni i flussi migratori internazionali hanno cambiato comunque direzione e, in alcuni casi, hanno registrato una diminuzione. In Africa, ad esempio, la quota parte di migrazioni internazionali è passata negli ultimi dieci anni dal 12% al 9%, confermandosi una tendenza in corso anche in altre aree geografiche. Invece due macro-regioni hanno visto aumentare la propria quota di flussi migratori internazionali, cioè l’America del Nord e i territori dell’Ex Unione Sovietica.

C. I Rapporti delle Organizzazioni internazionali – va rilevato – sottolineano che nella maggior parte delle offerte di lavoro raramente si verificano casi di competizione diretta tra lavoratori immigrati e locali. Le condizioni di lavoro, comunque, per una gran parte di migranti, soprattutto se in situazione irregolare, sono caratterizzate dall’abuso e dallo sfruttamento; vi sono casi in cui ciò assume la forma di lavoro forzato, mentre spesso vengono negati i diritti sindacali o si registrano atteggiamenti di discriminazione e xenofobia, se non addirittura di razzismo.

D. È importante, dunque, mettere in luce – e i Rapporti lo fanno – i vantaggi che le migrazioni possono comportare: le rimesse ne sono un indicatore ed il loro potenziale nelle strategie di supporto allo sviluppo e di riduzione della povertà sta attirando l’attenzione di molti Governi e Organizzazioni Internazionali. Tuttavia, se è vero che le rimesse possono contribuire al pagamento del debito pubblico e al miglioramento della credibilità di un Paese verso i suoi creditori internazionali, tuttavia le stesse non possono sostituirsi all’aiuto allo sviluppo. Invece i migranti possono diventare suoi soggetti attivi nei propri Paesi di origine, ad esempio grazie al trasferimento delle competenze acquisite durante i soggiorni all’estero o per mezzo di investimenti produttivi nei Paesi di provenienza. 

E. Alcuni Paesi, infine, stanno sperimentando politiche attive per contrastare la “fuga di cervelli” (brain drain) e per incoraggiare il ritorno di migranti qualificati dall’estero (brain gain). Le Filippine ed il Marocco hanno così creato ministeri e agenzie specializzate nel supporto alle proprie comunità di emigrati. I Rapporti ricevuti dalle Commissioni Episcopali, inoltre, suggeriscono un aumento della migrazione qualificata temporanea, che coinvolge diversi Paesi e a più riprese, con benefici sostanziali sia per i Paesi di origine che per quelli di destino. In una fase storica come quella attuale, con molti episodi di intolleranza nei confronti degli immigrati, si constata la necessità di politiche di inclusione socio-economica dei migranti. Tali misure comportano costi, ma possono assicurare la coesione sociale a fronte della diversità culturale, e consentire ai migranti di rendersi produttivi ed autosufficienti anche a vantaggio delle proprie nazioni e comunità di appartenenza. 

2. Il continente americano

I Rapporti pervenuti si riferiscono a Belize, Bolivia, Brasile, Canada (pastorale per i fedeli di lingua ungherese e per quelli dalla Lituania), Cile, Guatemala, Guyana, Messico, Nicaragua, Paraguay, Perù, Porto Rico(tredici Rapporti).

Flussi migratori

Attualmente circa 20 milioni di cittadini Latinoamericani e dei Caraibi vivono fuori del loro Paese d’origine, con regolare permesso di soggiorno, soprattutto in Nord America (circa 7 milioni negli Stati Uniti, 3 milioni in America Latina e 10 milioni in altre parti del mondo). Spagna, Italia, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Australia e Giappone sono le mete preferite, ma Stati Uniti e Canada, a motivo della vicinanza geografica e della forza economica, si confermano importanti poli di attrazione per immigrati provenienti, in particolare, dal Messico, dai Caraibi e dall’America Centrale.

In effetti, gli Stati Uniti continuano ad essere il principale Paese di destinazione dei flussi migratori. Nel 2000 si calcolavano nel Paese 28.400.000 immigrati (escludendo quelli irregolari), pari al 10% circa della popolazione totale, mentre le stime governative parlano di 35 milioni, inclusi gli irregolari (dunque, circa il dodici per cento della popolazione totale). Tra questi, 14.500.000 (51%) provengono dall’America Latina, incluso Messico e Caraibi (di cui 7.800.000 Messicani; più o meno 2 milioni dall’America Centrale, 2.800.000 dai Caraibi e 1.900.000 dal Sud America). Nel 2002 sono entrati negli Stati Uniti con regolare permesso di soggiorno 1.063.000 immigrati, giunti in particolare da Messico (219.380), India (71.105), Cina (61.282), Filippine (51.308) e Vietnam (33.627).

In Canada, la popolazione immigrata rappresenta il 19% del totale, con approssimativamente 5.500.000 immigrati.

In America Centrale i tre Paesi con più residenti nati all’estero sono Costa Rica, Belize e Panama. Mentre, però, per Costa Rica e Belize il maggior flusso di immigrati è intra-regionale, per il Panama la maggior parte degli immigrati proviene da Paesi più lontani, come il Sud America, i Caraibi e l’Asia. Il caso dell’Ecuador, tuttavia, dimostra la complessità del fenomeno migratorio in America Latina. Tale Paese, infatti, oltre ad essere zona di destinazione, è anche luogo di origine e di transito dei flussi migratori. Negli ultimi anni hanno lasciato l’Ecuador 550.000 cittadini, pari a circa un quinto della popolazione attiva. Nello stesso tempo, sono entrati nel Paese molti Colombiani, attraverso la frontiera settentrionale, e molti Peruviani, nella frontiera meridionale.

In Sud America, il collasso economico dell’Argentina, nel 2002, costrinse molti immigrati a fare ritorno ai Paesi d’origine, soprattutto Cile, Bolivia, Paraguay e Perù.Anche il Brasile sta sperimentando l’emigrazione, che si dirige soprattutto verso gli Stati Uniti, in forma legale o irregolare, attratta in particolare da Florida, Massachussetts e New York (si calcolano 212.400 immigrati regolari)[4]. Altre principali mete dell’emigrazione brasiliana sono il Paraguay (455.000), la Gran Bretagna (130.000) e l’Italia (100.000). Bisogna anche ricordare che molti Brasiliani di origine giapponese (se ne contavano 250.000 nel 2000), come altri Latinoamericani (ad esempio, 46.000 Peruviani), stanno rientrando in Giappone, a seguito della revisione della legge giapponese sul controllo dell’immigrazione del 1990. In Haiti e Colombia, il perdurare e l’intensità dei conflitti armati continua poi a causare mobilità ed emigrazione. Di fatto, sul finire del 2002, la crisi politica della Colombia aveva prodotto, tra le sue conseguenze, circa 2.500.000 sfollati, mentre entravano negli Stati Uniti 18.845 immigrati, portando la quota totale a 509.800 Colombiani in quel Paese.

Migrazioni: povertà e frustrazione alla radice del problema

Le situazioni di difficoltà dei loro Paesi in via di sviluppo creano continuamente le circostanze che spingono milioni di Latinoamericani ad emigrare verso i Paesi (ricchi) Nordamericani ed Europei, in particolare. Il fenomeno è favorito anche dalle moderne tecnologie di comunicazione, che permettono un facile contatto con parenti ed amici colà emigrati, oltre ad offrire immagini e conoscenze dirette dei Paesi di immigrazione, che hanno il loro fascino, sebbene talvolta queste siano distorte o menzognere. Così sorge il desiderio di emigrare per trovare condizioni di vita migliore difficilmente raggiungibili in patria, come pure per avere la possibilità di inviare denaro ai congiunti, coltivando, magari, il progetto di un futuro rientro, appena possibile. La questione migratoria, purtroppo, produce però una quantità di problemi collaterali. Non senza ragione, ad esempio, i Paesi di destinazione spesso adottano una serie di misure per evitare l’immigrazione irregolare, senza dimenticare che la criminalità organizzata, in questi frangenti, gestisce il traffico di esseri umani, spesso più rimunerativo anche rispetto al mercato della droga. Le stime della Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) considerano il traffico di esseri umani come la “terza economia illegale” più importante nel mondo, dopo la vendita di armi ed il narcotraffico. Malgrado i controlli di frontiera, dai tre ai cinque milioni di persone, ogni anno, varcano così i confini per entrare in un nuovo Paese. Quindi, nelle sacche di immigrazione irregolare troviamo anche schiavitù, prostituzione ed emarginazione.

Questioni aperte

L’America Latina ancora non riesce a superare la sua grande povertà, mantenendosi una differenza di reddito marcata tra le diverse classi sociali, causata da diversi fattori, anche storici e sociali, senza dimenticare il debito estero e la corruzione. Da quest’ultima, in particolare, emergono le gravi questioni della droga (narcotraffico), del terrorismo e del riciclaggio di denaro.

Una piaga di cui soffre l’America Latina – segnalata dai Rapporti delle Commissioni Episcopali – è comunque l’insicurezza causata dalla delinquenza e dai sequestri, spesso coperti da impunità. Emerge pure la piaga del traffico di esseri umani. In effetti, si calcola per esempio che ne soffrano circa 35.000 donne colombiane, ogni anno, mentre sono 75.000 le brasiliane e 50.000-70.000 quelle della Repubblica Domenicana, con impiego all’estero nell’industria del sesso. Nel 2002, oltre 2.000 bambini sono stati trovati nei bordelli del Guatemala, per la maggior parte immigrati da altri Paesi dell’America Centrale. Il turismo sessuale è in crescita, dunque, nel continente. Adolescenti dalla Colombia, dalla Repubblica Domenicana e dalle Filippine sono stati così introdotti in Costa Rica e indotti alla prostituzione nelle zone frequentate da turisti stranieri.

Il ruolo della Chiesa

La Chiesa continua a compiere, nel Continente, la sua funzione profetica di denuncia dei “peccati sociali” che lo travagliano, tra cui il commercio di droghe, il riciclaggio di guadagni illeciti, la corruzione in qualunque ambiente, il terrore della violenza, la corsa agli armamenti, la discriminazione razziale, le disuguaglianze tra i gruppi sociali, l’irragionevole distruzione della natura. Tutto ciò manifesta una profonda crisi, dovuta alla perdita del senso di Dio e all’assenza dei principi morali cristiani. Senza riferimenti etici, infatti, si cade nella bramosia illimitata della ricchezza e del potere, che distrugge la visione evangelica della realtà sociale.

Il problema della corruzione, di fatto, colpisce tutti i Paesi dell’America Latina. Nel settembre scorso il Santo Padre Benedetto XVI, rivolgendosi al secondo gruppo di Vescovi messicani in visita “ad limina”, ricordava le difficoltà del Paese a trasformare le sue strutture sociali, in modo da creare condizioni consone alla dignità della persona e ai suoi diritti fondamentali. Per la mobilità umana, inoltre, egli incoraggiò la cooperazione tra i Vescovi Messicani e Statunitensi[5].

Accanto alla corruzione, vi è anche il vasto mercato della droga. Molti sforzi si stanno facendo a questo riguardo contro le coltivazioni ad essa legate, magari con l’introduzione di colture alternative. A tale proposito, si è registrata un’alleanza tra narcotrafficanti e movimenti armati terroristi, guerriglieri o paramilitari, pagati in cambio della sorveglianza di zone delle coltivazioni e campi di lavoro forzato. Sull’argomento il Consiglio Episcopale Latinoamericano non ha mancato di denunciare che la produzione di droga e il narcotraffico sono una «seria minaccia per le strutture sociali delle nazioni in America»[6]. I Vescovi hanno sottolineato inoltre che non si fa abbastanza a favore delle coltivazioni alternative, per dare la possibilità ai contadini in esse coinvolti di vivere degnamente.

La Chiesa è sempre pastoralmente vicina poi ai migranti, in particolare nei Paesi di accoglienza e di transito, offrendo servizi che nessun altro fornisce, sia di prima emergenza che di tutela, promozione e integrazione, mettendo in atto anche progetti di cooperazione tra diverse Conferenze Episcopali e – come attestano i Rapporti – mediante la costituzione di apposite strutture a servizio dei migranti. Non manca qui l’impegno generoso degli operatori pastorali, per i quali sono organizzati stages di formazione a diversi livelli[7].

I Rapporti segnalano, infine, che si celebra in molti Paesi del continente l’annuale Giornata del Migrante e del Rifugiato, estesa in taluni casi all’arco di una settimana, ma non si è giunti alla celebrazione nella data fissa stabilita per tutta la Chiesa. Ad ogni modo, si fa largo uso dei Messaggi che il Santo Padre invia per l’occasione, diffusi con appositi sussidi pastorali. Anche l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi viene sempre più letta, studiata e divulgata, insieme ad altre pubblicazioni, come il Rosario, la Via Crucis e l’Adorazione Eucaristica del Migrante e del Pellegrino. 

3. Il continente europeo

I Rapporti qui esaminati sono giunti da Belgio, Bielorussia, Francia, Germania (con il Rapporto concernente la pastorale per i fedeli di lingua ungherese), Irlanda (con il Rapporto sulla pastorale per i Greco-Cattolici), Italia (Fondazione “Migrantes” e pastorale per i Greco-Cattolici Ucraini), Malta, Polonia, Slovenia, Spagna (con il Rapporto sulla pastorale per i Greco-Cattolici) (quattordici Rapporti).

Flussi migratori e panorama generale

Agli inizi del 2004 la popolazione europea (inclusa la Turchia ed esclusa la Federazione Russa) ha raggiunto i 594 milioni. L’Unione Europea, dal canto suo, conta 456 milioni di abitanti. Bisogna dire chesoltanto in tempi recenti l’immigrazione è una politica che tende ad essere comune dell’Unione Europea (riguardo all’immigrazione regolare e irregolare, al diritto di asilo, al declino demografico e alla gestione previdenziale). In effetti, i Rapporti spiegano che, mentre l’immigrazione è oggetto di vivace dibattito, sia in sede politica che nei mass media e nell’opinione pubblica, è ormai comune persuasione che il fenomeno può e deve essere regolato. Stime recenti dicono che la popolazione immigrata nei Paesi dell’Europa Centro-Occidentale si aggira attorno ai 36-39 milioni, vale a dire un quinto dei migranti internazionali dell’intero pianeta.

In ogni caso, dal 1999, in Europa sono state varate numerose direttive sull’immigrazione proveniente dai Paesi terzi. Nei suoi sforzi tesi a definire questi atti legislativi, il Parlamento Europeo ha sottolineato la necessità di bilanciare gli interessi degli immigrati, degli Stati membri dell’Unione e dei Paesi di origine degli immigrati. Di fatto, l’allargamento dell’Unione da 15 a 25 membri, avvenuta nel maggio 2004, ha portato all’integrazione di dieci nuovi Paesi, incrementando le diversità socio-economiche della Comunità Europea.

Rimangono però limiti alla libera circolazione. Gli squilibri finanziari e la diversa composizione della popolazione esistente tra nuovi e vecchi membri dell’Unione ha cioè fatto nascere il timore di una possibile “invasione” di immigrati dai “nuovi” Paesi, preoccupazione accentuata dalla futura liberalizzazione della circolazione dei lavoratori prevista per il 2010. Resta vero che l’immigrazione è percepita da non pochi come minaccia e pericolo. In un’ottica puramente economica, di breve periodo, è comunque chiaro che l’Europa ha bisogno di immigrati semplicemente per coprire la mancanza di manodopera. Alcuni settori – agricoltura, edilizia, industria alberghiera e della ristorazione, servizi domestici e personali –, infatti, possono operare soltanto grazie a lavoratori immigrati non qualificati. Sempre con maggior frequenza i datori di lavoro europei cercano anche immigrati altamente qualificati, ad esempio nell’informatica.

Dunque, anche in Europa le migrazioni stanno contribuendo ad un grande cambiamento. L’Irlanda, ad esempio, che tradizionalmente era un Paese di emigrazione, oggi sta sperimentando la crescita esponenziale più rapida, di popolazione immigrata, fra tutti i Paesi. La stessa Germania, che fino a tempi recenti aveva rifiutato di considerarsi Paese di immigrazione, ha varato un relativo progetto di legge, entrato in vigore nel 2005. 

Le sfide e le risposte

Occorrono però politiche uniformi dell’Unione in materia di permessi di soggiorno, diritto degli immigrati al ricongiungimento familiare e di canali legali per l’immigrazione. In effetti, i capi di Stato e di Governo dell’Unione riuniti a Tampere, Finlandia, nel 1999, avevano concluso che «gli aspetti separati, ma strettamente connessi, dell’asilo e della migrazione richiedono la definizione di un politica comune dell’Unione Europea».

Il dibattito attuale, che maggiormente coinvolge l’Europa, riguarda peraltro le politiche di gestione dell’immigrazione economica, la lotta all’immigrazione irregolare e l’integrazione dei migranti, nel giusto senso del termine. Quest’ultimo aspetto, in effetti, riflette un dato spesso sottovalutato dai Paesi dell’Unione, vale a dire che molti immigrati non sono ancora pienamente integrati nel tessuto sociale locale, mentre alcuni non lo sono affatto.

Problemi pastorali

L’Europa è diventata plurietnica e multireligiosa. I Rapporti segnalano le iniziative delle Conferenze Episcopali finalizzate a sensibilizzare organismi politici e governativi affinché guardino all’immigrazione in visione più positiva, evitando atteggiamenti xenofobi o razzisti, e pregiudizi che criminalizzano lo straniero, mediante l’assunzione di norme che regolino il fenomeno, nel rispetto della dignità e dei diritti dei migranti[8]. Anche le comunità cristiane sono sollecitate a passare dalla mera benevola carità verso gli immigrati alla considerazione che anch’essi sono protagonisti attivi della vita della Chiesa[9]. Senza dimenticare che si sono celebrati significativi incontri bilaterali per stabilire rapporti d’intesa e di collaborazione tra Chiese d’origine e Chiese d’accoglienza dei migranti.

Ad ogni buon conto, si possono distinguere due fenomeni: da un lato la migrazione “a lungo termine”, legata allo sviluppo economico, che ha caratterizzato la società europea con l’interculturalità, dovuta anche ai migranti venuti da culture islamiche, buddiste, indù e altre. Ciò pone dei problemi politici, sociali, giuridici e culturali. Pure la Chiesa affronta una situazione nuova, nell’incontro con uomini e donne di tradizione non cristiana (il flusso in prevalenza musulmano dell’area mediterranea) o non cattolica (il flusso in larga maggioranza ortodosso dell’Est Europeo).

Dall’altro lato, c’è una mobilità lavorativa “temporanea”, limitata a pochi mesi, magari di personale qualificato che si sposta con facilità da un Paese all’altro del continente. Anche questa pone seri problemi pastorali alla Chiesa, ad esempio per quanto riguarda la catechesi, l’iniziazione cristiana e l’amministrazione dei sacramenti. E ciò non soltanto alla Chiesa cattolica, ma anche alle altre denominazioni cristiane, sollecitando, in questo modo, l’urgenza del dialogo e della cooperazione a livello ecumenico. Purtroppo, i Rapporti lamentano la fatica delle Chiese locali a istituire Commissioni o Segretariati sensibili alle questioni della mobilità umana e capaci di promuovere progetti pastorali specifici sul territorio.

Nei diversi Paesi del continente sono ben recepiti e diffusi, anche tramite i moderni strumenti informatici, i Messaggi del Santo Padre in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Si celebrano altresì speciali Giornate Nazionali, a seconda delle esigenze di ciascuna Conferenza Episcopale. Con una certa fatica, invece, si sta adottando la data unica proposta a livello di Chiesa universale per tale celebrazione, ma siamo agli inizi e il cominciare a “pensare in grande” risulta difficile. 

4. Il continente africano

Dall’Africa sono pervenuti i Rapporti da Ghana, Mozambico, Repubblica Centro-Africana, Sud-Africa, Sudan e Tanzania (sei Rapporti).

Flussi migratori

L’Africa conta attualmente una popolazione di quasi 800 milioni di persone, il 50% delle quali vive sotto la soglia di povertà. I migranti internazionali africani sono 17.150.000 (9% della popolazione migrante totale), con una percentuale femminile pari al 46,7%. Essi si sono stanziati soprattutto nei Paesi dell’Africa Occidentale (42%), in quelli dell’Africa Orientale (12%) e sud africani (9%), mentre si attesta a livelli elevati il numero degli sfollati: 12.700.000 (cfr Tavola 3).

I flussi migratori, soprattutto dall’Africa sub-sahariana, si dirigono prevalentemente verso l’Europa, con forti presenze, in possesso di regolare permesso di soggiorno, in Francia (274.538), Gran Bretagna (249.720), Germania (156.564) e Italia (137.780). Gli Stati Uniti d’America registrano 881.300 Africani residenti, provenienti da tre blocchi distinti: dal Corno d’Africa, più Egitto e Marocco, dai Paesi dell’Africa Occidentale e dal Sud Africa. Negli ultimi anni, si verifica una consistente migrazione interna al continente, che riguarda in particolare la Libia e i Paesi costieri dell’Africa occidentale, centrale e meridionale, che tradizionalmente erano poli di attrazione per i migranti.

Problemi politico-sociali

Il continente continua ad essere afflitto da carestie, guerre civili e malattie, come malaria, turbercolosi e AIDS[10], che hanno generato milioni di profughi e di rifugiati, forzando molti ad intraprendere la via dell’emigrazione (cfr Tavola 4). La carestia, provocata da siccità e cavallette, continua a interessare Kenya, Niger, Malawi e altre zone dell’Africa meridionale. Vi sono Paesi che stanno vivendo situazioni politiche difficili e complesse (Togo e Costa d’Avorio, per esempio). Il flagello della guerra non si è ancora purtroppo allontanato da ampie zone del Sudan, della Repubblica Democratica del Congo, dell’Uganda e del Burundi, nei quali le vittime sono soprattutto civili, e in particolare donne e bambini. Angola, Sud Sudan, Burundi e Liberia sono alcuni dei Paesi che devono far fronte al problema di milioni di sfollati e rifugiati. Nella stima di 25 milioni di sfollati (Internally Displaced Persons), nel continente, oltre il 70% è costituito da donne e bambini, con grande pericolo di abusi sessuali. 

Luci di speranza e attività della Chiesa

Accanto ai dati negativi, i Rapporti delle Commissioni Episcopali rilevano che l’Africa tenta, sia pure a fatica, di affrancarsi da una difficile situazione[11]. In alcuni Paesi si è instaurato la democrazia e si sono tenuti referendum costituzionali (in Kenya e Repubblica Democratica del Congo). In Liberia, dove fino a pochi anni fa imperava la guerra civile, si è votato per la prima volta in maniera libera e democratica e gli elettori hanno scelto una donna come Capo dello Stato, per la prima volta in Africa. Proprio la donna africana, spesso, opera in primo piano nella pacificazione e nell’educazione alla democrazia. Così, per esempio, nella Repubblica Democratica del Congo diverse laiche e religiose sono state attivamente impegnate nelle attività di educazione civica promosse dalla Chiesa. Tuttavia le donne africane sono ancora discriminate a livello sociale, educativo e sanitario e non poche subiscono ancora la pratica della mutilazione sessuale.

La Chiesa incoraggia e accompagna con la preghiera e le opere questi processi di sviluppo e di cambiamento. In particolare emerge il generoso contributo delle Commissioni per le Migrazioni nell’offerta costante di assistenza umanitaria, presenza nei campi, amministrazione dei sacramenti e programmi di formazione cristiana[12]. I Rapporti concordano nel dire che migranti e rifugiati sono sempre più protagonisti dell’attività pastorale locale, dove svolgono attività di insegnamento nelle scuole, di assistenza nei Centri Sanitari, di partecipazione ai Consigli parrocchiali, ai gruppi, ai movimenti e alle iniziative socio-pastorali messe in atto sul territorio. I Vescovi, da parte loro, denunciano abusi e carenze, danno voce ai più poveri e offrono conforto e aiuto alle persone in difficoltà. 

Nei Paesi considerati non si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato in data fissa, ma alcune Conferenze Episcopali promuovono un’annuale Giornata Nazionale del Rifugiato, in data consona ai programmi pastorali locali. 

5. Il continente asiatico

I Rapporti in esame sono giunti da Australia, Filippine, Giappone, Indonesia, Corea, Libano, Nuova Zelanda, Sri Lanka(otto Paesi). 

Flussi migratori

L’Asia – che tradizionalmente alimenta il principale flusso di migrazioni internazionali – è passata da 28.100.000 migranti, nel 1970, a 53.300.000 nello scorso anno. Si rileva che sono in aumento anche i flussi migratori interni al continente, mentre diminuiscono quelli diretti verso le tradizionali mete del Medio Oriente e Paesi del Golfo (ad esempio, attualmente, 848.543 Indonesiani sono impegnati in attività lavorative in Malesia, Singapore, Taiwan, Sud Corea, Hong Kong, Brunei e Giappone, mentre ve ne sono soltanto 504.656 in Medio Oriente). Contestualmente, si verifica un incremento dell’emigrazione irregolare, per esempio dalle Filippine al Giappone, dalla Cina verso Giappone e Corea, da Myanmar alla Tailandia. In effetti, i nove Paesi asiatici maggiori “esportatori” di migranti – Filippine, India, Bangladesh, Pakistan, Indonesia, Tailandia, Cina, Sri Lanka e Myanmar – forniscono circa un quarto dei migranti irregolari internazionali. In connessione con ciò, si stima che vi sia nel continente asiatico la consistenza di circa un terzo dei flussi globali di traffico di esseri umani (coinvolgendo, dunque, circa un milione di persone), di cui il 60% composto da donne, uomini e bambini, indirizzati alle aree urbane del continente e il rimanente 40% verso altre zone del pianeta (solo in Malesia si calcolano tra 43 mila e 142 mila le donne vittime del traffico). A tale proposito, Hong Kong è il principale luogo di transito per persone “trafficate” dall’entroterra cinese e da altri Paesi asiatici, ma si calcolano altresì circa 20 mila operatori stranieri che ivi utilizzano i migranti nell’industria del sesso.

Oltre i confini del continente, gli asiatici continuano a preferire i Paesi del Nord America, Europa e Australia. Nel 2002, il Governo della Cina ha calcolato un flusso di oltre 400.000 cinesi emigrati, mentre quello delle Filippine ha stimato attorno ai 7 milioni i suoi emigrati, con flussi annui di circa 44 mila migranti in possesso di contratto di lavoro. La popolazione indiana in diaspora, nelle diverse aree del mondo, assomma a circa 20 milioni – la più numerosa del continente asiatico e la terza nel mondo, dopo Cina e Regno Unito –. Circa il 75% dei migranti indiani ha un contratto di lavoro a breve termine nel Medio Oriente.

L’emigrazione femminile è notevole, con percentuale del 47%. Approssimativamente, sono 70.000 le donne filippine che ogni anno emigrano verso altri Paesi asiatici. Quelle tailandesi, invece, sono indirizzate verso Malesia, Giappone, Sud Corea e Taiwan, che costituiscono i quattro maggiori mercati dell’industria del sesso.

L’Oceania, con i suoi 33 milioni di abitanti, ospita circa 6 milioni di migranti internazionali. Sia l’Australia che la Nuova Zelanda continuano a favorire l’immigrazione qualificata, quella commerciale e quella relativa alle “politiche familiari”, dando corso anche a programmi umanitari di sistemazione dei rifugiati. In effetti, questi due Paesi, ma anche altri con un’economia in forte sviluppo, stanno promuovendo il rientro dei propri emigrati che hanno ricevuto all’estero una solida formazione professionale, cercando altresì di attrarre immigrati altamente qualificati, per esempio da Cina, Filippine e India (si parla così di strategie di evoluzione dal brain drain al brain gain). In definitiva, l’Oceania attualmente conduce una politica di stretta cooperazione per affrontare l’incidenza crescente della mobilità e, soprattutto, del traffico umano nella e attraverso la regione, rafforzando altresì le misure adottate da suoi membri, come Papua Nuova Guinea, per una corretta gestione delle sfide migratorie. 

Questioni aperte e sfide

Il popoloso continente asiatico, crogiuolo di popoli, culture e religioni – nei Rapporti – non nasconde le sue difficoltà, ma fa conoscere anche notevoli sforzi per costruire una comunità economica e politica più coesa, che possa esercitare un proprio influsso a livello internazionale.

Protagonisti assoluti nell’oggi e nel futuro del continente (considerando a parte il Medio Oriente) sono i due colossi che dominano la scena asiatica: Cina e India. Dalle loro scelte in campo politico ed economico dipendono, certo, i delicati equilibri strategici dell’area. Però, anche nei rapporti politici e commerciali con l’Europa e gli Stati Uniti, i due Paesi hanno assunto un’influenza sempre maggiore. Lo hanno dimostrato nella catastrofe dello tsunami, che ha lasciato drammatiche conseguenze in Paesi come Sri Lanka, Indonesia e Tailandia, impegnati nel 2005 nelle opere di ricostruzione. E lo hanno dimostrato anche negli aiuti inviati per il terremoto che nell’ottobre 2005 ha investito l’area del Kashmir.

Attività di soccorso e azione pastorale

Nel campo della solidarietà e del soccorso umanitario si distinguono le organizzazioni cattoliche, numerose ONG di ispirazione cristiana e la Caritas Internationalis, che hanno salvato vite umane, offrendo speranza e aiuto per prevenire il sopravvento di epidemie, all’indomani dello tsunami. Di notevole importanza, a livello economico e politico, è stata anche la dichiarazione di intenti, diffusa sul finire del 2005, a Kuala Lumpur (Malesia). Il documento tratteggia quella che si avvia ad essere la maggiore novità dei prossimi anni: l’accordo fra i paesi dell’Asia orientale per la creazione di una “Free Trade Area”, un’area di libero scambio commerciale, che prevede in futuro l’abolizione di dazi, maggiore facilità di investimenti e rapporti economici fra le nazioni asiatiche, con la partecipazione di India e Cina, nell’ambito di un progetto delineato sul modello degli esordi della Comunità Economica Europea.

Infine, non sono mancati i problemi e i dibattiti a livello di rapporti fra religioni e culture nel continente, culla delle grandi religioni orientali (Buddismo, Induismo e Taoismo), dove comunque le comunità Islamiche e Cristiane rivelano una chiara identità.

Sfide e progetti nell’attività pastorale

Nei rapporti fra diverse denominazioni religiose, presenti nel continente, si registrano anche episodi di violenza e intolleranza (di cui spesso è vittima pure la comunità cristiana), ma altresì progressi nel dialogo, incontri e celebrazioni in cui i membri delle religioni hanno dimostrato volontà di riconciliazione, pace e solidarietà. Sotto questo profilo, certamente le iniziative di formazione promosse dalle Commissioni Episcopali cattoliche stanno dando frutti nella creazione di una mentalità più aperta alla fraternità universale e all’accoglienza, dove il fenomeno migratorio non manca di agire da elemento motivante e propulsore[13].

I Rapporti attestano comunque una straordinaria fioritura di iniziative a servizio della cura pastorale dei gruppi etnici minoritari, degli stranieri in genere e dei migranti cattolici delle Chiese Orientali. In particolare, si nota che sempre più stanno prendendo forma le strutture previste dall’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, esplicitamente evocata come punto di riferimento. Non di rado, tuttavia, si lamenta la carenza di sacerdoti e di operatori pastorali che, essendo della madrelingua dei migranti, ne possano comprendere cultura e mentalità.

La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato non si celebra ancora ovunque nella data fissa stabilita per tutta la Chiesa, ma a livello locale si celebra l’annuale Giornata di sensibilizzazione, secondo modalità e tempi stabiliti da ciascuna Conferenza Episcopale. I Messaggi del Santo Padre per l’occasione, comunque, sono fatti oggetto di studio e di divulgazione, così come si evince dai Rapporti, che l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi è oggetto di continuo approfondimento e applicazione. 

Conclusione

Le migrazioni costituiscono oggi una delle sfide più complesse per i Governi. Le modifiche sociali inerenti all’accoglienza di immigrati di origine etnica differenti sono oggetto di dibattito pubblico, tanto che la questione della migrazione è ai primi posti nell’agenda internazionale. Nell’anno in corso, infatti, anche l’Assemblea Generale dell’ONU è esplicitamente impegnata sulle questioni di migrazioni e sviluppo.

Per favorire, comunque, l’incontro delle civiltà, soprattutto attraverso i canali migratori, è necessario insistere sull’urgenza di percorrere insieme, istituzioni civili e confessioni religiose, la strada della testimonianza della carità, dell’assistenza e della solidarietà, che rimane un importante punto di riferimento nell’affrontare le molteplici emergenze da risolvere (cfr. EMCC 39-43)[14]. E questo in modo speciale quando, accanto ai flussi di migranti regolari, si registrano anche molti migranti irregolari, che creano preoccupazione e che vengono criminalizzati. La presenza, infine, di malavitosi senza scrupoli, che speculano sulle tragedie delle persone e favoriscono il traffico di esseri umani, alimenta la xenofobia e provoca, talvolta, espressioni di razzismo (cfr. EMCC nn. 29 e 41).

In questo scenario, la Chiesa intravede la possibilità di realizzare una comunione universale, una unità oltre le frontiere, in cui le differenze non sono cancellate, ma apprezzate e vissute nella loro identità e ricchezza (cfr. EMCC 38). Ecco allora che, nella visione ecclesiale, il fenomeno migratorio diventa il laboratorio più idoneo per promuovere anche l’autentica cattolicità, caratterizzata soprattutto dall’apertura, dall’accoglienza e dal rispetto delle culture diverse, nella convinzione che «la Comunità cristiana – come si è espresso Benedetto XVI – si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa condizione; si sforza di sostenerli e in diversi modi manifesta loro il suo interessamento e il suo amore che si traduce in concreti gesti di solidarietà, perché chiunque si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero»[15]. A tal fine, mentre riconosciamo e confermiamo l’impegno delle Chiese locali, coinvolte in situazioni spesso drammatiche, nel fronteggiare i tanti problemi connessi con la mobilità umana, si apprezza lo sforzo, segnalato dai Rapporti, di leggere, diffondere e attingere all’Istruzione Erga migrantes caritas Christi suggerimenti e orientamenti pastorali e missionari al servizio dei migranti. È l’aggiornamento voluto dal Concilio Ecumenico Vaticano II, che si realizza nella pastorale della mobilità umana.

Sull’onda di queste riflessioni, ringraziamo quanti hanno fatto pervenire il resoconto del loro impegno umano e cristiano, che ha permesso l’elaborazione di questa “sintesi”, intesa aindividuare quei fatti e aspetti delle migrazioni che ci aiutano a cogliere la valenza del fenomeno stesso, la sua evoluzione nel tempo e la sua lettura più in profondità, al fine di interpretare in chiave cristiana questo “segno dei tempi”[16], per portare di conseguenza il nostro contributo di servizio pastorale al mondo della mobilità umana.



[1]A norma dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi (Ordinamento giuridico-pastorale art. 20, § 1.7 e § 2.2) sono stati interpellati 155 Vescovi e 111 Incaricati Nazionali, responsabili del coordinamento della pastorale della mobilità umana nelle rispettive Conferenze Episcopali. In risposta, sono giunti al nostro Dicastero 41 Rapporti. Pure in occasione della precedente Assemblea Plenaria (16-19 maggio 2004) ne erano pervenuti 41. Messi a confronto, però, risulta che soltanto 14 di essi sono presenti sia nel primo che nel secondo blocco. Grandi assenti del presente appello sono il Nord America (fatta eccezione per i Rapporti concernenti gruppi etnici specifici – Ungheresi e Lituani –),l’India e il Medio Oriente (eccetto il Libano). La novità, invece, è costituita dalla nutrita presenza dell’America Latina, di nuovi Paesi Africani e, nel continente asiatico, di Australia e Giappone. Sono peraltro giunti “fuori tempo massimo” i Rapporti del Togo, del Bangladesh, del Portogallo e della Svizzera.
[2] Dati aggiornati sul fenomeno migratorio internazionale sono stati presentati in occasione della 39 a Sessione della Commissione Popolazione e Sviluppo delle Nazioni Unite, il 4 aprile 2006 a New York. Le statistiche generali della presente sintesi sono però desunte dal Rapporto IOM, World Migration 2005.Costs and Benefits of International Migration, Ginevra 2005.La Tavola 2 propone il grafico di riferimento alle migrazioni internazionali nel 2000.
[3]Il progetto di legge “Sensenbrenner” prevede, oltre all’ampliamento del muro di frontiera tra Stati Uniti e Messico su un tracciato di circa 1.200 km, altre importanti restrizioni nei confronti degli immigrati. In particolare, si disciplina come reato a livello federale, punibile con il carcere, la presenza nel Paese senza regolare permesso di soggiorno; vengono introdotte sanzioni per i datori di lavoro, i gruppi umanitari, le organizzazioni religiose e le ONG che direttamente o indirettamente soccorrono i migranti irregolari; si decreta l’aumento della vigilanza della polizia di frontiera, con maggior dispiegamento di agenti e di mezzi aerei e di terra, con prospettiva di rimpatrio di massa e accelerato di coloro che sono trovati senza documenti regolari.
[4]Il Rapporto del Serviço Pastoral dos Migrantes  della Conferenza Episcopale Brasiliana stima che, tra regolari e irregolari, vi siano 800.000 Brasiliani negli Stati Uniti d’America.
[5]Cfr L’Osservatore Romano, n. 217 del16 settembre 2005.
[6]Secretaría General, Globalización y nueva evangelización en America Latina y el Caribe, Reflexiones del CELAM 1999-2003, Documento CELAM n. 165, sito web celam.org.
[7]In Perù, ad esempio, si sta realizzando in questi giorni il II Seminario internazionale per gli operatori pastorali che operano con i Peruviani all’estero. In Cile, la nona edizione delle Jornadas Migratorias Nacionales (1-2 luglio 2005) ha facilitato la decisione governativa di ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
[8] In particolare, si fa notare la partecipazione alla campagna internazionale per la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sulla difesa dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, con il coinvolgimento di movimenti ecclesiali, associazioni, organismi e gruppi laicali.
[9]Molte Conferenze Episcopali, talvolta mediante le rispettive Commissioni deputate anche alle questioni della mobilità umana, nel 2004-2005, si sono pronunciate sull’argomento mediante studi di approfondimento, lettere pastorali, messaggi, interventi diretti sui mass media, affrontando diversi aspetti del fenomeno migratorio e incoraggiando l’accoglienza e la solidarietà, come elementi basilari per un corretto approccio a vari livelli.
[10]Nel 2003, soltanto nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, si contavano 25-28.200.000 persone colpite dal virus, pari al 65-70% del totale mondiale. A causa della malattia, nello stesso anno, sono morti 2.200.000-2.400.000 individui, mentre 3.000.000-3.400.000 hanno contratto l’infezione.
[11]Ad esempio, la Commissione Episcopale per i Migranti, i Rifugiati e gli Sfollati del Mozambico (CEMIRDE) ha elaborato un dettagliato Piano Strategico Triennale (2004-2007), che denuncia gravi problematiche e, nello stesso tempo, propone concrete misure di approccio e di soluzione a breve e lungo termine.
[12]I Rapporti sottolineano altresì l’importante presenza di Caritas, Istituti Religiosi, ONG, Organismi internazionali e associazioni di volontariato, soprattutto nei campi di rifugio. Dove ancora non esiste una vera e propria Commissione Episcopale per le Migrazioni, come nella Repubblica Centro-Africana, se ne sollecita la creazione.
[13]Sono sempre più frequenti, al riguardo, i Simposi, i Seminari e le Giornate di studio dedicate, a livello nazionale e internazionale, alla formazione degli operatori della pastorale migratoria, come quelle che si svolgeranno a Manila nei giorni 14-15 luglio e 11-15 settembre dell’anno in corso, oppure come l’annuale Social Justice Week organizzata in Nuova Zelanda dalla Caritas, dedicata quest’anno alle questioni migratorie. Nello Sri Lanka, la Commissione Episcopale per le Migrazioni ha avviato nel 2004 uno specifico programma psico-sociale per la formazione dei figli degli emigrati, chiamato “ Personality Building of Migrants’ Children”.
[14]Benedetto XVI, nel suo Messaggio in occasione della 92 a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (15 gennaio 2006), ha lanciato il medesimo appello: «Speranza, coraggio, amore e altresì “fantasia della carità” (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50) devono ispirare il necessario impegno, umano e cristiano, a soccorso di questi fratelli e sorelle nelle loro sofferenze»: L’Osservatore Romano, n. 254 del 29 ottobre 2005.
[15]Discorso alla preghiera dell’ Angelus del 19 giugno 2005: L’Osservatore Romano, n. 145 del 20-21 giugno 2005.
[16]Cfr Messaggio di Sua Santità Benedetto XVI per la 92 a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (15 gennaio 2006): L’Osservatore Romano, n. 254 del 29 ottobre 2005.

 

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