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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 102 (Suppl.), December 2006

 

 

Dottor Paolo RAMONDA

Vice-Presidente dell’Associazione Comunità 

Papa Giovanni XXIII

(Italia)

 

Occorre sempre pensare che dietro ad un corpo, che può provocare fisicamente, esiste un'anima lacerata, c'è una donna o una bambina straziata interiormente. Di più,possiamo dire che c'è uno spirito che grida, che urla anche se non si manifesta, per cui è giusto considerare questo primo aspetto.

Visto che tanti di noi conoscono queste ragazze, sanno bene che chi intraprende questo tipo di “lavoro” deve apparire in un certo modo, deve presentarsi secondo le aspettative della domanda, deve costruirsi una sorta di dura scorza esteriore, sotto la quale ci sono le altre dimensioni, quella psichica e spirituale, che devono essere tenute in considerazione. Sono bisogni fortissimi; lo si può ben vedere con il lavo­ro che si svolge per cercare di lenire e guarire le ferite delle ragazze che interrom­pono questa attività e che vengono accolte in comunità.

Ho presente una ragazza che è uscita dal giro e ha iniziato una relazione affetti­va normale con un ragazzo: la paura che lei aveva di avvicinarsi e di essere toccata era enorme. I danni che procura questa attività nel loro mondo interiore sono devastanti, arrivando a bloccare l'intera vita affettiva. Vendere il proprio corpo è come morire dentro, perché è un andare contro natura, perché la natura umana è di donarsi completamente alla persona che si ama, proprio perché ci si sente amati. Nella natura della donna e anche dell'uomo, nonostante statisticamente risulti l'opposto di quanto sto dicendo, c'è una tensione verso il camminare fedelmente e sta­bilmente al fianco di una persona che si ama, perché in questa situazione, c'è un completamento, un percorso, un itinerario progressivo, mai acquisito e sempre in evoluzione.

Queste ragazze sono costrette a vendere il proprio corpo, morendo dentro sul piano psichico e su quello spirituale; il percorso per riportarle alla normalità é molto complesso e faticoso.

Che cosa cercano a volte queste ragazze?

La sottomissione è un dato di fatto. Occorre però tenere presente che, se pure marginalmente, anch'esse danno un consenso, contro la loro volontà ma lo danno.

A volte nel loro inconscio ricercano un padre e sviluppano relazioni affettive con uomini più grandi di loro, con i quali avevano avuto inizialmente rapporti sulla strada.

Analizzando le loro radici, possiamo scoprire i loro eventuali consensi, seppur forzati, a questo tipo di attività. Le albanesi sono in condizioni disagiate, ma alcu­ne cedono ed altre no; probabilmente le prime sono state private addirittura dei rap­porti affettivi primari, per cui soffrono di una fame acuta di relazioni affettive, che spinge a tentare di recuperare queste relazioni, anche se in modo distorto. Questa porrebbe già essere un tipo di risposta: la ricerca di un padre, anche se loro non se ne rendono conto, che poi si traduce in una relazione vera e propria con quest'uomo che le ha aiutate. Probabilmente non cercano realmente questo tipo di relazione, ma piuttosto sono alla ricerca disperata di una figura paterna.

In altri casi possono cercare un partner dal quale sentirsi amate, che si traduce in un percorso di fidanzamento.

Per molte altre invece è semplice necessità per sopravvivere. Non avrebbero mai voluto un “lavoro” del genere, ma è una necessità di sopravvivenza, non solo materiale, ma esistenziale; fare qualcosa è vivere. Scatta l'istinto di sopravvivenza, come per gli animali. Si ricercano e si accettano proposte diverse, lavori duri ma “puliti”, ma ci si trova in un certo giro, uscire non é possibile né concesso. Anche se le cul­ture sono diverse, in tutte vi è stato un annientamento della personalità, sia a livel­lo individuale che a livello sociale, e allora, per sopravvivere, si accetta.

Ci sono alcune caratteristiche che differenziano le ragazze che vivono sulla strada. Si è rilevato che il 50% delle prostitute italiane sono ragazze che nell’infanzia hanno subito violenze, anche di tipo sessuale; ciò dimostra che chi è stato vittima di abusi non conosce altri modi di relazionarsi se non quello di tipo violento, sub-ordinato e patologico.

Ho presente una donna che aveva subito violenze nell’infanzia e raccontava che avrebbe voluto un rapporto diverso, ma a livello interiore il rapporto ricercato era sempre quello distorto. Nei confronti di chi ha subito abusi nell'infanzia, è importante un percorso psicologico, e di tipo comunitario; la comunità diventa un luogo in cui queste ferite molto profonde possono trovare e sperimentare delle relazioni più adeguate alle necessità. In questi casi è fondamentale accompagnarle in questo percorso, perché in queste donne c'è la paura, il terrore di costruire un rapporto, dal momento che conoscono un solo tipo di rapporto, affettivo e sessuale.

La relazione con queste ragazze è molto complessa; alcune dicono che durante il rapporto è come se avessero il cervello spento: è questo, forse, il loro modo di difendersi. Le tossicodipendenti dicono di farlo per avere la droga; d'altra parte la droga è una buona barriera per non pensare e per non essere coscienti.

Un altro grande problema dal punto di vista relazionale è che queste ragazze perdono fiducia per il futuro: l'uomo è sempre quel tipo che le ha usate. Che sia il clien­te o lo sfruttatore, il prototipo di uomo è quello.

Il problema è sempre più profondo, una mancanza di fiducia negli altri, di fidu­cia nella vita e a volte una mancanza di fiducia in se stesse. Anche il rischio di malattie e di perdere la vita assume poca importanza,perché agiscono secondo una psicologia particolare.

Sicuramente, come per i clienti, non vanno giudicate, ma incontrate, per infon­dere in loro nuova fiducia proponendo nuovi modelli di relazione. Occorre dare spe­ranza e fiducia, dimostrare che la realtà che conoscono non è l'unica realtà.

La difficoltà che si può incontrare, nel percorso che si fa con loro, è il raggiungimento di una certa autonomia. Tutte le storie che abbiamo accompagnato e vissu­to, anche se travagliate, si può dire che siano arrivate ad avere una loro risoluzione; le ragazze hanno raggiunto una loro autonomia, con una vita affettiva adeguata, una vita lavorativa, un inserimento sociale e a volte un ritorno alla loro terra e alla loro cultura, perché anche loro, come tutti quanti, hanno bisogno per vivere, di rela­zioni buone, significative e importanti.

In Italia le statistiche dicono che 50.000 prostitute sono in strada; le altre lavo­rano in realtà più mascherate: locali notturni, finti istituti di bellezza, compiacenti agenzie di accompagnatrici. etc. etc; 3000 circa sono sicuramente vittime di tratta e di compravendita. Le italiane in maggior parte lavorano in casa e hanno clienti abi­tuali. La tossicodipendenza si riscontra principalmente nelle italiane, mentre l'al­colismo riguarda di più le donne nigeriane. Molti e molto ricercati sono poi i trans­essuali e i travestiti, con maggioranza di sudamericani, e con una clientela di estra­zione prevalentemente medio-alta.

La nuova prostituzione è quella che incontriamo sulla strada e le cause sono note: la povertà, le guerre, la mafia, la tratta. Tanti sono i fattori che fanno cadere in questa rete i soggetti deboli da un punto di vista affettivo, culturale, relazionale. Pensiamo a tutte quelle ragazze che vengono vendute da un parente scoprendo che la persona in cui riponevano tutta la loro fiducia le ha tradite e abbandonate.

La loro sofferenza a volte emerge e a volte resta soffocata, la loro personalità è molto fragile e molto complessa, perché le ferite sono grandi e profonde, e a volte non sono neppure consapevoli di ciò che sta loro succedendo.

Molte volte subiscono il ricatto esercitato sulla loro famiglia di origine, quindi uno dei vincoli più forti diventa la paura, e anche se si presenta loro un'opportuni­tà di uscirne non la sfruttano. E il racket sfrutta implacabilmente queste paure. Dobbiamo comprendere il loro terrore e dobbiamo cercare di assicurare protezione a loro e ai loro famigliari; dietro ogni storia, anche quella in apparenza più sempli­ce, ci sono dei drammi e delle sofferenze.

Sempre di più sono ragazze giovanissime (soprattutto le albanesi), molto гiceгcate sul mercato; esiste una vera e propria tratta delle bambine. Vengono program­mati viaggi nel sud est asiatico per prelevare ragazze di 12/14 anni,che stanno poi sul mercato sei mesi, un anno al massimo, perché i clienti-vogliono ragazze vergini. Possiamo parlare per loro di un'infanzia tragicamente negata; il giro del racket è perverso e uccide le persone nell'identità più profonda: sono donne/bambine che saranno segnate a vita.

Il 98% circa delle ragazze che arrivano da paesi stranieri non si prostituiva nel loro paese d'origine, non aveva questa propensione, non considerava neppure lontanamente questo tipo di attività; tante, molte vorrebbero tornare a casa, sentono fortissimi i legami famigliari, ma c'è la vergogna di ciò che sono state costrette a fare. Alcune lavorano 10/12 ore al giorno con un guadagno del 30/40% sulle entra­te effettive, ed è un lavoro che massacra la femminilità e la persona. Consideriamo poi il problema della clandestinità, con tutto ciò che comporta essere clandestini. Il lavoro di incontro che si fa con loro è preziosissimo, indipendentemente dal fatto che riescano a lasciare la strada. Pensiamo alle ragazze che abortiscono. Quando rimangono incinte, o vengono costrette ad abortire o sono obbligate a prostituirsi anche durante la gravidanza; si può solo immaginare quale possa essere il loro dolore. Si sta scoprendo che alcune anziché abortire, portano avanti comunque la gravidanza, partoriscono e il bambino viene venduto.

Molte volte c'è una sudditanza anche nei confronti dello sfruttatore; in alcuni casi, lo sfruttatore è anche la persona con cui hanno il loro rapporto affettivo. Questo significa che probabilmente la carenza affettiva è profondissima, per cui si sentono attratte da quelli che si impongono loro con la violenza. Ed è un rapporto perverso: come nel caso del bambino che subisce violenza sessuale da parte di un genitore e che sente comunque un'attrazione affettiva, un legame.

Il lavoro che può fare l'operatore che lavora sulla strada, o nei centri d'ascolto, o nelle comunità, è creare delle relazioni. Il rapporto con loro è un passo vincente. Quando si riesce a costruire una relazione adeguata, significativa, queste donne si sentono accolte, accettate, perché vengono proposti loro fatti concreti e percorsi diversi. A volte possono anche entrare in comunità, ma se non trovano una relazione significativa, rassicurante, con tutte le ferite che le accompagnano, non reg­gono, la strada ridiventa più attraente, e fuggono. Rimangono solo se noi riusciamo a proporre qualcosa di valido e di importante, e quindi la sfida è molto complessa.

Consideriamo ora il problema dell'A.I.D.S.; emblematica la vicenda di quella prostituta, che divenne un caso nazionale e finì sulle pagine di tutti i giornali. Questa donna aveva trasmesso la malattia a molti clienti; sapendo di essere sieropositiva, proponeva rapporti protetti, e i clienti invece li rifiutavano, ricercando anzi il rapporto non protetto.

Un'altra caratteristica significativa sta nel non avere una famiglia: generalmen­te sono nubili. E anche qui sorge il problema affettivo, il bisogno di riempire que­sto vuoto, con il bisogno di una sistemazione, e il miraggio del benessere.

Come si considerava prima, alcune di loro sono sposate, alcune separate, alcune vedove, alcune addirittura con dei figli;figli che spesso sono poi oggetto di rapimento da parte del racket, quando la mamma vuole smettere di prostituirsi. L'estrazione culturale è generalmente medio - bassa; non si tratta di persone ignoranti, ma di persone con la sola licenza delle scuole medie inferiori.

Per concludere si può dire che queste ragazze sono persone, sono donne che sof­frono con delle grandi e terribili ferite a livello psichico, relazionale e spirituale. Un corpo che sfiorisce in breve tempo, in pochi anni; un sentimento religioso, in alcu­ni casi, molto presente: molte di loro sono cristiane cattoliche, altre sono musul­mane, c'è comunque la fede in Dio. Un altro bisogno di cui necessitano è di incon­trare delle comunità vive, non la singola casa o casa-famiglia, ma comunità in senso più ampio, dove ci sia chi sappia accoglierle, facendo loro scoprire che c'è una rete di informazione che sa e può accompagnarle, a seconda dei loro bisogni.

Nella cultura dominante ai nostri giorni, il messaggio che prevale é: stare insie­me finché le cose vanno bene, finché fa comodo, e poi si cambia, mentre la vita affettiva e sessuale diventa più ricca e adeguata quando c'è continuità di relazione, come avviene nell'ambito coniugale.

Dobbiamo approfondire il tema dell'educazione sessuale, chiarire a noi stessi i valori in cui decidiamo di credere, cercare la qualità nella relazione affettiva e sessuale e sostenerla, secondo quello in cui si crede. Si parla anche dell’importanza di un'educazione sessuale nel mondo ecclesiale. C'è da stupirsi di come mai nei Seminari non venga contemplata una materia così importante, componente fondamentale per poter essere di sostegno e aiuto alle coppie nel vivere e gestire la ses­sualità; e così anche il consacrato, il celibe per scelta deve saper vivere una propria sessualità in modo adeguato. Senza una guida, senza un percorso di formazione, c'è il rischio per chi é nubile o celibe di una vita sessuale sregolata o deviata.

I primi educatori a livello affettivo e sessuale sono i genitori, c'è poi la compo­nente della scuola, ma interviene dopo, mentre i nostri giovani si formano per opera di altri canali, come i giornalini, i programmi televisivi, quello che racconta l'amico, canali da cui spesso e volentieri, ricevono messaggi distorti e dannosi.

C'è sicuramente, come emerso da recenti indagini, un problema di educazione sessuale carente all'interno della Chiesa. Il Magistero della Chiesa ha sempre par­lato in modo positivo della sessualità, ma non c'è stata applicazione pratica di un insegnamento in merito. Si fanno discorsi di repressione, quando il problema reale è il contenimento, l'educazione al limite. Le persone più deboli hanno bisogno di confini, e il fatto disegnare un limite può risultare utile, ma ciò che è veramente importante e fondamentale è la prevenzione, l'educazione. Altrimenti rischiamo di ritrovare sulla strada domani tanti giovani di oggi. Quindi prevenzione come impegno primario, e contenimento.

Abbiamo accennato ai centri di ascolto che sono molto importanti per i clienti. Sono spesso persone che hanno bisogno di comunicare perché all’interno della vita coniugale non hanno dialogo, con una vita affettiva e sessuale spesso insoddisfacenti. Hanno bisogno di attenzione, hanno bisogno di essere aiutati ad orientarsi, di essere accompagnati e guidati. Si è accennato anche a transessuali e travestiti. In chi li ricerca, ci troviamo spesso di fronte a persone dall'identità sessuale confusa, con una tendenza omosessuale anch'essa confusa, che giocano sulle varie identità sessuali, a cui spesso è proprio questa confusione di identità che piace.

La percentuale di chi si avvicina a questi centri è solo del 10%, ma questo rappresenta già un primo grande passo.

Una soluzione interessante e valida, potrebbe essere quella di coinvolgere il part­ner del cliente, dal momento che, molte volte, la causa del problema va ricercata a livello della relazione coniugale. Si aprirebbero altre possibilità di intervento, partendo magari da una dinamica sessuale in modo generalizzato per abbattere i vari tabù e i tanti pregiudizi. Il problema sta nella competenza di questo tipo di inter­vento: l’ente pubblico o il mondo ecclesiale? L'ente pubblico ha una sua competen­za istituzionale insostituibile, ma anche il mondo dell'associazionismo e quello ecclesiale hanno dei loro compiti, delle loro proposte, delle loro intuizioni da met­tere in atto, senza aspettare l'avvallo dell'ente pubblico, pur nel rispetto delle leggi e delle normative vigenti. Il mondo ecclesiale, in molti casi, dovrebbe addirittura anticipare gli interventi sulle diverse problematiche.

C'è poi il discorso culturale nell'ambito del quale essere virili vuol dire “andare a donne”; quindi c'è di conseguenza il problema di veicolare nei nostri gruppi, nelle scuole, una cultura più matura, che non sia basata su luoghi comuni e stereotipi,ormai inadeguati alla realtà. C'è il discorso della paura di essere riconosciuti. Si trat­ta di persone che hanno un bisogno impellente di una relazione, una relazione che si esprime attraverso la genitalità, senza nessuna coscienza del pericolo a livello sanitario, affettivo e umano,

Il coordinamento degli interventi può diventare una strategia molto valida, per­ché favorisce e valorizza l'originalità degli interventi di ognuno, anzi li potenzia, nell'affrontare problematiche sulle quali non solo é importante lavorare insieme, ma è necessario.

 

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