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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 102, December 2006

 

 

COMMENTO AL MESSAGGIO PONTIFICIO*

sul tema: “La famiglia migrante”

(con attenzione a rifugiati, profughi, sfollati e persone soggette al traffico di esseri umani)

 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

 

Le famiglie dei rifugiati devono trovare calorosa accoglienza nei Paesi che li ospitano, grazie alla risposta solidale e piena di compassione della comunità locale. Tale atteggiamento faciliterà lÂ’integrazione di chi è fuggito da violazione dei diritti umani e circostanze di persecuzione e abuso previste dalla Convenzione del 1951 e dalle sue aggiunte. Oggi però – è doloroso per noi costatarlo - la comprensione e la simpatia per i rifugiati diminuiscono e lo dimostra il fatto che si intraprendono azioni che rendono la vita più difficile per chi ricerca asilo. Così realizziamo che molte volte i rifugiati sono descritti in maniera negativa e sono visti quasi come una minaccia o una seccatura politica, non considerandosi invece i loro valori e il potenziale contributo che possono dare al Paese dÂ’accoglienza. La situazione, poi, delle persone sfollate allÂ’interno del proprio Paese è, in generale, ancora più difficile, poiché per esse non vÂ’è ancora una legislazione internazionale. 

Aggiungo che, nel campo del nostro intervento, si dilata altresì il traffico di esseri umani – altro dramma nel dramma – contro il quale bisognerebbe stabilire opportunità più larghe per la migrazione legale. Ciò porterebbe anche il vantaggio pratico di ricevere sufficiente manodopera in economie che risentono dellÂ’invecchiamento della popolazione (cfr. Messaggio, par. 3). Dovrebbe essere compreso, in tale auspicato programma, anche il reinsediamento dei rifugiati, cosa che offre ad essi una nuova prospettiva di vita. 

Per offrire delle cifre, che illustrano ulteriormente la realtà, rilevo che lÂ’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)[1]si occupa di circa 20 milioni di persone, nove delle quali sono propriamente dette rifugiate, mentre ricordo che il mandato dellÂ’Agenzia delle Nazioni Unite per lÂ’Assistenza e le Opere a favore dei Rifugiati Palestinesi del Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East - UNRWA) ha una sollecitudine per più di quattro milioni di palestinesi. Non posso dimenticare inoltre, per la specificità dellÂ’odierna situazione, la necessità di urgenti misure a favore dei cristiani iracheni e delle altre minoranze religiose in Iraq. Ricordo infine che le persone sfollate allÂ’interno del proprio Paese per situazioni simili a quelle dei rifugiati sono altre 24 milioni circa.

Segnalo altresì che nei Paesi diciamo del Sud del mondo, sono ora intorno ai sei milioni i rifugiati che vivono in appositi “campi” da più di cinque anni, con poco rispetto, molte volte, dei loro diritti. Intendo dire che non possono lavorare propriamente, né uscire liberamente dal “campo” poiché i loro movimenti sono limitati. Così essi si riducono ben presto a dipendere dalle razioni di cibo loro donate, che spesso non sono sufficienti, a causa di problemi di raccolta degli appositi fondi o di tipo logistico. Sovente il nutrimento è dunque ridotto dal 20% fino al 50% rispetto al previsto. Inoltre, la poca varietà nelle razioni contribuisce a gravi forme di malnutrizione.  

Sostenere una famiglia in tali condizioni è difficile, evidentemente, con grande e grave impatto sui diversi suoi componenti, ed influenza negativa nei suoi rapporti interni. Le madri debbono così costatare che i figli non le rispettano più e non le ascoltano. I figli agiscono in modo indipendente, dato che i genitori non sono in grado di provvedere alle loro necessità, e quindi non ne accettano la guida. Inoltre – ed è ancora più grave –, il coinvolgimento dei figli e delle donne nello sfruttamento sessuale sembra diventare un meccanismo di sopravvivenza. Il Santo Padre menziona questo dramma nel suo Messaggio, al par. 4. I capi famiglia quindi si sentono inermi e frustrati, per non poter provvedere ai bisogni basilari dei propri cari. Non è infrequente dunque che una figlia rimanga incinta solo per ottenere qualche prodotto igienico o cibo per sfamarsi. Tutto ciò – è evidente - colpisce negativamente la vita familiare stessa, per cui le strutture sociali risultano indebolite e le persone perdono i propri valori, la propria ‘umanitàÂ’ e dignità, mentre quello che invece i rifugiati desiderano è andare oltre lÂ’assistenza ricevuta. Essi vogliono cioè lavorare e contribuire al benessere della società che li ospita, anche per integrarvisi.

Come ho già accennato, gli sfollati allÂ’interno di un Paese si trovano in una posizione più difficile dei rifugiati. Oggi sono circa sei milioni coloro che usufruiscono di un tipo di protezione da parte dellÂ’ACNUR. Per gli altri 18 milioni la responsabilità è del Governo locale, che – vale riconoscerlo - molte volte è la causa stessa del loro muoversi come sfollati, con conseguente mancata assistenza e facile oblio del dovere di protezione.

Ho pure accennato dÂ’inizio al fatto che nei Paesi cosiddetti industrializzati i rifugiati sono sempre più visti in modo negativo, per cui sono state varate misure tendenti a limitare le richieste di asilo imponendo, per esempio, procedure per ottenerlo che possono durare anni, nel corso dei quali la persona non ha diritto a lavorare, ed è molte volte costretta a vivere rinchiusa in ‘centri di accoglienzaÂ’ o permanenza sovraffollati. Essere insieme a persone che provengono da culture diverse e affrontare un futuro incerto, con soluzione esistenziale lontana, comportano naturalmente conseguenze psicologiche negative. Vi è poi la questione del trattamento riservato ai minori non accompagnati, che in un numero crescente di Nazioni è simile a quello degli adulti. Allo stesso tempo, tutte le persone di cui qui parlo devono fare i conti con lo stress emozionale e il trauma causati dalle tristi esperienze vissute in passato, come si sottolinea nel Messaggio pontificio al par. 4. 

Ricordo altresì che pure quando al capo famiglia è stato riconosciuto, magari dopo anni, lo status di rifugiato, la riunificazione familiare potrà essere problematica. Ognuno comprende, infatti, che dopo aver trascorso lunghi periodi separati, in situazioni e con esperienze diverse, si manifestino difficoltà di relazione tra marito e moglie. Inoltre i figli dovranno adattarsi a una nuova società, con cultura e lingua sconosciute. Per i più piccoli ciò potrà essere relativamente facile, ma i più grandi attraverseranno periodi difficili. La situazione per i genitori, poi, potrà complicarsi per la difficoltà di accedere al mercato del lavoro, per le barriere linguistiche, e per la eventuale discriminazione esistente nei confronti degli stranieri. Se non sono previsti schemi appropriati per introdurre i rifugiati nel mercato del lavoro, secondo le loro capacità professionali, essi saranno poi facilmente indirizzati a lavori non qualificati, che daranno minori ingressi, con forte impatto su tutta la famiglia. 

I rifugiati riconosciuti tali, e i membri delle loro famiglie, dovranno anche adattarsi alla vita quotidiana del Paese di rifugio, con attività che talvolta sono piuttosto diverse, se non addirittura sconosciute nel Paese dÂ’origine. Facciamo un esempio semplice e comprensibile per ogni massaia e cioè il lavare i vetri delle finestre. Ciò può essere un problema, se si è sempre vissuti ai tropici, in una “casa” – diciamo così – in cui le aperture allÂ’esterno sono senza vetri. Anche pulire la cucina, quando si è sempre cucinato fuori casa, sarà una novità. E, nel nuovo Paese, quali sono i fiori e quali invece le erbacce, da eliminare? Sarà importante, poi, essere accettati dai vicini e integrarsi gradualmente nella società, che è cosa non semplice. Inoltre ci saranno da compilare molti “documenti”, con la lingua che complica le cose. In tutto questo, assistenti sociali e mediatori culturali avranno il loro bel da fare, come richiama il Santo Padre nel suo Messaggio, al par. 6. Certo essi potranno essere aiutati dai volontari, molto spesso della Chiesa locale, che possono avere un ruolo molto importante nel processo di adattamento. 

Così, poco a poco, i rifugiati e i loro familiari si abitueranno al loro nuovo ambiente, con partecipazione alla vita quotidiana del Paese che li accoglie e potrà accadere che, gradualmente, i vicini si accorgano delle loro qualità, dei loro valori. A questo riguardo ci sarebbero molte storie positive da raccontare, il che, in genere, non avviene nei mezzi di comunicazione. 

LÂ’accompagnamento a cui mi riferivo, anche da parte dei volontari, è dunque necessario durante il processo di integrazione. Esso manifesta il rispetto per lÂ’altro e, allo stesso tempo, permette alla persona assistita di cambiare, secondo il vero concetto di integrazione, che non è assimilazione. Tale atteggiamento, per noi, ha radici profonde nel Cristianesimo e anche oggi, in concreto, mostra ciò che la Chiesa è e promuove.

Come attestava il Santo Padre, “Chi si nutre con fede di Cristo alla mensa eucaristica assimila il suo stesso stile di vita, che è lo stile del servizio attento specialmente alle persone più deboli e svantaggiate. La carità operosa, infatti, è un criterio che comprova lÂ’autenticità delle nostre celebrazioni liturgiche“. (Benedetto XVI, Angelus, 19 giugno 2005). 

Grazie! 



*da LÂ’Osservatore Romano, N. 264 (44.406), 15 Novembre 2006, p. 6.
[1]Rifugiato è un termine generico usato per descrivere le persone della cui assistenza e protezione si occupa lÂ’ACNUR. Vi sono inclusi, i rifugiati secondo la Convenzione del 1951, le persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa di conflitti o per eventi che hanno gravemente turbato lÂ’ordine pubblico, coloro che sono alla ricerca di asilo, quanti sono rientrati in patria, gli apolidi, e, in qualche caso, gli sfollati allÂ’interno del proprio Paese. LÂ’ACNUR agisce anche a favore di persone che non sono definite immediatamente come ‘rifugiatiÂ’, e ciò sulla base di risoluzioni dellÂ’Assemblea Generale delle N.U. e dellÂ’ECOSOC.

 

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