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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 102, December 2006

 

 

GLOBALIZZARE LA SOLIDARIETÀ*

 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Tra i fattori di grande attualità, l’agenda internazionale contempla anche la cosiddetta “globalizzazione”, più caratterizzata da fattori economici che guidata da progetti politici, sociali o culturali, dove la dimensione umanistica è spesso dimenticata e mortificata. Anzi, emerge qui il grande divario economico tra Paesi ricchi e poveri e anche tra ricchi e poveri all’interno dello stesso Paese, con il disgraziatissimo fenomeno delle nuove schiavitù. Tale situazione spinge molti, infatti, a lasciare in un modo o in un altro la terra natia in cerca di fortuna, diciamo così. E siamo in tema mio proprio di Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, del nostro Dicastero, attesta così che “il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe non poco, del resto, a ridurre e moderare i flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà” (n. 8). Orbene, questa visione si va poco a poco imponendo all’attenzione anche di Istituzioni Internazionali e di Governi.

In genere, dunque, la globalizzazione sta gradualmente ristrutturando il nostro modo di vivere e influenza sempre più marcatamente i rapporti tra le persone, la vita quotidiana e il modo di pensare. A questo proposito, la nostra citata Istruzione mette a fuoco due tipi di globalizzazione: quella economica, governata dalle leggi di mercato (n. 8) e quella culturale, fortemente influenzata dai mezzi di comunicazione sociale (n. 9).

Tale fenomeno, comunque, è un dato di fatto e, come è avvenuto in passato per tutti i grandi cambiamenti della storia, è più opportuno impegnarsi nell’orientarla, nella umanizzazione, diciamo così, anziché minimizzarne la portata o opponendovisi con la forza. In quest’ottica, condizione e premessa per un approccio adeguato è l’aiuto alla persona umana, affinché viva in essa, vi conviva, in condizioni di pace e di dialogo, fra i vari popoli, le culture e le religioni. In effetti, l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, come del resto tutta la Dottrina sociale della Chiesa, intende essere uno stimolo per tutti, affinché si lavori per un futuro che rispetti la dignità di ogni persona umana. Pertanto, è indispensabile che essa sia coinvolta nei suoi valori essenziali e costitutivi senza cedere a leggi che, a lungo andare, impoveriscono la vera risorsa per eccellenza, l’uomo, la donna. Non si può dimenticare, quindi, l’imperativo di Giovanni Paolo II, che affermava: “La principale risorsa dell’uomo… è l’uomo stesso” (Centesimus annus, n. 32). La Chiesa, perciò, lotta contro le nuove schiavitù, con il pensiero e l’azione, con i mezzi a sua disposizione, conformi alla sua natura e missione.

In questa prospettiva varrà rispondere all’appello che la citata Istruzione rivolge a tutti ad “essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza” (n. 39) ed a rispondere, i cristiani, “all’invito di S. Paolo: ‘Accoglietevi… gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio’ (Rm 15,7)” (n. 40). Tale nostro Documento, poi, frutto di una grande cooperazione intra-ecclesiale, chiama l’intera “Chiesa del Paese d’accoglienza… a sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei migranti” e a “trovare il modo adeguato di creare nella coscienza cristiana il senso dell’accoglienza, specialmente dei più poveri ed emarginati, come spesso sono i migranti, un’accoglienza tutta fondata sull’amore a Cristo” (n. 41).

In vista di ciò, l’Istruzione individua, altresì, la via parallela nella “cultura della solidarietà” (n. 9). Essa è il frutto della comunione fondata sul mistero di Dio in Cristo. Si esprime nell’amore cristiano che cerca il bene degli altri, specialmente del bisognoso, e chiama a una condivisione reciproca dei doni spirituali e dei beni materiali. Essa, del resto, promuove l’unità nel rispetto delle legittime diversità, soprattutto attraverso la condivisione delle conoscenze che, a differenza dei beni materiali, arricchisce non solo chi le riceve ma anche chi le comunica.

Poi, la “globalizzazione della solidarietà” si articola nell’incremento di tutte quelle iniziative che tutelano la dignità di ogni persona umana e sono orientate al bene comune universale. Rientrano nel novero, che pure Erga migrantes caritas Christi dettaglia nell’arco dei suoi 104 numeri, completati dall’Ordinamento giuridico-pastorale, almeno le seguenti: sradicare, o quanto meno ridurre progressivamente la povertà nel mondo; inserire nel mercato globale gli esclusi, assicurando loro regolari attività produttive; promuovere l’introduzione adeguata dei prodotti dei Paesi del Terzo Mondo nei mercati internazionali; assicurare a tutti l’accesso alle risorse del pianeta nel rispetto ambientale; regolamentare i mercati fiscali penalizzando le transazioni speculative; finanziare lo sviluppo dei Paesi poveri da parte di quelli ricchi e cancellare il debito internazionale dei Paesi più poveri. Sotto questo profilo, la solidarietà è un appello, rivolto ad ogni persona di buona volontà, oltre che ai cristiani, e in modo particolare alle Organizzazioni internazionali, a procedere verso un nuovo ordine universale in cui il criterio-guida non sia solo il profitto, bensì anche la ricerca del bene comune, tanto a livello nazionale quanto mondiale, come pure l’obbligo morale di realizzare una distribuzione equa dei beni di questo mondo e la promozione integrale delle persone.

In definitiva, se a governare il progresso dello sviluppo mondiale sarà il primato del bene comune e della solidarietà, nel rispetto di ciascuno e di tutta intera la persona umana, attraverso istituzioni democratiche, di partecipazione e di controllo sociale, allora la “globalizzazione” dei mercati finanziari, la crescita dell’industrializzazione e della produttività, l’evoluzione della scienza e della tecnica, con utilizzo oculato delle biotecnologie, l’estensione delle nuove metodologie d’informazione e di comunicazione, nonché delle relazioni tra le persone e i popoli, potrebbero garantire a tutta l’umanità inedite opportunità di sviluppo, nella giustizia e libertà, in un contesto di pace.

Tutto ciò – ripeto e concludo – a condizione che, con l’economia, riusciamo a globalizzare anche i doveri della solidarietà e a porre le condizioni di una vera partecipazione e di una convinta condivisione mondiale di beni e valori, sia materiali che spirituali. Utopia la nostra? Non direi, e in ogni caso, anche se così fosse, l’utopia oggi ha un ruolo, quello di mobilitarci nell’oggi di Dio, verso un futuro migliore per l’uomo creato a immagine di Dio, suo “maggiordomo”.



*Tavola rotonda tenutasi ad Assisi dal 4 al 6 settembre 2006. L’incontro era organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio per i 20 anni da quello convocato colá da Papa Giovanni Paolo II.

 

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