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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 104, August 2007

 

 

Aspen Seminar for Leaders*

 

Sessione I

 

La rivoluzione demografica e le migrazioni:

aspetti economici e integrazione sociale 

introduzione 

 

S.E. Mons. Agostino MARCHETTO

Segretario

Pontificio Consiglio della Pastorale

per i Migranti e gli Itineranti

 

 

In una intervista a fine gennaio, lo storico Bernard Lewis affermò che l’Islam potrebbe presto diventare “la forza dominante in Europa”, mentre, nel luglio 2004, aveva detto di desumerlo dalle migrazioni e dalla demografia. Non faccio certo automaticamente mie le affermazioni di Lewis, ma esse sono utili per accendere la vostra attenzione, magari drammatizzando, sul tema delle migrazioni.

Comunque l’invecchiamento della popolazione europea influenza, nel contesto della globalizzazione, il fenomeno migratorio. In effetti, i Paesi dell’Europa occidentale non hanno personale sufficiente o manodopera per mantenere il loro ritmo di sviluppo, e questo vale anche per la Russia. Inoltre, con l’aumento degli anziani, cresce il bisogno di chi se ne prenda cura.

L’Europa è quindi già debitrice degli immigrati, un motivo in più per rispettarli, nella loro dignità di persone, tutelandone i diritti umani e lavorativi. Mi riferisco al giusto salario, agli assegni familiari, e ai benefici sociali, con partecipazione attiva nella vita sociale, culturale e politica. Così si rinforza anche la strategia della loro integrazione, e non dico assimilazione.

E’ ormai comune dunque la convinzione del legame “Sviluppo e Migrazione” e lo confermerà il prossimo Forum Globale, a Bruxelles in luglio. Ma non solo la società di accoglienza ha un debito di sviluppo verso l’immigrato ma, insieme a lui, ne ha uno pure verso il Paese di origine. Per lo più tale “debito” è sciolto, almeno in parte, con le rimesse (nel 2004, quelle ufficialmente registrate ammontavano a USA$ 232,3 miliardi, di cui USA$ 160,4 ricevuti dai Paesi in via di sviluppo). Forse si può notare, a tale proposito, che esse superano il valore di tutti gli aiuti internazionali.

Passando alla cultura degli immigrati, da rispettare e accettare, e non solo da tollerare, purché non vada contro i valori etici universali, i diritti umani fondamentali e le leggi legittime del Paese di accoglienza, noto che apertura alle varie identità e espressioni culturali non vuol dire accettarle tutte indiscriminatamente. L’ultima sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti (v. Rivista People on the Move, N. 101 Supplemento), al n. 11 delle Conclusioni, così afferma: “È parso inoltre rilevante saper distinguere quel che tali società possono tollerare o no della cultura islamica, quel che va rispettato o condiviso, in relazione ai credenti di altre religioni (v. Istruzione Erga migrantes caritas Christi, nn. 65 e 66), con possibilità di dare indicazioni, a tale riguardo, anche ai politici, per una giusta formulazione della legislazione civile, nel rispetto delle competenze di ciascuno”. La presenza di mediatori culturali nei Paesi di destino può giocare a questo proposito un ruolo molto importante.

L’identità degli immigrati implica anche la dimensione religiosa, per cui si deve rispettare la loro libertà in questo senso. Si tratta di libertà di coscienza, di culto e di religione, che non è la stessa cosa. Gli immigrati peraltro devono, a loro volta, rispettare l’identità culturale e religiosa della popolazione ospitante (cf. Plenaria, loc. cit., n. 10), mentre spetta ai Governi tutelare tali mutue libertà. In questo contesto richiamo qui il principio di reciprocità inteso “non come un atteggiamento puramente rivendicativo, ma quale relazione fondata sul rispetto reciproco e sulla giustizia nei trattamenti giuridico‑religiosi … che ci rende capaci di vivere insieme e ovunque in parità di diritti e di doveri … [e che]  spinge ciascuno a diventare ‘avvocato’ dei diritti delle minoranze dove la propria comunità religiosa è maggioritaria” (EMCC 64).

Anche nella cultura è comunque importante l’integrazione (interculturale: EMCC 36) che, oltre la mera tolleranza, deve arrivare alla simpatia. Occorre cioè una mutua fecondazione delle culture attraverso il dialogo e la comunione, perché ogni cultura ha qualcosa da offrire alle altre. Occorre però preparare un tale processo, specialmente grazie alle istituzioni educative, ai mezzi di comunicazione di massa e alle Chiese e comunità ecclesiali (cf. Plenaria, loc. cit., nn. 34, 51-52) e alle varie religioni. Peraltro l’impegno degli stessi immigrati è indispensabile per risolvere situazioni di conflitto.

Un altro nucleo di riflessione è la governance delle migrazioni, cosa non semplice anche per la necessità di accordare il principio della libertà di emigrare e il diritto degli Stati di regolare l’accesso al proprio territorio, pur tenendo presente il bene comune nazionale, sì, ma anche quello universale. In effetti, i flussi migratori non sono omogenei. Ci sono migranti economici, studenti esteri e rifugiati o richiedenti asilo. Vi è chi non intende stabilirsi definitivamente nel Paese di destino, o cerca solo un ingresso stagionale, ecc. Per tutti però c’è il diritto a un giusto trattamento e l’opportunità per una rispettosa e articolata integrazione culturale e sociale. Fra le Convenzioni internazionali, a questo riguardo, cito solo quella per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie, e ricordo i reiterati appelli dei Papi alla sua ratifica. Esplicito: la situazione irregolare, pure delle vittime del traffico di esseri umani, non priva dei diritti umani fondamentali.

Termino con la questione dei giovani migranti, che, come tutti i loro coetanei, rappresentano il futuro. A tale riguardo, considero che i figli degli immigrati, i cosiddetti migranti della seconda o terza generazione, si trovano in situazione molto particolare. Direi così: non sono nati nel Paese di origine dei loro genitori, e non si sentono nemmeno pienamente figli della terra di accoglienza, devono così gestire un’identità con relazione a due Paesi, e molto spesso non si sentono identificati con entrambi. Qui sta la sfida: come si può operare un’effettiva integrazione di persone con identità multiculturale? Anche qui sottolineo l’importanza dell’educazione e della formazione, oltre che della famiglia, nonostante tutto. Nel documento finale (n. 34) della citata Plenaria leggiamo: “È importante assicurare l’educazione delle nuove generazioni, anche perché la scuola ha un ruolo fondamentale per vincere il conflitto dell’ignoranza e dei pregiudizi… (v. EMCC 62)”.

Certo con la presenza di giovani immigrati l’etnocentrismo culturale delle istituzione di diritto comune è in fase calante, per cui è sempre più urgente la necessità di assumere le giuste trasformazioni sociali e culturali che le nuove generazioni di origine straniera rivelano e portano.

Ci avviciniamo così a quel mondo nuovo per tutti e di tutti che ha un suo inizio – come sfida e rischio – con la presenza degli immigrati in mezzo a noi. 


 

* Venezia, 4-6 maggio 2007.

 

 

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