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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 104, August 2007

 

 

 Â‘La migrazione stimola lo sviluppo’

Jan De Volder su Tertio

intervista l’Arcivescovo Agostino Marchetto* 

 

Le migrazioni costituiscono una vera sfida per il nostro tempo. Come pensarle e regolarle? Tertio parla con l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Uno studio della Banca Dexia, reso pubblico la settimana scorsa, mostra chiaramente come la sicurezza sociale nel nostro paese (Belgio)  potrà sopravvivere soltanto con il contributo dei nuovi migranti. Grazie ad essi, anche l’invecchiamento della popolazione non avrà le gravi conseguenze che si temono. Inoltre, per le loro rimesse, i migranti stimolano anche lo sviluppo del loro paese di origine, per un totale addirittura superiore alla cooperazione ufficiale degli Stati.

Le Nazioni Unite organizzano nel mese di luglio a Bruxelles una Conferenza dedicata al tema ‘Migrazioni e sviluppo’. “La Chiesa Cattolica da tempo prende parte alle Riunioni preparatorie del Forum’’, dice Mons. Agostino Marchetto.

I Documenti redatti dal Pontificio Consiglio testimoniano una seria riflessione sulla cura pastorale. L’Istruzione Erga migrantes caritas Christi di tre anni fa, ad esempio, offre un’analisi profonda del fenomeno delle migrazioni. Peccato che spesso tali testi non siano letti, anche dai cattolici. A determinare la denominazione del Pontificio Consiglio concorrono due termini distinti: migranti e itineranti. Le due categorie sono a loro volta suddivise in vari Settori. Appartengono a quella dei Migranti: i Migranti, i Rifugiati e gli Studenti Esteri. Mentre della seconda, quella degli Itineranti, fanno parte: l’Apostolato del Mare, della Strada e degli aeroporti, i Nomadi, Circensi e Lunaparchisti, i Pellegrini e i Turisti.  

D. La Chiesa considera la migrazione ‘un segno dei tempi’. Che cosa significa ?

R. Si tratta di una categoria teologica. Il Concilio Vaticano Secondo insegna ai cattolici di guardare la propria epoca con attenzione e simpatia. Un tale segno dei tempi è realtà che va analizzata alla luce della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa. Ė questo lo scopo dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi (2004).

In ogni caso la Chiesa non vede la migrazione come un fenomeno casuale, ma come realtà strutturale dentro la globalizzazione.’

D. Ė un fenomeno piuttosto positivo o negativo per la Chiesa?

R. Chi cambia luogo fa un’esperienza drammatica. Soprattutto quando la partenza non è il frutto di una decisione volontaria. Nel caso dei rifugiati, sfollati ed altri, spesso quest’esperienza provoca molto dolore.

Naturalmente, non siamo ciechi, ci sono anche i lati positivi della migrazione. Il mondo si fa sempre più uno. Chi era lontano, si fa vicino. Questo aumenta la nostra conoscenza degli ‘altri’. Ė un’occasione unica per formare una famiglia mondiale di popoli. Inoltre la migrazione stimola lo sviluppo. E’ questo il tema della Conferenza che si terrà a Bruxelles a luglio.  

D. Molti vedono gli stranieri come una minaccia. Nelle nostre società si vede una crescente chiusura. A chi difende l’apertura e l’accoglienza si rimprovera di essere ingenuo.

R. Questa reazione di paura fa parte della natura umana. Dobbiamo riconoscere che non è anormale nell’incontro con chi è ‘diverso’ il nascere dell’incertezza. 

Come cristiani siamo chiamati ad accogliere l’altro con amore. Ancora di più se si tratta di cristiani. Ovviamente l’ospitalità deve essere proporzionale alla capacità di accoglienza. Da parte dei migranti si  può aspettare un’attitudine di rispetto per le leggi e per l’identità del paese che li accoglie.

Anche l’integrazione richiede questo duplice sforzo. Per i cristiani si tratta di aprire il proprio cuore, di creare più spazio per la carità. Il contatto con i migranti offre un’occasione per sviluppare una visione più universale.  

D. L’accoglienza di migranti musulmani richiede un comportamento diverso, rispetto a quella dei cristiani?  

R. Più l’altro è ‘diverso’, più spinosa è la questione dell’integrazione. Nei nostri testi trattiamo i migranti musulmani come una categoria a parte. Non per discriminarli, ma perché la realtà semplicemente è diversa.

Dobbiamo comunque aprirci anche ai migranti musulmani, ma da loro possiamo pretendere un’atteggiamento rispettoso verso l’identità del nostro paese.  

D. I problemi più seri di integrazione non si pongono con la prima o con la seconda generazione, ma con la terza e la quarta. Questo non prova che i musulmani si integrino difficilmente ? 

R. Non bisogna drammatizzare. Ė ovvio, e anche comprensibile, da un punto di vista psico-sociale, che le diverse generazioni reagiscono in maniera diversa. Più si lascia dietro la situazione di emergenza, che provoca la partenza, più si è integrati nel paese dove si è nati ma che non è il proprio, si sviluppa la tendenza ad affermare la propria identità originaria.  Questo provoca anche un certo raffreddamento, con meno volontà di essere integrati.

La società deve cogliere questo momento delicato per promuovere una nuova tappa nel cammino di integrazione. Questo si può realizzare, ad esempio, con una nuova visione circa cittadinanza o inculturazione. In ogni modo è necessario che la società che accoglie riconosca la specificità di questi gruppi.  

D. Gli attentati nel metrò di Londra sono stati effettuati da Pachistani ben integrati nella società inglese. Allora non è normale che molti Europei non si fidino dell’integrazione dei  musulmani?

R. Gli attentati, cominciando da quelli dell’undici settembre, ovviamente influiscono sull’opinione pubblica. Ma non è saggio orientare la politica su certe frange impazzite. Non si può essere loro ostaggi, perché è ciò che vogliono. Non si deve indulgere su queste impressioni. Un altro tema su cui non bisogna arrendersi è il diritto d’asilo, una grande conquista dell’umanità  che non possiamo perdere.

D. Il Cardinal Giacomo Biffi, allora Arcivescovo di Bologna, sosteneva che l’Europa farebbe meglio ad accogliere solo migranti cristiani. Lei sottoscrive questo?

R. Certe frasi continuano a perseguitare chi l’ha pronunciate. Il Cardinal Biffi aveva anche detto: ‘ora non parlo da cristiano né da pastore, ma per un monito a quanti ci governano. Essi dovrebbero cioè tenere più conto della capacità di integrazione nella nostra società di quelli che arrivano.’ Il Cardinale era quindi molto più articolato e moderato rispetto a quello che è apparso sui media. Ma il fatto è  che migranti provenienti da culture cristiane si integrano più facilmente nella società europea.  

D. La Chiesa belga si è impegnata per ottenere una sanatoria a favore degli ex richiedenti-asilo. Anche il Santo Padre ha accennato al problema nel discorso al nuovo Ambasciatore belga presso la Santa Sede, S.E. Frank De Coninck. Come mai ?

R.  Questo tema sta molto a cuore al Santo Padre. Se parla dei diritti dei migranti, non allude solo a quelli regolari. La Chiesa ha sempre davanti agli occhi anche quelli irregolari. Nella lotta contro l’immigrazione irregolare non si possono infatti perdere di vista i diritti dell’uomo. Ė una dimensione dell’umanesimo cristiano, e non solo. La Santa Sede ha sempre questa sollecitudine per i diritti dell’uomo. Ė’ basata su una visione evangelica della persona umana. Bisogna cioè stare attenti a non perdere l’anima, in mezzo alle tensioni di questi tempi.

Per quanto riguarda la sanatoria, essa dipende dai Governi. In genere la si può fare all’inizio di una nuova legislatura. Si guardi per esempio all’Olanda e alla Germania, dove i due Governi hanno proposto delle misure di regolarizzazione.    

D. In Belgio un Vescovo ha irritato il ministro degli Interni perché sosteneva il ‘diritto alla migrazione’. Questo concetto non viene direttamente dai documenti della Chiesa?

R. Certo. Erga migrantes caritas Christi attesta che questo diritto va peraltro insieme con il diritto degli Stati a regolare queste migrazioni. Bisogna anche tener conto cioè della capacità di uno Stato a realizzare il ‘bene comune’, e lo si può fare sottomettendo le migrazioni a certe regole. Ma chiaramente per la Chiesa il ‘bene comune’ non può essere solo quello di una sola Nazione, bisogna sempre tenere presente il bene comune universale.

Inoltre non illudiamoci. La popolazione europea diminuisce. E laddove c’è posto “libero” automaticamente c’è una certa pressione.  

D. Il Consiglio per i migranti si occupa molto esplicitamente anche degli Zingari-Rom. Si tratta di un gruppo che viene discriminato in molti luoghi.

R. La Chiesa guarda agli zingari con un amore particolare. Essi sono spesso vittime di pregiudizi e di persecuzioni. I nazisti ne uccisero circa 600.000. Questo non rimane senza traccia nella psiche di un popolo. Oggi costituiscono una questione sociale importante: in Europa 4,5 milioni di ragazzi zingari dovrebbero andare a scuola. Poi, nonostante il loro modo di vita inusuale, hanno una cultura propria, con molti valori, come l’ospitalità e il senso della famiglia e una forte religiosità.  

D. Il Consiglio ha appena pubblicato un Documento nel quale si consiglia ai pastori di diventare ‘zingari con gli zingari’.

R. Sì, vogliamo sviluppare per quel gruppo una pastorale particolare. Per noi l’aiuto umanitario, la promozione umana, e l’evangelizzazione non si oppongono, ma vanno insieme. Gli zingari prendono facilmente la religione del paese dove risiedono: sono cattolici, ortodossi o musulmani. Oggi molti di loro sono attratti da sette neoprotestanti. Esse non sempre vogliono il loro  meglio.

Perciò consigliamo ai pastori di avere un’attenzione particolare per gli zingari, di sostenerli nelle loro difficoltà quotidiane e di non negare loro il Vangelo. 


 

* Servizio pubblicato in data 4 Aprile, qui in traduzione italiana.

 

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