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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 106, April 2008

 

 

Intervista  DELl’agenzia fides

ALL’Arcivescovo Agostino Marchetto

 

Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha il compito di assistere il Santo Padre per dirigere “la sollecitudine pastorale della Chiesa alle particolari necessità di coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto … [Esso] procura di seguire con la dovuta attenzione le questioni attinenti a questa materia [e] … si impegna affinché nelle Chiese locali sia offerta un’efficace ed appropriata assistenza spirituale, se necessario mediante opportune strutture pastorali, sia ai profughi e agli esuli, sia ai migranti, ai nomadi e alla gente del circo … Favorisce parimenti … la cura pastorale in favore dei marittimi sia in navigazione che nei porti, specialmente per mezzo dell’Opera dell’Apostolato del Mare, della quale esercita l’alta direzione [e] … svolge la medesima sollecitudine verso coloro che hanno un impiego o prestano il loro lavoro negli aeroporti o negli aerei. [Inoltre, il Pontificio Consiglio] si impegna affinché i viaggi intrapresi per motivi di pietà o di studio o di svago favoriscano la formazione morale e religiosa dei fedeli”. Sto citando la Pastor Bonus, art. 149-151, documento che regola – diciamo così – la Curia Romana.

Per rispondere alla sua domanda, che è anche personale, penso non sia un mistero che il Segretario di un Dicastero Romano è un po’ il motore che fa funzionare il suo ingranaggio. E questo non vuol dire che la mente non c’entri.

Il nostro Pontificio Consiglio è naturalmente impegnato con i Vescovi, le Conferenze episcopali e le cristallizzazioni regionali e continentali di comunione episcopale, da un punto di vista pastorale, in favore dei migranti, dei rifugiati e di altre persone in mobilità. I mezzi a disposizione delle Chiese locali sono, fra gli altri, una formazione specifica e l’organizzazione di una Commissione per la pastorale della mobilità umana. Come delegati della sollecitudine universale dal Santo Padre, offriamo il nostro contributo per promuovere la pastorale specifica della Chiesa nel mondo della mobilità umana, pastorale cioè in visione non ristretta tra migranti, rifugiati, profughi e soggetti al traffico di esseri umani, studenti esteri, marittimi e pescatori, aeronaviganti e aeroportuali, nomadi, circensi e fieranti, utenti della strada e chi vi vive (donne e ragazzi di strada e senza fissa dimora), turisti e pellegrini. 

La invito a visitare il nostro sito web (www.vatican.va/roman_curia/pontifical councils/migrants/index) per immaginarvi un po’ i compiti a me affidati, come Lei mi chiede. 

Agli immigrati deve essere riservata una accoglienza all’altezza della loro dignità umana e naturalmente nella sicurezza. Questo vale per tutti i Paesi. Essi, come tutti i lavoratori, non sono una merce, ce lo dice la Dottrina Sociale della Chiesa e lo abbiamo ribadito con la nostra Istruzione Erga migrantes caritas Christi: “i lavoratori stranieri non sono da considerarsi una merce o una mera forza lavoro, e non devono quindi essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante gode, cioè, di diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati in ogni caso” (n. 5).

La Chiesa, poi, da parte sua, grazie anche a numerose Istituzioni ad essa collegate, cerca di aiutare i migranti approntando anzitutto le più necessarie strutture assistenziali. Quindi vi è un lavoro importante per la loro integrazione, che non è assimilazione, a cui si dà un contributo specifico. Vi è poi tutto il compito pastorale specifico e questo vale per i cattolici, ma anche per i cristiani, i credenti di altre religioni, ecc. Vi invito a leggere la citata Istruzione Erga migrantes caritas Christi, pubblicata anche sul nostro website.

Certo, di fronte a un fenomeno che si trasforma, sempre più, in una delle grandi sfide internazionali, oltre che per vincere una mentalità abbastanza comune, la Chiesa, “esperta in umanità”, suggerisce alcuni interventi a monte, come per esempio l’aiuto economico allo sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, da cui hanno origine i più importanti flussi migratori. In effetti il primo diritto è quello a non dover emigrare per realizzare le proprie aspirazioni. Si deve pensare anche a una giusta regolazione dei flussi migratori stessi, mediante accordi bilaterali e multilaterali tra Paesi di origine e Paesi di destinazione, che tengano conto del bene comune nazionale e universale. Infine, una attenzione alle frontiere per contrastare il più efficacemente possibile l’opera in grande espansione di organizzazioni criminali che fanno traffico e contrabbando di esseri umani. Chi cade in questa trappola deve comunque essere rispettato nella sua dignità umana.

Pure sollecitati da simili tragici fatti di cronaca nella nostra sensibilità umana e cristiana e nelle emozioni magari esasperate dai mass-media, oggi siamo tutti consapevoli di vivere in un mondo da una parte sempre più globalizzato e dall’altra segnato profondamente da diversità culturali, sociali, economiche, politiche e religiose. Si presentano così nuove sfide alla nostra coscienza cristiana, una delle quali, particolarmente importante – si afferma nell’Erga migrantes caritas Christi –, è la formazione alla “interculturalità” nel rispetto della identità del Paese che accoglie, delle sue leggi e dei suoi valori (vedi n. 78). L’interculturalità dunque appare, sempre più, come la chiave di soluzione al difficile problema e allo sforzo di armonizzare l’unità della famiglia umana nella diversità dei popoli che la compongono. Questo implica in un determinato Paese l’impostazione di tutta una pedagogia per l’accoglienza, in sicurezza, delle differenze, per la cultura del dialogo, nella reciprocità e solidarietà.

Il dialogo interculturale pertanto non è un concetto circoscritto ad una azione puramente accademica, ma coinvolge pienamente la nostra capacità di incontrare le persone di altra cultura, non solo, ma anche di diversa confessione e di altra religione. È necessario allora che ci accostiamo a tutte le culture con l’atteggiamento rispettoso di chi è cosciente che non ha solo qualcosa da dire e dare, o da giustamente pretendere, ma anche da ascoltare e ricevere. In una parola, l’Erga migrantes caritas Christi sintetizza questo nostro dire incoraggiando una “vera e propria cultura dell’accoglienza” (n. 39).

Tutto ciò richiede impegno a lunga scadenza, programmato, non soggetto, come Lei dice, a “particolari situazioni”, alle emozioni del momento o a immediati interessi elettorali, anche se naturalmente tutti i Partiti li hanno. Bisogna cioè mettersi, come dicevo, al livello superiore del bene comune della nazione, della persona umana, di ciascuno, naturalmente nel rispetto degli altri. 

Lei introduce, infine, quella che noi chiamiamo la pastorale del turismo e in una città come Roma alla quale molti giungono non solo per le sue bellezze, ma perché vogliono “vedere Pietro” (come si diceva), vedere il successore di Pietro, il Papa, e il patrimonio religioso, magnifico, qui esistente. Non posso certo dilatare il mio discorso, ma confermare che i turisti sono una categoria di itineranti per cui la Chiesa Cattolica ha una pastorale specifica. Vi sono documenti approntati dal nostro Pontificio Consiglio che vi invito a consultare ancora sul nostro sito. Vi è anche il turismo religioso, dunque, che noi più propriamente diciamo “pellegrinaggio”. Qui c’è una rinascita. Non mancano nostri Congressi al riguardo e l’animazione di iniziative che, a Roma specialmente, sono sotto gli occhi di tutti, occhi che ammirano.

 

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