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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 106, April 2008

 

 

IL PUNTO SULLA GLOBALIZZAZIONE OGGI* 

 

di Renato RUGGIERO

 

Ricordate il venerdì 14 marzo 2008: è stato il giorno in cui il sogno del capita­lismo globale del libero merca­to e morto. Con queste parole Martin Wolf, uno dei più autorevoli editorialisti del Finan­cial Times, apriva un mese fa la sua colonna sul salvataggio della Bear Stearns. Pochi giorni do­po, sull'International Herald Tribune, in un editoriale invia­to da Hong Kong, Roger Cohen scriveva: «È questa la fi­ne dell'era dell'uomo bianco».

Ormai da settimane e con un crescendo drammatico, gli or­gani di informazione gareggia­no nel descrivere le inaccetta­bili conseguenze dell'aumento dei prezzi agricoli. Secondo Ro­bert Zoellick, presidente della Banca Mondiale, il riso è au­mentato negli ultimi due mesi del 75% e il grano del 120% in un anno; i poveri spendono in media il 75% del proprio reddi­to per il cibo. Di fronte a una gi­gantesca crisi finanziaria che ha gia bruciato miliardi di dolla­ri, e di fronte a una terrificante crisi alimentare, uno «stermi­nio silenzioso», com’è stata de­finita dal rappresentante, dell’Onu per il diritto al cibo, Jean Ziegler, ci si chiede cosa mai stia succedendo al mondo.

È uscito in queste settimane un libro di Giulio Tremonti, in pectore ministro dell'Economia del governo che sta per essere formato, che ha certo il merito di descrive­re in modo brillante e provocatorio «la pau­ra e la Speranza» che caratterizzano il mondo in cui viviamo di fronte alla globalizzazio­ne. Ma non è l’unico merito. Stiamo uscendo da una lunga campagna elettorale dove il te­ma della globalizzazione, delle opportunità che essa ha offerto e offre e delle gravi insuf­ficienze che ancora la caratterizzano sono stati, raramente, citati. Il libro di Tremonti è oggi l'unica testimonianza di questa com­plessa realtà. Un'opera, come scrive anche Paolo Mieli, necessaria per aprire nel nostro Paese un dibattito sulla realtà e le prospetti­ve che si aprono di fronte a noi.

Sarebbe un errore considerare la globa­lizzazione prevalentemente come il frutto della liberalizzazione commerciale attuata con la creazione dell'Organizzazione mon­diale del commercio e per di più con «super­ficiale precipitazione». È una tesi che affiora di tanto in tanto e anche nel libro di Tre­monti. La liberalizzazione commerciale a li­vello mondiale è figlia degli accordi di Bretton Woods e di una visione del mondo all'in­domani della II Guerra mondiale. Essa nac­que con la creazione del Gatt il 30 ottobre 1947. Ventitre Paesi vi aderirono, tra cui l’In­dia, e metà dei membri appartenevano a Pa­esi a economia avanzata. Il 1° gennaio 1995, dopo 48 anni, nacque l’Organizzazione mondiale del commercio che prese il posto del Gatt e nel frattempo i Paesi membri ave­vano raggiunto il numero di 125, dei quali l’80% in via di sviluppo. La Cina divenne membro nel 2001 dopo 14 anni di negoziato. Nel frattempo la pover in Cina era diminu­ita dal 28% nel 1978 al 9% nel 1998, ossia pri­ma dell'entrata nella nuova Organizzazio­ne, e in India dal 51% nel 1977 al 26% nel 2000. Cina e India rappresentano circa il 40% della popolazione mondiale.

Tra l’altro, per il commercio di prodotti tessili cinese fu fissato un periodo transito­rio di ulteriori dieci anni per giungere gradualmente alla liberalizzazione. Vi è stato, dunque, un tempo sufficiente accettato da tutti, anche dal Governo italiano.

In realtà la globalizzazione ha molti padri. Con Bretton Woods si gettarono le basi per un sistema mondiale di graduale liberalizza­zione con regole speciali per i Paesi in via di sviluppo. Con l'Organizzazione mondiale del commercio si creò anche un valido siste­ma per la soluzione delle controversie, basa­to sulle regole fissate e approvate da tutti i membri e non su rapporti di forza.

Ma il fattore principale della graduale glo­balizzazione è stato il grande sviluppo tecno­logico, dei trasporti e delle telecomunicazio­ni. Con l'aumento degli scambi di prodotti si sono inevitabilmente aperte anche le vie de­gli scambi di uomini, di idee e di esperienze.

Il risultato non e certo perfetto, ma sareb­be assai grave non considerare un grandio­so risultato quello di avere fatto uscire dalla povertà assoluta più di mezzo miliardo di uo­mini e di avere alzato il livello di vita di altri miliardi. Ma non è accettabile che vi sia anco­ra un miliardo di persone senza acqua pota­bile. Le enormi sfide di fronte a noi sono co­munque molto più complesse di questa te­matica della globalizzazione centrata preva­lentemente sugli scambi commerciali.

Dobbiamo guardare al futuro e chiederci quali siano le prospettive di fronte a noi. Vi sono tre nuove realtà da affrontare e che ca­ratterizzano la fase storica iniziata con la ca­duta del muro di Berlino.

La prima realtà è quella delle grandi sfide globali. Si tratta di migliorare il funziona­mento del sistema finanziario mondiale, di affrontare i grandi problemi legati al surri­scaldamento della terra, della dipendenza energetica, delle conseguenze dei grandi

squilibri demografici, delle crescenti migra­zioni, del terrorismo globale, della dissemi­nazione nucleare, delle inaccettabili dispari­tà tra le quali la povertà e l'insufficienza di acqua. Queste sfide si caratterizzano sia per la loro globalità, ossia interessano, sebbene in misura diversa, tutti i soggetti della vita internazionale, sia per il fatto che la loro so­luzione non può dipendere da una sola o an­che soltanto da alcune grandi potenze.

Casella di testo:  
La seconda realtà è il movimento già ini­ziato verso un ridimensionamento della leadership occidentale e prevalentemente americana, insieme con l'emergere di nuo­ve grandi potenze economiche. Andiamo verso un mondo che vedrebbe nel 2030, o giù di li, soltanto gli Stati Uniti tra le prime sette potenze economiche mondiali che fanno parte del G-7. Nessuno dei singoli Pa­esi europei vi farebbe parte. Nel 2012, fra quattro anni, le risorse disponibili dei fon­di sovrani di investimento potrebbero rag­giungere i 12 trilioni di dollari, ossia circa il doppio di tutte le risorse delle Banche cen­trali del mondo. Ovviamente, il riequili­brio tra le prime potenze economiche al mondo comporterebbe un riequilibrio an­che nei loro rapporti globali.

La terza realtà è che l'attuale livello di glo­balizzazione necessita di un aggiornamento e di un coordinamento delle regole e delle istituzioni create a Bretton Woods, all'indo­mani della II Guerra Mondiale. È questa una priorità politica ed economica che dovreb­be essere discussa al prossimo G-7 the sarà presieduto dal Giappone.

Tenendo presenti le nuove precedenti realtà della vita internazionale, la direzione verso la quale stiamo andando è quella di passare dal prevalente bipolarismo che ha caratterizzato la nostra storia prima della ca­duta del muro di Berlino a un multilaterali­smo competitivo tra un gruppo di grandi po­tenze. Si tratterebbe degli Stati Uniti, della nascente Europa politica, della Russia, della Cina, del Giappone, dell'India, del Brasile. Nessuno dei soggetti che vi farebbero parte è in grado di prevalere nettamente sugli al­tri. Ciascuno di essi cercherà di attirare altri Stati nella propria orbita per aumentare il proprio peso relativo. Ecco perchè si tratte­rebbe di un multilateralismo dinamico. Su queste basi si potrebbe concentrare la nuo­va governabilità globale. Una prospettiva certo non facile.

Se questo è il quadro verso il quale ci diri­giamo, è chiaro che il nostro compito del tutto prioritario è di fare al più presto l’Europa politica con i partner europei che accette­ranno la sfida. Mi sembra che questa sia an­che, almeno in parte, la tesi di Tremonti; ne sono molto contento.

Per l'Italia, significa dimostrare di essere un partner leale che farà la sua battaglia nel quadro della ortodossia comunitaria. Il cammino davanti a noi è più difficile che per altri partner. La nostra classe politica attuale dovrà mostrare con i fatti di essere consapevole e pronta alla sfida che è di fronte a noi, come italiani e come europei.


 

* Dall’articolo La globalizzazione e il multilateralismo competitivo. Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2008, p. 11.

 

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