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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108 (Suppl.), December 2008

 

 

I SOGGETTI SENZA FISSA DIMORA 

 

Professor Mario POLLO

della LUMSA e dellÂ’Università Salesiana di Roma

 

Premessa

Accogliendo il suggerimento della Caritas Ambrosiana e della FIOpsd si sono abbandonate in questo rapporto le espressioni “clochard” e “senza fissa dimora”a favore di “persone senza dimora”.

Questa dizione consente, almeno parzialmente, di rompere con gli stereotipi che hanno gravato, e spesso ancora gravano, sulle persone portatrici di questa etichetta, oltre a sottolineare con maggiore vigore che esse, prima ancora che per il disagio di cui sono portatrici, debbono essere riconosciute come esseri umani unici ed irrepetibili, la cui dignità personale deve essere salvaguardata e valorizzata.

È anche necessario sottolineare che lÂ’etichetta “persone senza dimora” viene applicata ad un universo composito, in cui si intrecciano una molteplicità di storie personali differenti che svelano che allÂ’origine della perdita, o della mancata conquista della dimora, vi sono cause di natura molto diversa. Ad esempio, è assai diversa la storia di chi è entrato nella condizione di senza dimora a causa dellÂ’espulsione dalla famiglia da chi vi ha acceduto a causa dellÂ’immigrazione irregolare, ma il cui fine era quello, comunque, di garantire alla propria famiglia, che ha lasciato nel paese di origine, una migliore qualità di vita.

A questÂ’ultima condizione appartengono, tra lÂ’altro, coloro che sono divenuti senza dimora in seguito allÂ’inurbazione in una megalopoli dellÂ’Asia, dellÂ’Africa o dellÂ’America Latina.

Questa estrema diversità fa anche si che siano diverse le definizioni e le interpretazioni della condizione di persona senza dimora nei paesi economicamente più ricchi, come quelli europei, e in quelli più poveri. E che, di conseguenza, siano assai differenziati e con esiti diversi i percorsi dal fuori al dentro che vengono attuati nelle diverse realtà mondiali.

Per questo motivo la definizione di “persona senza dimora”che viene qui adottata è molto ampia e, quindi, generale: «persona senza dimora può essere definita quella le cui condizioni di povertà, di emarginazione esclusione sociale, di salute fisica o mentale e di carenza di adeguate competenze relazionali e/o cognitive impediscono lÂ’accesso ad una abitazione e al connesso inserimento sociale».

Parte I. Lo sfondo

Il numero di questionari che sono stati restituiti compilati è pari a 26 e hanno riguardato complessivamente 21 paesi, di cui 9 europei, 2 nord americani, 3 sud americani, 3 africani, 3 asiatici e 1 australiano. Purtroppo a causa del loro tardivo recapito un questionario proveniente dal Brasile e uno dallÂ’Inghilterra non si sono potuti inserire e, quindi le varie tabelle e commenti non tengono conto dei dati da essi forniti. Il loro inserimento avverrà in un secondo momento, prima di licenziare il testo finale del rapporto.

La compilazione spesso disomogenea e incompleta di molti questionari ha reso non percorribile, se non in modo estremamente limitato, una adeguata elaborazione statistica dei dati. Tra lÂ’altro, alcuni dati sono riferiti a una città mentre altri ad un intero paese. 

Il numero delle persone senza dimora

Qui di seguito è riportata la tabella contenente i dati indicati nelle risposte. Le ultime righe della tabella contengono le riposte date dallÂ’Ordine di Malta e da quello dei Cappuccini riferite entrambe a un insieme di progetti sviluppati dai loro organismi in diversi paesi.

 

 

1.1 Numero dei senza fissa dimora

 

Francia – Macadam Cafè

 

n.r.

Italia – Caritas Ambrosiana

1.423

Italia – FIOpsd

65.000-120.000

Italia Caritas Italiana

17.000

Korea

20.000

India

65.000.000

Belgio – Liegi

186

USA

3.500.000

USA 2

3.500.000

Canada

150.000

Taiwan

3.655

Irlanda

n.r.

Australia

99.900

Inghilterra

n.r.

Burundi

7.500

Germania

143.000

Germania/Colonia

12.000

Tanzania

n.r.

Cile

7.254

Bosnia

1.200

Sud Africa

4.000.000

Olanda/Amsterdam

16.354

Ordine di Malta – Parigi

980

Ordine di Malta – Budapest

8.000

Ordine di Malta – Liegi

1.500

Cappuccini – Denver

9.000

Cappuccini – Pavanatma

10.000

Cappuccini Honduras

n.r.

Cappuccini Canada

200.000

Cappuccini – Montpellier

500

Cappuccini – Rio Grande

26.615

Cappuccini – Belgio

n.r.

Come si può osservare vi è una variabilità dei dati enorme perchè si va dai 65 milioni di persone prive di casa dellÂ’India alle 186 indicate nella città di Liegi. 

Vi è poi anche il caso dellÂ’Italia dove compaiono dati, prodotti da ricerche diverse, assai discordanti di cui quelli più validi sono senza dubbio quelli indicati dalla FIOpsd.

Al di là delle stime più o meno precise e complete, emerge comunque chiaramente che in alcuni paesi la questione delle persone senza dimora è una vera e propria emergenza e rappresenta il volto estremo della povertà. 

Il genere

Solo 8 questionari hanno indicato la stima della distribuzione delle persone senza dimora secondo il genere. Le risposte confermano, salvo che per lÂ’Australia, che la condizione di senza dimora è un fenomeno prevalentemente maschile, anche se in questi ultimi anni è aumentato il numero delle donne senza dimora particolarmente in Europa. 

 

% Maschi

% Femmine

Francia

90

10

Italia – FlOpsd

81,8

18,2

Korea

94,3

5,7

Australia

58

42

Burundi

90

10

Germania

77

23

Cile

85

15

Cappuccini – Rio Grande

85

15

LÂ’età

Solo lÂ’Italia, la Corea, il Belgio, Taiwan e lÂ’Australia hanno indicato dati completi sulla distribuzione dellÂ’età delle persone senza dimora. Essi indicano che la maggioranza assoluta, il 51,5%, delle persone senza dimora ha unÂ’età inferiore ai 40 anni e che quella inferiore ai 50 anni è ben lÂ’80,2%. Si tratta di un dato che conferma la tendenza rilevata da molti osservatori circa lÂ’abbassamento di età in cui si verifica il passaggio dal dentro al fuori, ovvero il processo di esclusione sociale raggiunge la fase acuta. A questo occorre aggiungere che le classi di età più numerose sono quelle 38-47 anni e 28-37 anni e che di solito viene anche rilevata unÂ’età più giovane tra le persone senza dimora straniere rispetto a quelle autoctone.

LÂ’età media in Australia è di 39 anni, in Inghilterra di circa 40 anni.

Per quanto riguarda la tabella sottostante occorre tenere conto che essendo state fornite nei diversi questionari classi di età diverse esse, con qualche errore, si spera casuale e che quindi viene compensato, sono state omogeneizzate al fine di renderle comparabili.

Il loro valore è perciò solo indicativo anche se lÂ’eventuale errore è nellÂ’ordine di qualche punto percentuale. 

 

<27anni

28-37anni

38-47anni

48-57anni

58-64anni

>65anni

Francia

 

40

40

 

 

 

Milano psd italiani

 

 

52

 

 

Milano psd Stranieri

58

 

 

 

 

Italia-FIOspd

 

15,5

30,9

23,1

16

8,7

5,8

Korea

4,2

26,4

39,9

22,2

6,6

 

India

33

 

 

 

 

 

Belgio_Liegi

         19  

40

31

6

1,4

 

USA

25

 

 

 

 

2

USA 2

39

 

 

 

 

 

Taiwan

11

13

29

29

10

8

Australia

46

17

13

10

8

6

Burundi

100

 

 

 

 

 

Germania

18

26

29

 

 

 

Cile

21,2

 

27,5

25,8

25,5

 

Media

23,2

27,5

28,7

19,3

10

5,45

             

Il livello scolare

I dati analitici sul livello scolare sono stati indicati solo da quattro paesi. In questi paesi le persone senza dimora hanno un livello scolare simile a quello del resto della popolazione se non, in alcuni casi, superiore. Per quanto riguarda, invece, i paesi che non hanno indicato in modo analitico la scolarità si rilevano situazioni differenziate. Ad esempio, in Australia tra le persone senza dimora con un più lungo periodo di vita sulla strada vi è un livello di analfabetismo maggiore di quelle che lo sono state per un breve periodo. A Colonia, Germania, hanno quasi tutte il livello scolare dellÂ’obbligo ma vi sono anche coloro che hanno raggiunto i diversi livelli scolari superiori. In Inghilterra è stata rilevata una correlazione tra lÂ’assenza di titoli di studio e la condizione di persona senza dimora.

Nella maggioranza dei casi viene, tuttavia, indicata la presenza di tutti i livelli scolari tra le persone senza dimora. 

 

Analfabeta

Elementare

Media

Diploma

Laurea

Milano

 

13

20

20

 

Italia-FIOspd

7,1          

34,2

33,7

17,7

3,9

Korea

15,2

22,9

26,3

30,6

5,1

USA2

 

 

38

34

28

Cile

7,5

40,9

33

16,6

2

Media

9,9

27,7

30,2

23,8

9,7

Numero delle persone incontrate ogni anno

Dei 24 questionari compilati solo 10 hanno indicato il numero di persone che lÂ’organizzazione che rappresentano incontra ogni anno. I dati sono estremamente diversificati in quanto vanno da un minimo di 50 ad un massimo di 207.0000, con una media di 544 536,7, uno scarto quadratico medio di 73135,5 e un totale di assistiti pari a 654.440. 

Francia   1680
Milano   1423
Korea 83880
USA 207000
USA2 160000
Taiwan 242
Irlanda 50
Australia 95000
Olanda/Amsterdam 3365
Capuccini-Denver 100000
Capuccini-Pavanatma 1000
Capuccini-Montpellier 800
Totale 654440
   

Stima del trend

Il 76,9%% delle risposte stima che il fenomeno delle persone senza dimora sia in aumento, mentre solo 7,77 % reputa che esso sia in calo e il 15,4% stazionario. 

 Incidenza dellÂ’immigrazione sul fenomeno

Purtroppo la riposta a questa domanda del questionario ha fornito pochi dati ma solo lÂ’indicazione che in generale lÂ’immigrazione, sia regolare che irregolare, pesa notevolmente sul fenomeno delle persone senza dimora. In alcune realtà come quella italiana la presenza di persone senza dimora straniere è stimata intorno al 70%, a Liegi il 58% e a Denver il 54% del totale. 

I fattori allÂ’origine dellÂ’ingresso nella condizione di senza dimora

Diversamente dallo stereotipo sociale depositato nell'immaginario collettivo la condizione di persona senza dimora non è il frutto di una libera scelta, seppur sgangherata, ma nella stragrande maggioranza dei casi è stata innescata da eventi particolari che sono accaduti nella vita delle persone che oggi sono in questa condizione. Anche tra molti di coloro che affermano di essere divenute senza dimora per libera scelta, se si analizza bene la loro storia personale, si scopre che vi è stato un qualche evento traumatico o una loro concatenazione che ha svolto la funzione di elemento scatenante.

Questo significa che nella vita delle società odierne sono presenti dei processi di esclusione sociale a cui alcuni individui non riescono ad opporsi in modo efficace, per l'assenza di risorse economiche, culturali, relazionali e personali adeguate.

Mentre in un passato anche recente questi processi di esclusione erano riconducibili all'interno di una tipologia molto limitata, oggi essi richiedono invece una tipologia molto più ampia e complessa che, con qualche semplificazione può essere ridotta a undici tipi di fattori responsabili di quella forma di esclusione sociale estrema che è la condizione di senza dimora. È chiaro che non sempre ognuno di questi fattori è in grado, da solo, di produrre la condizione di senza fissa dimora. 

La de­-istituzionalizzazione

L'uscita di una persona dopo un sufficientemente lungo periodo di permanenza all'interno di una istituzione totale quali il carcere, il manicomio, l'istituto di correzione o quello di accoglienza dei minori senza genitori o sottratti ad essi, è universalmente una delle situazioni di maggior rischio di produzione di persone senza dimora.

L'uscita da tutte quelle istituzioni che, per un arco di tempo significativo, si sono fatte carico della vita materiale e relazionale del singolo è un evento che mette in gioco una capacità di riadattamento sociale ed esistenziale che non tutte le persone posseggono. Infatti il percorso dal dentro al fuori, dal mondo unidimensionale, altamente codificato e razionalizzato dell'universo interno dell'istituzione, a quello multidimensionale e complesso dell'universo esterno della vita sociale il salto è breve quanto radicale, per cui può produrre in alcuni casi l'emarginazione come senza dimora.

Normalmente il rischio connesso a questo passaggio è sottovalutato o semplicemente non considerato, per cui la persona che lo compie viene lasciata sola, a meno che non abbia dei familiari, degli amici o, semplicemente dei cittadini volontari che la assistono in questo delicato momento della sua vita. È questo forse uno dei punti più scoperti a livello di interventi sociali per la prevenzione delle forme di marginalità e di disagio grave.

L'espulsione dai processi produttivi

La disoccupazione di lunga durata produce processi di esclusione sociale sia direttamente che indirettamente. Infatti vi sono alcune persone che diventano senza dimora perché la disoccupazione svolge un ruolo catalizzatore, rivelando fragilità preesistenti ed incrinature latenti, mettendo alla prova tanto l'individuo quanto il suo nucleo familiare, costringendoli a ricorrere a delle risorse (economiche, cognitive e relazionali) che non sempre sono presenti, o non lo sono in misura adeguata, per cui si innesca un processo di rottura del nucleo familiare.

La rottura del nucleo familiare in questi casi si verifica perché il trauma della disoccupazione, e soprattutto il mancato o tardivo rientro nel mondo del lavoro, infrangono altrettanti progetti di stabilità, quando non addirittura di promozione sociale.

Questa rottura conduce alcuni individui a divenire senza dimora. In altri casi, o perché la persona è sola o perché il nucleo familiare regge l'urto traumatico della disoccupazione di lunga durata, è la disoccupazione a produrre direttamente la condizione di senza dimora. 

La perdita dell'alloggio

È questo, indubbiamente, il percorso più diretto e classico di produzione di persone senza dimora, anche se oggi, per i cittadini dei paesi più ricchi, non sembra più essere quello principale. Diverso è il caso degli abitanti dei paesi poveri, specialmente se divengono degli immigrati o dei rifugiati non ufficialmente riconosciuti come tali, per i quali questo percorso è, molto spesso, quasi obbligato nel loro tentativo di accesso alla integrazione nelle società opulenta.

Nonostante non possa più essere considerato quello principale questo percorso è ancora molto frequentato ed è alimentato dagli sfratti, dalle calamità naturali, dal degrado fisico dell'alloggio e dall'emigrazione. Tra queste persone vi è infatti una quota di persone che non riescono a riacquisire un alloggio e che, quindi, diventano cronicamente senza dimora. 

Lo scacco affettivo

Anche se questo può apparire sorpassato, fuori dalla realtà odierna, tuttavia le delusioni affettive costituiscono un evento che, molto probabilmente non da solo ma in concomitanza con altri, ha segnato il cammino che dalla normalità ha condotto alcune persone alla condizione di senza dimora. La maternità fuori dal matrimonio è un evento presente nel cammino di molte delle donne senza fissa dimora. Anche qui questo evento particolare si accompagna ad altri eventi nel determinare il processo di emarginazione sociale. Tuttavia è molto significativo che esso, nonostante tutte le trasformazioni culturali e, quindi, della morale sessuale comune, esso sia presente tra i fattori più importanti di esclusione sociale alle soglie del XX secolo.

L'affettività, e non solo quindi i fattori materiali, è un elemento determinante nelle dinamiche di benessere/malessere e di integrazione/esclusione sociale a conferma della perennità dell'importanza di questa dimensione esistenziale nella vita delle persone. 

LÂ’addiction

Una delle caratteristiche dell'universo delle persone senza dimora è che una quota significativa di essi è afflitto da una grave dipendenza o verso l'alcool o verso la droga. Normalmente questa grave dipendenza era presente prima della loro condizione attuale e, quindi, essa deve essere assunta tra le cause più rilevanti della loro esclusione sociale.

La numerosa presenza di alcolisti e tossicomani tra queste persone segnala la carenza di iniziative di aiuto rivolte a coloro che non vogliono e non ce la fanno a prendere la decisione di uscire dal consumo della droga e che, quindi, cronicizzano il loro alcolismo o la loro tossicodipendenza. Per queste persone l'esito obbligato, oltre allo spaccio ed alla criminalità, è la collocazione a quei margini del sistema sociale in cui l'autodistruttività incontra il degrado biologico e psichico della condizione umana. 

LÂ’esposizione alla violenza

L'essere stati esposti a violenze sessuali, fisiche e morali, nell'infanzia o nell'età già adulta, è una esperienza che ha toccato una quota non marginale delle persone senza dimora. È sconvolgente il dato che emerge da alcune inchieste nazionali e indica che le donne vittime di violenza sessuale sono quasi un quarto delle donne senza fissa dimora.[1]

Questo dato della massiccia presenza di una esposizione alla violenza da parte delle persone che vivono in condizione di marginalità estrema indica, se ce ne era ancora bisogno, il potere altamente distruttivo che la violenza esercita sulla personalità degli individui, minando le loro capacità di sopravvivenza e di adattamento sociale e avviandole verso quegli abissi in cui la pace, la serenità e la felicità esistenziale hanno il volto del nulla.

Prevenire la violenza e, soprattutto aiutare le persone che hanno incontrato il suo volto distruttore è una azione fondamentale per controllare e, quindi, depotenziare i percorsi dell'esclusione sociale.

LÂ’espulsione dai processi educativi e socializzanti

L'esperienza dell'insuccesso scolastico e/o dell'esclusione da gruppi sociali o da associazioni sono eventi presenti in un buon numero di persone senza dimora. Questo fattore, anche se assai raramente può produrre da solo la condizione di senza dimora, è molto importante perché precede temporalmente altri tipi di cause più dirette di esclusione sociale delle quali, spesso, ne è l'origine.

È, infatti, oramai provato che l'insuccesso scolastico aumenta probabilisticamente in alcune circostanze la possibilità dell'innesco di percorsi individuali di devianza e di emarginazione. È un fallimento dell'integrazione sociale della persona, precocemente sperimentato, che diventa una sorta di profezia auto-avverantesi di altri successivi fallimenti.

Meno grave, forse, anche se comunque significativa appare nel processo di formazione della condizione di senza dimora l'espulsione da gruppi sociali, che può svolgere comunque il ruolo di produttore di una identità negativa nella persona che la vive, favorendo perciò le condizioni che ne predispongono il cammino verso la marginalità e/o la devianza. 

La devianza sessuale

Un numero elevato di donne senza dimora ha alle spalle una storia di prostituzione. Il dato indica uno degli esiti forse più drammatici di quella forma di devianza che è la prostituzione che, in questo caso, ben lungi dal garantire il benessere economico, è stata la via d'accesso all'esclusione sociale più radicale. D'altronde, a ben guardare, questo esito non appare inatteso in quanto la prostituzione aveva già innescato un processo di perdita di identità e di autostima, per cui la fuga nell'invisibilità e nell'irrilevanza sociale della condizione di senza fissa dimora ne è, da un lato, la naturale conseguenza e, dall'altro lato, una sorta di espiazione catartica.

Al di là di questa ipotesi vi è comunque il fatto che alcune prostitute, i cui guadagni sono stati salassati dai protettori e che non sono mai state inclini al risparmio, si trovano, quando il loro aspetto fisico declina, a dover affrontare senza risorse e solidarietà un tipo di lotta per la sopravvivenza materiale e sociale a cui non sono assolutamente preparate.

Il caso invece dell'omosessualità indica che, nonostante le trasformazioni del costume, è ancora per alcune persone in alcune realtà socioculturali l'innesco di percorsi o di malattia mentale o di emarginazione sociale. 

L'espulsione dalla famiglia di origine

Alcune delle persone senza dimora hanno alle spalle una espulsione dal proprio nucleo familiare di origine o una storia di abbandono nell'età dell'infanzia e della fanciullezza.

Questo significa che un buon numero di persone senza dimora ha perso, in età e per ragioni differenti, l'appartenenza e la protezione affettiva e materiale della famiglia di origine.

Le ragioni di questa perdita sono dovute principalmente all'espulsione dalla famiglia in seguito a tossicodipendenza, AIDS, malattia mentale, oltre al classico caso dell'evento disonorevole, che riguarda però di più le femmine che i maschi.

La famiglia che pur in molte circostanze e per la maggioranza delle persone la risorsa principale che si attiva a sostenerle quando, disgraziatamente, incappano in qualche malattia, disagio o devianza, nel caso delle persone oggi senza dimora ha costituito un ulteriore fattore di aggravio della loro condizione e le ha spinte verso la marginalità estrema. È sconvolgente, poi, il notare che tra i motivi di espulsione vi è l'essere affetti da AIDS o l'essere sieropositivi. Questo denota come esistano sia delle paure profonde che un forte stigma nei confronti di questa malattia.

Un discorso analogo può essere fatto nei confronti della malattia mentale che suscita in molte famiglie paura e stigmatizzazione. In entrambe queste malattie tale atteggiamento delle famiglie è anche provocato dall'essere lasciate praticamente sole nell'affrontarle non esistendo in molte realtà territoriali dei servizi sanitari e sociali adeguati.

Per quanto riguarda, invece, gli abbandoni si deve sottolineare che essi non hanno tanto provocato direttamente l'accesso alla condizione di senza dimora, quanto indirettamente attraverso la tappa precedente della istituzionalizzazione precoce. Infatti per molti ragazzi abbandonati dai propri genitori l'uscita dall'istituzione in cui sono stati ricoverati ha significato imboccare la strada dellÂ’esclusione sociale. 

I genitori senza fissa dimora

Una piccola ma non irrilevante quota di persone che, oggi, sono senza dimora è figlia di genitori a loro volta senza fissa dimora. Questo esito ereditario poteva, quasi certamente, essere evitato se vi fossero stati interventi finalizzati a fornire ai figli dei senza fissa dimora quel sostegno socializzante, educativo e materiale necessario ad una loro armonica e completa crescita umana.

Nelle realtà dove vi è la presenza di un sistema di protezione sociale dellÂ’infanzia molto spesso l'unico intervento praticato è stato la sottrazione dei figli ai loro genitori naturali per istituzionalizzarli. Come si è visto questo intervento è ben lungi dal prevenire il seguire da parte dei figli la sorte dei genitori. 

La rottura traumatica del nucleo familiare

È questo uno degli eventi maggiormente presente nelle storie di vita dei senza fissa dimora. Infatti, il quadro che emerge da queste ultime indica la presenza in esse, in modo massiccio, di divorzi, separazioni, conflittualità patologiche, morti di qualche componente e isolamento relazionale all'interno della famiglia.

Questi elementi fanno ritenere che la rottura del nucleo familiare di appartenenza del senza dimora sia una delle cause più rilevanti del suo processo di emarginazione sociale.

La famiglia manifesta, in questo caso in negativo per la sua assenza, un ruolo fondamentale nella mediazione dell'integrazione sociale delle persone, specialmente di quelle più fragili e deboli a livello personale. Anche se forse si potrebbe sostenere che proprio la fragilità e la debolezza di queste persone può essere ritenuta la causa principale della rottura del loro nucleo familiare. Tuttavia questa sembra richiamare la classica storia del se sia esistito prima l'uovo o la gallina.

Il fatto importante è la constatazione della sequenza, nella maggior parte di queste persone, rottura del nucleo familiare condizione di senza fissa dimora. Questa sequenza non può essere in alcun modo ritenuta accidentale. 

La somma dei disagi

È sconvolgente notare come nella maggior parte delle storie di vita dei senza fissa dimora coesistano molti dei fattori appena descritti. Questo significa che queste persone hanno vissuto e vivono ancora molte forme di disagio e che, quindi, la loro marginalità è il segno di una condensazione, oltre i limiti, di sofferenze esistenziali. È forse per questo che i percorsi che hanno portato queste persone alla condizione attuale di senza fissa dimora appaiono, allo stato delle conoscenze ed esperienze odierne, poco reversibili.

Tuttavia nessun percorso umano può mai essere dichiarato irreversibile, nemmeno la morte. Questo indica che esiste uno spazio di ricerca e di sperimentazioni di nuove forme di solidarietà che vogliano giocare la scommessa della reversibilità di questi percorsi e, quindi, affermare la vittoria della vita nonostante la sofferenza.

Infine, è necessario chiarire che la presenza di un numero elevato di fattori causali nel percorso dal dentro al fuori delle persone senza dimora non deve far pensare che le cause siano “multifattoriali”, ovvero che questi fattori giochino simultaneamente.

È questo un errore epistemologico che viene spesso compiuto da chi studia i fenomeni dellÂ’emarginazione e della devianza. Le riflessioni più corrette indicano, invece, che i diversi fattori giocano in momenti diversi della vita della persona e che è la loro sequenza, ovvero il loro particolare intreccio nella storia di vita della persona, ad avere una funzione causale. Infatti, gli stessi fattori intrecciati in modo diverso nella vita della persona danno origine ad esiti diversi. 

I dati dei questionari

Dato che alcuni questionari hanno indicato solo la presenza del fattore causale mentre altri anche la percentuale di persone che hanno nella storia di vita dello stesso fattore, la tabella indica nella prima colonna solo la percentuale di questionari che hanno indicato i singoli fattori, mentre la seconda è una media delle stime percentuali fornite.

Questo significa che la stima dellÂ’incidenza dei fattori va ricercata nella seconda colonna mentre nella prima solo il conteggio della presenza o dellÂ’assenza dei singoli fattori.

Muovendo dal conteggio della presenza dei fattori si osserva che quello maggiormente indicato nei questionari è lÂ’addiction allÂ’alcol o a unÂ’altra droga, seguito da vicino dalla de-istituzionalizzazione e dallÂ’espulsione dei processi produttivi, mentre la presenza dei genitori senza dimora è allÂ’ultimo posto.

La graduatoria muta significativamente se si passa alle diverse stime dove al primo posto vi è la rottura del nucleo familiare, seguito a ruota dallÂ’espulsione dei processi produttivi, dai fallimenti affettivi e dallÂ’addiction. AllÂ’ultimo posto vi è la devianza sessuale.

Dalla tabella emerge chiaramente come in molte storie di vita delle persone senza dimora giochino più fattori. 

Fattori causali

% risposte allÂ’item

Stima media

De-istituzionalizzazione

53,1

25,9

Espulsione dai processi produttivi

53,1

31

Perdita dellÂ’alloggio

43,8

19

Fallimento affettivo

40,6

29,9

Addiction

56,3

25,4

Esposizione alla violenza

40,6

19,6

Espulsione dai processi educativi

34,4

15,3

Devianza sessuale

28,1

7

Espulsione dalla famiglia

40,6

13,7

Genitori senza dimora

18,8

16

Rottura nucleo familiare

40,6

32,9

Malattia mentale

6,3

22

I dati indicano che la presenza dei fattori prima descritti è riconosciuta e riscontrata nelle biografie delle persona senza fissa dimora. I fattori indicati nella tabella non hanno la stessa distribuzione nei differenti paesi e in particolare la differenza diventa più evidente confrontando i paesi più poveri con quelli più ricchi. Nei primi, infatti, gioca un ruolo assolutamente preminente la povertà, non necessariamente prodotta dalla perdita del posto di lavoro ma da una cronica impossibilità di accedere ad esso, che origina spesso migrazioni il cui esito è in molti casi la condizione di persona senza dimora. Lo scacco affettivo, lÂ’espulsione dai processi educativi, lÂ’addiction, la devianza sessuale, ecc., sono fattori più caratteristici dei paesi economicamente più sviluppati. 

Consapevolezza e sensibilità delle popolazione verso le persone senza dimora

Il 41,9% delle risposte ai questionari indica, con gradi diversi di intensità la presenza della consapevolezza da parte della popolazione della presenza del fenomeno dei senza dimora, anche se in molte realtà prevalgono gli stereotipi o comunque informazioni carenti o distorte intorno alla realtà del fenomeno. Per questo alcune diocesi e associazioni promuovono iniziative per far acquisire una informazione più corretta e sensibilizzare la popolazione nei confronti delle persone senza dimora. Questa azione è resa più urgente dal fatto che ben il 45,2% delle risposte indica che la popolazione è scarsamente consapevole e sensibile nei riguardi della loro condizione di vita.

Alcuni questionari, il 6,5%, hanno sottolineato che le persone senza dimora sono connotate da unÂ’immagine negativa, mentre un altro rileva che la popolazione diviene consapevole di esse solo attraverso i mass media. Questo dato, seppur isolato, sottolinea un fenomeno oggi sempre più rilevante, ovvero che le persone hanno un rapporto con la realtà mediato dai mezzi di comunicazione e che, quindi, una realtà di emarginazione diventa visibile solo se sale alla ribalta dei media e della televisione in particolare.

Le persone in carne ed ossa, pur presenti nelle realtà urbane, sono normalmente invisibili o per lo meno lo è la loro condizione di vita.

Si deve anche osservare che alcune volte, soprattutto in alcuni paesi economicamente sviluppati, la consapevolezza dellÂ’esistenza delle persone senza dimora si traduce nella richiesta alle autorità di eliminarne la presenza dalle strade.

UnÂ’azione importante per lo sviluppo della consapevolezza e della sensibilità della popolazione è individuata nellÂ’animazione sociale e culturale svolta dalle parrocchie.

 

Esistenza di politiche pubbliche di prevenzione e superamento del fenomeno

La grande maggioranza dei questionari, 61,3%, indica che esistono delle politiche pubbliche finalizzate al contrasto del fenomeno delle persone senza dimora, mentre il 35,5% reputa che queste politiche siano insufficienti e/o inadeguate. LÂ’inadeguatezza nasce spesso dalla loro frammentazione oltre che dalla loro scarsità.

Si deve osservare che il quadro che emerge nelle diverse realtà nazionali è eterogeneo perché esso passa da politiche sociali ad hoc, ad interventi compresi tra quelli adottati nei confronti di categorie sociali che sono a ritenute a rischio di grave emarginazione sociale, oppure a veri e propri centri di ricovero, di assistenza sanitaria e psicologica a favore di queste persone.

In altri casi le politiche pubbliche si esauriscono nel sostegno alle attività del privato sociale e del volontariato.

Nonostante lÂ’indicazione della presenza di politiche pubbliche da parte della maggioranza dei questionari, i commenti indicano che spesso le politiche pubbliche sono di fatto inadeguate ad affrontare con efficacia la complessità del fenomeno. Sembra quasi che nelle risposte si dica che si ci sono le politiche pubbliche ma Â…

Infine, tra coloro che hanno risposto che mancano politiche pubbliche vi è anche chi denuncia che per il governo del suo paese queste persone sono invisibili. 

Iniziative pubbliche, del privato sociale e del volontariato a favore delle persone senza dimora

Da parte di alcuni organismi, italiani in particolare, vi è la contestazione dellÂ’espressione “clochard che non vogliono liberarsi dalla strada” perché questa implicherebbe, come si è visto, che il divenire persona senza dimora sia una scelta e anche, in questo caso, che una persona in questa condizione sia in grado di esercitare il libero arbitrio.

Ora se è vero che vi sono innumerevoli fattori e condizioni che spingono una persona verso la condizione di senza dimora e che la rendono difficilmente reversibile, è pur verso che nellÂ’essere umano pur nellÂ’estremo degrado delle sue condizioni di vita, vi è sempre, anche se piccolo, un residuo spazio di libertà. È solo in questo spazio che la relazione esistenzialmente autentica promossa da chi opera con queste persone può innescare un processo di cambiamento che anche se non conduce a unÂ’autonomia e a un reinserimento sociale totale della persona, ne migliora comunque la qualità di vita.

La stragrande maggioranza delle risposte al questionario indicano lÂ’esistenza di iniziative pubbliche e/o del privato sociale e/o del volontariato a favore delle persone senza dimora, sia di quelle che non ce la fanno a liberarsi dalla strada che di quelle che in qualche modo vogliono cimentarsi nel percorso dal fuori al dentro. Le iniziative verso il primo tipo di utenti sono segnalate dallÂ’81,7%, mentre quelle verso il secondo tipo di utenti dal 74,22 %.

Le iniziative coprono un intervallo molto ampio e variegato, in quanto vanno da quelle a alta soglia a quelle a bassa soglia. Quelle del primo tipo comprendono lÂ’inserimento lavorativo, la messa a disposizione di ricoveri notturni e in qualche caso anche diurni, mense, case per ragazze incinta, cliniche per sieropositivi, programmi di reinserimento sociale, sostegno anche economico alla ricerca della casa, formazione professionale, counselling, consulenza legale, assistenza sanitaria, servizio di infermeria, centri dÂ’ascolto, docce.

Le attività di bassa soglia sono quelli destinate semplicemente a sostenere la quotidianità della persona senza dimora e comprendono il lavoro di strada, la fornitura di generi di conforto e primari ai fini della sopravvivenza, di vestiario, la messa a disposizione di un deposito bagagli e, soprattutto, lo sviluppo di una continuità relazionale, seppur debole, in grado di innescare un percorso verso unÂ’accoglienza e una socialità alternativa alla strada. Per comprendere lÂ’essenzialità di questo tipo di azione occorre tenere presente che molte persone senza dimora rifiutano, ad esempio, i ricoveri che reputano in alcuni casi pericolosi.

Molte delle azioni ascrivibili alla bassa soglia sono, di fatto, azioni di riduzione del danno che le persone possono arrecare a se stesse e alla società. In alcuni paesi, infatti, questi interventi vengono promossi solo quando le persone senza dimora vengono percepite come pericolose. 

Il destino delle persone senza dimora

La vita delle persone senza dimora secondo la stragrande maggioranza di coloro che hanno risposto al questionario è caratterizzato dalla perdita di ogni legame con la famiglia, con lÂ’ambiente professionale e sociale da cui provengono e anche con i loro riferimenti spirituali. Isolamento relazionale che si riproduce nella loro vita di strada. 

Condizione % assolute % valide
respinti dalla famiglia/isolamento relazionale 43,8 82,4
progressivo degrado 3,1 5,9
seguono un percorso di rientro 6,3 11,8
Non risposto 46,8  

La perdita dei legami è il punto di rottura dellÂ’adattamento sociale prodotto dal processo di emarginazione, spesso durato alcuni anni, che si verifica nel momento della perdita o dellÂ’abbandono della propria dimora. Oltre questo punto vi è spesso un progressivo degrado delle condizioni di vita della persona che la conduce precocemente alla morte in una condizione di miseria e di abbandono. Per quanto riguarda la perdita dei legami con la propria famiglia, nel caso di persone con disturbi mentali o tossicodipendenti, alcuni questionari indicano come causa lÂ’esaurimento della pazienza e della capacità di sopportazione da parte dei famigliari. Occorre ricordare che spesso le famiglie di queste persone sono lasciate sole nella gestione di questo tipo di problemi.

Ad ogni buon conto quasi sempre lÂ’atteggiamento della famiglia verso la persona senza dimora è di tipo fatalistico, così come quello della popolazione e di alcuni servizi. Fatalistico significa che sovente si considera il processo di degradazione vissuto da queste persone irreversibile.

Esistono comunque delle situazioni, molto minoritarie peraltro, in cui le famiglie cercano di mantenere un qualche legame con la persona senza dimora. Vi sono poi anche i casi in cui la famiglia non è al corrente che il proprio famigliare è divenuto un senza dimora. Nella quasi totalità dei casi però la famiglia di origine abbandona queste persone al loro destino e non si interessano più ad esse, nemmeno quando sono in punto di morte o per il funerale.

A rendere più profondo lÂ’isolamento relazionale delle persone senza dimora contribuisce la scarsa conoscenza dei processi di esclusione sociale che sono alla base della loro condizione e la presenza nellÂ’immaginario collettivo di miti e pregiudizi, tra cui quello che queste persone sono vittime della propria condotta.

In alcuni paesi vi è una forte varianza dei comportamenti delle famiglie e della popolazione verso queste persone: si va dallÂ’ignorarle o dallÂ’evitarle al tentativo di sostenerle e di recuperarle ad una migliore condizione di vita. Comunque in molte realtà la popolazione non si coinvolge oltre il dare unÂ’elemosina e lÂ’esprimere una generica pietà.

Si ritiene che il futuro delle persone senza dimora possa essere meno disperato solo se i governi locali e nazionali investiranno maggiormente in progetti di prevenzione, assistenza e recupero. Tra lÂ’altro, in molte realtà le persone senza dimora, specialmente se sono nella condizione di profughi o immigrati clandestini, non godono di forme di assistenza se non per il cibo e i vestiti e sono socialmente invisibili.

Rimane comunque la constatazione che lÂ’unica via per impedire un futuro disperato a queste persone è quello di una “clinica della relazione”, ovvero di una azione tesa al superamento dellÂ’isolamento relazionale che si sviluppi in due tempi. Nel primo tempo attraverso lÂ’intervento di operatori professionali e/o volontari e, nel secondo tempo, con lÂ’assunzione del processo di inclusione relazionale da parte della comunità. 

Parte seconda. Le iniziative ecclesiali

I tre quarti dei questionari indicano la presenza di iniziative ecclesiali a favore delle persone senza dimora.

Questa presenza si manifesta nella maggioranza delle realtà nazionali sia attraverso le parrocchie e le diocesi che attraverso le congregazioni religiose e lÂ’associazionismo. Si tratta sovente di iniziative che con il tempo hanno dato vita a vere e proprie reti, anche se di tipo informale, che, quasi sempre, sono nate da iniziative particolari e non da una programmazione. Un esempio interessante di una rete complessa di questo tipo è dato dalla realtà di Liegi in Belgio.

Anche in Canada vi è una rete dello stesso tipo che eroga servizi di fornitura di cibo, di vestiario, rifugi per la notte, alloggi sostenuti dalle comunità, servizi di intervento psicosociale, di assistenza legale e medici. 

 
In Irlanda, invece, la rete è costituita dalle diocesi, dalla San Vincenzo e dalle comunità religiose che provvedono ricoveri e cibo per le persone senza dimora.

In Australia il pivot della rete nazionale è costituito dalla San Vincenzo, ma esistono una quantità molto grande di programmi, di servizi, di associazioni e congregazioni religiose che operano a favore delle persone senza dimora nelle diverse aree geografiche, diocesi e città australiane.

Anche in Inghilterra esiste una rete con cui gli organismi cattolici, pur nella loro autonomia, collaborano.

In Olanda la rete è formata esclusivamente da congregazioni religiose, in quanto non vi sono iniziative nazionali, diocesane e parrocchiali. Le congregazioni religiose che offrono rifugi e cibo alle persone senza dimora sono quelle dei Salesiani di Don Bosco, dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù, delle Suore della Carità, delle Suore Agostiniane e delle Suore FMM.

Un ruolo particolare in alcune realtà nazionali è svolto dalle Caritas. In Italia si segnalano in particolare le Caritas diocesane che hanno incrementato costantemente negli ultimi due decenni la loro offerta di servizi socio-assistenziali a favore delle persone senza dimora. Molti di questi servizi hanno un carattere decisamente innovativo.

A livello nazionale la Caritas Italiana ha impostato la sua azione con un riguardo particolare alla riflessione e allÂ’orientamento pastorale, al sostegno concreto alle opere di carità delle diocesi e la promozione di progetti specifici. In Italia il livello più problematico, in quanto ricco sia di luci che di ombre, è costituito dallÂ’azione a livello parrocchiale.

In Bosnia la Caritas svolge un ruolo centrale offrendo alloggi, cibo, vestiti e assistenza medica di urgenza. Ad essa si sono aggiunte le attività delle Suore della Carità e delle Suore Adoratrici del sangue di Cristo.

Anche in Germania la Caritas svolge un ruolo importante insieme alle associazioni, come ad esempio quella degli uomini e delle donne cattoliche e le comunità religiose. In particolare le Caritas offrono accoglienza, consulenza psicosociale, lavoro di strada, caffetterie come luoghi di incontro al fine di rompere lÂ’isolamento e di sviluppare lÂ’auto aiuto. Le associazioni hanno dato vita ad un grande numero di istituzioni specializzate. Si contano, infatti, 219 uffici di consulenza, 109 servizi permanenti di aiuto, 85 alloggi assistiti, 50 servizi diurni, 90 missioni alle stazioni ferroviarie, 251 posti di distribuzione dei vestiti, 46 depositi mobili, 89 progetti di occupazione e riqualificazione professionale.

Negli Usa la Caritas nazionale svolge come azione specifica quella di lobbying per quanto riguarda lÂ’attività legislativa e la mobilitazione della agenzie governative, dei parroci a favore delle persone senza dimora. Le iniziative concrete, invece, sono organizzate a livello locale dalle diocesi. Nel 2006, ad esempio, ben settantatre diocesi hanno fornito servizi per le persone senza dimora. Anche la San Vincenzo e le congregazioni religiose, sia maschili che femminili, hanno creato e realizzato programmi per queste persone. Dove esiste in forma grave il problema delle persone senza dimora le parrocchie lo affrontano partecipando a una rete denominata IHN (Interfaith Hospitality Network). Esiste anche un programma particolare per le persone affette da malattia mentale e/o tossicodipendenti (Path Program) e azioni per la riduzione del danno.

In India le iniziative della chiesa sono orientate verso gruppi particolari di persone senza dimora: mendicanti, indigenti, malati mentali e ragazzi di strada. Queste iniziative vengono sviluppate in particolare nelle aree più soggette alle calamità naturali in cui vengono elaborati piani di riabilitazione sociale. Le parrocchie, invece, affrontano, i problemi delle persone che diventano senza dimora improvvisamente a causa, ad esempio, della morte improvvisa di un familiare, dellÂ’età avanzata, di una disabilita fisica o di un qualche disastro, appoggiandosi a qualche istituzione cristiana per i senza dimora o a qualche altro tipo di associazione.

Anche in realtà in cui la chiesa cattolica è una realtà marginale, come a Taiwan, vi sono iniziative molto apprezzate dalla popolazione a favore dei senza dimora che ricevono per questo un aiuto economico.

Nel Burundi due diocesi delle sette esistenti hanno sviluppato dei servizi a favore dei ragazzi di strada che prevedono la loro presa in carico totale e il reinserimento familiare e scolare. In Tanzania sempre a favore dei ragazzi di strada operano dei centri come il Tumaini, lÂ’Agape, il Safina, case delle Suore della Carità, Orfanatrofi e altri centri gestiti dai missionari.

In Cile la Chiesa opera attraverso delle organizzazioni sociali, la più importante delle quali è “Il focolare di Cristo”che da sola ha accolto il 55,6% delle persone senza dimora dellÂ’intero paese.

In Sudafrica non ci sono strutture per lÂ’assistenza delle persone senza dimora, salvo alcune recenti iniziative a Pretoria promosse da alcune congregazioni religiose e dalla San Vincenzo.

Il questionario compilato dai Cappuccini, infine, segnala iniziative ecclesiali a Denver - dove la chiesa locale ha promosso rifugi, cliniche, alloggi e attività di consulenza - a Pavanatma, nel Canada Orientale e nellÂ’Honduras - dove sono presenti vari progetti - e in Francia a Montpellier - dove lÂ’aiuto finanziario ai senza dimora è distribuito attraverso la San Vincenzo, il Soccorso Cattolico, lÂ’Esercito della Salvezza e Emmaus. Nelle stesse aree, con lÂ’aggiunta del Brasile e della Spagna, operano anche congregazioni religiose.

Le risposte date alla domanda circa il numero delle persone senza dimora raggiunte dalle iniziative ecclesiali sono molto scarse solo il 18,88% del totale. La media delle persone senza dimora raggiunte, in base a quanto indicato nei questionari, che hanno fornito la risposta, è di 27.317, che rappresentano il 32,25% del totale delle persone nellÂ’aree dove avviene lÂ’iniziativa ecclesiale. 

Collaborazione tra le iniziative ecclesiali e gli organismi pubblici

La maggioranza relativa delle risposte indica che le iniziative ecclesiali sono condotte in collaborazione con organismi pubblici o con altre chiese o con organizzazioni del privato sociale.

 
La collaborazione con gli enti pubblici e le istituzioni statali e locali è costituita, nella quasi totalità dei casi, da risorse finanziarie che questi organismi mettono a disposizione delle iniziative ecclesiali. Presenti ma assai rari sono le forme di collaborazione con altre chiese e confessioni religiose, mentre è assai più diffusa la collaborazione con il privato sociale.

La maggioranza dei questionari che hanno affrontato questo tema indica che le iniziative ecclesiali ricevono finanziamenti pubblici. Quelle che ricevono solo aiuti finanziari da privati sono una esigua minoranza. In moltissimi casi si tratta di un cofinanziamento, salvo quei casi dove si ha una vera e propria gestione trasferita del servizio e questo significa il ricevere un finanziamento che copre lÂ’intero costo dellÂ’erogazione del servizio. Le iniziative promosse dalle congregazioni religiose spesso sono autofinanziate. In alcuni casi, invece, lÂ’ente pubblico paga i costi del servizio mentre lÂ’organismo religioso contribuisce con il lavoro dei suoi membri.

Solo il 55,3% di coloro che hanno dichiarato di ricevere un finanziamento indica la percentuale del finanziamento. Questa percentuale si colloca mediamente intorno al 67,5% del costo dellÂ’iniziativa, con una variazione da un minimo del 30% a un massimo del 100%. 

Personale operante nei servizi a favore delle persone senza dimora

Nei due terzi dei servizi a favore delle persone senza dimora operano sia operatori professionali che volontari. I servizi con personale esclusivamente professionale sono una esigua minoranza, così come quelli con solo volontari sono meno di un decimo del totale.

Nei servizi in cui operano insieme volontari e professionisti la percentuale media dei volontari è del 32,2% con un massimo del 75% e un minimo del 10%.

NellÂ’81,3% dei servizi che sono espressione delle iniziative ecclesiali operano sacerdoti e/o religiosi, mentre quelli in cui vi sono presenti esclusivamente i laici sono solo il 31,1%.

La presenza della cura Pastorale

Nella metà delle iniziative ecclesiali viene svolta esclusivamente unÂ’attività di accoglienza e di erogazione di prestazioni a carattere socio-assistenziale, educativo e risocializzante.

Le attività di carattere pastorale si declinano in modi e forme assai differenziate a seconda delle realtà nazionali e dellÂ’organismo religioso che le promuove.
 
Qui di seguito vengono sinteticamente indicate alcune caratteristiche dellÂ’azione pastorale di quei paesi che le hanno indicate nel questionario.

In Italia, il cuore dellÂ’attività pastorale è individuato nella promozione volta a integrare tutte le dimensioni della persona e nella restituzione della responsabilità, nei confronti di questa persona, alla comunità cristiana.

In Germania, soprattutto allÂ’interno delle istituzioni assistenziali stabili, vi è una cappella dove si svolgono regolarmente delle celebrazioni e vi è anche la segnalazione di altre attività di carattere religioso. Gli operatori in queste realtà hanno rilevato la presenza nelle persone senza dimora di un desiderio spirituale e religioso nascosto, che se trova uno spazio adeguato si può sviluppare in modo significativo. Infine, vi è lÂ’accompagnamento dei moribondi, la celebrazione dei funerali, lÂ’assistenza dei carcerati, lÂ’organizzazione di pellegrinaggi, di ritiri e esercizi spirituali.

Negli USA si sottolinea che lÂ’offerta della cura religiosa avviene solo su richiesta delle persone e se è pur vero che in alcuni rifugi sono presenti servizi religiosi e/o lo studio della bibbia, lÂ’usufruire di questi servizi è del tutto libero e volontario. Si afferma che la chiesa non vuole fare proselitismo utilizzando la debolezza e lo stato di necessità delle persone senza dimora.

La ricerca empirica ha sottolineato come la cura della persona, dei suoi bisogni, il rispetto della sua libertà dà alla fine un esito positivo anche sul piano pastorale.

In Olanda il lavoro pastorale con le persone senza dimora si caratterizza per lÂ’offerta di uno spazio loro riservato per la preghiera e le celebrazioni liturgiche, specialmente in occasione delle principali festività cristiane. AllÂ’attività pastorale appartiene anche la celebrazione dei funerali per le persone abbandonate dai familiari. NellÂ’azione pastorale le persone senza dimora sono trattate allo stesso modo di ogni altra persona, rispettando e riconoscendo la loro dignità umana.

Vi sono poi alcune attività specializzate come il gruppo liturgico per le celebrazioni domenicali, il gruppo che visita le persone in carcere o in ospedale. Infine vengono organizzati dei pellegrinaggi a Lourdes per le persone sieropositive o con AIDS conclamato.

In India lÂ’azione pastorale si sviluppa a livello parrocchiale e diocesano e ha al centro la riabilitazione, la risocializzazione delle persone senza dimora e il contrasto alla povertà.

Nelle strutture residenziali esiste un mix di iniziative religiose e caritatevoli, mentre in quelle non residenziali, di competenza dei parroci, le iniziative vengono definite di tipo socio pastorale.

In Irlanda in alcune strutture di accoglienza cÂ’è un oratorio con lÂ’esposizione del Santissimo Sacramento e dove occasionalmente viene celebrata la Messa per i residenti e gli operatori. Anche qui il centro dellÂ’azione pastorale è la risocializzazione delle persone senza dimora.

A Taiwan lÂ’azione pastorale è molto limitata.

In Corea vi sono delle difficoltà per la cura pastorale dovute al contesto sociale in cui i cristiani sono una minoranza.

In Australia lÂ’accoglienza incondizionata delle persone senza dimora che vogliono aderire alla proposta cristiana è posta alla base dellÂ’azione pastorale. A Sydney, vi è una parrocchia che riesce ad integrare le persone senza dimora, i malati mentali e le persone psichicamente disabili nella pratica religiosa della comunità.

Il metodo pastorale adottato in genere per i senza dimora in questo paese segue la gerarchia dei bisogni di Maslow. Questo significa che solo dopo aver aiutato le persone a ottenere sicurezza, rifugio, cibo, vestiti, pulizia personale e del vestiario, aver dato una risposta ai loro bisogni legati alla loro malattia mentale o alla dipendenza, si può passare ad affrontare i problemi del senso e offrire loro la partecipazione alla liturgia e alla preghiera comunitaria. Il successo dellÂ’azione pastorale viene individuato nella coerenza tra la parola e lÂ’azione da parte delle persone che rappresentano la Chiesa. 

Specificità dellÂ’azione pastorale

Poco meno di un terzo delle risposte indica lÂ’esistenza di unÂ’azione pastorale specifica per le persone senza dimora. Le risposte a questa domanda non sono state esaustive per cui si può solo dire che esistono in alcuni casi delle attività pastorali specifiche, di cui non si conoscono però le caratteristiche, che in altri non ve ne sono e, infine, che in molti casi vengono adattate alle persone senza dimora le normali attività pastorali.

La formazione degli operatori pastorali 

Poco più di un terzo dei questionari indica lÂ’esistenza di una formazione pastorale specifica per le persone che operano con le persone senza dimora. In alcune realtà, come quella della Caritas in Italia, esiste una formazione a livello diocesano e unÂ’altra a livello nazionale.

Negli Stati Uniti vi è una formazione breve per i volontari e una formazione più lunga e sistematica per i professionisti, che debbono anche possedere un titolo di studio adeguato.

In Olanda vi è una formazione che si rinnova ogni anno sia per i volontari che per i professionisti.

Nel Cile è prevista una formazione permanente.

In India sono previsti specifici seminari e lezioni.

A Taiwan vi è una formazione volta alla conoscenza della chiesa cattolica, degli obiettivi dellÂ’intervento a favore delle persone senza dimora che è diverso da quello promosso dai servizi pubblici perché al centro vi è la persona.

In Belgio sono in corso di elaborazione dei progetti di formazione.

In Francia la formazione dei nuovi volontari è affidata a volontari sperimentati come in una sorta        di apprendistato.

In Australia molte delle numerose iniziative prevedono la formazione e la supervisione degli operatori.

Gli obiettivi ideali dei progetti pastorali

Gli obiettivi ideali dei progetti pastorali espressi nei questionari hanno in comune il recupero nelle persone senza dimora della consapevolezza della loro dignità, del loro valore personale e la scoperta e valorizzazione delle loro potenzialità umane che consentiranno loro una piena e apprezzata appartenenza alla comunità.

LÂ’accoglienza, come forma di amore, è la modalità relazionale su cui si fonda il lavoro di cura proposto nei vari progetti.

Per quanto riguarda la dimensione più squisitamente religiosa essa sembra rimanere sullo sfondo, quasi in filigrana, essendo ritenuta implicita nellÂ’accoglienza e nella cura. Solo in tre questionari vi è nella formulazione degli ideali un esplicito riferimento a Gesù ed alla comunione ecclesiale.

Qui di seguito sono espressi in forma compiuta, anche se breve, gli obiettivi ideali che sono stati formulati nei questionari:

«Accogliere Gesù presente in ognuno dei fratelli della strada, amarli e lasciarsi amare».

«Realizzare una Chiesa di comunione dove ciascuno è accolto così come è, dove il servizio ai fratelli è messo in opera in modo concreto, dove vi è il primato dellÂ’essere sullÂ’avere, non negando però la necessità di avere un minimo di confort. Gli obbiettivi concreti: presa di coscienza delle problematiche delle persone senza dimora, conoscenza della loro vita quotidiana, per lÂ’analisi dei loro bisogni in materia di alloggio e di aiuto sociale».

«Sensibilizzare il personale e le persone senza dimora sul valore umano e la dignità di ogni persona».

«La cura amorevole dei senza dimora».

«Riabilitazione, rimpatrio, reintegrazione modellata sui valori della carità di Cristo».

«Trasmettere alle persone senza dimora la speranza che proviene dalla fede, dimostrare loro rispetto, apprezzamento e considerazione valorizzando la loro dignità. Dimostrare loro fiducia e aiutare loro a credere nuovamente in se stessi».

«Creare un tempo e uno spazio di incontro con Dio e coltivare questa relazione».

«Sostenere lo sviluppo negli individui e nelle famiglie delle risorse necessarie a recuperare lÂ’autosufficienza».

«Vivere la solidarietà con gli altri, sradicare la povertà, avere una vita spirituale ricca di senso e dignitosa dalla vita alla morte».

«Migliorare la qualità di vita delle persone senza dimora».

«Realizzare il principio di sussidiarietà tra le parrocchie, Caritas diocesana e altri soggetti ecclesiali sociali al fine di prendere in carico i bisogni in modo coordinato nel contesto ecclesiale. Passare dalle attività emergenziali a quelle finalizzate allÂ’inclusione.

Animare la comunità ecclesiale a condurre stili di vita sobri, equi e solidali.

Obiettivi operazionali:

stabilizzare e potenziare il sistema di interventi per i senza dimora rinsaldando la rete e i servizi esistenti, integrandoli con azioni per la promozione, lÂ’elaborazione e lÂ’implementazione di specifici programmi personalizzati di accompagnamento, recupero e reinserimento socio-lavorativo, volto alla graduale presa in carico ed al raggiungimento di una funzionale autonomia ed indipendenza della persona accolta.

Promuovere e sostenere azioni di sensibilizzazione della popolazione verso il fenomeno dei senza dimora ed in generale verso la cultura dellÂ’accettazione, della condivisione e della gratuità.

Avviare le attività verso i senza dimora lungo i seguenti assi: lavoro, gestione del tempo libero, accompagnamento individuale, comunitario, abitazione».

« Rinforzare il senso del proprio valore personale e della propria dignità nelle persone senza dimora. Acquisire fiducia nelle proprie capacità e sviluppare nuovi obiettivi e lÂ’orgoglio di contribuire alla pari con gli altri al loro raggiungimento. Un senso di appartenenza alla comunità e la consapevolezza di essere un membro stimato di essa».

Esistenza di progetti pastorali finalizzati a sensibilizzare e mobilitare la comunità cristiana

La principale forma di sensibilizzazione e di mobilitazione della comunità ecclesiale avviene attraverso il coinvolgimento delle persone nelle attività dei servizi e, quindi, il loro reclutamento come volontari oltre che nella formazione comunitaria sui temi dellÂ’emarginazione grave.

Molti sottolineano comunque la difficoltà di questo coinvolgimento a causa della presenza di stereotipi verso le persone senza dimora, prodotti dal loro aspetto e dal loro stile di vita, che originano delle vere e proprie paure nella comunità cristiana.

Viene sottolineato come questa sensibilizzazione risulti più efficace quando viene promossa e realizzata direttamente dalle parrocchie.

Tra i vari strumenti utilizzati per la sensibilizzazione vengono segnalati la creazione di CD in Power Point sui senza dimora, di circolari e giornali sulle iniziative sviluppate a favore delle persone senza dimora. In qualche caso il vescovo ha redatto intorno a questo problema una vera e propria lettera pastorale.

I progetti Pastorali a favore delle persone senza dimora

Solo in un quarto dei casi i progetti pastorali per le persone senza dimora sono integrati in progetti nazionali, diocesani e parrocchiali.

In molti casi questi progetti sono progetti “a parte”, ovvero progetti particolari promossi autonomamente dalle persone o dagli organismi che si occupano delle persone senza dimora. È interessante anche osservare che molti di coloro che rispondono al questionario, poco più di un terzo, non sanno se esistano progetti pastorali ai vari livelli dellÂ’organizzazione ecclesiale.

In alcune realtà i progetti pastorali per le persone senza dimora sono integrati in quelli più generali della solidarietà e, se si tratta di una associazione o di una congregazione religiosa, in quelli nazionali della stessa associazione o congregazione. Si ha spesso lÂ’impressione che i programmi nazionali in cui i progetti sono integrati siano esclusivamente dei progetti di intervento sociale e/o assistenziale e non siano tipicamente pastorali.

Le risposte però sottolineano che nella maggioranza dei casi non esistono progetti pastorali di livello nazionale o anche diocesano rivolti specificatamente alle persone senza dimora.

I sogni di futuro di chi opera con le persone senza dimora

I sogni raccontati nei questionari, molto simili agli obiettivi ideali, sono quasi esclusivamente centrati sul recupero umano e sociale di queste persone mentre la dimensione religiosa si rende visibile solo in un paio di casi.

I tratti comuni che questi sogni manifestano riguardano essenzialmente nelle persone senza dimora:

  1. il recupero della consapevolezza della propria dignità umana e sociale, anche nella situazione di emarginazione grave che vivono;
  2. il sostegno alla scoperta ed allo sviluppo delle potenzialità necessarie al recupero di una condizione di vita piena e del reinserimento sociale;
  3. il riconoscimento della loro vulnerabilità e fragilità;
  4. il riconoscimento dellÂ’essere portatrici di diritti e il poter godere di adeguati servizi per lÂ’affrontamento dei loro bisogni e della loro situazione personale.

Altri tratti comuni riguardano, invece, la necessità dello sviluppo di una maggiore sensibilità e progettualità da parte della Chiesa, lo sviluppo a livello sociale di politiche di prevenzione, contrasto e superamento del fenomeno e la messa in opera di percorsi di risocializzazione in cui le persone possano partecipare alla vita sociale utilizzando le effettive risorse che posseggono, anche se limitate, e, di conseguenza, debbono poter svolgere un lavoro appropriato ad esse, anche se diverso da quello svolto normalmente dalle altre persone. 

«Una Chiesa che sta vicino e che parla per i più poveri e vulnerabili, tra cui i senza dimora».

«Diventare inutiliÂ… una cittadinanza piena per tutti, sia a livello di diritti che di responsabilità, ed il riconoscimento nelle persone senza dimora di una piena personalità, che non solo le renda agli occhi dellÂ’opinione pubblica “diverse da noi”, ma che aiuti riconoscere in loro il volto più fragile di una situazione cui tutti siamo esposti, e nella quale dunque tutti siamo chiamati a sentirci fratelli, reciprocamente necessari e interdipendenti».

«Tutelare i diritti delle persone a prescindere dalla loro condizione; promuovere unÂ’attenzione antropologica in grado di ribadire lÂ’essenza della persona, i suoi limiti e non solo la sua dignità collegata alle competenze o alle prestazioni di cui è capace».

«Operare in un contesto di politiche sociali, in materia di prevenzione, contrasto e superamento della/e condizione/i di grave marginalità, che riconoscano le persone senza dimora, innanzitutto come soggetti con diritti e non solo portatori di bisogni a cui rispondere nellÂ’emergenza».

«Miglioramento dellÂ’integrazione nel lavoro e in una occupazione appropriata per persone che non possono più svolgere una lavoro normale; miglioramento dellÂ’assistenza sanitaria; superamento dellÂ’isolamento sociale tramite la sensibilizzazione della popolazione, offrendo ad esempio alle persone senza dimora locali parrocchiali e far partecipare alle loro attività i parrocchiani».

«Case più abbordabili, consulenza individuale, più servizi e più qualità di essi, che le persone senza dimora possano condurre una vita che sia confacente alla loro dignità umana e cristiana, migliori relazioni con essi».

«Il giorno in cui una casa sicura sarà accessibile a tutti in particolare alle persone portatrici di bisogni particolari».

«Una risocializzazione per tutti e una legge più protettiva».

«Avere un riconoscimento dalle autorità ecclesiali ed essere più supportati nella propria attività dalla Chiesa».

«Potenziare, ampliare la copertura dellÂ’accoglienza e migliorare lÂ’accompagnamento verso il reinserimento sociale, offrire un trattamento differenziato e giusto alle persone con problemi psichici».

«Aiutare le persone senza dimora ad acquisire la consapevolezza della propria dignità e fare sì che le altre persone li considerino uguali a loro e non li trattino come persone di seconda classe. Far sentire loro che Dio ha una predilezione per loro».

«Potenziare nelle persone senza dimora lo sviluppo delle capacità necessarie alla soluzione dei loro problemi. Sviluppare la capacità di partecipare al proprio sviluppo. Aiutare le persone senza dimora a fare i conti con la propria vita a riabilitarsi e a reinserirsi nella società. La presa di coscienza della comunità cristiana. Il coinvolgimento della comunità e delle persone senza dimora in unÂ’animazione spirituale che ispiri e guidi lÂ’aiuto».

«Prevenire la caduta delle persone che vivono particolari problemi nella situazione di senza dimora».

«Che la chiesa locale elabori un progetto nazionale per tutti coloro che lavorano in questo meraviglioso apostolato, coordinandolo con la Chiesa e non lasciare che esso sia solo una iniziativa personale».

«Il miglioramento delle strutture di accoglienza e lo sviluppo di una maggior attenzione per le persone che vivono nella strada. In seguito mettere in cantiere dei progetti di reinserimento sociale».

«Trovare un modo per prolungare il Café Ozanam per coloro che si sentono attratti da Dio».

I progetti per le persone senza dimora delle Comunità Ecclesiali

I progetti sono descritti solo dal 28,1% dei questionari e, purtroppo, senza rispettare le indicazioni date per la loro spiegazione. Questo rende non praticabile una valida comparazione dei progetti per cui si è potuto solo descriverli in modo sintetico e sviluppare intorno ad essi solo alcune considerazioni generali.

Nella maggioranza dei progetti in cui non vengono dichiarati gli obiettivi ma descritta esclusivamente lÂ’attività, si può dedurre che lÂ’obiettivo principale presenti in essi sia affrontare le situazioni di emergenza che le persone senza dimora si trovano a vivere e, di conseguenza, la loro azione consiste nellÂ’offrire a queste persone cibo, vestiario, cure sanitarie e un rifugio per la notte.

Invece, gli obiettivi espressi sono:

  1. quelli dellÂ’arricchimento e dello sviluppo delle potenzialità personali e sociali delle persone senza dimora per rendere più autonoma e meno disagevole la loro vita quotidiana;
  2. il recupero del sentimento della propria dignità umana e del proprio valore personale;
  3. il sostegno alla rivendicazione dei loro diritti di cittadinanza e la loro reintegrazione nella vita della comunità e, se possibile, familiare;
  4. alcuni progetti prevedono poi, esplicitamente, la sensibilizzazione e la mobilitazione della comunità cristiana a favore delle persone senza dimora.

I metodi seguiti dai progetti, pur nella loro diversità, sono sempre centrati sullÂ’accoglienza incondizionata, sullÂ’ascolto e sul riconoscimento della dignità delle persone senza dimora e propongono un vero e proprio percorso ritmato sui tempi della persona senza dimora che ne usufruisce.

Infine occorre segnalare che questi progetti ricevono nella maggioranza dei casi un sostegno pubblico, oltre quello di organismi privati, e che possono contare oltre che su risorse professionali anche su un buon numero di volontari.

Anche per i progetti occorre rilevare che nella stragrande maggioranza di essi la dimensione religiosa è assente, almeno a livello esplicito, e, quindi, lÂ’azione pastorale coincide interamente con quella sociale.

a) Progetto di reinserimento sociale Cannara di Liegi

Obiettivo: aiutare le persone senza dimora a riscoprire i compiti e le attività della vita quotidiana.

Metodo: Presa in carico di un numero limitato di persone; una equipe strutturata opera affinché la persona riscopra interamente i propri diritti e doveri, i propri documenti. Quando la persona ha recuperato uno status sociale e risparmiato è possibile progettare il suo inserimento in un appartamento dove sarà ancora accompagnata per essere aiutata a strutturare la nuova vita.

Risorse: volontari e personale del soccorso Caritas. Contributi di persone che sostengono il progetto pur non potendo partecipare ad esso.

Progetto AnnaÂ’s House Corea

Obiettivo: accoglienza incondizionata delle persone senza dimora e aiutarle a vivere la propria vita.

Metodo: approccio olistico e offerta di risposte ai problemi contingenti (cibo, cure mediche, vestiti, ricovero, barbiere, ecc.) e di opportunità di affrontare i propri problemi attraverso la consulenza legale e quella psicologica, la cura psichiatrica, la ricerca di lavoro, lÂ’assistenza spirituale, programmi educativi riguardanti lÂ’alcol, la sessualità e la salute.

I passi del trattamento sono tre:

  1. Accoglienza incondizionata;
  2. ascolto della persona e dei suoi problemi;
  3. offerta dellÂ’aiuto e accompagnamento secondo ciò che la persona desidera e non secondo ciò che pensano gli operatori.

Il metodo è definito dal logo “3A”: accoglienza, ascolto, aiuto.

c) Progetto “Bungalow”–Irlanda

Si tratta di un ricovero notturno che funziona in questo modo:

ore 19.00 due donne preparano i letti e i cibi;

ore 21.00 arrivo dei maschi volontari che prestano il servizio  notturno;

ore 08.00 gli ospiti lasciano il rifugio dopo la colazione.

d) The “Crypt”–Chiesa per persone senza dimora e tossicodipendenti in Amsterdam

Attività:

Ogni domenica: celebrazione per le persone senza dimora e i tossicodipendenti;

Ogni anno: pellegrinaggio a Lourdes per le persone sieropositive o in AIDS conclamato;

Due volte la settimana: Consulenza e sostegno;

Giornalmente: visita degli ammalati negli ospedali, nelle cliniche e in prigione;

Celebrazione dei funerali

Celebrazione delle festività liturgiche.

Progetti USA

Molti studi hanno dimostrato che abitazioni arricchite di servizi di sostegno hanno avuto un effetto sulla cronicità delle persone senza dimora. Per questo motivo le politiche del governo federale hanno messo al centro i senza dimora cronici e hanno elaborato per questo un piano decennale e i governi locali sono stati invitati a sviluppare i loro interventi in questa direzione. Comunque lÂ’incremento delle persone senza dimora obbliga la chiesa ad affrontare i loro bisogni al di fuori di questo piano.

Vi sono poi dei progetti specifici per alcune categorie di senza dimora. Ad esempio, per le persone senza dimora tossicodipendenti è sviluppato il programma di riduzione del danno.

Per le famiglie senza dimora il programma di maggior successo Chiamato “transition in place” dura dai 18 ai 24 mesi. Le famiglie sono collocate in appartamenti con un vicinato sicuro e assistite attraverso un affitto basso e un menù di servizi finalizzati a stabilizzare la famiglia e a incrementare lo sviluppo delle sue risorse emozionali, intellettuali e finanziarie necessarie ad affrontare le tendenze sociali e culturali dominanti.

Progetto “Pastorale della Diaconia” – Germania

Obiettivo: offrire ai senza tetto la possibilità di usufruire delle risorse della società.

Metodo: La base del metodo è il considerare la persona senza dimora nella loro realtà sociale, sanitaria e psichica. Vi è poi il considerare la persona, nonostante tutti gli svantaggi, pregiudizi e limiti, dotata di capacità e competenze. Offerta di colloqui motivazionali finalizzati a incoraggiare le persone che hanno perso tutto, dando loro nuove speranze e renderle disponibili ad accettare aiuti e consigli. Incoraggiare e sostenere le persone nellÂ’impegno di migliorare la propria vita e di cambiarla. Motivare i senza tetto tossicodipendenti a uscire dalla dipendenza e cercare una vita normale.

Progetto “strada facendo” – Milano

Obiettivi: offerta, alle persone in strada, di relazioni significative e di percorsi di uscita dallÂ’emarginazione grave.

metodo:

è centrato sullÂ’ascolto la relazione, lÂ’accompagnamento, nel rispetto dei luoghi e dei tempi dellÂ’utenza, sul lavoro di rete con i servizi pubblici e privati che si occupano di emarginazione adulta. Le azioni specifiche previste sono:

  • osservazione e mappatura delle situazioni di marginalità e delle persone senza dimora nel territorio milanese;
  • contatto e costruzione di relazioni significative con le persone senza dimora attraverso lÂ’offerta di uno spazio relazionale strutturato in luoghi e spazi destrutturati;
  • individuazione dei bisogni primari e delle problematiche sottostanti;
  • orientamento e accompagnamento ai servizi del territorio con unÂ’attività di sostegno individualizzata;
  • supporto a tutti i servizi del territorio che si occupano di emarginazione grave;
  • sensibilizzazione e restituzione al territorio della gravità e dellÂ’urgenza delle situazioni di estrema povertà ed emarginazione presenti sullo stesso;
  • formazione dei volontari che affiancano nellÂ’uscita gli operatori dellÂ’unità mobile.

Risorse: équipe composta da unÂ’assistente sociale, da una educatrice professionale coadiuvate da volontari.

Progetto “Centro diurno la Piazzetta”–Milano

Obiettivi: rendere disponibile una offerta a bassa soglia, ovvero unÂ’offerta per usufruire della quale non è necessario per lÂ’utente porsi degli interrogativi complessi. Consentire alle persone che accedono al servizio di prendersi una pausa dalla strada in un ambiente confortevole, poter svolgere unÂ’attività ludica, avere informazioni rispetto ad altri servizi pubblici e privati del territorio, essere aiutati a stilare il proprio curriculum vitae, supportare la ricerca di lavoro, usare il computer.

Metodo:

  • incontro con le persone per motivarle ad iniziare un percorso di reinserimento e recupero;
  • accompagnamento allÂ’utilizzo dei servizi in special modo in quelli che offrono interventi diurni diversamente strutturati;
  • prendere in carico la persona offrendole percorsi di accoglienza residenziale;
  • ri-ottenimento dei diritti di cittadinanza (residenza anagrafica, tutela sanitaria, legami);
  • sostegno verso una progressiva autonomia attraverso progetti educativi finalizzati in spazi e comunità di accoglienza diurna;
  • offerta di specifici percorsi sanitari e socio-educativi per raggiungere lÂ’astinenza dalle bevande alcoliche e un miglioramento nelle aree della salute vitale;
  • costruzione di progetti individualizzati di reinserimento socio-lavorativo tramite la frequenza nei centri diurni ad offerta strutturata;
  • consolidamento di una rete tra associazioni del privato sociale ed istituzioni pubbliche;
  • Valorizzare le esperienze e le competenze specialistiche dei partner e degli operatori di rete.

Risorse:

Educatrice personale responsabile, educatore, pedagogista, volontari.

Progetto HASI (Housing Accomodation and Support Initiative –Australia

LÂ’HASI è lÂ’adattamento australiano di un modello Nordamericano, il Pathways to Housing ope~ rante a Harlem, New York.

Obiettivi:

Assistere la popolazione con problemi di salute mentale e aiutarla ad acquisire e mantenere unÂ’abitazione stabile. Sviluppare la partecipazione comunitaria e la qualità della vita e fornire una condivisione che sostenga le persone con disturbi mentali.

Ruoli, responsabilità e progetti di sostegno:

HASI collabora con il Servizio di Salute Mentale (AMHS) per il sostegno clinico, con lÂ’ASP (Accomodation Support Providers) che fornisce una gamma di servizi sanitari, legali, di avviamento al lavoro, educativi e sociali.

La comunità e gli alloggi pubblici forniscono la locazione e lÂ’HASI gestisce gli affitti, lavorando in stretto raccordo lÂ’ASP.

La percentuale di successo, stabilita attraverso una valutazione puntuale e sistematica, è molto elevata.

Progetti della Conferenza Episcopale Indiana (CBCI) –Commissione Lavoro

La Commissione Lavoro segue diversi progetti, uno dei quali è quello della Pastorale e della cura dei nomadi. La comunità nomade viene assistita attraverso diversi tipi di aiuto e di forme di animazione spirituale. LÂ’assistenza è sia di tipo economico che non economico.

Progetto AAA (Aashray Adhikar Abhiyan) -India

Obiettivi:

sviluppare le potenzialità delle persone senza dimora, mobilitandole per rivendicare i loro diritti e assumere i propri problemi ad ogni livello.

Metodo:

Ricerca, difesa legale, documentazione e disseminazione delle informazioni, mobilitazione delle risorse e dei prestiti attraverso varie micro-azioni.

Risorse:

Il lavoro di questa organizzazione utilizza una rete formata dallÂ’Human Right Law Network, dai servizi postali, da editori, da giornali e da imprese locali

Progetto The Homelink/Missing Child Search Net -India

È un progetto sviluppato dai salesiani con lÂ’Unicef a favore dei ragazzi di strada. È un progetto basato su un programma Web che comprende i dati di 25.000 bambini e un network di 56 organizzazioni diffuse in tutto il territorio. I bambini sono individuati e rimpatriati attraverso il Web.

Progetto Childline –India

È un servizio fondato nel 1996 ed è costituito da un numero telefonico di emergenza, raggiungibile 24 ore su 24, gratuito che si rivolge a bambini bisognosi di aiuto e di assistenza. Sino ad oggi questo servizio è stato utilizzato da 4.500.000 bambini ed è presente in 55 città/distretti dellÂ’India. Il servizio è svolto in collaborazione con il Ministero della giustizia sociale e dello sviluppo, con lÂ’Unicef, con il dipartimento delle telecomunicazioni, con organizzazioni non profit, con istituzioni accademiche, con società e con singoli individui. Il servizio è in grado di fornire rifugi temporanei o permanenti ai bambini abbandonati o che hanno lasciato la loro casa, che sono sieropositivi o che hanno particolari bisogni, o anche bambini le cui famiglie sono in crisi.

Sovente questi bambini sono ricondotti al loro luogo ed alla loro famiglia di origine.

 

[1] M. Pollo, Le povertà estreme in Italia, ricerca commissionata allÂ’Università Pontificia Salesiana di Roma dalla Commissione di indagine sulla povertà della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1992.

 

 

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