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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108 (Suppl.), December 2008

 

 

Dott.ssa Francesca Zuccari,

Comunità di SantÂ’Egidio

(Italia)

Da quasi trenta anni mi occupo di persone senza dimora assieme alla Comunità di SantÂ’Egidio. Non è il mio lavoro perché tutto lÂ’impegno della Comunità con i poveri è a titolo gratuito. Direi che è un poÂ’ il senso della mia vita da quando cominciai con altri amici della Comunità a visitare le persone che dormivano alla Stazione Termini di Roma, portando loro cose calde da bere e da mangiare.

La Comunità ha iniziato a prendersi cura delle persone che vivono per strada a partire dagli anni ottanta. Allora le strade delle zone centrali di Roma cominciarono a popolarsi di poveri che chiedevano lÂ’elemosina, che dormivano sui cartoni nelle stazioni ferroviarie, che frugavano nei cassonetti per cercare cibo: erano anziani senza casa, giovani segnati dalla droga, persone dimesse dagli ospedali psichiatrici e un numero crescente di stranieri che cercava rifugio qui in Italia dalla guerra e dalla fame. Un volto nuovo, diverso della povertà, per qualche aspetto più drammatico di quello che la Comunità aveva già incontrato nella periferia della città.

Non potevamo restare indifferenti di fronte a tante persone che non avevano un posto per dormire la notte e che erano costrette a chiedere lÂ’elemosina per mangiare. Ci sembrò inaccettabile lÂ’inerzia con la quale le istituzioni guardavano a questi poveri: le mense erano pochissime, non esistevano centri di accoglienza per dormire. Alcuni episodi di intolleranza ci convinsero che dovevamo fare in fretta qualcosa. Voglio ricordare solo la vicenda di Alì Jama, un ragazzo somalo morto bruciato vicino a Piazza Navona perché alcuni giovani diedero fuoco ai cartoni nei quali dormiva (per il quale chiedemmo e ottenemmo anche lÂ’interessamento del Papa). E poco dopo la storia di Modesta che morì a 74 anni alla Stazione Termini perché gli infermieri dellÂ’ambulanza non vollero portarla allÂ’ospedale perché aveva i pidocchi. Da qui cominciò il nostro impegno stabile per le persone che vivono per strada.

Iniziammo infatti a fermarci tutte le volte che incontravamo uno di questi poveri almeno per scambiare due parole e provare a fare amicizia e ci si aprirono gli occhi su questo mondo di povertà e di sofferenza che cominciava a popolare la città.

Nel 1982, in particolare, 25 anni fa, sono nate le cene itineranti per strada e successivamente i centri di accoglienza, le mense, le case alloggio. Adesso la Comunità dovunque è presente, in Europa, in America Latina, in Africa, in Asia, si impegna a favore dei poveri in strada, mendicanti, lebbrosi, ragazzi tentando di costruire una rete di amicizia, di protezione e di sostegno che è un tesoro preziosissimo per la vita di chi è costretto a vivere così.

LÂ’amicizia con questi poveri ci spinge a cercare di incontrarli soprattutto la sera per alleviare almeno un poÂ’ i loro problemi, portando qualcosa di caldo da bere e da mangiare proprio con il senso della visita e dellÂ’aiuto materiale ad un amico in difficoltà. Questo aiuto concreto (il cibo caldo, la coperta), quando fa molto freddo e non è possibile andare al coperto, diventa indispensabile per poter sopravvivere.

Negli ultimi anni il problema delle persone che vivono per strada si è aggravato anche se oggi in molte città europee ci sono più mense e centri di accoglienza: non solo perché i poveri che vivono così sono cresciuti e i posti per dormire non bastano comunque per tutti, ma anche perché le città sono diventate più intolleranti verso di loro. Ultimamente si sono moltiplicate un poÂ’ ovunque operazioni di allontanamento dalle stazioni ferroviarie, dai centri storici. Alcuni comuni hanno approvato provvedimenti che vietano di chiedere lÂ’elemosina in alcune vie centrali. Sono state rimosse le panchine dai giardini pubblici o dai centri commerciali.

Mi sembra di poter dire che in questi ultimi anni si è di fatto lentamente ma inesorabilmente scavato un abisso non solo umano ma anche geografico tra questi poveri e la città: sono diventati invisibili a causa delle progressive espulsioni, inapparenti perché sono costretti a nascondersi in posti sempre più pericolosi.

Infatti è cambiato il modo di guardare a questi poveri: chi vive ai margini, magari chiedendo lÂ’elemosina, non fa più tanta compassione. Piuttosto si prova fastidio o paura perché non si sa guardare cosa cÂ’è dietro la loro condizione e si pensa che sia un poÂ’ colpa loro se vivono così.

Credo che noi cristiani abbiamo da una parte la responsabilità di contrastare in ogni modo questo clima di inaccoglienza verso i poveri e dallÂ’altra dobbiamo farci carico di testimoniare in modo eloquente lÂ’amore privilegiato di Dio proprio per queste persone così provate dalla vita tanto da non aver nemmeno un riparo per la notte. 

Questo credo sia il cuore della pastorale di strada. Come far risuonare tra queste persone così affaticate dalla vita, così schiacciate dal pregiudizio e dai bisogni materiali, così sfigurate dallÂ’abbandono, così rassegnate nella loro condizione, lÂ’annuncio di speranza del Vangelo e quindi di un futuro migliore; e come far arrivare ad ognuno attraverso le parole e i gesti, in modo rispettoso e personale l'amore misericordioso di Dio? Certo questo è un mondo duro, i poveri come tutti non sono buoni, non sono né buoni né cattivi, ma a volte sono induriti dalla vita, resi diffidenti da esperienze dolorose, spesso incapaci di parlare e di esprimere i loro sentimenti, a volte i loro stessi bisogni. Come parlare di Dio a questo mondo disperato?

   LÂ’eloquenza dei gesti evangelici

   Due brani evangelici hanno guidato la Comunità di SantÂ’Egidio a trovare una risposta a queste domande. Il primo quello della Parabola del Buon Samaritano (Lc 10) che vide un uomo mezzo morto, ne ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, lo caricò sul suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Fece quello che avrebbe fatto per un familiare, gesti alla portata di tutti anche se impegnativi, mosso da un sentimento che non viene sempre spontaneo come quello della compassione. Non si mise a far domande né a cercare di capire cosa era successo, semplicemente provò a prendersi cura come sapeva di quellÂ’uomo.

LÂ’altro brano è quello della Parabola del Giudizio finale (Mt 25) dove Gesù dichiara benedetti coloro che hanno dato da mangiare, da bere, da vestire, che hanno visitato chi è malato e carcerato, ospitato chi è straniero, perché lo hanno fatto a lui stesso.

Partendo da questi brani la mia esperienza mi porta a dire che queste azioni citate nel brano hanno una eloquenza di testimonianza evangelica che noi tante volte sottovalutiamo. I gesti  delle due parabole, dar da mangiare, prendersi cura, ecc. parlano di Dio e del suo amore per gli uomini in modo molto più efficace di quanto noi non sappiamo fare noi stessi con le nostre parole. Ripeterli è un modo diretto ed efficace per comunicare il Vangelo senza aggiunte. In alcune situazioni tra lÂ’altro parlare non è semplice: ci sono persone talmente pressate dai bisogni materiali che non hanno nemmeno la capacità di ascoltare. Altre volte cÂ’è un problema di comprensione della lingua. Questo non impedisce di comunicare lÂ’amore di Dio. Salutare, rivolgersi in modo gentile, ricordarsi il nome di questi poveri sono gesti semplici di rispetto che diventano particolarmente importanti perché sono anche una significativa risposta a questo clima inaccogliente.

Questi poveri devono trovare in noi, nelle nostre chiese sempre una porta aperta allÂ’accoglienza, nella vita quotidiana, nei momenti difficili come il freddo, la malattia, nella condizione di particolare bisogno: possiamo testimoniare nei loro confronti lÂ’amore che Gesù ha vissuto verso i poveri che incontrava: un amore che non giudica, che non pone condizioni, che non fa distinzioni, che libera e guarisce senza chiedere nulla in cambio.

In questo senso le sette opere di misericordia (dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, visitare gli ammalati, i carcerati, accogliere gli stranieri, seppellire i morti) ritengo siano in questo mondo della strada la via più diretta della pastorale. La presenza, la visita, lÂ’aiuto concreto sono il modo di condividere ma anche concretamente di liberare dal bisogno e comunicare la speranza di una vita nuova.

Spesso anche noi cristiani ci lasciamo scoraggiare dal grande numero di persone che vivono per strada e dalle poche risorse che abbiamo. Ma la prima risorsa siamo noi, la nostra commozione e i nostri piccoli o grandi gesti di attenzione. Niente in questo senso è troppo poco perché in ogni nostra azione che rispecchi le opere di misericordia, per parziale che sia rispetto al bisogno delle persone che incontriamo, trasmette lÂ’amore di Dio tutto intero con la sua forza liberatrice e dirompente.

Certo quello che facciamo spesso sembra non avere risultati perché le persone che incontriamo nella strada a volte le vediamo per brevi periodi o anche una volta sola e poi non le incontriamo più. Altre volte perché sembrano rifiutare il nostro aiuto, anche la nostra stessa presenza. Ma non bisogna stancarsi o arrendersi perché cÂ’è un mistero del bene che non sappiamo spiegare: quello che noi facciamo oggi non sappiamo quando e come darà i suoi frutti. Dobbiamo solo aver fiducia che lo darà nei modi e nei tempi che il Signore vorrà – e non nei nostri –, perché nulla del bene che facciamo andrà perduto. 

La preghiera

Un altro aspetto, a mio avviso, importante nella pastorale della strada è la preghiera. Da tanti anni la Comunità di SantÂ’Egidio invita a momenti di preghiera le persone che vivono per strada e queste sono  occasioni significative di comunicazione del Vangelo e di riconciliazione cristiana non solo per i poveri che partecipano ma anche per tutti quelli che si fanno coinvolgere attorno alla difficile condizione di queste persone. In particolare ogni anno la Comunità di Sant'Egidio con una celebrazione liturgica fa memoria nelle città dove è presente delle persone che sono morte per strada. Partecipano le persone di strada, i volontari, persone interessate o sensibili a questo problema, anche non praticanti, ma che in questa occasione desiderano partecipare. Qui a Roma si ricorda Modesta e tutte le persone che sono morte in questa città. Il momento più commovente è quando nelle intenzioni di preghiera vengono recitati i nomi delle persone conosciute dalla Comunità lungo gli anni (in alcune città sono dei lunghi elenchi), e i presenti accendono ad ogni nome una candela per fare memoria in questo modo di ogni persona.

Sono momenti particolarmente toccanti. Vengono sempre in tanti, in genere più di quello che prevediamo, per ricordare i loro amici morti per strada ma anche per chiedere aiuto per non morire anche loro dimenticati da tutti. CÂ’è una domanda religiosa che si esprime in questi momenti in modo chiaro che è anche domanda di consolazione, di speranza, di riconciliazione e di perdono. Sono momenti in cui capiamo meglio che anche i poveri hanno domande di fede profonde, non sono solo bocche da sfamare. Tanti chiedono di confessarsi e dopo la liturgia iniziano a raccontarci la loro vita, a confidarci i loro problemi e a chiederci aiuto e ci chiedono di ricordarli quando moriranno. Infatti lÂ’angoscia della morte è molto presente tra le persone che vivono per strada. Molti hanno paura di morire da soli e che nessuno si occupi della loro sepoltura. Perché purtroppo anche morire per chi ha perso tutti i legami familiari e vive in strada è un problema. L'assenza di documenti e di qualcuno che si occupi del funerale rendono anche questo evento della vita particolarmente penoso. Per questo per ogni persona che muore e non ha famiglia la Comunità di SantÂ’Egidio si preoccupa di garantire la celebrazione del funerale e la sepoltura. Qui a Roma da circa tre anni abbiamo ottenuto che il Comune sostenga le spese del funerale delle persone senza dimora che non hanno famiglia. Anche queste celebrazioni sono momenti particolarmente significativi di comunicazione del Vangelo. Spesso partecipano a questi funerali persone che non entrano da tanti anni in chiesa. Sempre cÂ’è una grande attenzione alla predicazione e una compostezza che a volte sembrerebbe impossibile. 

Il Natale

UnÂ’altra occasione di pastorale nel mondo della strada che la Comunità di SantÂ’Egidio vive oramai da anni è il Pranzo di Natale con i poveri che la Comunità organizza ogni anno in tutte le città del mondo ove è presente. Per chi vive nella strada, solo, senza legami familiari, il Natale, giorno di festa per tutti, è il giorno più triste dell'anno. Il Natale infatti è la festa della famiglia e per chi è senza nessuno o ha la famiglia lontana è il giorno in cui più forte si avverte la mancanza di calore e di affetto. QuestÂ’anno hanno partecipato a questa festa circa 100 mila persone in più di 300 città in tutto il mondo. Tante feste fatte anche con mezzi poveri con i mendicanti, i lebbrosi, i carcerati, i ragazzi di strada, gli zingari, gli stranieri che vivono nelle nostre città. In questo giorno si aggiungono anche tante persone che chiedono di dare una mano per organizzare la festa, tanta gente che cerca un senso alla loro vita e al Natale e che lo ritrova nella possibilità di rendersi utile e di riscoprire che il Natale vero è la festa con coloro che come Gesù non trovano posto nella città. LÂ’immagine di questa festa richiama i banchetti evangelici ed è l'immagine della ricostituzione della famiglia umana attorno a Gesù dove tutti sono accolti come fratelli e come figli. In un mondo attraversato da conflitti, incomprensioni, dove i poveri diventano sempre più poveri, questa tavola imbandita nel mondo è un segno di pace, di amicizia, di speranza. È Vangelo, cioè buona notizia per tutti.

Questa è la nostra esperienza e sono particolarmente contenta dellÂ’occasione di questo primo incontro sulla pastorale per le persone senza dimora perché sono convinta che questa sia una frontiera importante nella comunicazione del Vangelo per la quale occorre spendersi con più decisione affinché si realizzi quanto Gesù manda a dire a Giovanni Battista: “i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunziata la buona novella” (Lc 7,22-23).

 

 

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