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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108, December 2008

 

 

Commento al Messaggio Pontificio*

sul tema

“San Paolo migrante ‘Apostolo delle genti’”

 

(tenendo presenti alcuni aspetti concernenti lÂ’asilo e i profughi, nonché gli studenti esteri)

 

 

Arcivescovo Agostino Marchetto

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre dato prova di ospitalità e solidarietà nei confronti dei poveri e questo suo atteggiamento di accoglienza trova la propria origine nel Vangelo. Oggigiorno tra i poveri vanno senza dubbio annoverati i rifugiati e i profughi, come viene sottolineato nel Documento che il nostro Dicastero sta preparando insieme al Pontificio Consiglio Cor Unum. Inoltre lÂ’atteggiamento di accoglienza scaturisce dalla missione stessa della Chiesa, che porta il Vangelo fino ai confini della terra e il cui messaggio di salvezza è destinato a tutti, senza distinzioni di nazionalità o cultura (cfr. Messaggio, nel testo originale italiano, p. 2). La Chiesa infatti annuncia la Buona Novella, il Regno di Dio, che è di cruciale importanza sia per i singoli che per le Nazioni.

La carità, poi, è elemento costitutivo della Chiesa ed espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cfr. Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25), in quanto essa è comunione (koinonia). Nel Messaggio odierno, il Santo Padre fa anche riferimento allÂ’Eucaristia come al sacramento della fraternità e dellÂ’amore (cfr. ibidem, p. 6) che conduce a un “servizio attento specialmente alle persone più deboli e svantaggiate” (Benedetto XVI, Angelus, 19 giugno 2005).

La Comunità fondata da Gesù Cristo si è sempre rifatta a questo principio di carità e non fa distinzione alcuna di persone. In concreto, il suo impegno nella società è ispirato ai principi della sua Dottrina sociale, vale a dire la dignità di ogni essere umano, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà. La Chiesa si occupa dei migranti e degli itineranti tanto nella pastorale territoriale, parrocchiale e ordinaria,  che mediante quella specifica ad essi destinata, con missionari ad hoc, le organizzazioni caritative, la CCIM (Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni), le Caritas, il JRS (Jesuit Refugee Service), i movimenti ecclesiali e le congregazioni religiose, offrendo speranza, coraggio, amore e creatività per ridare vita ai rifugiati, ai richiedenti asilo nonché ai profughi allÂ’interno del proprio Paese. Capire cosa significa condividere le risorse secondo tali necessità, richiede un aggiornamento continuo anche dei programmi di assistenza  messi in atto dalla Chiesa, aggiornamento che rientra appunto nel quadro di un atteggiamento pastorale.

LÂ’ospitalità è caratteristica fondamentale pure della pastorale rivolta a rifugiati, richiedenti asilo e profughi. Essa infatti garantisce che ci si rivolga allÂ’altro come a una persona, e in alcuni casi anche quale fratello/sorella nella fede, impedendo di considerarlo/la un caso, un numero o una mera ragione di lavoro. LÂ’ospitalità, di conseguenza, non è tanto un compito quanto un modo di vivere e di condividere. Offrire ospitalità scaturisce per noi dallÂ’impegno di essere fedeli a Dio, di ascoltare la Sua voce che ci parla nelle Sacre Scritture e nelle persone che ci circondano. Ciò significa inoltre riconsiderare e riaggiustare di continuo le nostre priorità. La vicinanza espressa sotto forma di ospitalità contraddice infatti non pochi messaggi, modi di vivere e mentalità contemporanei.

La solidarietà è particolarmente collegata alla capacità di capire che formiamo tutti una sola famiglia umana, al di là delle differenze di nazionalità, razza, etnia, religione, situazione economica e atteggiamento ideologico, e che siamo interdipendenti, custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, dovunque essi vivano. “Lo straniero è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano” (cfr. Erga migrantes caritas Christi, 101). Un tale atteggiamento contraddice gli attuali comportamenti di discriminazione, xenofobia e razzismo (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2003 sul tema “Per un impegno a vincere ogni razzismo, xenofobia e nazionalismo esasperato”). Praticare la solidarietà, tradotta in gesti quotidiani, significa oggi imparare che lÂ’amore per il prossimo in un mondo interdipendente, globalizzato, riveste dimensioni globali, come ha affermato Papa Benedetto XVI, così: “appare ancor più necessario che i cristiani offrano la testimonianza di una solidarietà che varchi ogni frontiera, per costruire un mondo allÂ’interno del quale tutti si sentano accolti e rispettati”[1]. E ciò non significa che non si tengano presenti i problemi di chi accoglie.

Eppure i singoli Stati sono invitati a difendere i diritti di quanti fuggono, a causa di persecuzione, dai loro Paesi e a proteggerli a norma del Diritto internazionale. Tuttavia si ha lÂ’impressione che da anni i rifugiati vengano trattati senza considerazione delle ragioni che li forzano a fuggire. Ciò si è tradotto anche in tentativi di impedire loro lÂ’ingresso nei Paesi di arrivo e nellÂ’adozione di misure destinate a renderlo più difficoltoso – quella che io ho chiamato, recentemente, tendenza al ribasso, e non ‘gioco al ribassoÂ’. Tali misure si caratterizzano per la erosione degli standard umanitari e lÂ’introduzione di norme restrittive, quali lÂ’obbligo del visto di ingresso, nonché la pubblicazione di liste di cosiddetti “Paesi sicuri”. Purtroppo questÂ’atteggiamento adottato da Paesi del Nord del mondo ha ripercussioni negative sulle politiche verso i rifugiati seguite nel Sud. Per questo il quadro si fa preoccupante, specialmente se consideriamo una rodata Legislazione internazionale che era, è, di sostegno e protezione ai perseguitati.

Possa la dedizione con cui il migrante San Paolo ha  svolto la sua missione, dando prova di coraggio ed entusiasmo, ispirare la Chiesa e la società a dare risposte solidali alle sfide presenti nella società contemporanea, così da promuovere la pacifica convivenza tra etnie, culture e religioni diverse. 

*  *  * 

Qualche pensiero anche per quel che riguarda gli studenti esteri (internazionali).

Negli ultimi dieci-quindici anni la mobilità internazionale studentesca è diventata un aspetto preponderante nel panorama dellÂ’educazione superiore globale e attualmente il totale degli studenti che si recano allÂ’estero, durante questo ciclo di studi, è di poco inferiore ai tre milioni. La mobilità in campo educativo, che può a ragione essere considerata un “segno dei tempi”, porta certamente con sé molte opportunità, ma è anche spesso accompagnata da sfide e ostacoli. Comunque la creazione di appositi ambienti di accoglienza e di accompagnamento, che mettano in atto la premura nellÂ’ospitalità (cfr. Rm 12,13), è al centro della pastorale specifica rivolta agli studenti esteri, seguendo in ciò una delle più grandi preoccupazioni di Papa Benedetto XVI, ossia la formazione dei giovani[2].

Orbene la pastorale nelle Università e negli Istituti di istruzione superiore si rivela importantissima per creare quel “quadro educativo”[3] necessario per portare a maturità la fede dei giovani in cerca non solo del senso della vita, ma anche del modo di condurlo a pienezza in Gesù Cristo, pienezza che, come ricorda San Paolo, consiste nellÂ’avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5).

La riflessione che questÂ’anno stiamo facendo sulla vita e la missione di San Paolo, il quale aprì il proprio cuore ai gentili, a coloro cioè che erano “al di fuori”, ci ricorda che, nellÂ’accogliere gli studenti internazionali, insieme allÂ’Apostolo possiamo dire: “Voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,19). Pertanto “non cÂ’è più giudeo né greco; non cÂ’è più schiavo né libero; non cÂ’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

Inoltre lo studente migrante può dare “alla Chiesa l'opportunità di realizzare più concretamente la sua identità comunionale e la sua vocazione missionaria”[4] . DÂ’altro lato vi è anche una chiara responsabilità da parte delle istituzioni che attraggono gli studenti migliori e più intelligenti, a formare questi giovani, motivandoli, se del caso, a tornare alla loro terra dÂ’origine. Infatti le loro prospettive sono inestricabilmente legate al futuro, dato che detengono una delle chiavi principali dello sviluppo dei loro Paesi[5], sia sul piano materiale, che accademico, sociale e spirituale[6].

Durante i suoi viaggi San Paolo ha provato gioia e tristezza, successo e smacco, tanto da poter essere prototipo anche per i giovani di oggi che studiano lontano dalla propria terra, nonché un invito alla fede e a riporre la loro fiducia nella divina giustizia che conduce alla vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 5,21). 


 

* Bollettino Sala Stampa della Santa Sede (N. 0632), Mercoledì 8 ottobre 2008.

[1] Benedetto XVI, Discorso alla riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), 23 giugno 2005: LÂ’Osservatore Romano N. 148 (43.985) del 24 giugno 2005, p. 5.

[2] Cfr. Benedetto  XVI, Incontro con le autorità dello Stato allÂ’Eliseo, 12 settembre 2008: LÂ’Osservatore Romano N. 214 (44.954), del 13 settembre 2008, p. 8.

[3] Ibid.

[4] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti, Erga migrantes caritas Christi, § 103: People on the Move n. 95 (2004), p. 161.

[5] Benedetto  XVI, Agli studenti degli Atenei romani,15 dicembre 2005: LÂ’Osservatore Romano N. 294 (44.131), del 17 dicembre 2005, p. 4; cfr. pure People on the Move, suppl. al n. 103 (2007), p. 146.

[6] Cfr. Agostino Marchetto, Pastoral Care of Human Mobility in the Universities of Europe,  People on the Move, n. 94 (2004), p. 73.

 

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