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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108, December 2008

 

 

Dichiarazione di S.E. Mons. Agostino Marchetto

Segretario di Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

(Ripresa da Iacopo Scaramuzzi, APCOM 27 giugno 2008)

 

Sorpresa, disagio e tristezza ha suscitato in me la notizia di applicazione, anche ai bambini di etnia Rom, della schedatura delle impronte digitali [decisione annunciata dal Ministro dell'Interno Roberto Maroni].

Certamente ho letto il testo di varie dichiarazioni giustificative o di disapprovazione.

Personalmente mi trovo tra coloro che disapprovano, convinto dellÂ’esistenza di altri mezzi, rispettosi della persona, anche del bambino, della sua dignità e psicologia, per giungere a una finalità buona, quale può essere, p.es., evitare che i bimbi Rom dormano tra i topi. Per la morale cattolica, poi, non solo il fine deve essere buono, ma anche i mezzi per raggiungerlo devono essere tali. In questo caso devono essere rispettosi dei diritti dei bambini, senza discriminazioni nei confronti di quelli di una certa etnia.  

Anche per sottrarli all'accattonaggio, vi è la via della scuola obbligatoria e dellÂ’aiuto di mediatori culturali alle famiglie, se preparate ad accoglierli. Infatti, questi mediatori sono necessari per quella integrazione indispensabile (che non è però assimilazione) delle varie famiglie che compongono “il mondo degli Zingari”, che noi chiamiamo così con visione mondiale. Ad esempio, in India vi sono circa 18 milioni di nomadi, chiamati anche zingari, che non sono certo Rom e Sinti. Per dilatare la visione, ricordo che solo in Europa sono circa 4 milioni i ragazzi di etnie Rom e Sinti che dovrebbero andare a scuola.  

In tutto questo vi è la questione del giusto trattamento delle minoranze, che è oggetto di maggiore attenzione, attualmente, presso lÂ’Unione Europea e il Consiglio d'Europa.

Che succederebbe se si generalizzasse la decisione italiana? A volte per capire la gravità di un certo modo di procedere bisogna porsi proprio a livello generale. 

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LA POSIZIONE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO SUI BAMBINI ROM E LÂ’ACCATTONAGGIO*

 

La cassazione ha di recente stabilito che una madre che si dedica allÂ’accattonaggio portando con sè i figli piccoli risponde di maltrattamenti ma non di riduzione in schiavitù, a patto però che il “lavoro” sia limitato allÂ’orario dÂ’ufficio, dalle 9 alle 13. I giudici hanno invitato a “prestare attenzione alle situazioni reali e a non criminalizzare condotte che rientrino nelle tradizione culturale in un popolo”.

Desidero anzitutto ricordare che la Chiesa cattolica considera necessaria la tutela dei diritti fondamentali dellÂ’uomo, di ogni uomo, e quindi anche del bambino, sanciti appunto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo (entrata in vigore nel 1990 e ratificata dalla Santa Sede). Tale convenzione riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto a godere delle condizioni che favoriscono lo sviluppo integrale e la protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento, e violenza.

Considero poi che è difficile rimanere insensibili di fronte a situazioni in cui si vedono bambini Rom in braccio alla madre, che chiede lÂ’elemosina, considerando i pericoli ai quali questi piccoli possono essere esposti. DÂ’altra parte, però, la questione è molto delicata e si corre il grave rischio di giudizi affrettati e superficiali su casi del genere. Per molti Rom la mendicità è una forma lecita di “guadagno” per il mantenimento della famiglia, mentre per altri si tratta di un aspetto tradizionale o culturale. E certo è meglio chiedere lÂ’elemosina che andare a rubare. A questo riguardo anche la cultura, ogni cultura deve passare attraverso il mistero pasquale di morte e di vita. Qualcosa deve morire anche nelle culture perché viva lÂ’umanesimo integrale in ciascuna, nel rispetto vero della dignità di ciascuno. È vero comunque che lÂ’accattonaggio, che può diventare un “business”, è umiliante e spesso comporta la violazione della dignità umana. Considero quindi più adeguato ed urgente creare le condizioni per eliminare le cause che stanno a monte di questo fatto. Tanto più che ogni Governo ha il dovere di assicurare alle famiglie un supporto sufficiente perché dispongano di mezzi necessari per tutelare il benessere dei bambini e ciò vale anche per le famiglie Rom. Si rende necessaria perciò una collaborazione tra i rappresentanti delle comunità Rom, le organizzazioni che li assistono e i poteri pubblici.

Bisogna poi fare sempre le necessarie distinzioni: un bimbo da allattare in braccio a sua madre, non è il bambino che deve andare a scuola e che invece è mandato a mendicare.

A questo punto desidero ricordare quanto emerso dai lavori del Congresso Mondiale sulla Pastorale dei Rom, promosso dal nostro Pontificio Consiglio nel mese di settembre scorso a Freising, in Germania. Al Congresso sono intervenuti alcuni rappresentanti degli zingari nel mondo, in maggioranza giovani. Essi ci hanno raccomandato una “regola dÂ’oro” da adottare nellÂ’impegno a loro favore e cioè agire “per loro, ma sopratutto con loro”. Sono convinto che questo principio valga per tutti e invito tutti a metterlo in pratica. 

Il Senatore Francesco Rutelli (Pd) ha proposto di togliere la potestà genitoriale a chi costringe i figli a mendicare

Il problema di bambini Rom costretti a mendicare esiste e deve essere risolto, in quanto si tratta di sfruttamento dei minori (non di schiavitù). Tuttavia la soluzione al problema non può consistere semplicemente nel togliere la potestà genitoriale, in altre parole nella sottrazione dei figli ai propri genitori. A tale riguardo, la legge italiana dichiara che devono sussistere motivi gravissimi perchè tale pena possa essere applicata. Quindi è da ponderare se costringere i figli a mendicare rappresenti un reato di tale gravità. Non è piuttosto un caso sociale da eliminare con scelte politiche ed educative? Sono da considerare vari aspetti al riguardo: supporto alle famiglie, condizioni abitative dei bambini Rom e soprattutto la questione della loro scolarizzazione. I primi dati del censimento dei nomadi a Roma, Napoli e Milano, parlano di circa 5 mila e 500 minori con un tasso di scolarizzazione “molto basso”, ai quali si dovrebbero aggiungere poi tutti quelli che non sono scolarizzati affatto. Ciò indica che bisogna agire urgentemente in questa direzione per migliorare la loro crescita culturale. È del resto un problema europeo perché sono circa 5 milioni i giovani zingari in Europa da scolarizzare. Si tratta del loro e nostro futuro.

Profitto dellÂ’occasione che le Sue domande mi danno per fare un giudizio più generale sulla tendenza oggi di voler togliere dai nostri occhi coloro che stendono la mano. E penso al giudizio finale. Il Signore dice che ci giudicherà sulla carità: dar da mangiare, dare da bere, vestire gli ignudi, accogliere gli altri. E considero la storia della pietà, ricordando don Giuseppe De Luca, pensando alla necessità di aver compassione verso chi soffre e a S. Vincenzo de Paoli. Egli non voleva negare la carità per non correre il rischio di non farla a chi ne aveva proprio bisogno. Certi atteggiamenti attuali mi pare corrano il rischio di distruggere tutto questo “humus” umano e spirituale che fa lÂ’uomo uomo.

 

* Intervista di Iacopo Scaramuzzi a S.E. Mons. Agostino Marchetto.

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Gli Stati devono ascoltare

la voce degli zingari*

L'arcivescovo Marchetto sulle conclusioni del congresso di Frisinga  

"Noi dobbiamo combattere il razzismo non con le armi ma con l'amore, il lavoro e l'umiltà, provando che, al di là dei nostri difetti, abbiamo anche i nostri valori". È stato il loro momento. Gli zingari sono stati in prima persona protagonisti al congresso mondiale sulla pastorale a loro dedicato a Frisinga. Per quattro giorni hanno ascoltato interventi su interventi, hanno assistito a tavole rotonde, hanno preso coscienza dell'interesse che, nella Chiesa soprattutto, suscita la loro presenza nella società del terzo millennio, con tutti i suoi risvolti, positivi e negativi. Poi hanno preso la parola. Prima che il congresso traesse le sue conclusioni.

Hanno offerto testimonianze "toccanti", come le ha definite l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il dicastero che ha voluto e organizzato il congresso, il sesto di questo genere. Da ognuna di esse è venuto fuori lo spaccato di una realtà spiritualmente ricca, capace di rappresentare, se ben compresa, un valore aggiunto per la società. L'invito del giovane rom a sconfiggere il razzismo "non con le armi, ma con l'amore" è stata la parola conclusiva dei lavori congressuali. La testimonianza di suor Maria Belén Carreras Maya, la religiosa spagnola "gitana" che ha maturato la propria vocazione tra i rom, i sinti, i manousche che hanno riempito la sua giovinezza, è stata quella che ha fatto comprendere sino in fondo il valore dell'opera evangelizzatrice della Chiesa tra i giovani zingari.

Ne abbiamo parlato con l'arcivescovo Marchetto, impegnato nel presiedere il gruppo incaricato di redigere il documento finale.

Cosa resterà di questo congresso?

Io credo che resterà soprattutto il desiderio di conoscere più a fondo, di comprendere la ricchezza delle diversità, di lavorare insieme per un futuro dal quale nessuno si senta escluso.

E resterà l'esemplarità di una discussione, a volte anche accesa, su argomenti estremamente delicati e di pregnante attualità, svoltasi in un clima di serenità e caratterizzata dalla volontà di camminare insieme.
Resteranno anche questioni profonde, sulle quali bisognerà riflettere. Valga per tutte la questione della residenzializzazione, o meglio della semiresidenzializzazione dei gitani, qualcosa che va oltre la loro specifica cultura, ma che diviene centrale in un processo di integrazione. E questa sarà una sfida per la Chiesa. Come lo sarà la scelta di un nome per definire la comunità rom e sinti, estremamente composita, che costituisce parte integrante del popolo di Dio. Ci sono realtà, infatti, molto attente alla fraseologia. Per farle un esempio, l'ingresso nel nostro contesto pastorale delle Filippine, del Bangladesh e di altri Paesi di quell'area dell'Asia hanno fatto conoscere più approfonditamente gli "zingari del mare", popolazioni nomadi che si spostano su carovane di barche. La questione del nome non è di poco conto, soprattutto se certi termini vengono usati in senso dispregiativo o discriminatorio.

Dopo tante riflessioni, discussioni e proposte in un consesso tanto autorevole, cosa in concreto si può chiedere agli Stati, che alla fine hanno in mano le sorti di questi giovani zingari?

Intanto noi abbiamo richiamato le istituzioni internazionali e gli Stati a quelle che sono le loro responsabilità, agli impegni che hanno assunto pubblicamente per quanto riguarda, per esempio, l'istruzione, la casa, il lavoro, la partecipazione alla vita attiva della società da favorire attraverso un dialogo impostato sulla reciprocità dei diritti e dei doveri in un contesto sicuramente di legalità e di giustizia. Abbiamo suggerito in particolare la creazione di centri (i primi saranno centri parrocchiali) che propongano alternativamente occasioni di svago come di studio e di formazione professionale. Questo soprattutto per evitare che i giovani zingari siano facili prede per gente senza scrupoli che li avvii ad attività illecite. Fondamentale io credo però che sia la formazione di persone capaci di proporsi come leader del movimento.

Abbiamo poi raccomandato alla comunità internazionale la promozione di microprogetti realizzabili attraverso microcrediti riservati proprio ai giovani rom e sinti che abbiano serie intenzioni di entrare nel processo produttivo del Paese di accoglienza.


Ci può anticipare quali saranno le conclusioni del congresso?

Ci abbiamo lavorato tutta la notte. Lo presenteremo tra poco all'assemblea che dovrà approvarlo o modificarlo. Quello che le posso anticipare è che il documento finale si articolerà in due parti. La prima riassuntiva di tutte le principali indicazioni venute da questi quattro giorni di lavoro. La seconda sarà costituita da diciotto raccomandazioni, rivolte una parte alla Chiesa e una parte alla società.

Il congresso ha innanzitutto ribadito la fondamentale importanza dei giovani, di tutti i giovani, per il nostro comune avvenire. Tutti devono essere considerati nella loro dignità di uomini. Anche gli zingari. Essi stanno vivendo un periodo di grandi trasformazioni. Vanno seguiti e aiutati perché costituiscono una grande risorsa per la società. Bisogna certo evitare le generalizzazioni. A questo proposito abbiamo sottolineato il ruolo che in questo settore svolgono i mass media. Ciò che è risultato impegno della massima urgenza è l'azione. Bisogna agire e in fretta. Come Chiesa ci stiamo muovendo già da tempo. Siamo consapevoli che sugli zingari c'è un progetto di Dio. È importante capire che questi giovani costituiscono, al pari degli altri, il futuro della Chiesa e del mondo. Per questo la pastorale dei giovani dovrà essere ancora più legata alla realtà, all'attualità, alla diversità. È un grande compito anche per le comunità parrocchiali.


Secondo lei gli Stati risponderanno a questo nuovo appello?

Io ho fiducia. Del resto la comunità internazionale va prendendo coscienza che tra le minoranze dei singoli Stati quella zingara è sempre più emergente. Restando in Europa per esempio, io credo che alla fine si debba arrivare a una istituzionalizzazione delle etnie gitane a livello di comunità europea. Questa istituzionalizzazione, del resto, porta con sé anche il vantaggio di poter stimolare i vari Stati che compongono l'Unione affinché prendano coscienza dei progetti comunitari approvati. Potrebbero essere, per gli stessi singoli Stati, un'occasione di crescita ulteriore. Sul piano umano, soprattutto.

 

* Mario Ponzi su LÂ’Osservatore Romano, N. 207 (44.947), 5 settembre 2008, p. 8.

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INTERVIEW DE MGR AGOSTINO MARCHETTO

 À «LA CROIX*» (France)

 

Mgr Marchetto: "Nous devons susciter une nouvelle prise de conscience sur le respect des droits de l'homme"

Le Secrétaire du Conseil Pontifical pour la Pastorale des Migrants et des Personnes en Déplacement, Mgr Agostino Marchetto souligne que les droits de l'homme des Roms sont menacés en Italie 

La Croix: En novembre dernier, trois Roms avaient été attaqués après le meurtre d'une femme tuée par un jeune Roumain. En mai dernier à Ponticelli, des camps de Roms ont été incendiés après la tentative dÂ’enlèvement dÂ’un bébé italien par une Tsigane. Peut-on parler, selon vous, de "chasse aux Roms" en Europe, et en particulier en Italie?

Mgr Marchetto: Je ne pense pas quÂ’on puisse parler de chasse aux Roms. On assiste, cÂ’est vrai, à la multiplication d'actes violents dÂ’intolérance, de xénophobie et de racisme, qui montrent l'irritabilité de la population en contact avec les Roms. Or ces épisodes qui sont ponctuels portent à des généralisations et des réactions émotives. Et par là, on ne fait qu'entériner les préjugés, les ghettos et la difficulté dÂ’intégration - intégration ne veut pas dire, pour moi, assimilation - de cette population.

En novembre, lÂ’Eglise italienne et le Pape avaient manifesté leur inquiétude. La situation des Roms continue-t-elle de préoccuper de manière particulière lÂ’Eglise?

Oui, cette situation continue d'être un motif de préoccupation, notamment parce que ce qui a des racines profondes ne change pas du jour au lendemain. Et plus la culture de lÂ’autre est différente de la nôtre - et les Roms ont une culture vraiment différente de la nôtre -, plus la compréhension et le dialogue sont difficiles. Mais nous devons mettre lÂ’accent sur lÂ’éducation, et dans ce domaine il faut faire tous les efforts possibles. En Europe, nous avons plus de quatre millions dÂ’enfants et de jeunes tsiganes qui devraient aller à lÂ’école. Il faut comprendre ce que ça implique de potentialités et de difficultés.  

En mai, le gouvernement italien a adopté le délit dÂ’immigration clandestine. Pour vous, lÂ’immigration clandestine peut-elle être un délit?

Comme jÂ’ai déjà eu lÂ’occasion de le déclarer par le passé, avant même la discussion du projet européen à cet égard, je me retrouve personnellement dans la position de la minorité à Bruxelles qui ne considère pas que lÂ’immigration clandestine soit un délit.

Depuis quelques mois, les contrôles systématiques, les expulsions ont augmenté en Italie et le gouvernement a adopté le fichage des empreintes digitales pour les mineurs roms. Comment lÂ’Eglise réagit-elle à ces mesures?

Pour les mineurs, nous nous sommes opposés au fichage des empreintes digitales pour des raisons psychologiques et au nom des droits de lÂ’enfant. Il semble que notre position ait donné quelque résultat puisque sous notre influence le fichage en Italie a finalement été confié à la Croix Rouge.

Selon vous, la sécurité publique peut-elle justifier de telles mesures?

Nous ne cessons de souligner quÂ’il y a un équilibre entre sécurité et accueil. Je crois que la mission de lÂ’Eglise est de pointer humblement mais avec force chaque fois que lÂ’aspect sécurité tue lÂ’accueil.

Les droits de lÂ’homme des Roms sont-ils menacés en Italie?

Oui, si lÂ’on considère tout la vaste étendue des droits de lÂ’homme. Du reste, cela nÂ’est pas vrai seulement pour les Roms, mais aussi pour les immigrants irréguliers, pour les réfugiés, et dÂ’autres catégories de personnes dont le Conseil pontifical pour la pastorale des migrants et des personnes en déplacement sÂ’occupe, dans sa sollicitude pour la pastorale de la mobilité humaine. La question doit être amplifiée et étendue à dÂ’autres pays dÂ’Europe et à lÂ’intérieur de lÂ’OSCE, etc.

LÂ’auteur des photos des deux jeunes roms qui se sont noyées sur une plage près de Naples a dénoncé leur instrumentalisation par les médias européens. Existe-t-il selon vous une instrumentalisation du sentiment anti-Roms? cette hostilité risque-t-elle de sÂ’étendre à toute lÂ’Europe?

Malheureusement, dans le monde actuel, le risque dÂ’instrumentalisation existe plus que par le passé. Et ce, en partie à cause du pouvoir des médias, qui ont une grande responsabilité dans la formation de lÂ’opinion publique et doivent en être conscients.

Que peut faire l'Eglise dans ce domaine?

Une vaste tâche attend lÂ’Eglise, et en premier lieu les éducateurs: celle de susciter une nouvelle prise de conscience vis à vis du respect des droits de lÂ’homme. Le rôle de lÂ’Eglise est bien présenté dans notre document du 2005, Orientations pour une pastorale des Tsiganes, et je vous renvoie à ce document.

 

* Vendredi 1 Août 2008.

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Intervista a “Jesus*” dellÂ’arcivescovo agostino marchetto 

 

1) Mi piacerebbe che i gentili e interessati lettori prendessero in mano un documento che il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti pubblicò lÂ’otto dicembre 2005 – periodo ben lontano dunque dalle attuali difficoltà. Porta il titolo “Orientamenti per una pastorale degli zingari”. Si può trovare sulla nostra Rivista “People on the Move” supplemento al N. 100, aprile 2006 e sul Website del Vaticano, Curia Romana/Pontifici Consigli.

Gli orientamenti sono il condensato dellÂ’impegno del secolo scorso della Chiesa per gli Zingari. Noi li chiamiamo così, con rispetto, per il nostro approccio universale verso questa popolazione; in India, dove vive la maggioranza di loro – 18 milioni – non si può certamente parlare di Rom o Sinti ecc. Cito solo il titolo dei vari  capitoli: popolazioni non ben conosciute, sovente marginalizzate; sollecitudine della Chiesa; evangelizzazione e inculturazione; evangelizzazione e promozione umana; aspetti particolari di pastorale per gli zingari strutture e operatori pastorali.

Come si vede vi è lÂ’impegno di evangelizzazione e promozione umana e non solo parole, come tanti operatori pastorali e di Organizzazioni ecclesiali dimostrano, e non faccio nomi per non escludere nessuno. 

2) Perché questo clima di insicurezza, mi chiede, sia da parte dei gagê (i non nomadi che degli zingari. Non è facile rispondere. Forse alcuni episodi hanno rotto un certo equilibrio, ma da sempre vi è una marginalizzazione degli zingari. La spiego anche così: più uno è diverso da noi più facciamo fatica ad accettarlo e il Rom porta con sé una cultura si, dico una cultura che è agli antipodi della nostra.

Poi il diverso da noi si è sommato a chi pure lo è, lÂ’immigrato, il rifugiato. È aumentata dunque la percentuale in Italia di chi è diverso da noi, pur in grado differente. È nata così forse la paura, una insicurezza.

Dal resto anche sono venute meno le fonti di entrate degli zingari, che non possono più esercitare i loro lavori di maniscalchi, ramai, ecc. Come vivere, dunque, è la loro domanda. E del resto quanti assumerebbero a lavorare presso di sé uno zingaro. I pregiudizi ci sono, le difficoltà pure. Ma non dimentichiamo che i Rom, Sinti, ecc. formano la minoranza più numerosa in Europa, che 4 milioni di ragazzi zingari dovrebbero in Europa andare a scuola. Che potenziale e che problema. 

3) Il “pacchetto sicurezza” come si dice dovrebbe andare con un “pacchetto accoglienza”, lÂ’ho già detto. Vi è cioè un equilibrio da tenere fra sicurezza e accoglienza. Molti lo hanno ripetuto. E la Chiesa – reputo – con umiltà e forza deve indicare dove si sta pendendo  pericolosamente nel dimenticare lÂ’altro elemento del binomio indiscutibile a cui mi riferisco.

Il pacchetto sicurezza cosa produrrà? Più timore? Vedremo. Quello che io ripeto riguarda la necessità di rispettare i diritti umani nella loro vasta gamma nellÂ’esecuzione dei contenuti del pacchetto sicurezza. 

4) È questione importantissima questa anche per la difficoltà di definire lÂ’integrazione, di delineare il contenuto. Noi diciamo negli “Orientamenti” che integrazione non è assimilazione. È una pista da tener presente. Del resto per noi cristiani la cultura, come ogni credente, deve passare attraverso il mistero pasquale. Qualcosa deve morire in noi, nelle nostre culture, perché viva il Cristo in noi.

Certo integrazione vuol dire rispetto della legalità ed è un punto fermo. Vuol dire anche peraltro dare e fare il necessario perché lÂ’altro  si integri. 

5) Per sfatare i pregiudizi bisognerebbe conoscersi e volere il bene dellÂ’altro, impegnarsi con lui e per lui. Una proposta che già alcuni attuano è la comunità fonte.

 

* Mensile di cultura e attualità religiosa, Anno XXX- Giugno 2009, n. 9.

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DICHIARAZIONE DELLÂ’ARCIVESCOVO

AGOSTINO MARCHETTO AL SIR

(5 settembre 2008)

 

Di ritorno ieri da Freising, dove ho partecipato al VI Congresso Mondiale della pastorale per gli zingari sul tema: “I giovani zingari nella chiesa e nella società” e dove sono state espresse numerose e forti critiche in relazione alla situazione di Rom e Sinti in Italia, leggo oggi la notizia che la Commissione Europea non considera discriminatorie le misure del Governo italiano per affrontare le situazioni di emergenza nei campi Rom su questi termini: “né le ordinanze, né le linee guida, né le considerazioni di esecuzione [infatti] autorizzano la raccolta di dati relativi allÂ’origine etnica o religiosa dei censiti”.

Si è considerato che la raccolta delle impronte digitali non è sistematica, ma limitata in particolare in relazione ai minori.

La prima considerazione che mi permetto di fare è quella che il Governo è stato capace di affinare il proprio procedere in marcia, accogliendo in fondo, molte delle critiche che furono ad esso rivolte a cominciare da quella primitiva “fiche” di Napoli, certamente fuori norma e proseguendo con un impegno che si è fatto via via sempre più finalizzato e attento alla dimensione scolastica e sanitaria di Rom e Sinti. La non obbligatorietà del “censimento” e la richiesta della collaborazione della Croce Rossa ha mano a mano, attenuate le asperità.

Nonostante, comunque, la dichiarazione della Commissione Europea, rimango dellÂ’avviso che per i bambini nomadi si è andati e si va contro i Diritti del Bambino raccogliendo le loro impronte digitali. Altre vie dovevano e devono essere trovate – dico moralmente anche quando si ricerca un fine buono.

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«INVECE DI SCHEDARLI

MANDIAMOLI A SCUOLA»*

«Il fine può essere buono ma il mezzo è sbagliato. Richiama i tempi

della deportazione subita dagli zingari in passato».
 

Monsignor Agostino Marchetto, Segretario della Pontificia Commissione per i Migranti, invita a riflettere sulle azioni del Governo e soprattutto a non confondere la sicurezza con lÂ’integrazione. «Se sapessimo chi sono gli zingari, le sofferenze che hanno patito nel corso della storia, allora parleremmo di un "pacchetto integrazione", che è la sola via giusta per avere più sicurezza».

Perché si ha paura degli zingari?

«Si sono radicati stereotipi, frutto di persistente ignoranza che alimenta un rifiuto pericoloso di una parte, assai piccola, delle popolazioni che vivono in Europa. La Santa Sede qualche anno fa ha proposto unÂ’analisi della questione in un lungo documento, praticamente ignorato, e che invece sarebbe bene rileggere e studiare. In esso notavamo che la persecuzione degli zingari coincide in Europa con la formazione degli Stati nazionali. E oggi che la questione delle identità nazionali si riaffaccia, ecco di nuovo procedere a forme di discriminazione verso gli zingari. Ma di questo si parla poco, così come sollevò poche proteste isolate lÂ’eliminazione di migliaia e migliaia di zingari nei campi di concentramento nazisti».

La notizia che il Governo italiano vuole prendere le impronte sui bambini rom che effetto le ha fatto?

«Provo sorpresa, disagio e tristezza. È una vera e propria schedatura».

Ma non tutti sono dÂ’accordo.

«È vero. Ho letto dichiarazioni che giustificano e altre che disapprovano».

Lei in che gruppo si colloca?

«Tra coloro che disapprovano, perché sono convinto che esistano altri mezzi, rispettosi della persona, e quindi anche dei bambini, rispettosi della loro dignità e della loro psicologia, per giungere a una finalità che è certamente buona, cioè quella di evitare che i bambini rom dormano tra i topi». 

Dunque fine buono, non il mezzo.

«Certo. Per la morale cattolica anche i mezzi per raggiungere un buon fine devono essere moralmente buoni. In questo caso i mezzi non rispettano i diritti dei bambini, perché discriminano quelli di una certa etnia».

È vero che la maggior parte dei rom non vuole farsi censire?

«È vero e mi meraviglio che non lo si sappia. Resistono ai censimenti per una paura ancestrale, che va capita, perché i censimenti nei loro confronti sono stati sempre preludio di una deportazione».

Eppure si dice che il censimento viene fatto per il loro bene, per mandarli a scuola.

«Il problema non è il censimento. Potremmo anche conoscere il nome di tutti i bambini, ma se poi non riusciamo con lÂ’aiuto di mediatori culturali a convincere i genitori a mandarli a scuola, abbiamo solo buttato via soldi. Gli Stati devono puntare allÂ’integrazione tra la cultura zingara e la nostra cultura».

CÂ’è qualche Stato che cÂ’è riuscito?

«La Spagna, per esempio. Là ci sono 600 mila persone di varie etnie rom. Si sono integrate e non ci sono problemi».

E per chi delinque?

«I delinquenti ci sono dappertutto e vanno puniti in base alle leggi dei vari Paesi. Ma senza discriminazioni. Un rom che ruba non è più colpevole di un tedesco o di un italiano. Si fa fatica a capire che ci sono uomini che non vivono secondo le nostre regole. È per questo che i nomadi ci fanno paura. Mi domando cosa succederebbe se la decisione italiana di prendere le impronte, in modo discriminatorio solo a unÂ’etnia, si diffondesse in tutta Europa. Si tornerebbe a tempi molto oscuri della storia europea. Fortunatamente, ciò non sembra avvenire e sulle decisioni italiane la Commissione Europea pone molti dubbi».

 

*Alberto Bobbio, Famiglia Cristiana n. 28/2008.

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INTERVISTA A RADIO VATICANA

DELLÂ’ARCIVESCOVO AGOSTINO MARCHETTO

(5 luglio 2008)

« Se non cÂ’è rispetto per la cultura delle popolazioni nomadi, può essere difficile giungere a una reale integrazione e dunque, in prospettiva, anche a un accettabile grado di sicurezza sociale ». LÂ’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti, invita tutti i Paesi a muoversi nella direzione del rispetto dei diritti fondamentali della persona, mettendo in risalto lÂ’esperienza maturata dalla Chiesa a contatto con i Rom, ispirata dai valori del Vangelo.

« Direi che lÂ’impegno principale della Chiesa con gli Zingari è certamente lÂ’accoglienza, che si traduce in visite e contatti, anche poi ci sono dei sacerdoti che vivono stabilmente nei campi zingari. Direi però che la grande questione sia quella della scuola: pensiamo che siano più o meno 4 milioni i ragazzi zingari che dovrebbero andare a scuola. Ci sono delle bellissime esperienze a riguardo: io ho visitato le loro scuole, ma cÂ’è poi anche chi si pone la questione su una loro frequenza nelle scuole normali. In ogni caso, è importante una presenza di quelli che loro chiamano i gagi – cioè quelli che non sono zingari – e curiamo certamente lÂ’evangelizzazione, che va profondamente legata con la promozione umana. Naturalmente, noi, tutti i Paesi, abbiamo fatto un grande cammino: ci sono Paesi più avanzati, con degli ottimi risultati. Penso per esempio alla Spagna, che certamente nel secolo scorso ha svolto un grandissimo compito di integrazione. In ogni caso, quello che è importante è che valutiamo la cosa non solamente da un punto di vista ‘nazionaleÂ’, ma che ci inseriamo nei giudizi, nei pensieri, nellÂ’azione di un contesto internazionale. Ricordo che cÂ’è stato un incontro di consacrati zingari, lo scorso anno, ma teniamo anche dei congressi mondiale ogni due anni: questÂ’anno sarà a Freising, in Germania, allÂ’inizio di settembre, e il tema sarà i giovani zingari nella Chiesa e nella società. Dunque, una cosa vitale, importante perché questa etnia ha moltissimi giovani »

In molte parti del mondo, Eccellenza, lÂ’integrazione dei rom con la popolazione locale presenta spesso dei problemi. In base alla vostra esperienza, maturata sul campo, che cosa può facilitare e cosa ostacolare questa integrazione a livello sociale?

« LÂ’azione fondamentale è la questione culturale, perché anche se sono stabilizzati o semi-stabilizzati, i nostri fratelli conservano una cultura del movimento, della itineranza. Ed è questo credo che crea difficoltà, perché è – mi si perdoni lÂ’espressione – come un pugno nello stomaco alla nostra stabilità e direi anche allÂ’ideale che tutto sia sicuro, tutto a posto ».

Dunque, si può dire che conoscere la cultura rom è certamente un modo per facilitare lÂ’integrazione e, in definitiva, un modo dal quale può scaturire anche una maggiore sicurezza socialeÂ…

« Certamente. È il solito binomio che continuamente riproponiamo nella ricerca di un equilibrio. Io dico sempre: la Chiesa deve cercare, nel rispetto di tutti, di sottolineare quello che è un poÂ’ mancante in un certo momento della storia di un Paese, di un continente. Quindi, se cÂ’è una tendenza, in un certo momento storico, a dimenticare quello che è il rispetto dellÂ’altro nella linea dei diritti fondamentali, io credo che la Chiesa debba dire – ripeto, con rispetto ma anche con convinzione e con forza – quello che è un suo modo di vedere la situazione » .

 

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