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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108, December 2008

 

 

LÂ’istruzione

Erga Migrantes Caritas Christi  

quattro anni dopo

 

 

Arcivescovo Agostino Marchetto

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

  

Chi oggi, più che mai, fra gli uomini e le donne dabbene, non sente lÂ’urgente bisogno dÂ’impegnarsi per costruire la pace? E chi fra di essi non vede la necessità impellente di coinvolgere tutte le forze che ne possono dare un contributo? In questo contesto riscopriamo allora il ruolo importante, significativo, che le migrazioni possono avere nella realizzazione di questo sogno di una più pacifica convivenza fra gli uomini. Ovviamente non è cosa né scontata né spontanea. Occorre educare e sensibilizzare tutti – migranti e autoctoni – al riguardo: è – come si suol dire oggi – una sfida.

Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace di questÂ’anno Papa Benedetto XVI attesta che per vivere in pace “anche la comunità sociale Â… è chiamata a ispirarsi ai valori su cui si regge la comunità familiare”[1]. Tale affermazione vale “per la stessa comunità dei popoli, per la famiglia umana che vive in quella casa comune che è la terra” (GMP 2008, 6). Per cui è necessario che “quanti sono chiamati a formare la comune famiglia umana” siano convinti che “non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle”, riconoscendo in Dio “la sorgente originaria della propria, come dell'altrui, esistenza” (ibid.). Solo così si potrà riconoscere “il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste Â… le premesse per l'edificazione di un'umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un'aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia” (ibid.). 

Come la famiglia, che “ha bisogno di una casa, di un ambiente a sua misura in cui intessere le proprie relazioni”, anche la famiglia umana ha una casa, “la terra, l'ambiente che Dio Creatore ci ha dato perché lo abitassimo con creatività e responsabilità” (ibid., 7). Casa di tutti, dunque, è la terra e da ciò scaturisce la necessità dellÂ’impegno sottolineato dalla Erga migrantes caritas Christi, lÂ’Istruzione pubblicata dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti il 3 maggio 2004, approvata dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 1° dello stesso mese, di cui commemoriamo qui il quarto anno di vigenza[2].

LÂ’Istruzione, rispetto al nostro tema iniziale, sostiene che bisogna mettere in atto sistemi di “formazione alla ‘mondialitàÂ’, a una nuova visione, cioè, della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale” (EMCC, 8). Essa lamenta infatti ciò che la globalizzazione ha operato, poiché “ha aperto i mercati ma non le frontiere, ha abbattuto i confini per la libera circolazione dell'informazione e dei capitali, ma non nella stessa misura quelli per la libera circolazione delle persone” (ibid., 4), in contrasto chiaramente con il concetto pontificio di famiglia umana che abita nella sua casa, la terra. Ma non è una visione solamente papale. Il fenomeno delle migrazioni stesso, infatti, “solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra Â”, che, del resto, “contribuirebbe non poco Â… a ridurre e moderare i flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà” (ibid., 8).

Benedetto XVI ribadisce poi, sempre nel Messaggio dÂ’inizio dÂ’anno, che la famiglia umana “ha bisogno, oltre che di un fondamento di valori condivisi, di un'economia che risponda veramente alle esigenze di un bene comune a dimensioni planetarie” (GMP 2008, 10). A partire dalla visione della famiglia naturale, cioè “occorre promuovere corrette e sincere relazioni tra i singoli esseri umani e tra i popoli, che permettano a tutti di collaborare su un piano di parità e di giustizia. Al tempo stesso, ci si deve adoperare per una saggia utilizzazione delle risorse e per un'equa distribuzione della ricchezza. In particolare, gli aiuti dati ai Paesi poveri devono rispondere a criteri di sana logica economica, evitando sprechi …” (ibid.). Benedetto XVI ricordava inoltre la necessità di “far sì che l'organizzazione economica non risponda solo alle crude leggi del guadagno immediato, che possono risultare disumane” (ibid.).

In effetti, sappiamo – e la EMCC lo attesta esplicitamente – che la famiglia non annulla la persona, per cui ancora una volta siamo dinanzi alla centralità della persona umana (EMCC, 27), fondamentale convinzione di base per la Chiesa. Nel mondo delle migrazioni ne consegue il dovere della “difesa dei diritti dell'uomo e della donna migrante e quelli dei loro figli” (ibid.), nonché “la tutela e la valorizzazione delle minoranze” (ibid.).

Non facciamoci illusioni! La strada è lunga e non priva di difficoltà, come sperimentiamo ogni giorno. Una terra divenuta casa comune di tutta la famiglia umana significa applicazione coerente, in precise situazioni concrete, per la convivenza tra persone di diversa cultura, lingua, tradizione, nazione, religione, ecc, sparse nel mondo e presenti fra noi. Occorre quindi un rinnovato, forte senso di solidarietà e un approfondimento dei “valori condivisi con altri gruppi religiosi o laici, assolutamente indispensabili per assicurare una armonica convivenza” (ibid., 9). Così “il passaggio da società monoculturali a società multiculturali può rivelarsi Â… segno di viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offre un'opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale” (ibid.). Ripeto che è una sfida. 

In questo contesto storico, dellÂ’avvicinarsi a noi, anche fisicamente, di chi ci era lontano pure geograficamente, “caratterizzato di fatto dai mille volti dellÂ’altro”, noi cristiani siamo chiamati “a testimoniare e praticare, oltre allo spirito di tolleranza Â…, il rispetto dell'altrui identità, avviando, dove è possibile e conveniente, percorsi di condivisione con persone di origine e cultura differenti, in vista anche di un ‘rispettoso annuncioÂ’ della propria fede” (ibid.). Certo anche lÂ’altro deve rispettare la cultura, la religione tradizionalmente praticata, le leggi del Paese che lo ospita (cf. ibid., 60 e 64). Attraverso la “cultura della solidarietà, tante volte auspicata dal Magistero” (ibid., 9), si può “giungere insieme ad una vera e propria comunione di persone. È il cammino, non facile, che la Chiesa invita a percorrere” (ibid.) in questÂ’oggi di Dio.

Anche per dare il suo contributo al faticoso cammino verso la pace, il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, giunto felicemente al termine del quarto anno dalla pubblicazione della menzionata Istruzione, è ancora impegnato in unÂ’opera di divulgazione, approfondimento e applicazione coerente del suo non facile contenuto. In tale linea, per quanto riguardo il pensiero,  è stato pubblicato il III volume della collana Quaderni Universitari, che commenta la terza parte del nostro documento, mentre è in corso di stampa il volume con commenti della sua IV e ultima parte. Congressi di approfondimento saranno poi tenuti, questÂ’anno, a Nairobi, per il continente africano, e a Bangkok, per lÂ’Asia.

Siamo anche nella fase – come si dice – di ricezione dellÂ’Istruzione da parte di varie Conferenze episcopali. Mi riferisco per esempio a Belgio, Francia, Germania, Spagna e Svizzera. I miei viaggi in Argentina, in Lussemburgo e negli Stati Uniti dÂ’America vanno in questa linea di ricezione. Certamente si potrebbe cercare di avere Direttori Nazionali applicativi della EMCC, ed è una meta futura.

A proposito di ricezione si potrebbe forse avere lÂ’impressione di un qualche rischio di sottolineatura dellÂ’accoglienza degli immigrati, da parte della Chiesa locale, con arresto alla prima accoglienza, allÂ’opera di carità verso gli immigrati bisognosi, mentre non si deve dimenticare la pastorale loro specifica. Il rischio è anche quello di dimenticare appunto tale specificità per gli immigrati con le sue tradizionali forme, strutture e istituzioni previste per la prima e seconda generazione. Una recente mia presenza a “Mosaico”, su Sat 2000, me ne ha dato un ulteriore indizio.

Certo il nostro cammino per la ricezione equilibrata, nella linea della Tradizione e dellÂ’innovazione, tenendo presenti i cambiamenti in atto nel fenomeno migratorio stesso, appare lungo e non facile. Crediamo peraltro che esso, considerato “segno dei tempi” dal Santo Padre Benedetto XVI[3], è “una sfida da scoprire e da valorizzare nella costruzione di una umanità rinnovata e nellÂ’annuncio del Vangelo della pace” (EMCC, 14). Un qualche prodromo ve nÂ’è stato in questÂ’ultimo anno con il Forum di Bruxelles su “Migrazioni e sviluppo” e a Vienna con quello per la liberazione dalle nuove schiavitù legate alle migrazioni, cui ho partecipato come Capo della Delegazione della Santa Sede.

 


[1] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2008 (GMP 2008), n. 6 in LÂ’Osservatore Romano, 12 dicembre 2008, p. 4.

[2] Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Istruzione Erga migrantes caritas Christi (EMCC) in Acta Apostolicae Sedis XCVI (2004), pp. 762-822.

[3] Messaggio Pontificio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2006 in LÂ’Osservatore Romano, 29 ottobre 2005, p. 4. Cf. anche Agostino Marchetto, Le migrazioni: segno dei tempi in Quaderni Universitari, Vol. I (2005), pp. 28-40.

 

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