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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 108, December 2008

 

 

MIGRAZIONI INTERNAZIONALI: UN FENOMENO COMPLESSO, MA ANCORA POCO COMPRESO*

 

Arcivescovo Agostino MARCHETTO

Segretario del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

"Accogliere gli stranieri? Non è solo un atteggiamento cristiano, ma è innanzitutto l'unica strada realistica per garantire sicurezza alle nostre società". Ad affermarlo, intervenendo con autorevolezza ed equilibrio su uno degli argomenti più delicati dell'agenda politica italiana è Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, giovedì scorso a Genova per intervenire alla conferenza di presentazione del libro "Il caso zingari", curato dal presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo. Trentacinque anni di servizio diplomatico, dei quali venti trascorsi in Africa, monsignor Marchetto è stato nominato nel 1999 da Giovanni Paolo II osservatore permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni e gli Organismi delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. Da più di sei anni presiede il consiglio che si occupa dell'animazione della pastorale specifica di tutti i settori della mobilità umana: dalle migrazioni interne ed internazionali agli studenti esteri, dai rifugiati ai pellegrini, dai nomadi ai turisti e agli operatori a bordo delle navi da crociera, dai senza dimora ai camionisti. Il suo è un punto di vista qualificato e competente, di chi osserva i fenomeni complessi della migrazione e dell'itineranza "per fornire materiale e stimoli alle diverse conferenze episcopali, come un vero e proprio think tank".

Al di là delle cronache, quello delle migrazioni internazionali sembra un fenomeno complesso, poco compreso. Come è cambiato in questi ultimi decenni?

Se un tempo si poteva parlare dello spostamento della popolazione in termini riduttivi, oggi quello delle migrazioni è un fenomeno strutturale che tocca indiscriminatamente tutti i paesi del mondo come punti di partenza, di transito o di destinazione: si calcolano circa 200 milioni di migranti economici e 12 quasi milioni di rifugiati. È un fenomeno difficile da inquadrare con delle semplificazioni anche perché si tratta sempre più di flussi migratori misti ed è difficile distinguere, per esempio, tra rifugiati e migranti economici. C'è stata poi una progressiva femminizzazione del fenomeno migratorio, con conseguenze evidenti sulle famiglie.

Lei è un grande conoscitore della realtà africana, come influisce l'immigrazione nei rapporti tra Nord e Sud del mondo?

La cosa che colpisce di più è come i paesi sviluppati siano capaci di vedere solo gli aspetti che li riguardano direttamente in questo fenomeno, senza riuscire a comprenderlo appieno: anche se noi non ce ne accorgiamo, per esempio, la migrazione più massiccia oggi è quella tra paesi del Sud del mondo ad altri paesi poveri limitrofi. Inoltre oggi assistiamo ad un massiccio traffico di esseri umani che può essere definito come una nuova schiavitù, più grave di quella antica come numero e varietà. Una schiavitù sofisticata, che commercia gli uomini costringendoli al lavoro forzato, alla prostituzione, al traffico di organi: questa è l'espressione di un mondo che si dice libertario, ma che, alla fine, non rispetta la libertà umana.

Sant'Egidio, che ha organizzato l'incontro al quale è intervenuto, è in prima linea nel dialogo con le altre religioni e culture. Lei ha partecipato a diversi meeting nello "spirito di Assisi". Ritiene che l'immigrazione sia un rischio per l'identità europea o potrebbe essere una risorsa per il dialogo?

Mi piace parlare delle migrazioni come una sfida. Di fronte ai massicci fenomeni migratori si aprono due scenari possibili: il primo è che l'incontro tra culture differenti sia un'occasione per la convivenza pacifica, per conoscere e riscoprire vicini i lontani. Gli immigrati potrebbero aiutare a costruire un mondo che sia unito pur nelle diversità e, invece di minacciare le specificità, aiutare il ravvivarsi di identità spente e addirittura la riscoperta delle radici religiose. Il secondo scenario è quello che è stato chiamato lo scontro di civiltà, secondo il quale l'immigrazione creerà inevitabilmente contrasti, rivendicazioni identitarie, tensioni e, alla fine, conflitto. Io credo che alla fine prevarrà la chance, per cui l'incontro sarà un'occasione per conoscere le nostre differenze e una propedeutica che insegnerà a vivere insieme: lo credo innanzitutto perché sono cristiano, ma anche perché guardo alla società con realismo.

In Italia oggi si parla della "questione sicurezza" con toni molto accesi. Quanto influiscono i mass media nel modo di trattare il tema immigrazione?

Per le regole intrinseche al loro stesso essere i mezzi di comunicazione sociale sono portati a mettere in rilievo gli elementi di contrasto presenti nei diversi fenomeni piuttosto che quelli positivi. I mass media dovrebbero comprendere le ripercussioni profonde che i loro servizi hanno su una società come la nostra e come spesso portino ad un'esasperazione della realtà. Penso agli zingari, di cui si parla solo in casi estremi di criminalità che capitano, ma non sono la norma. Gli zingari però sono anche lavoratori, abbiamo esempi positivi di integrazione, alcuni anche ad un buon livello e persino tra calciatori di serie A, ma questo non lo si sente dire perché c'è una mentalità contraria che è molto forte.

Si discute dell'opportunità di istituire il reato di immigrazione clandestina. Qual è la sua opinione in proposito?

La criminalizzazione dell'immigrazione e della povertà, perché di questo si tratta, sono cose che mi preoccupano: vorrei dire che il rispetto dei diritti umani non dipende da quello che pensa la gente. Per questo mi auguro un miglioramento della prospettiva in cui il nostro paese vive in questi giorni, perché temo conseguenze molto gravi sul piano etico. La sicurezza e l'accoglienza vanno coniugate insieme, con sottolineature diverse a seconda della situazione, ma senza mai sopprimere uno dei due elementi.

Il libro che lei ha presentato, "Il caso zingari", affronta la storia poco nota del genocidio del popolo rom e introduce la categoria dell'antigitanismo. Esiste oggi un "caso zingari"?

Per capire un popolo bisogna conoscerne la storia, e le persecuzioni alle quali sono stati soggetti gli zingari per secoli, toccando il loro apice con il genocidio da parte del regime nazista. Studiare questo fa capire molto dei difficili rapporti tra le comunità zingare e i gagè, i non zingari. Ancora oggi, poi, lo straniero, il diverso, crea difficoltà, e più uno è diverso più crea difficoltà. È il caso dei popoli rom e sinti, anche se l'Italia è uno dei paesi dove ne abitano meno rispetto al resto d'Europa. L'antigitanismo si capisce così: veramente gli zingari sono molto diversi da noi, perché sono la contestazione più radicale della nostra società consumistica. Nomadi come spirito, anche quando si sono sedentarizzati, fedeli alla monogamia e alla famiglia. L'uomo di oggi è poco portato a confrontarsi con questa libertà. Non a caso gli zingari sono chiamati "la gente del vento"; e il vento, come dice Gesù, soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va.

 


* Sergio Casali, da “Il Cittadino” Settimane Catt. di Genova, 8 giugno 2008.

 

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