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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 110 (Suppl.), August 2009

 

 

Don Federico Schiavon, SDB

Direttore Nazionale

Ufficio Nazionale

Pastorale Rom e Sinti

Italia 

 

Presento qui alcune linee sintetiche di riflessione, frutto anche dello scambio comunitario che, in svariate forme, anima la pastorale di cui sono responsabile.

Ritengo che il tema proposto chieda di essere trattato da un duplice punto di vista: come viene svolta una pastorale integrata – qui cifrata dal binomio evangelizzazione/promozione umana – a favore dei giovani zingari; ma anche che spazio hanno i giovani zingari come protagonisti e soggetti attivi della pastorale. Lo sfondo è quello della post-modernità, rappresentata soprattutto sotto il profilo della multiforme offerta ideologica ed etica, e sottintende la domanda: i giovani Rom e Sinti (se permettete, utilizzerò questa espressione, perché come è stato più volte sottolineato anche in questa sede, la parola “zingari” suona dispregiativa nel contesto italiano) come sono influenzati dal contesto plurale che contraddistingue la società europea?

Rispetto a questa domanda mi sembra di poter dire che, pur nelle ovvie diversità, i giovani rom e sinti non vivono in un ambiente isolato, ma entrano in contatto con il mondo circostante non solo attraverso la “vecchia” televisione, ma anche con una discreta capacità di navigazione nella rete informatica, quanto meno per cercare le informazioni che loro stessi ritengono interessanti. Tuttavia, almeno per lÂ’esperienza mia e degli operatori a me più vicini, la coesione del gruppo familiare allargato è tanto grande, che le opinioni sia religiose che morali che sentiamo loro esprimere sono molto più tradizionali dei jeans strappati e delle magliette firmate che indossano. Come è noto, questa forte tenuta del gruppo, offre del resto anche alcune resistenze allÂ’assunzione di modalità di partecipazione ecclesiale che noi tutti auspicheremmo.

Prima di tirare alcune conclusioni sul primo punto, è necessario estendere lÂ’attenzione al tema del “soggetto” dellÂ’evangelizzazione: non può essere limitato ad alcuni “operatori”, addetti al settore. Il soggetto dellÂ’evangelizzazione è tutta la comunità ecclesiale: anche se si può esprimere più specificamente attraverso alcuni/e, ripeto, soggetto è tutta la comunità. Questa non è solo una pia osservazione, è purtroppo la messa in evidenza di una grave difficoltà: come certo sapete anche dai mezzi di comunicazione, in Italia siamo di fronte a fenomeni razzisti e xenofobi, in cui i Rom/Sinti, non solo di recente immigrazione ma anche cittadini italiani da generazioni, sono costantemente coinvolti, fino a diventare il simbolo stesso di “coloro che non vogliamo”, “immondizia”, zona da “derattizzare”. Queste posizioni danno luogo anche ad azioni violente ed escludenti, ma sono da sorvegliare anche come fenomeno dÂ’opinione: striscianti e persuasive creano, anche nei giovani, un senso di “accerchiamento”, di “scontro di civiltà” che si cristallizza in pregiudizi così gravi da apparire inamovibili. Purtroppo dobbiamo dire che, al di là di alcune o forse non poche voci solidali, questo atteggiamento non risparmia affatto i credenti e le comunità cattoliche, tanto da far parlare a più livelli di una “emergenza educativa”. Da qui, dunque, discende la grave difficoltà di cui parlavo: come potranno sensatamente i giovani Rom/Sinti accogliere la “parola del Vangelo” presentata da una comunità che, nel suo insieme, li rifiuta e li disprezza? Qua non si tratta neanche di “pluralismo” etico, perché cÂ’è ben poco di “etico” in questo disprezzo!!

Da questo punto di vista “evangelizzazione e promozione umana” sono giustamente inscindibili, non solo nellÂ’ovvio senso che è necessario vigilare perché siano rispettati i più elementari diritti delle persone, ma anche perché è necessario operare perché si costituisca uno sfondo di riconoscimento e di rispetto che è previo ad ogni azione, anche solidale: anche la solidarietà, altrimenti, sarà facile campo di atteggiamenti colonialistici, ancorché animati da buona volontà.

Da tutto questo – trasmissione tradizionale nelle famiglie / difficile rapporto con la più ampia comunità ecclesiale – discende il fatto che sono una minoranza i giovani e ragazze Rom/Sinti cattolici che partecipano a pieno titolo alle attività ecclesiali. Minoranza non vuol dire che non esistano, qualcuno anche in un cammino di impegno ministeriale o di vita consacrata (vedi congresso recentemente svoltosi), più generalmente nellÂ’impegno a formare famiglie vitali e felici. Certo il loro cammino è in salita e più di altri/e sperimentano la fatica insieme alla gioia di una “misura alta della santità”. Siamo anche a conoscenza di Rom/Sinti che abitano in mezzo alla popolazione “non Rom” e che partecipano alle attività parrocchiali, ma nascondono, per i motivi sopra ricordati, la propria identità etnica.

Con questo mi avvicino anche al secondo punto di vista, cioè alla considerazione di giovani Rom/Sinti come soggetti di evangelizzazione e promozione umana del loro popolo e della più ampia comunità religiosa e civile di appartenenza. Come è noto in Italia la popolazione romani è numericamente minoritaria (si stimano da 180.000 a 200.000 persone: anche se si dovessero aumentare di molto queste cifre, la proporzione rispetto allÂ’intera popolazione è minima!) e presenta gravi difficoltà anche nella scolarizzazione. Ciononostante assistiamo con orgoglio e speranza al sorgere di un associazionismo zingaro, che si sviluppa grazie anche alla presenza di giovani uomini e donne Rom/Sinti che non solo hanno conseguito gradi accademici in diverse discipline, ma vogliono anche mettere la loro competenza e la loro passione a servizio del proprio popolo e della società italiana di cui sono a pieno titolo parte. La dott.ssa Eva Rizzin, qui presente, ben ne rappresenta potenzialità e istanze.

Questo fatto relativamente recente per lÂ’Italia, ci porta anche ad interrogarci dal punto di vista ecclesiale: cosÂ’è che impedisce o quanto meno rallenta unÂ’analoga presa di parola allÂ’interno della comunità ecclesiale? Certo gli elementi sopra ricordati, sono in parte risposta anche a questo interrogativo; ma forse dovremmo interrogarci più ampiamente sui processi di comunicazione e sugli strumenti di partecipazione nelle nostre comunità, al di là delle intenzioni, più simili a scuole che vogliono insegnare che a “case di comunione” in stato di laboratorio fraterno “in un mondo che cambia” (cfr documenti CEI per il decennio in corso).

UnÂ’ultima osservazione: giovani Rom/Sinti in Italia non sono solo cattolici, ma anche cristiani di altre confessioni (soprattutto ortodossi e pentecostali evangelici) e musulmani; molto più rara la situazione di qualcuno che si definisca “non credente”. Gli operatori della pastorale in Italia offrono certo una cura pastorale particolare alle comunità cattoliche, ma sono presenti anche fra gli altri. A tutti questi Rom/Sinti manifestiamo una profonda gratitudine: la vita insieme ci conduce a toccare con mano la grazia tutta spirituale di vivere insieme verso diversità rispettate e riconciliate; ci insegna nella pratica che lÂ’ecumenismo non è un optional, ma una via di non ritorno e che il dialogo interreligioso vive di relazioni fraterne e di pane condiviso, anche quando gli strumenti teorici non sono dei più sofisticati.

Per tutto questo pur nella serietà della situazione, guardiamo con fiducia al futuro: nella speranza infatti siamo salvati

 

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