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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 110 (Suppl.), August 2009

 

 

 

Sig. Branislav Savic

RomA

Italia

 

Vorrei ringraziare per lÂ’invito a parlare in questo convegno.

Qui insieme stiamo parlando dei rom e in particolare dei giovani rom. Io sono uno di quei rom di cui si sta discutendo: mi chiamo Branislav Savic (ma tutti mi chiamano branco), sono nato a Roma 25 anni fa da genitori provenienti dalla Jugoslavia e ho sempre vissuto a Roma. Sono contento di poter parlare qui oggi, dopo un anno in cui si è parlato molto di noi nelle maniere più assurde.

Vorrei dire alcune cose sulla condizione dei giovani rom.

Credo che il primo problema di noi rom che non siamo italiani sia quello dei documenti. Molti di noi non riescono ad integrarsi perché sono privi del passaporto. Ci sono tanti ragazzi come me originari dalla ex-Yugoslavia che pur essendo nati in Italia e avendo sempre vissuto in Italia non sono cittadini italiani, e non sono neppure cittadini della ex-Yugoslavia perché le diverse ambasciate di quello che un tempo era un unico stato non li riconoscono come tali.

Un secondo problema è quello della diffidenza e del razzismo nei confronti dei rom. Nelle persone cÂ’è molta ignoranza verso noi rom. Questa ignoranza diventa facilmente razzismo, ed è spesso alimentato da dichiarazioni di politici e soprattutto dai mass- media. Si diffonde lÂ’idea che essere rom vuol dire essere cattivi, delinquenti. Penso al martellamento mediatico che si è fatto dopo lÂ’omicidio della signora Reggiani. Pochi sanno quante difficoltà vivono i rom. Penso in particolare ai giovani.

Pochi sanno che riuscire a trovare un lavoro regolare è veramente qualcosa di estremamente complicato. Bisogna nascondere chi sei, non dire dove abiti (se vivi in un campo nomadi), bisogna avere i documenti in regola. Io stesso ho avuto un permesso di soggiorno duraturo solo a 24 anni. Fino a quellÂ’età ho avuto i documenti solo in alcuni periodi. Senza essere “in regola”, vivevo come un fantasma. Eppure sono nato a Roma e ho sempre vissuto in questa città. Sono stato iscritto allÂ’anagrafe al momento della nascita. Ma i miei genitori non mi hanno mai messo sui loro “permessi di soggiorno”, così ho vissuto 24 anni di paure, sempre col timore di girare per la strada e di incontrare un poliziotto che mi chiedesse i documenti.

Ho vissuto la mia infanzia in un campo nomadi, vi assicuro che non è bello vivere in una baracca, con la paura che il campo venisse sgomberato e con i controlli della polizia a tutte le ore del giorno e della notte. Molti pensano che gli zingari amino vivere nei campi nomadi perché questa è la loro natura, perché sono persone libere. A me i campi non sono mai piaciuti.

Mi sono sempre sembrati lager, perché sono posti brutti dove sei costretto a vivere isolato dal mondo esterno. Ma vivere lì non vuol dire essere un mostro.

Ho vissuto lÂ’infanzia di molti rom: anche io da piccolo vendevo rose e chiedevo lÂ’elemosina. Ma sono andato a scuola, ed ho avuto i miei amici della Comunità di SantÂ’Egidio che mi hanno sempre aiutato, voluto bene e sostenuto. Non tutti i bambini rom hanno questa fortuna.

Io oggi sono una persona adulta, sono sposato con una ragazza gagì italiana e sono padre di un bel bambino. Lavoro da otto anni come cameriere. AllÂ’inizio è stata dura, dovevo lavorare in nero perché non avevo i documenti italiani. Quante volte mi hanno sbattuto la porta in faccia, quando ho detto che ero un rom.

Quello del lavoro è stata una svolta della mia vita: ero cresciuto, avevo finito la terza media, ma volevo pensare al mio futuro. Così mi sono impegnato molto. Non è stato facile. Non mi sono mai vergognato di dire “sono zingaro”. Certo sarebbe stato molto più facile non dire niente, avrei avuto meno problemi, ma volevo che la gente capisse che noi rom siamo persone come tutte, gente brava e meno brava, come tante persone di questo mondo.

Oggi lavoro come responsabile di servizio in un grande ristorante al centro di Roma, con circa 40 dipendenti. Lavoro 10 ore al giorno, pago le tasse, vivo in un appartamento vicino san Pietro con mia moglie, il nostro bambino e mio suocero. Mi ritengo fortunato, perché in un certo senso sono uno che ce lÂ’ha fatta. Ma non potete immaginarvi quanto ho dovuto lottare e quanto ho dovuto soffrire per arrivare a questo punto. Quando le persone mi incontrano per la prima volta non immaginano che io sia zingaro, mi vedono elegante, sentono che parlo un italiano senza alcun accento slavo, capita pure che qualcuno cominci a parlare male dei rom. Ma io non mi nascondo, sono contento di dire che sono rom e di spiegare che ho lottato molto per cambiare vita, non per diventare un gagiò, perché una vita onesta e dignitosa non è solo un desiderio dei gagè ma anche di tantissimi zingari. La gente quando mi sente parlare così rimane imbarazzata, ma poi fa domande, vedo che capisce, che cambia idea.

Credo sia molto importante, pensando ai giovani rom, aiutarli a studiare; devono esserci giovani rom laureati, che possano stare con gli altri giovani alla pari, senza vergognarsi.

E poi bisogna investire sul lavoro: quando hai un lavoro onesto sei un signore!

Tanti ragazzi e ragazze rom non riescono nemmeno a pensare ad un futuro per loro. Vivono alla giornata. E le giornate nei campi non sono proprio belle! Ma non è facile pensare un futuro diverso, quando nasci e cresci in una discarica. Nella realtà sei comunque meno degli altri. Meno istruito, meno ricco, meno bello. E tu credi che non sarai mai come gli altri. Così pensi che devi essere più furbo e ti difendi disprezzando gli altri, rubando, facendo casini. Così alcuni scelgono strade sbagliate, altri credono che basti sposarsi e tirare avanti. Altri vivono così come viene. Molti ragazzi non hanno lÂ’idea di costruirsi un futuro, di faticare nella scuola e nel lavoro perché il domani sia migliore.

Ma lÂ’istruzione, il lavoro, la dignità, sono solo parole finché non le sperimenti sulla tua pelle! Troppi ragazzi ancora non lÂ’hanno mai provati. Dobbiamo aiutarli a cambiare mentalità, ma credo che riusciremo a farlo solo sostenendo lo studio il lavoro e condizioni di vita migliori per tutti.

Prima di concludere vorrei dire alcune cose sul mio rapporto con la Chiesa.

A me è sempre piaciuto andare in chiesa.  Da piccolo andavo fuori dalle chiese con i miei fratelli per chiedere lÂ’elemosina, mi ricordo che la gente si fermava e ci dava un piccolo aiuto. Alcuni però ci trattavano male, a volte ci cacciavano. Mi ricordo che a volte anche i parroci ci dicevano di andar via e di non tornare più. Ma in generale i rom cercano le chiese perché sanno che è la casa di dio e che lì incontrano gente buona. Il primo libro che ho letto è stata una bibbia illustrata che mi hanno regalato due amici. LÂ’ho letta tutta, non capivo tutto, ma mi piaceva tanto leggere o ascoltare queste storie così vere e toccanti. Poi ho cominciato anche ad andare a messa, ci vado regolarmente e mi piace andare in chiesa, perché davanti a dio siamo tutti uguali.

Ricordo Paolo, il mio padrino di battesimo e poi di cresima: da bambino mi disse che dovevo leggere la bibbia prima di fare la cresima, perché non si doveva fare così per abitudine o per fare la festa.

Penso che dovremmo trovare il modo di parlare di più di Gesù e dei sacramenti ai bambini rom. Anche in questo loro sono trattati male! Tutti i bambini gagé vanno normalmente al catechismo, i bambini rom no: o qualcuno li va a cercare al campo o niente sacramenti. In questo dobbiamo fare di più.

Io cerco di vivere lÂ’amore di Gesù provando ad essere generoso con le persone meno fortunate. Ad esempio sono sempre molto disponibile a far lavorare quei rom che hanno bisogno.

Li prendo al ristorante con me, gli insegno a lavorare, mi prendo cura di loro. Questo per me è come fare volontariato. Alcuni miei amici zingari aiutano come volontari altri rom che chiedono aiuto al centro di accoglienza della comunità di SantÂ’Egidio a Roma. Sono sinti e rom di varie età e nazionalità che a titolo del tutto gratuito aiutano i rom più poveri di loro. Questo lo abbiamo imparato fin da bambini con SantÂ’Egidio: tutti possono fare qualcosa per gli altri.

Credo che bisogna puntare sui giovani, sulle nuove generazioni, non solo sui giovani rom, ma su tutti i giovani.

Ci si deve conoscere. Il cambiamento nasce dal confronto, dalla conoscenza. Altrimenti si premieranno solo quei giovani che vorranno essere come gagé: ma non è un male essere rom! Tutti dobbiamo cambiare per essere migliori rom e gagé: è quello che dice Gesù quando ci chiama a convertirci. Si può essere giovani rom che non rinnegano la propria appartenenza ma vivono lÂ’integrazione e lÂ’amicizia con tutti. In questo essere cristiani è un grande aiuto!

Grazie ancora tutti 

 

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