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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 110, August 2009

 

 

 

“Sulla dignità non si TRATTA”

INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO AGOSTINO MARCHETTO AL CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE

COMUNITÀ PAPA GIOVANNI XXIII 

 (Roma, 20 maggio 2009) 

 

1. La Santa Sede apprezza gli sforzi compiuti a vari livelli per combattere il traffico di esseri umani, un problema dai molteplici aspetti e uno dei fenomeni più vergognosi della nostra epoca. Infatti il traffico di esseri umani è una tremenda offesa alla dignità umana, che la dottrina sociale della Chiesa cattolica considera fondamento dei diritti dell'uomo. È ben noto che la povertà e la mancanza di opportunità e di coesione sociale spingono le persone a ricercare un futuro migliore, nonostante i relativi rischi, rendendole estremamente vulnerabili a questo traffico. Inoltre, è necessario evidenziare che attualmente diversi fattori contribuiscono alla diffusione di questo crimine, e precisamente l'assenza di norme specifiche in alcuni Paesi, l'ignoranza dei propri diritti da parte delle vittime, la struttura socio-culturale e i conflitti armati. Potrei aggiungere, personalmente, che anche il restringimento attuale per i migranti dell’accesso regolare ai Paesi sviluppati spinge molti a cercare vie alternative irregolari.

La Santa Sede incoraggia tutte le iniziative giuste, tese a sradicare questo fenomeno immorale e criminale e a promuovere il benessere delle vittime. Il Protocollo di Palermo e le successive convenzioni regionali hanno introdotto un'esaustiva legislazione internazionale contro il traffico di esseri umani. Inoltre, la Santa Sede ha osservato con soddisfazione l'entrata in vigore, all'inizio di febbraio 2008, della convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di esseri umani.  

2. La Santa Sede è stata sempre consapevole della gravità del crimine del traffico di esseri umani. Nel 1970, Papa Paolo VI creò una Pontificia Commissione (ora Consiglio) della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, che monitora anche la questione delle vittime del traffico di esseri umani, considerate una delle categorie di schiavi dei tempi moderni.

In questa prospettiva, lo stesso Pontificio Consiglio ha organizzato due congressi mondiali: il primo per la liberazione delle donne di strada, e il secondo per i ragazzi di strada (vedi People on the Move n. 102 suppl. e n. 98 suppl.). Questi Congressi hanno incentivato la pubblicazione delle Guidelines for the Pastoral Care of the road-street (vedi People on the Move, n. 104 suppl., pubblicato in 6 lingue), che contengono suggerimenti concreti, inclusi quelli di molte azioni che sono già state compiute nella lotta al traffico di esseri umani.

Poiché la Chiesa cattolica è presente nel mondo a livello sia locale che universale, l'azione del nostro Pontificio Consiglio consiste in particolare nell'incoraggiare le varie Conferenze episcopali a lottare contro il traffico di esseri umani con la partecipazione di religiosi, uomini e donne, laici, varie associazioni, diversi movimenti, ecc.

Fra l'altro, la Santa Sede ha affermato che tutti gli sforzi volti ad affrontare le attività criminali e a proteggere le vittime del traffico dovrebbero includere "sia uomini sia donne e porre i diritti umani al centro di tutte le strategie". Anche l'aspetto della domanda che è alla base dello sfruttamento sessuale ed è costituita dai ""clienti", da uomini comuni, ossia giovani, mariti e padri, andrebbe indagato; ciò richiede una migliore conoscenza dei motivi per comprendere le ragioni dell'abuso delle donne". Questo stesso approccio dovrebbe essere applicato ad altre forme di traffico: per esempio, forme illecite di subappalto che traggono profitto da condizioni di lavoro basate sullo sfruttamento.

A livello locale, questi temi sono stati affrontati da alcune Conferenze episcopali (ad es. di Nigeria, Irlanda, Spagna e da alcuni Vescovi del Canada) attraverso lettere pastorali incentrate sulle specifiche situazioni locali. Ciò ha prodotto un impegno diretto delle organizzazioni e delle istituzioni cattoliche in diversi Paesi nell'assistenza alle vittime. Tale impegno consiste nel prestare loro ascolto, nell’offrire l'aiuto necessario e il sostegno per sfuggire alla violenza sessuale, creando case sicure, promuovendo un servizio di consulenza per reintegrarle nella società, oppure per aiutarle a ritornare in modo conveniente nei loro paesi d'origine e per sostenere attività di promozione della consapevolezza del fenomeno e della prevenzione. Inoltre, in Paesi che hanno affrontato violenti conflitti (ad esempio in Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Liberia), la Chiesa cattolica si è anche occupata dei bambini soldato che spesso corrono il rischio di venire venduti, una volta lasciata la milizia. Si intraprendono così attività non solo per la loro integrazione sociale ed economica, ma anche per lenire le ferite e sostenere la famiglia e/o la comunità che li accoglie. Lo dimostrano numerose iniziative intraprese da congregazioni religiose. L’Italia in questo è esemplare se solo pensiamo alle oltre 200 religiose impegnate nel Paese per la liberazione delle donne di strada, molte delle quali sono africane.

3. Desidero ora richiamare alcuni punti fermi di un documento ormai in dirittura finale d’arrivo e che porterà la firma congiunta del Pontificio Consiglio Cor Unum e del nostro Pontificio Consiglio, riguardo ai Rifugiati e Migranti forzati. Essi concernano i soggetti al traffico di esseri umani.

A tale proposito nelle linee Guida dell’UNHCR relative ad essi si afferma che alcune vittime “potrebbero rientrare nella definizione di rifugiato di cui all'articolo 1A(2) della Convenzione del 1951 e quindi avere il diritto alla protezione internazionale per i rifugiati” (n. 12). Difatti, l’Agenda dell’UNHCR per la Protezione, del 26 giugno 2002, fa appello agli Stati affinché assicurino “che i propri processi per l’asilo siano aperti a ricevere richieste dalle singole vittime del traffico, soprattutto donne e ragazze, che possono motivare la loro richiesta di asilo con ragioni non manifestamente senza fondamento”.

Il traffico di esseri umani è un problema pluridimensionale, sovente legato alla migrazione, ma va ben al di là dell’industria del sesso, comprendendo anche il lavoro forzato di uomini, donne e bambini in vari settori industriali, comprendendo pure l’edilizia, i ristoranti e gli alberghi, l’agricoltura e il servizio domestico. Se da una parte il lavoro forzato è collegato alla discriminazione e povertà, agli usi locali, alla mancanza di terra e all’analfabetismo della vittima, dall’altra ha un nesso con il lavoro flessibile e a buon mercato, da cui spesso derivano bassi prezzi al consumo, rendendo la cosa allettante per i datori di lavoro.

Le diverse forme di traffico richiedono misure e approcci distinti, volti a ridare dignità alle vittime. Sebbene la comunità internazionale abbia adottato nel 2000 il Protocollo per prevenire, reprimere e punire il traffico degli esseri umani, soprattutto di donne e bambini, la sua applicazione a livello nazionale è stata quanto mai varia, a seconda del tipo di approccio alla questione adottato da ogni Stato, approccio che va dal “criminale” al migratorio o legato ai diritti umani.

4. Dobbiamo comunque ammettere che non esistono soluzioni facili. Affrontare questi particolari abusi dei diritti umani richiede un approccio coerente e integrale. È necessario prendere in considerazione non solo il migliore interesse delle vittime, ma anche la giusta punizione per quanti ne traggono vantaggio e l'introduzione di misure preventive volte, da una parte, ad aumentare la consapevolezza e la sensibilità e, dall'altra, ad affrontare le cause di questo fenomeno, fra le quali di certo non va trascurata la situazione macroeconomica. In questo i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo determinante.

Fra l'altro, un approccio coerente e integrale dovrebbe promuovere anche l'integrazione delle vittime nella società che le accoglie, in particolare di quante collaborano con le autorità contro i trafficanti, il che include assistenza sanitaria e consulenza psico-sociale, soluzioni abitative, permessi di soggiorno e possibilità d'impiego. Da considerare è pure il ritorno nel paese d'origine, che può essere accompagnato dalla proposta di micro progetti e/o di prestiti, assicurando in tal modo che le vittime non ritornino nello stesso ambiente pericoloso senza risorse.

Inoltre, si potrebbero introdurre misure per la creazione di schemi di compensazione che potrebbero essere finanziati dalla confisca dei profitti e dei beni che i trafficanti hanno ottenuto con le attività criminali.

5. In ogni caso, molti Paesi consentono alle vittime dello sfruttamento sessuale conseguente al traffico di esseri umani di restarvi per il periodo necessario alle indagini contro i trafficanti, mentre in questo tempo le loro necessità sono solo parzialmente prese in considerazione. Una volta completate le indagini giudiziarie, generalmente vi è il rimpatrio, con o senza un relativo “pacchetto” di sostegno. Solo in pochi Paesi esistono misure volte ad assicurare la protezione di queste vittime, dando loro la possibilità di rimanere nella società ospitante e di integrarvisi, almeno a certe condizioni.

Aggiungo che per prevenire il traffico di esseri umani oggigiorno si fa spesso ricorso a politiche d’immigrazione più severe, a maggiori controlli alle frontiere e alla lotta al crimine organizzato. È un approccio ristretto e limitato, insufficiente per contrastare il fenomeno e si rischia così di mettere in pericolo la vita delle vittime. È necessario invece affrontare le vere cause del fenomeno perché, fin quando le vittime che sono rimpatriate si ritrovano nelle stesse condizioni da cui hanno cercato scampo, il traffico non si interromperà facilmente. Quindi le iniziative anti-traffico devono mirare anche a sviluppare ed offrire a costoro possibilità concrete di sfuggire appunto al ciclo povertà-abuso-sfruttamento.

Come affermato da Papa Benedetto XVI, nella sua Enciclica sulla speranza: "La misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (Lettera Enciclica Spe salvi, n. 38).  

 

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