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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 111, December 2009

 

GLOBALIZZAZIONE, SVILUPPO E MIGRAZIONI

 

S.E. Mons. Antonio Maria Vegliò

Presidente del Pontificio Consiglio

della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti

 

Eminenze, Eccellenze,

stimati partecipanti a questo VI Congresso Mondiale della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati,

Sono felice di darvi il benvenuto a questo importante appuntamento, che ormai è entrato a far parte delle tappe che scandiscono la vita e l’attività del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, di cui sono divenuto Presidente lo scorso 28 febbraio, designato dalla benevolenza e dalla fiducia del Santo Padre Benedetto XVI, che avremo la gioia di incontrare proprio agli inizi dei nostri lavori congressuali.

Insieme a me, vi salutano l’Ecc.mo Segretario, Mons. Agostino Marchetto, il Sotto-Segretario, Mons. Novatus Rugambwa, i Membri, i Consultori e gli Officiali del Dicastero, con l’auspicio che questo importante Incontro offra a tutti l’opportunità di riflettere ed elaborare, nella sinergia delle nostre arricchenti diversità, idee e piani d’azione che orientino la Chiesa e la società civile a riconoscere sempre più e sempre meglio che “ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione” (Caritas in veritate, n. 62).

In effetti, le migrazioni hanno raggiunto il record storico di circa duecento milioni di persone che vivono in un Paese differente da quello di nascita. Ed ogni anno sono centinaia di migliaia coloro che lasciano la loro casa e oltrepassano le frontiere nazionali in cerca di sicurezza e di benessere per sé e per le loro famiglie.

Trentatré milioni di persone sono attualmente sotto mandato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR): si tratta, soprattutto, di rifugiati, richiedenti asilo, profughi, “internally displaced persons” e apolidi, in maggioranza dislocati nei Paesi in via di sviluppo.

Per quanto riguarda infine l’immigrazione irregolare, si stima che ne sia coinvolto almeno il 15% della popolazione migrante totale, purtroppo spesso alimentando un “mercato parallelo” di tratta e traffico di esseri umani (trafficking e smuggling), frequentemente gestito dalla criminalità organizzata[1].

Nell’era della globalizzazione, favorita dal progresso nelle comunicazioni e nei trasporti, squilibri economici e demografici tra diverse aree del pianeta spingono la gente a migrare, spontaneamente o per costrizione. Di questo fenomeno hanno preso nota Governi e Istituzioni internazionali come motivo di inquietudine nel dibattito politico e nella convivenza sociale, tenendo in conto che, sotto il profilo dei nuovi scenari prodotti anche dalla crisi economico-finanziaria, che nell’ultimo periodo ha investito il mondo intero, i lavoratori migranti sono i più colpiti dal deterioramento del mercato del lavoro, i primi ad essere licenziati e gli ultimi ad essere assunti in forma regolare.

In tale contesto, abbiamo constatato in tempi recenti, spesso con tristezza e preoccupazione, che il modello dell’integrazione che impone l’assimilazione forzata, umiliando la persona e il suo patrimonio di cultura e di tradizioni, presto o tardi provoca rivolta e violenza.

Ecco, invece, che nella società contemporanea – multietnica, multireligiosa e multiculturale Â– avvertiamo la sfida del dialogo come itinerario di pacificazione e di sviluppo, che promuove le dinamiche interculturali dell’incontro delle persone fino a permettere che tutti sperimentino i vantaggi della buona globalizzazione, dove ognuno, pur rimanendo se stesso, nel medesimo tempo si apre all’accoglienza delle altre culture[2].

Gli spostamenti umani contemporanei, volontari o forzati, ci pongono di fronte a una sfida, certo non facile, perché tratteggiano il volto di un fenomeno globale e caleidoscopico, a motivo dell’interconnessione tra fattori economici, sociali, politici, culturali, religiosi e di sicurezza, che ne compongono i lineamenti. Infatti, la difesa e la promozione dei diritti umani, contestualmente ai doveri che a tutti competono, sono elementi essenziali per il bene dei singoli, dei popoli e dell’intera famiglia umana.

Nel caso delle migrazioni e del rifugio, la persistenza dello sfruttamento, della discriminazione e degli abusi rende il compito urgente. Vi sono interpellati, in prima linea, soprattutto coloro che hanno responsabilità di governo, ma in sinergia con tutte quelle forze sociali, culturali, educative, istituzionali ed ecclesiali che ne hanno competenza, in modo da condurre itinerari concertati a livello di progettazione, per individuare e realizzare modelli di integrazione e di coesione. E ciò si fonda sulla convinzione che un approccio settoriale non è sufficiente per conseguire la buona gestione del fenomeno, che ha come punto di partenza l’accoglienza e la solidarietà.

Nel 1990 le Nazioni Unite hanno adottato uno strumento di ampia portata, la “Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie”, entrata in vigore il primo luglio 2003 e la cui ratifica è stata vivamente raccomandata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI. Essa, sotto certi aspetti, tutela anche gli immigrati irregolari. Diverse altre misure specifiche sono state poi adottate, per esempio per i rifugiati, contro il traffico di persone, per il monitoraggio di violazione dei diritti dei migranti, per l’istituzione di un Relatore Speciale per i diritti umani dei migranti della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani e per i lavoratori nel settore della pesca.

Tra gli strumenti internazionali, prendiamo atto con soddisfazione che il vertice straordinario dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Africana, che si è tenuto il 22 e 23 ottobre scorso a Kampala, capitale dell’Uganda, ha adottato la prima Convenzione per la protezione e l’assistenza degli sfollati in Africa e la Dichiarazione di Kampala per una maggiore protezione e assistenza agli sfollati e per sradicare lo sfollamento di massa in Africa. Sottoscritta da 17 Stati (Uganda, Somalia, Repubblica Sahraui, Burundi, Rwanda, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Namibia, Etiopia, Gambia, Repubblica del Congo, Nigeria, Gibuti, Liberia, Sierra Leone, Zambia, Zimbabwe), ora attende la ratifica da parte dei 53 membri che compongono l’Unione Africana. In essa, l’articolo 3 impegna gli Stati ad “astenere dalla pratica, proibire e prevenire ogni trasferimento arbitrario di popolazioni” e “rispettare e assicurare il rispetto dei principi d’umanità e di dignità umana degli sfollati”.

È opportuno, quindi, apprezzare l’impegno della comunità internazionale, che considera l’approccio alle migrazioni, volontarie o forzate, partendo dai diritti umani e fa appello al dialogo a diversi livelli, oltre che alla collaborazione degli Stati di partenza, transito e arrivo, per conseguire uno sviluppo equo e sostenibile e tutelare i diritti dei migranti, il rispetto dei loro valori culturali e religiosi, la prevenzione del traffico di persone e la lotta contro lo sfruttamento dei migranti irregolari[3]. Si tratta di una gestione globale che, per ora, rimane purtroppo solo un’aspirazione.

Di fatto, è tuttora impellente lo sforzo di far conoscere la ricca normativa esistente e, soprattutto, di creare la volontà politica per la sua applicazione. In tale contesto, è doveroso riproporre in questa sede l’intuizione dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, che cinque anni fa incoraggiava la ratifica di strumenti giuridici internazionali che tutelano i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie (cfr. n. 6).

Concretamente, il Santo Padre Benedetto XVI precisò che la Chiesa “offre, in varie sue Istituzioni e Associazioni, quell’advocacy che si rende sempre più necessaria”[4]. È opportuno, dunque, prestare ogni valido contributo per una saggia legislazione internazionale, che affronti il problema migratorio in forma organica, in modo che il cittadino straniero possa sentirsi, alla pari dei cittadini autoctoni, soggetto di diritto, con promozione anche di equilibrati rapporti di partenariato con i Paesi di origine dei migranti.

Tale esigenza, avvertita da un numero sempre maggiore di istituzioni internazionali e da esperti che si occupano di questioni migratorie, converge con la dottrina sociale della Chiesa che, partendo dall’unità della famiglia umana, propone una visione universale delle relazioni internazionali. Del resto, la globalizzazione sta mettendo maggiormente in luce che le migrazioni, per loro natura, oltrepassano la responsabilità dei singoli Stati, anche a causa del persistere di ingiustizie, violenze e conflitti armati, che continuano a sradicare le persone dal proprio ambiente per spingerle verso Paesi dove pare meno arduo costruire un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie.

La convinzione di fondo ecclesiale è che donne e uomini in emigrazione rappresentino una preziosa risorsa per lo sviluppo dell’intera umanità, grazie alle potenzialità, umano-spirituali e culturali, di cui ciascuno è depositario, senza con questo misconoscere il costo umano dell’esperienza migratoria e le sue molteplici incidenze sociali, economiche e politiche. Su tale argomento, Benedetto XVI ha affermato che “la realtà delle migrazioni non va mai vista soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande risorsa per il cammino dell’umanità”[5].

In forza di ciò, occorre superare le paure che nascono dalle migrazioni viste come un’incognita, talvolta ridotta esclusivamente a una questione di ordine pubblico da affrontare con la repressione. In effetti, Benedetto XVI ha rammentato che i flussi migratori, “spesso solo provocati” e poi mal gestiti, e, ancora, “lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra”, sono distorsioni dello sviluppo, dinnanzi alle quali il Santo Padre invoca “una nuova sintesi umanistica”, che “ci obbliga a riprogettare il nostro cammino” (Caritas in veritate, n. 21), favorendo la “globalizzazione della solidarietà”[6].

Pertanto, “la Comunità cristiana si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa condizione; si sforza di sostenerli e in diversi modi manifesta loro il suo interessamento e il suo amore che si traduce in concreti gesti di solidarietà, perché chiunque si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero”[7].

Guardando al futuro, si potrà probabilmente pensare a strumenti addizionali per provvedere alle lacune che emergono in un fenomeno umano in continua evoluzione e crescita o ad una nuova Convenzione internazionale che sintetizzi la normativa sui diritti e doveri dei migranti. Oggi, tuttavia, appare sempre più importante puntare sull’integrazione, che non equivale ad un processo di assimilazione.

Qui, del resto, si inserisce la sollecitudine pastorale della Chiesa che, anche attraverso la cooperazione di ciascuno di noi, suggerisce, raccomanda e verifica nuove strategie di evangelizzazione e di accompagnamento dei migranti, con l’ausilio della catechesi, della vita liturgica e di quella sacramentale. È principio di giustizia garantire ad ogni essere umano la dignità di appartenere alla famiglia umana. L’accoglienza all’interno di questa famiglia, poi, è il vero nome della giustizia[8].


 

[1] In particolare, cfr. International Organization for Migration, World Migration 2008. Managing Labour Mobility in the Evolving Global Economy, IOM, Geneva 2008; OCDE-SOPEMI, Perspectives des migrations internationales, SOPEMI, Paris 2008.

[2] Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, curato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, afferma che “l’immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo” (n. 297), per cui “la regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana” (n. 298). Inoltre, “gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine” (Ibid.).

[3] Il riferimento specifico è soprattutto alla ratifica degli accordi internazionali, elencati nel n. 78 del Piano d’azione della “Conferenza di revisione di Durban”, che si è svolta nello scorso mese di aprile, in continuità con la “Conferenza Mondiale contro razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza”, tenutasi a Durban, in Sudafrica, nel 2001.

[4] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007: People on the Move XXXVIII (102, 2006) 42. Benedetto XVI ha altresì ribadito che “è importante tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, Angelus 14.01.2007: People on the Move XXXIX (104, 2007) 31.

[5] Benedetto XVI, Angelus 14.01.2007: People on the Move XXXIX (104, 2007) 31.

[6] Su tale concetto molto ha insistito il Servo di Dio Giovanni Paolo II, ad esempio nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 2000, n. 5.

[7] Benedetto XVI, Angelus 19.06.2005: People on the Move XXXVII (99, 2005) 12. Cfr. anche Paolo VI, Ecclesiam suam n. 94; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 1995. Non sono mancati altresì pronunciamenti dell’Episcopato, che ha fatto sentire la sua voce negli interventi che qui segnaliamo fra gli altri: “We are aliens and transients before the Lord our God”, 2006, della Conferenza Episcopale Canadese; “La Pastoral de las Migraciones en España. Reflexión pastoral y Orientaciones Prácticas para una Pastoral de Migraciones en España a la luz de la Instrucción Pontificia ‘Erga migrantes caritas Christi’”, 2007, a cura della Conferenza Episcopale Spagnola; “Graced by Migration”, pubblicato nel 2008 dalla Conferenza Episcopale Australiana. Tra il 2000 e il 2003, i Vescovi Statunitensi hanno pubblicato tre importanti lettere pastorali: “Welcoming the Stranger Among Us: Unity in Diversity”; “Asian and Pacific Presence: Harmony in Faith” e “Strangers No Longer: Together on the Journey of Hope”, scritta in collaborazione con i Vescovi del Messico. A sua volta, il “Service National de la Pastorale des Migrants et des Personnes Itinérantes”, in Francia, ha emanto il documento “Artisans de communion. Aumôneries et aumôniers des Communautés des catholiques de la migration”, nel 2007.

[8] Si tratta, dunque, di recepire il monito dell’EMCC: “i cristiani devono essere promotori di una vera e propria cultura dell’accoglienza (cfr. EEu 101 e 103), che sappia apprezzare i valori autenticamente umani degli altri, al di sopra di tutte le difficoltà che comporta la convivenza con chi è diverso da noi (cfr. EEu 85, 112 e PaG 65)” (n. 39).

 

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