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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 111, December 2009

 

 

L’approccio pastorale verso una più stabile integrazione dei migranti e dei rifugiati nel contesto del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale

                                                

S.E. Mons. Dr. Josef Voss

Vescovo Ausiliare di Münster

Presidente della Commissione Episcopale per i Migranti - Germania

 

1. Riguardanti le domande poste

Viviamo in un mondo globalizzato. Siamo abituati a parlare di globalizzazione dei mercati finanziari e economici – quanto ciò è attuale, l’abbiamo appreso proprio negli ultimi anni; siamo abituati a parlare della globalizzazione dei mercati delle merci, dei mercati del turismo e della comunicazione. Non ci accorgiamo tuttavia, che a ciò è strettamente collegata una globalizzazione della migrazione, una globalizzazione della povertà, una globalizzazione della vita umana, e soprattutto una globalizzazione della responsabilità collettiva.

Davanti a questo back-ground l’integrazione è una sfida altamente attuale e permanente.

Intendo qui l’integrazione non nel limitato significato di esigenza linguistica. Intendo l’integrazione piuttosto come un processo complesso e reciproco che riguarda non solo i migranti ed i rifugiati ma anche la società di accoglienza. È necessario che ai migranti e ai rifugiati venga data  la possibilità, e essi vengano convinti a partecipare, a loro modo, alla vita della comunità; la lingua è naturalmente una chiave necessaria.

Oltre all’integrazione linguistica, l’integrazione significa soprattutto integrazione sociale: cioè una integrazione legislativa, meglio assicurata, fino ad una partecipazione politica e ai diritti civici; ciò significa integrazione sul lavoro per la sicurezza dell’esistenza; questo è integrazione nell’istruzione e integrazione culturale nel reciproco riconoscimento e nella reciproca stima  della molteplicità culturale, etica, religiosa e linguistica.

1.2  “….Nel contesto del dialogo ecumenico, interreligioso e culturale”. L’integrazione non si svolge nel vuoto; si tratta del rapporto tra persone che sono sempre legate alla loro cultura, alla loro religione, alla loro tradizione. Sono da prendere in considerazione queste diverse dimensioni: il dialogo ecumenico riguarda il procedere insieme delle chiese cristiane e la comunicazione delle chiese cristiane tra loro; il dialogo interreligioso include anche le religioni non cristiane; il dialogo culturale tiene conto della globalità delle culture nelle quali si esprimono, tra l’altro, religione e fede.

Con ciò la mia relazione entra nel quadro e nelle dimensioni che sono alla base dell’Istruzione di “Erga migrantes caritas Christi”.

Il problema è: come può, il dialogo ecumenico, interreligioso e culturale, contribuire ad una più stabile integrazione dei migranti e rifugiati? 

2. L’integrazione dei migranti e rifugiati - una sfida attuale e permanente.

2.1 “Promuovere l’integrazione – Progettare una vita in comune” – con questo titolo i Vescovi tedeschi nel 2004, hanno pubblicato il loro punto di vista sull’integrazione di migranti e profughi.

I due aspetti sono una cosa sola. Chi dice sì alle migrazioni, chi dice sì all’accoglienza dei profughi, deve anche dire sì all’inserimento di queste persone nella società di accoglienza.

L’integrazione è più di un semplice aiuto linguistico e dell’offerta di corsi di perfezionamento, per quanto indispensabili essi sono. Si tratta di un processo complesso e reciproco, che non interessa soltanto gli immigrati, ma anche la società accogliente. Il reciproco rispetto è una condizione irrinunciabile per un pacifico convivere. La società di accoglienza deve allo stesso modo rispettare e apprezzare i valori che i migranti e i rifugiati portano con sé, come gli immigrati, a loro volta, devono rispettare le tradizioni della società di accoglienza. Un presupposto necessario è che: questo processo si svolga totalmente sulla base della Costituzione e nel riconoscimento dell’ordine di diritti e di valori della società accogliente. Chi vuole partecipare alla vita della società e vuole mettersi in comunicazione con essa, deve essere padrone della lingua del paese.. Questa è una condizione  fondamentale.

L’integrazione poggia perciò su tre colonne: come cosa primaria deve essere possibile il dialogo. Ciò richiede anzitutto una sufficiente conoscenza della lingua dei nuovi paesi ma anche una reciproca stima. La seconda colonna è: migranti e rifugiati devono poter assicurarsi il loro sostentamento; devono quindi ottenere la possibilità, di poter partecipare al mercato del lavoro per potersi mantenere. L’integrazione significa come terzo punto: migranti e rifugiati devono poter partecipare, a loro modo, alla vita della Società; questo significa una crescente condivisione sociale alla costruzione della comunità sino alla partecipazione alla vita politica con l’indispensabile diritto di voto.

Nella crescente globalizzazione del mondo, la migrazione e la fuga appartengono alla realtà di questo mondo e non sono solo un fenomeno temporaneo. Questo è il vero accento che l’Istruzione “Erga migrantes caritas Christi” pone al centro. Migranti e rifugiati appartengono alla realtà dei paesi di accoglienza; e di regola vi rimangono a lungo. Non esiste perciò un’alternativa ad una integrazione ben intesa. Se qualcuno si integra nella nuova società del paese di accoglienza, se si inserisce intimamente nella vita e nelle condizioni di vita, dipende soprattutto dal fatto che lo straniero si sente accettato, se può aver fiducia nella società e se può essere, in certo qual modo, sicuro di poterci rimanere e di essere benvoluto. Una società di immigrazione con la sua grande molteplicità, porta sempre dei rischi con se, ma anche grandi occasioni. In ogni caso è una sfida.

2.2   Se la Chiesa partecipa al discorso sociale su l’emigrazione e l’integrazione, lo fa sullo sfondo della sua propria esperienza; essa sa, di cosa parla.

Migrazione e fuga appartengono alla sua stessa storia; sia alla storia del popolo d’Israele, come anche alla storia del nuovo Israele, la Chiesa di Gesù Cristo. Inoltre i paesi tradizionalmente cristiani, specialmente dell’Europa, sono stati per lunghi periodi paesi d’emigrazione e hanno sperimentato, essi stessi questa condizione.

 La Chiesa è dalla propria fede obbligata a questo impegno: il punto di svolta e angolare è la basilare convinzione di fede, che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio (Gen 1,26f); che perciò Dio stesso garantisce l’inalienabile dignità di ogni singolo uomo. Essendo Dio stesso diventato uomo in Gesù di Nazareth, Egli ha accettato fondamentalmente l’uomo e si identifica con lui. In Gesù, il Dio impenetrabile ha assunto un aspetto umano e ci guarda con occhio umano; Egli ha assunto un cuore umano e sa cosa noi uomini abbiamo a cuore. Egli divide con noi i giorni buoni e cattivi della nostra vita. Egli vive anche la sorte della persecuzione politica, la fuga all’estero, in Egitto. In che misura la fede include il comandamento dell’amore verso il prossimo, lo esemplifica la parabola del Buon Samaritano. La similitudine del Giudizio finale, da Matteo, indica inequivocabilmente, quanto Dio si prende cura di ogni uomo: Ero forestiero e senza tetto, e voi mi avete accolto.

Davanti a questo back-ground, la chiesa si considera propugnatrice di una politica di integrazione, che non serve soltanto agli interessi della Società accogliente, ma anche alle necessità dei migranti e dei rifugiati. La Chiesa è per sua natura una comunità di credenti di tutte le lingue, di tutte le razze e popoli, e per questo, essa stessa è un luogo di integrazione, o come dice il Concilio Vaticano II “segno e strumento per la più intima unione con Dio e per l’unità di tutta l’umanità” (LG 1).

2.3 La prospettiva ecumenica, deve considerare con serietà ogni cultura, nella quale si è inculturata la vita di fede. È perciò un desiderio fondamentale dell’Istruzione, che i migranti possono vivere la loro fede nella propria cultura e tradizione (EMCC 35).

Ne consegue perciò di dover prendere sul serio ambedue le dichiarazioni ecclesiali sulla vita della fede, così come si sono evidenziate nella storia; nella chiesa latina, nella chiesa dell’ortodossia, nelle chiese o nelle comunità ecclesiali della Riforma. D’altra parte nel lavoro con la migrazione e la fuga, noi abbiamo comunque sempre a che fare, sia con persone di fede cristiana sia con persone di altre religioni e culture.

La Chiesa stessa ci obbliga al dialogo ecumenico, interreligioso e culturale. Il diritto canonico per la chiesa cattolica romana e per le chiese orientali garantisce ai fedeli, in base al battesimo ed alla cresima, gli stessi diritti e doveri, indipendentemente da razza, lingue e popoli. Questa è una integrazione fondamentale.

Il Decreto ecumenico e la Dichiarazione sul rapporto della Chiesa verso le religioni non cristiane del Concilio Vaticano II sono il fondamento obbligatorio. 

3. Avvicinamento ad una integrazione più stabile nel contesto del dialogo ecumenico, interreligioso e culturale.

3.1 Il dialogo ecumenico ha due importanti radici. In Germania, il paese della Riforma, i cristiani sia della chiesa cattolica che della chiesa evangelica, hanno dato una comune testimonianza di fede nell’opposizione alla dittatura del nazionalsocialismo e hanno dato la vita come martiri. Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, i cristiani delle differenti confessioni, si sono sentiti obbligati ad affrontare insieme le conseguenze della guerra.

La seconda radice è sicuramente il Concilio Vaticano II sia nel Decreto sull‘ecumenismo sia nel Decreto sul rapporto della Chiesa con le religioni non cristiane.

Questa collaborazione ha assunto una nuova qualità, quando per l’immigrazione di migranti, rifugiati e delle loro familiari, sono arrivati nel nostro paese persone appartenenti alle differenti chiese e comunità, ed erano una comune sfida. La comunità di lavoro delle chiese cristiane ha tentato di affrontare insieme questo compito, ma con ecumenica responsabilità e differenziazioni: migranti e profughi cattolici dovevano trovare residenza attraverso l’aiuto di comunità cattoliche; cristiani delle diverse denominazioni evangeliche avevano interlocutori presso la chiesa evangelica; migranti e rifugiati dall’area delle chiese dell’ortodossia, trovavano contatti nella propria gerarchia che venne istituita. Migranti e profughi di altre religioni sono stati accolti tenendo conto della loro cultura e loro stessi dovevano trovare la possibilità di formare proprie strutture. Nella sua voce comune la ACK (Arbeitsgemeinschaft Christlicher Kirchen = Comunità di lavoro delle Chiese cristiane) si impegna affinché per i maomettani ci sia nelle scuole un’istruzione religiosa musulmana, tuttavia secondo la nostra Costituzione: istruzione religiosa in lingua tedesca che con la responsabilità della comunità di fede musulmana, viene impartita da insegnanti di religione, istruiti e riconosciuti in Germania sotto il controllo legale dello Stato.

Si è dimostrato molto utile ed efficace che nella comunità di lavoro delle chiese cristiane è stato elaborato un messaggio comune: “E lo straniero, che è alle tue porte”- Messaggio comune delle chiese alle sfide da migrazione e fuga. Si è potuto costatare che il Messaggio comune delle Chiese proprio per il suo fondamentale principio teologico e per i suoi principi etici e le prospettive politiche, ha trovato una eco nella politica ed è diventato la base per alcune discussioni politiche.

3.2 Nella responsabilità ecumenica e negli accordi, le chiese e le comunità cristiane, offrono ai migranti ed ai rifugiati di altre confessioni e anche di altre religioni, le loro strutture – giardini d’infanzia, ospedali, i loro servizi sanitari, centri di istruzione familiari, se questi vengono da loro accettati.

Si è riscontrato che proprio anche famiglie musulmane conducono i loro figli preferibilmente in giardini d’infanzia cristiani che in strutture laiche, perché sentono che i loro figli imparano ad avere rispetto della fede degli altri.

Se i bambini cristiani imparano le tradizioni di altre religioni e culture; se anche i bambini di altre culture e religioni imparano cosa credono i cristiani e come i cristiani vivono e tutti crescono insieme, allora questa è una base decisiva per un futuro pacifico. La stessa cosa vale anche per altre strutture culturali e sociali. Questo è anche il principio delle “Scuole Europee” in Bosnia-Herzegowina.

Qui dà buona prova di sè la differenziazione del quadruplo dialogo: il dialogo della vita quotidiana insieme; il dialogo dell’agire nel comune lavoro, come per esempio nell’assistenza agli ammalati, nell’assistenza agli anziani, nei giardini d’infanzia, ma anche nella politica; il dialogo dello scambio teologico, che spesso ne è una conseguenza. Per poter fare questo è necessario preparare bene anche le collaboratrici e i collaboratori cristiani come anche gli interlocutori cristiani.

Esiste poi il quarto dialogo sulle questioni religiose, che include già un livello spirituale.

Le Chiese cristiane e le comunità cristiane hanno un’esperienza di 25 anni con i cosiddetti convitti di scuole promozionali, nei quali ragazze e ragazzi di famiglie di migranti e rifugiati ricevono un aiuto nelle materie scolastiche importanti affinché possano presto essere ammessi nelle scuole del luogo. Le esperienze di questo lungo periodo fanno vedere:

     Gli alunni, ragazzi e ragazze fanno buoni progressi, e l’integrazione nella nuova vita è più facile, quando ciò avviene in collaborazione con i genitori. L’unità della famiglia è un fattore importante per l’integrazione del singolo. Gli dà la sicurezza, che non deve abbandonare la sua identità.

      Gli alunni, ragazzi e ragazze, ottengono dei buoni risultati, se si fa ricorso alle loro capacità: quando si promuove la loro madre lingua e la loro ricchezza culturale e si stima la loro tradizione e religione.

      Gli alunni, ragazzi e ragazze fanno dei grandi passi avanti se la promozione include tutte le loro capacità.

Si tratta qui della realizzazione pratica di ciò che Papa Giovanni Paolo II ha detto nella sua enciclica “Ut unum sint”: “Accade sempre più spesso che i responsabili delle Comunità cristiane prendano insieme posizione, in nome di Cristo, su problemi importanti che toccano la vocazione umana, la libertà, la giustizia, la pace, il futuro del mondo. Così facendo essi "comunicano" in uno degli elementi costitutivi della missione cristiana: ricordare alla società, in un modo che sappia essere realista, la volontà di Dio, mettendo in guardia le autorità e i cittadini perché non seguano la china che condurrebbe a calpestare i diritti umani. È chiaro, e l'esperienza lo dimostra, che in alcune circostanze la voce comune dei cristiani ha più impatto di una voce isolata (43).     

 

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