Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People People on the MoveN° 112, June 2010
Accogliere i migranti.Minaccia, dovere o diritto?*
S.E. Mons. Antonio Maria vegliò Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti
1. Uomini e donne migranti Oggi siamo tutti consapevoli di vivere in un mondo da una parte sempre più globalizzato e, dallÂÂaltra, segnato profondamente da diversità culturali, sociali, economiche, politiche e religiose, sollecitati anche da quotidiani fatti di cronaca, che pongono interrogativi sullÂÂaccoglienza o sul respingimento dei migranti  nel Mediterraneo e in Europa come ai confini tra Messico e Stati Uniti dÂÂAmerica; in Estremo Oriente come allÂÂinterno dei Paesi dellÂÂAfrica sub-sahariana e ovunque ci siano rilevanti flussi migratori ÂÂ. Si tratta di una invasione dalla quale bisogna difendersi? Oppure i poveri hanno il diritto, appunto perché poveri, di bussare alle porte delle società benestanti? Non cÂÂè da meravigliarsi: le ondate migratorie, nella storia, di norma hanno presentato inizialmente situazioni più o meno confuse. Non cÂÂè neppure da spaventarsi, ma certamente lo spostamento, soprattutto massiccio, di migranti impegna a mettere ordine nei rapporti reciproci, perché tutti diventino collaboratori e promotori di benessere a mutuo vantaggio.[1] Il fenomeno delle migrazioni, dunque, va considerato non come semplice dato statistico e socio-economico, ma come un fatto problematico e complesso, che ha al centro uomini e donne. Anche se stipati nella stiva di unÂÂimbarcazione o in fuga attraverso altri percorsi, via aria o per terra, si tratta di persone umane, che intraprendono la lunga marcia dellÂÂemigrazione perché è per loro impossibile giungere altrimenti in un luogo sicuro, aspettandosi di essere soccorsi nella difesa della propria dignità e della propria storia.[2] 2. Gestione impegnativa, ma urgente Proprio qui sorge la prima sfida per coloro che hanno retta coscienza, poiché risulta evidente quanto sia indispensabile lÂÂistituzione di un ordinamento giuridico internazionale, che stabilisca unÂÂeffettiva condivisione di responsabilità tra i Paesi di partenza, di transito e di destinazione dei flussi migratori, cosicché nessuno sia lasciato solo nel gestire le difficili situazioni che inevitabilmente si creano. Tanto più se tra coloro che fuggono sulle rotte migratorie  regolari o irregolari  vi è chi necessita di protezione internazionale, per cui il respingimento nel Paese dÂÂorigine significherebbe procurargli grave danno. È dunque indispensabile, per un mondo che vuol dirsi civile, lÂÂurgente adozione di appropriate normative. È necessario riformulare le politiche di accoglienza con un piano di solidarietà concordata, anche per gestire il fenomeno con scelte preventive. È innegabile lÂÂautorità sovrana degli Stati nel definire i requisiti di accesso e di permanenza degli immigrati, così come la competenza discrezionale nel proibire loro lÂÂingresso. Senza dimenticare, tuttavia, che lÂÂesercizio di tale sovranità è giuridicamente circoscritto dalla ratifica dei trattati internazionali e dal rispetto di due principi etici: la tutela della dignità della persona e dei gruppi umani, con il diritto che ne deriva allÂÂidentità collettiva, e la promozione dellÂÂunità fondamentale del genere umano, la quale suppone che tutta lÂÂumanità, al di là delle distinzioni etniche, nazionali, culturali e religiose, formi una comunità senza discriminazioni tra i popoli, che tendono alla solidarietà reciproca.[3] Poi, nel definire la politica e il diritto di migrare non si può ignorare, da un lato, la realtà delle strutture economiche internazionali, con il crescente divario tra Nord e Sud e lÂÂespulsione di intere popolazioni dalle aree sfruttate e impoverite; dallÂÂaltro, il ruolo economico svolto dagli immigrati nei sistemi di produzione e sviluppo dei Paesi dÂÂaccoglienza.[4] 3. Diritti e doveri Ad ogni buon conto, i diritti umani fondamentali, garanti della dignità della persona, devono essere pienamente assicurati. Così, ad esempio, il diritto alla vita, allÂÂintegrità fisica e morale, senza essere sottoposti a torture, maltrattamenti o pene crudeli, inumane o degradanti; il diritto al riconoscimento della propria personalità giuridica; il diritto alla libertà personale e alla sicurezza; il diritto allÂÂonore, allÂÂintimità personale e familiare, allÂÂinviolabilità della casa e della corrispondenza; il diritto a scegliersi un coniuge, a sposarsi, a fondare una famiglia; il diritto a conservare lingua, cultura e tradizioni proprie; il diritto alla libertà di pensiero, di opinione, di coscienza e di religione; il diritto a manifestare la propria religione o le proprie credenze, restando unicamente soggetti alle limitazioni prescritte per legge o necessarie a proteggere la pubblica sicurezza, lÂÂordine pubblico, la salute o la morale pubblica o i diritti e le libertà fondamentali degli altri; il diritto alla libertà di espressione con riserve analoghe alle precedenti, che risultino necessarie in una società democratica; il diritto alla proprietà dei beni legittimamente acquisiti, senza possibilità di venirne arbitrariamente privati; il diritto a difendere in giudizio i propri diritti, su piede di parità con chi gode della nazionalità; il diritto a ricorrere alla protezione e allÂÂassistenza dello Stato dÂÂorigine e, per quanto concerne lÂÂinfanzia, il diritto alla sua protezione e allÂÂeducazione. Per quanto si riferisce ai diritti del mondo del lavoro  salario, condizioni di lavoro, riposo settimanale, ferie, diritti sindacali  e ai diritti sociali  trattamento pensionistico e disoccupazionale, assistenza sanitaria, abitazione e protezione del nucleo familiare ÂÂ, se gli immigrati contribuiscono al benessere della società che li accoglie, è ragionevole che abbiano pure accesso alla ricchezza che aiutano a creare; nella misura in cui essi si inseriscono nel sistema produttivo, adempiendo ai propri obblighi fiscali, in base alle quote stabilite per tutti i cittadini, hanno diritto al medesimo trattamento. Analogamente va detto per i doveri che tutti devono assumersi per garantire la reciproca sicurezza, lo sviluppo e la pace. È sotto gli occhi di tutti, invece, che ci troviamo di fronte alla tendenza di molti Paesi a trincerarsi, a chiudersi, ad assicurare il livello di benessere raggiunto dentro le proprie mura, senza prestare sufficiente attenzione alle necessità di chi si trova fuori le mura, con grave omissione del principio di solidarietà. In effetti, lÂÂanalisi della storia delle migrazioni dimostra che unÂÂaccoglienza graduale e ordinata, rispettosa ma non ingenua, da una parte fa emergere il senso umanitario della solidarietà e dellÂÂospitalità e, dallÂÂaltra, aumenta il potenziale produttivo in campo economico e arricchisce gli scambi sociali.[5] Diciamo subito, perciò, che lÂÂarrivo dei migranti non è certo un pericolo, se ovviamente trova giusta attuazione una gestione integrata di tutti gli aspetti correlati alla buona accoglienza dei migranti, soprattutto per contrastare il più efficacemente possibile lÂÂopera di organizzazioni criminali che fanno traffico e contrabbando di esseri umani. Chi ha responsabilità di governo, pertanto, è chiamato ad agire sul piano della progettazione, per individuare e realizzare modelli di integrazione e di coesione, aggregando tutte quelle forze sociali, culturali, educative, istituzionali ed ecclesiali che ne hanno competenza. 4. La società integrata La società contemporanea assume sempre più le caratteristiche della multietnicità e del multiculturalismo.[6] Siamo messi a confronto con lÂÂintensificarsi di flussi migratori sempre più differenziati, la presenza massiccia di migranti non cristiani, lÂÂesigenza della difesa dei diritti umani e religiosi dei migranti, la promozione di un dialogo complesso e difficile, che la mediazione culturale richiede. Mai come oggi le migrazioni stanno mettendo in discussione i fondamenti stessi della società e gli sviluppi della convivenza sociale. Le migrazioni spingono a chiederci quale tipo di società stiamo costruendo e, nello stesso tempo, sollecitano che si progetti una società nella quale si allarghino gli spazi di appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di emarginazione e di esclusione. Sfida e obiettivo di fondo è la costruzione di una ÂÂsocietà integrata e questo richiede non tanto la difesa di culture e religioni contrapposte, quanto piuttosto, da un lato, lÂÂadozione di nuove reti di solidarietà contro la miseria e lÂÂesclusione sociale e, dallÂÂaltro, lÂÂincontro di culture e il dialogo che favoriscano la relazione, lo scambio e il vicendevole arricchimento.[7] 5. La sfida dellÂÂintercultura Forse la più importante sfida attuale è quella dellÂÂaccoglienza dellÂÂaltro. Certamente, la soluzione del dramma migratorio è in gran parte di tipo politico, ma nel contempo viene posto un ÂÂtest di civiltàÂÂ, che si fonda sulla giustizia e sul rispetto della dignità della persona umana, mai trattata come merce o mera forza lavoro. È in tale ottica che nellÂÂEnciclica ÂÂSpe SalviÂÂ, Benedetto XVI raccomanda il superamento dellÂÂidea materialista che lÂÂuomo sia solo il prodotto di condizioni economiche. Ma superarla significa mettere al centro di un nuovo modello di sviluppo la persona e le relazioni tra le persone, e insieme il legame inscindibile tra dimensione spirituale, morale e materiale.[8] Abbiamo oltrepassato la soglia del terzo millennio, propiziato dagli strumenti sempre più ÂÂglobalizzanti dellÂÂinformatica e della tecnologia. Sono maturi i tempi per unÂÂoperazione di completamento del cammino intrapreso, in cui la molteplicità diventi coesione e la diversità sia apprezzata come ricchezza. In effetti, la rinascita della comunità umana si offre come planetaria e interculturale. Del resto, si sa, il provincialismo blocca la speranza, perché marcia contro la storia. La strada migliore è quella della formazione alla mondialità per una convivialità delle persone e delle culture. Tale coesione comporta una concreta educazione alla pace, la quale costituisce un bene irrinunciabile nei vari contesti della vita, della famiglia, della scuola, della Chiesa, degli spazi di società amministrativa, politica e sociale. Educare alla intercultura, dunque, significa anzitutto aiutare a coltivare le premesse della pace, come la tolleranza, la giustizia, la magnanimità e il perdono. Così, credo che la formazione interculturale si offra come chiave di soluzione al difficile problema e allo sforzo di armonizzare lÂÂunità della famiglia umana nella diversità dei popoli che la compongono.[9] Questo implica ovviamente lÂÂimpostazione di tutta una pedagogia per lÂÂaccoglienza delle differenze, per la cultura del dialogo, nella reciprocità e solidarietà. Con una precisazione: il dialogo interculturale non è un concetto circoscritto ad una azione puramente accademica, ma coinvolge pienamente la capacità di ognuno di incontrare le persone di altra cultura, non solo, ma anche di diversa confessione e di altra religione. È necessario allora accostarsi a tutte le culture con lÂÂatteggiamento rispettoso di chi è cosciente che non ha solo qualcosa da dire e dare, o da giustamente pretendere, ma anche da ascoltare e ricevere. 6. Nuovi modelli formativi Il fenomeno migratorio sta producendo, malauguratamente, nuove schiavitù nelle società opulente, spesso senza valori, dove lÂÂamministrazione pubblica e i servizi sociali talora retrocedono su posizioni di difesa e di gretta chiusura. Siamo al banco di prova di una coscienza matura e, sul terreno delle migrazioni, si gioca la partita della costruzione di una civiltà più ricca di valori, dove la semplice giustapposizione delle culture passa dallo stadio di pura necessità ad una vera scelta di civiltà. Il futuro passa dunque per lÂÂimpegno interetnico. Le istituzioni scolastiche, pertanto, sono oggi in prima linea nella formazione di persone capaci di elaborare nuovi significati comuni e nuovi modelli di appartenenza. Si tratta di riconoscere che la ricerca di identità passa da un dialogo mai definito con lÂÂaltro, lo straniero, il diverso. Qui si realizza la mediazione tra mondi culturali diversi, verso il completamento reciproco dei frammenti di verità.[10] Sotto questo profilo, lÂÂesperienza ecclesiale  cattolica, cioè universale  interpella a riflettere, a proporre e a preparare nel presente le condizioni per la convivenza, la comunione dialettica, il riconoscimento, lÂÂappartenenza, la partecipazione e la cittadinanza in una società plurale e interculturale. Inoltre, se il dialogo ha bisogno di reciprocità tra culture diverse, ne consegue la necessità che le agenzie formative incoraggino lo sviluppo e la coscienza della diversità, evitando la chiusura pregiudiziale nelle dinamiche dellÂÂimmigrazione. NellÂÂambito, poi, della formazione spirituale dei giovani, a nulla serve serrare le fila e rinvigorire dogmi e ideologie. Piuttosto è necessario il recupero di ciò che è davvero importante, cioè lÂÂessenzialità evangelica e la maturità culturale, dove i progetti formativi favoriscano la scoperta dellÂÂidentità allÂÂinterno del pluralismo ed educhino i giovani a una grande apertura. Per espletare efficacemente la sua missione, la scuola deve partecipare alla ricerca di soluzione dei problemi umani più urgenti e, dunque, è importante investire nella ricerca e nellÂÂinsegnamento sui temi riguardanti, per esempio, la democrazia, i diritti umani, la pace, lÂÂambiente, la cooperazione e la comprensione internazionale, la lotta alla povertà, il dialogo interreligioso e tutte le questioni connesse allo sviluppo sostenibile.[11] 7. Sfida e risorsa Al di là delle differenze  politiche, culturali o religiose  vi è una unità di fondo, che ci deriva dallÂÂessere persone umane, create da Dio e redente dal sangue di Cristo. La strada da battere, dunque, è quella della differenza nella comunione. La differenza non è una menomazione, è una ricchezza. E lÂÂuguaglianza si può realizzare nel rispetto della differenza, purché ci si liberi della categoria del ÂÂnemicoÂÂ, che demonizza e criminalizza il forestiero. La presenza dei migranti è dunque una provvidenziale provocazione al rinvigorimento dellÂÂapertura e dellÂÂaccoglienza, che, esaltando la persona umana, tendono a valorizzare le diversità, senza fagocitarle o assimilarle. È una memoria da recuperare, incarnata anche dalla sapienza biblica nel libro del Levitico, che raccomanda: ÂÂil forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu lÂÂamerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri (19,34) e nel Nuovo Testamento Gesù assicura che lÂÂincontro con lui passa anche attraverso la misericordia riservata allo straniero: ÂÂero straniero e mi avete accolto (Mt 25,35). Le odierne migrazioni, dunque, spingono lÂÂumanità intera e, in particolare, la Chiesa e i cristiani verso una visione e un impegno sempre più universali: in ogni tempo e luogo, lÂÂaccoglienza del pluralismo allarga lÂÂambito della solidarietà e della fratellanza, con la consapevolezza che ÂÂla principale risorsa dellÂÂuomo è lÂÂuomo stesso (Centesimus annus, n. 32). * LÂÂarticolo è apparso sulla Rivista Aggiornamenti Sociali 7-8 (2009) 521-527. [1] Nel 2005 si calcolavano più o meno 191 milioni di migranti internazionali sparsi per il mondo. Oggi se ne stimano 200 milioni ed oltre. Il Nord America assorbe ogni anno circa un milione e mezzo di nuovi migranti; lÂÂEuropa ottocento mila e lÂÂOceania novanta mila. Le donne costituiscono quasi la metà di tutti i migranti nel mondo e nei Paesi sviluppati sono più numerose degli uomini: cf. International Organization for Migration, World Migration 2008. Managing Labour Mobility in the Evolving Global Economy, IOM, Geneva 2008; OCDE-SOPEMI, Perspectives des migrations internationales, SOPEMI, Paris 2008. [2] In proposito, rimando a http://fortresseurope.blogspot.com. La rivista Fortress Europe dal 1988 documenta il numero di potenziali migranti naufragati o vittime alle frontiere: 14.639 morti, di cui 6.309 dispersi. Cf. anche G. Del Grande, Mamadou va a morire: La strage dei clandestini nel Mediterraneo, Infinito Edizioni, Due Santi-Frattochie, Roma 2007. [3] Tra vari contributi, cf. C. Riva, Spazi di comunicazione e identità immigrata, Franco Angeli, Milano 2005; N. Losi, Vite altrove. Migrazione e disagio psichico, Feltrinelli, Milano 2000; J. Costa Lascoux, ÂÂLÂÂespace de SchengenÂÂ, in Revue Européenne des Migrations internationales 7 (1991). [4] In effetti il divario tra Nord e Sud del mondo è allÂÂorigine della inarrestabile pressione migratoria dai Paesi poveri verso i Paesi a sviluppo avanzato. Nella ÂÂSollicitudo rei socialis Giovanni Paolo II parlò di ÂÂstrutture di peccato (n. 36) e di ÂÂmeccanismi perversi (n. 17) alla base di tale drammatica situazione e stigmatizzò il fenomeno migratorio come ÂÂemigrazione della disperazione (n. 15). Sono sempre attuali i dati forniti dal Documento ÂÂUomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà (1990) della Commissione ecclesiale CEI ÂÂgiustizia e paceÂÂ. Tra le cause dei grandi flussi migratori verso lÂÂEuropa si parla del ÂÂprogressivo aumento del divario esistente tra i paesi ricchi, che dispongono di quasi lÂÂ80% del prodotto mondiale, pur avendo il 22% della popolazione, e i paesi poveri, che dispongono solo del 20% del prodotto mondiale, pur rappresentando il 78% della popolazioneÂÂ. [5] ÂÂLÂÂaltro non è più fonte di difficoltà, di timori, di incomprensioni: non è il nemico da cui allontanarsi o da combattere. LÂÂaltro è colui che ci permette di esistere, di ritrovarci, di camminare nel percorso esistenziale che ci attende con la certezza di essere accompagnati per mano e di poterci affidare a questa compagnia fedele che ci dà forza, ci sostiene e ci spinge in avanti. La fiducia apre la porta alla reciprocità, a quellÂÂandirivieni di parole, azioni, conoscenze, sollecitazioni, spinte, che ( ) costituiscono la linfa vitale di quella costruttiva ÂÂlotta Io-Tu che consente di far tesoro della diversità per approdare allÂÂintima e feconda solidarietàÂÂ, G. Milan, La dimensione ÂÂTraÂÂ, fondamento pedagogico dellÂÂinterculturalità, CLEUP, Padova 2002, pp. 105-106. [6] Vedi lÂÂinteressante numero monografico di Studi Emigrazione 173, anno 2009, dedicato a ÂÂMigrazioni, identità e intercultura: il contributo di Charles Taylor e Will KymlickaÂÂ. [7] ÂÂLa multiculturalità descrive una situazione di fatto: la coesistenza di diversi gruppi etnici e culture nella stessa società. ( ) La società multiculturale cÂÂè già, mentre la società interculturale è un obiettivo sempre aperto verso cui tendere e a cui educareÂÂ: A. Nanni  S. Abbruciati, Per capire lÂÂinterculturalità. Parole chiave, EMI, Bologna 1999, pp. 73-74. [8] ÂÂLÂÂincontro delle culture è possibile perché lÂÂuomo, nonostante tutte le differenze della sua storia e delle sue creazioni comunitarie, è un identico e unico essere. Solo il fatto che le nostre anime sono toccate di nascosto dalla verità spiega la fondamentale apertura di tutti e di ciascuno verso lÂÂaltro, e spiega le essenziali convergenze che esistono anche tra le culture più remoteÂÂ: J. Ratzinger, Fede, verità e tolleranza. Il cristianesimo e le religioni nel mondo, Cantagalli, Siena, 2003, p. 67. [9] ÂÂLÂÂeducazione dovrà fare in modo che lÂÂidea di unità della specie umana non cancelli lÂÂidea della sua diversità e che lÂÂidea della sua diversità non cancelli lÂÂidea della sua unità. Vi è una unità umana. Vi è una diversità umana. ( ) È lÂÂunità umana che porta in sé i principi delle sue molteplici diversità. Comprendere lÂÂumano significa comprendere la sua unità nella diversità, la sua diversità nellÂÂunità. Dobbiamo concepire lÂÂunità del molteplice, la molteplicità dellÂÂunoÂÂ: E. Morin, I sette saperi necessari allÂÂeducazione del futuro, R. Cortina Editore, Milano 2001, p. 56. [10] ÂÂQuesta è la sfida della società multiculturale: lÂÂeducazione interculturale, senza dare un giudizio di valore a tale realtà, accetta questa sfida quando non considera più la molteplicità delle culture come problema o peso, ma come arricchimento della vita individuale e della collettivitàÂÂ: M. A. Guido, A scuola con lo straniero, op. cit., p. 109. [11] ÂÂBisogna anche che la scuola, riconoscendosi in questa missione, si ponga come luogo di scambi fra pari, che permetta, faciliti e incoraggi la parola. Accettando di essere un luogo non solo di apprendimento, ma di scambi, di parola, di vita; favorendo lÂÂintegrazione delle leggi del gruppo che umanizzano il piccolo uomo, la scuola può sdrammatizzare certi conflitti intimi che sono lÂÂorigine dellÂÂodio e della sofferenza. In qualunque grado di insegnamento, non si farà niente di positivo senza una condizione preliminare essenziale: questa educazione deve compiersi in un clima propizio, dove il rispetto, la partecipazione, la libertà di espressione individuale e collettiva, lÂÂequità e la giustizia siano di rigoreÂÂ: A. Perotti, La via obbligata dellÂÂinterculturalità, EMI, Bologna 1994, p. 70.
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